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Sentenza

Incostituzionale vietare l’adozione dei minori stranieri ai single.
Incostituzionale vietare l’adozione dei minori stranieri ai single.
CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza 33/2025
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente - RedattoreAMOROSO NAVARRETTA
Udienza Pubblica del Decisione del29/01/2025 29/01/2025
Deposito del Pubblicazione in G. U.21/03/2025
Norme impugnate: Artt. 29 bis, c. 1°, e 30, c. 1°, della legge 04/05/1983, n. 184.
Massime:
Atti decisi: ord. 139/2024
SENTENZA N. 33
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE
ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 29- , comma 1, e 30, comma 1, della legge 4bis
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), promosso dal Tribunale per i minorenni di Firenze
sul ricorso proposto da R. B., con ordinanza del 20 maggio 2024, iscritta al n. 139 del registro ordinanze
2024 e pubblicata nella della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2024.Gazzetta Ufficiale
Visti l’atto di costituzione di R. B., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 29 gennaio 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
uditi l’avvocato Romano Vaccarella per R. B. e l’avvocata dello Stato Gianna Maria De Socio per il
Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 maggio 2024, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2024, il Tribunale per i
minorenni di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, della Costituzione,
quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 29- , comma 1, e 30, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto delbis
minore ad una famiglia), nella parte in cui, rispettivamente, non consentono alla persona non coniugata
residente in Italia di presentare domanda per la dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale e al
giudice di emettere il decreto di idoneità all’adozione internazionale nei confronti della persona non
coniugata, di cui siano state positivamente riscontrate le attitudini genitoriali nel corso dell’istruttoria.
2.– Il rimettente riferisce che, in data 17 marzo 2022, la signora R. B., non coniugata, ha riassunto il
procedimento introdotto con ricorso del 5 febbraio 2019, con il quale la medesima aveva presentato al
Tribunale per i minorenni di Firenze dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero e aveva
chiesto l’emissione del decreto di idoneità a adottare.
Nel corso di tale giudizio, con ordinanza del 26 novembre 2020, il Tribunale per i minorenni di Firenze
aveva sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 29- della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non prevede che labis
persona non coniugata residente in Italia possa presentare domanda per la dichiarazione di idoneità
all’adozione internazionale.
Il giudice riporta che questa Corte, con la sentenza n. 252 del 2021, ha dichiarato inammissibile laa quo
questione.
Lo stesso Tribunale per i minorenni di Firenze, a seguito della riassunzione del giudizio, ha deciso di
sottoporre a questa Corte nuove questioni di legittimità costituzionale sempre relative all’art. 29- , commabis
1, della legge n. 184 del 1983, nonché al successivo art. 30, comma 1.
3.– In via preliminare, il rimettente precisa che, avendo questa Corte pronunciato una sentenza di
inammissibilità, non si sarebbe formato un giudicato costituzionale e ricorrerebbero le condizioni che
consentono allo stesso giudice, nel medesimo procedimento, di sollevare nuove questioni di legittimità
costituzionale.
4.– Il giudice ritiene, inoltre, sussistente la rilevanza, in quanto le norme censurate «costituisconoa quo
effettivo impedimento alla valutazione di idoneità adottiva delle persone non coniugate che dichiarano la
propria disponibilità all’adozione di minori stranieri, come nel caso dell’odierna ricorrente». Precisa, a
riguardo, che, «a seguito di apposita indagine psico-socio-familiare, sia sotto il profilo della consapevolezza
del progetto adottivo che delle caratteristiche personologiche/psicologiche», la ricorrente risulta essere
idonea a adottare.
5.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ravvisa un contrasto degli artt. 29- , commabis
1, e 30, comma 1, della legge n. 184 del 1983 con l’art. 117 Cost., primo comma, in relazione all’art. 8
CEDU, da leggersi in maniera integrata e coordinata con l’art. 2 Cost.
Secondo il giudice , le disposizioni censurate, nel negare alla persona non coniugata residente ina quo
Italia la possibilità di presentare la dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero e
nell’impedire al giudice di dichiarare la persona non coniugata idonea all’adozione, non realizzerebbero il
fine della tutela dell’interesse del minore e violerebbero il diritto al rispetto della vita privata.
5.1.– Il Tribunale per i minorenni di Firenze afferma di dover «fondare la [propria] analisi sul “vero
centro di gravità” dell’istituto dell’adozione, ossia sul minore e in particolar modo sulla valutazione dei suoi
migliori interessi».
Richiamando quanto argomentato dalla sentenza di questa Corte n. 11 del 1981, il rimettente rileva
come il «bisogno di famiglia avvertito con forza dal minore [richieda] per la sua crescita normale affetti
individualizzati e continui, ambienti non precari, situazioni non conflittuali» e sostiene che la ricerca della
migliore soluzione per il minore dovrebbe essere affidata all’accertamento in concreto effettuato dal giudice.
D’altro canto, il giudice riferisce che questa Corte, con la sentenza n. 183 del 1994, avrebbea quo
superato l’idea che l’adozione debba plasmarsi su una prospettiva di « », sicché la preferenzaimitatio naturae
per la bigenitorialità non risponderebbe a un «vincolo giuridico a tutela diretta del minore», ma sarebbe –
secondo l’ordinanza – «il retaggio di una supposta logica naturalistica secondo una visione dogmatica della
nozione di famiglia».
Nella prospettiva del rimettente, l’esigenza di individuare un contesto familiare che dia sufficienti
garanzie di stabilità – « », secondo l’art. 8, paragrafo 2, della Convenzioneun foyer stable et harmonieux
europea sull’adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con legge
22 maggio 1974, n. 357 – non dovrebbe «necessariamente […] rinvenirsi nella struttura familiare composta
da una coppia unita nel vincolo del matrimonio». Proprio la citata Convenzione renderebbe, infatti, possibile
l’adozione da parte della persona singola.
Il rimettente osserva, inoltre, come i modelli familiari presentino oramai «caratteristiche di pluralismo
sociale, culturale, identitario», il che sarebbe «un dato acquisito della vita sociale e comunitaria».
In particolare – riferisce sempre il giudice – «[g]razie all’elasticità del modello costituzionale, chea quo
riconosce attraverso l’art. 2 Cost. le formazioni sociali all’interno delle quali si esplica la personalità
dell’individuo, si [sarebbe] realizzata in tempi rapidi una profonda trasformazione della disciplina in materia
di famiglia e lo stesso concetto di famiglia si [sarebbe] andato non soltanto allargando, ma approfondendo
attraverso il riconoscimento di sostegni relazionali aperti». Cita, a riguardo, le sentenze n. 79 del 2022 e n.
183 del 2023 di questa Corte, che avrebbero dato atto – si legge nell’ordinanza – «del significato pregnante
della rete famigliare che si costruisce nel tempo intorno a un minore».
La rispondenza al principio del dipenderebbe, dunque, a giudizio delfoyer stable et harmonieux
rimettente, dalla «valutazione in concreto dell’idoneità del contesto famigliare, anche quando monoparentale
(e considerata anche la rete famigliare aperta di riferimento)».
5.2.– Di seguito, sul presupposto che l’esclusione della persona non coniugata dall’accesso all’adozione
internazionale non sia idonea a realizzare il miglior interesse del minore, il giudice lamenta la lesionea quo
del diritto alla vita privata, di cui all’art. 8 CEDU, la cui interpretazione ritiene che si debba integrare e
completare con l’art. 2 Cost.
Il rimettente prospetta, dunque, un’ampia ricostruzione della giurisprudenza della Corte EDU
concernente l’art. 8 CEDU.
Preliminarmente, esclude che la questione riguardi il diritto alla vita familiare che, in base alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, presupporrebbe «l’esistenza di una famiglia […] o quanto meno la
potenziale relazione tra, ad esempio, un figlio nato fuori dal matrimonio e il padre naturale […] o il rapporto
che deriva da un vero e proprio matrimonio, anche se la vita familiare non è ancora stata pienamente
stabilita […] o il rapporto che deriva da un’adozione legale e genuina», sottolineando come «l’articolo 8 non
garantisc[a], , né il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adottare (cfr. Fretté c. France, cit., §ex se
32)».
Viceversa, ritiene implicato il diritto alla vita privata che costituirebbe, sulla scorta della giurisprudenza
convenzionale, «un concetto ampio, che comprende, tra l’altro, il diritto all’autonomia personale e allo
sviluppo personale (cfr. Pretty v. UK, § 61, e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212»), nonché «il
diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani (cfr. Niemietz c. Germania, sentenza del 16
dicembre 1992, [...], § 29) [e] il diritto allo ‘sviluppo personale’ (cfr. Bensaid c. Regno Unito, n. 44599/98, §
47 […])». All’interno della nozione di vita privata – precisa sempre l’ordinanza – deve essere «senz’altro
ricompreso il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani, come parte del diritto allo
sviluppo personale e del principio di dignità umana, intesa sotto la prospettiva del diritto di
autodeterminazione».
La primaria della tutela di tale diritto, ai sensi dell’art. 8 CEDU, sarebbe quella di proteggereratio
l’individuo da ingerenze, da parte delle autorità pubbliche, che non rispondano ai criteri indicati dal secondo
paragrafo della medesima disposizione. Questo, in particolare, esclude le ingerenze che non siano conformi
alla legge e che non siano necessarie in una società democratica, avendo riguardo a uno o più degli scopi
legittimi ivi elencati.
In ordine alla necessità in una società democratica, il rimettente ricorda che, secondo la giurisprudenza
della Corte EDU, tale nozione «implica che l’ingerenza corrisponda a un’esigenza sociale pressante e, in
particolare, che sia proporzionata a uno degli scopi legittimi perseguiti dalle autorità».
Il Tribunale per i minorenni di Firenze ritiene, dunque, che la normativa ostativa all’accesso
all’adozione internazionale per la persona non coniugata non risponda a uno scopo legittimo, né a
un’esigenza sociale pressante, posto che anche il nucleo familiare «monoparentale (e considerata anche la
rete famigliare aperta di riferimento) può servire lo scopo della rispondenza al principio del foyer stable et
».harmonieux
Da ciò il giudice inferisce che l’esclusione dall’accesso all’adozione internazionale per la personaa quo
non coniugata sia un mezzo inidoneo allo scopo di garantire al minore un ambiente stabile e accogliente, con
conseguente violazione del principio di proporzionalità, di cui all’art. 8, paragrafo 2, CEDU.
6.– Con atto depositato il 26 luglio 2024, si è costituita in giudizio la ricorrente nel giudizio ,a quo
chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate, in adesione alle argomentazioni svolte dall’ordinanza di
rimessione, cui aggiunge ulteriori rilievi.
In ordine alla portata dell’art. 8, paragrafo 1, CEDU, la parte osserva che la vicenda in esame vedrebbe
il coinvolgimento non solo del diritto al rispetto della vita privata, ma anche di quello «alla vita familiare
(parimenti tutelato nell’art. 8, par. 1, CEDU)». Ritiene, infatti, che, per la giurisprudenza della Corte EDU,
non si possa affatto escludere che «una vita familiare in progetto non rientri per niente nell’ambito
dell’articolo 8». Richiama, in proposito, alcune sentenze della Corte EDU (sentenze 3 gennaio 2009,
Todorova contro Italia, paragrafo 53; 22 giugno 2004, Pini e altri contro Romania, paragrafo 143; decisione
29 giugno 1999, Nylund contro Finlandia; sentenza 28 maggio 1985, Abdulaziz, Cabales e Balkandali
contro Regno Unito, paragrafo 62), dalle quali emergerebbe la possibilità di ricondurre all’art. 8 CEDU
anche situazioni nelle quali il rapporto familiare non era ancora esistente, ma poteva svilupparsi se solo non
fosse esistita la misura nazionale ostativa.
Sussisterebbe, dunque, anche sotto tale profilo una violazione dell’obbligo di non ingerenza sancito
dall’art. 8 CEDU.
A riguardo, la difesa della parte richiama la sentenza 15 novembre 2016 della Corte EDU nel caso
Dubská e Krejzová contro Repubblica Ceca, dalla quale desume che l’ingerenza rispetto ai diritti di cui
all’art. 8 CEDU sarebbe necessaria in una società democratica solo se rispondente a una pressante esigenza
sociale e proporzionata allo scopo legittimo perseguito, costituendo un mezzo necessario ad attuarlo.
Precisa, inoltre, che tale valutazione spetterebbe in prima battuta alle autorità nazionali, ferma restando la
valutazione finale da parte della Corte EDU. Da ultimo, aggiunge che, benché la Corte EDU riconosca agli
Stati contraenti un margine di apprezzamento, tale paradigma si assottiglierebbe, ove siano implicati profili
particolarmente rilevanti per l’esistenza e per l’identità di un individuo o per i suoi diritti fondamentali, e,
viceversa, si amplierebbe «in assenza di un comune consenso tra gli Stati del Consiglio d’Europa». Nel caso
in esame, ricorrerebbe la prima condizione positiva e difetterebbe la seconda condizione negativa, posto che
«[n]el 2024 – anno in cui si ripropone la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 29 e dell’art. 30bis
l. n. 184 del 1983 – il consenso europeo sulla possibilità per le persone non coniugate di accedere
all’adozione [sarebbe] unanime con la sola eccezione dell’Italia».
La parte rileva, dunque, che la preclusione dell’adozione internazionale alle persone singole non sarebbe
necessaria in una società democratica, essendo ormai venuta meno, a livello normativo e giurisprudenziale,
l’idea che solo la bigenitorialità possa garantire la crescita armoniosa del minore.
La disciplina italiana sull’adozione internazionale non supererebbe, inoltre, il test di proporzionalità,
essendo caratterizzata da un eccesso di rigidità. Il singolo, infatti, sarebbe totalmente escluso dall’adozione
piena, mentre la possibilità che l’adozione avvenga in favore di un solo genitore risulterebbe confinata a
ipotesi del tutto eccezionali, che, oltretutto, dimostrerebbero la non totale preclusione dell’ordinamento
rispetto all’idea di una genitorialità adottiva monoparentale.
La parte aggiunge che l’espatrio di minori di nazionalità italiana a scopo di adozione sarebbe, invece,
consentito anche in favore di adottanti singoli residenti in Stati che ammettono tale forma di adozione.
Secondo la parte, il «tenore letterale» dell’art. 40, secondo comma, della legge n. 184 del 1983 – in
combinato disposto con l’art. 15 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di
adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, ratificata e resa esecutiva con legge 31 dicembre
1998, n. 476 – «[sarebbe] chiaro: il generico riferimento agli stranieri implica l’irrilevanza del requisito del
coniugio (come confermato dal richiamo ai cittadini stranieri residenti stabilmente in Paesi che hanno
ratificato la Convenzione che abbiano adottato un minore stabilmente residente in Italia contenuto nell’art.
41 l. n. 184 del 1983), con la conseguenza che anche gli stranieri non coniugati stabilmente residenti
all’estero [potrebbero] avvalersi delle procedure stabilite nella Convenzione dell’Aja, con specifico
riferimento ai compiti e all’intervento delle Autorità centrali». Questo ulteriore indice normativo
rafforzerebbe il contrasto con la ragionevolezza e con la proporzionalità del divieto assoluto che, viceversa,
colpisce la persona singola, residente in Italia, cui è radicalmente inibita la possibilità di essere considerata
idonea all’adozione internazionale di un minore.
7.– Con atto depositato il 30 luglio 2024, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.
7.1.– In rito, la difesa dello Stato eccepisce l’erroneità o incompleta identificazione della norma
censurata. Osserva, infatti, che l’ordinanza di rimessione censura gli artt. 29- , comma 1, e 30, comma 1,bis
della legge n. 184 del 1983, mentre i requisiti soggettivi di accesso all’adozione sono stabiliti nel precedente
art. 6 della medesima legge.
L’omesso riferimento diretto all’art. 6 integrerebbe, pertanto, un vizio di inammissibilità.
Aggiunge, di seguito, che, anche a voler superare simile ostacolo, in ragione dell’esplicito rinvio che
l’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983 opera all’art. 6, l’inammissibilità scaturirebbe comunquebis
dalla circostanza che l’eventuale accoglimento delle questioni determinerebbe una inaccettabile discrasia
sistematica: le persone singole potrebbero, infatti, accedere all’adozione internazionale, ma non a quella
interna.
7.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che «[d]all’analisi della giurisprudenza della
Corte EDU degli ultimi anni risulta che il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza, in
fatto, di una famiglia e di legami affettivi già concretamente esistenti».
Ne desume che «la Convenzione EDU non garantisce un generico diritto a adottare e non può imporre
agli Stati, attraverso l’art. 8, l’obbligo positivo di garantire agli individui l’accesso all’adozione di minore,
sia nel caso in cui i richiedenti l’adozione siano coppie, coniugate o meno, sia nel caso in cui siano individui
singoli».
L’assenza di copertura sotto l’art. 8 CEDU avrebbe come conseguenza «che neppure [possa] trovare
ingresso nel presente giudizio l’esame delle censure concernenti l’asserita assenza di proporzionalità della
misura e la sua supposta non “necessarietà in una società democratica”, dal momento che detti profili
presuppongono la possibilità, qui esclusa, di ricondurre la tematica delle adozioni al perimetro applicativo
dell’art. 8 CEDU».
Inoltre, secondo la difesa statale, il margine di apprezzamento degli Stati continuerebbe a sussistere in
materia e «la sede istituzionale competente ad apprezzare la denunciata “distonia” tra il mutato contesto
sociale e il tessuto normativo attualmente vigente» sarebbe quella delle scelte politiche, spettanti alle «forze
abilitate ad esprimere – grazie al meccanismo rappresentativo e democratico – le reali istanze della
collettività».
In ogni caso, a detta dell’Avvocatura generale dello Stato, la manifesta infondatezza sarebbe attestata
avendo riguardo al miglior interesse del minore. Nel caso dell’adozione internazionale, il minore viene
sradicato dal contesto familiare e sociale d’origine e, dunque, risulterebbe particolarmente vulnerabile,
sicché il «suo consiste[rebbe] nell’accoglienza in una famiglia, così come riconosciutabest interest
dall’articolo 29 della Costituzione, in cui l’adottando possa essere accolto e curato nel migliore dei modi
nella relatività del sistema».
8.– Nella memoria integrativa depositata il 7 gennaio 2025, la parte ha anzitutto osservato che
l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato riproduce quella già sollevata
nel giudizio introdotto con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 1 del 2021 e disattesa da questa Corte nella
sentenza n. 252 del 2021.
Inoltre, rispetto all’eccezione secondo cui un eventuale accoglimento delle questioni «finirebbe per
creare una “indebita e inopportuna divaricazione della disciplina dell’adozione internazionale rispetto alle
disposizioni operanti per l’adozione nazionale», la difesa rileva come l’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) attribuisca a questa Corte «il
potere di provvedere, se la ritiene intollerabile, ad eliminare la prospettata “divaricazione”».
Nel merito, contesta la tesi secondo cui la vicenda in esame non avrebbe una copertura nell’art. 8 CEDU
e ribadisce l’anomalia della legge italiana, che impedirebbe l’adozione di minori stranieri da parte di persone
singole residenti in Italia, mentre consentirebbe l’espatrio dei minori italiani che possono essere adottati da
persone singole residenti in altri Stati.
9.– Con memoria integrativa dell’8 gennaio 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che
l’impostazione dell’ordinanza di rimessione determinerebbe «una sostanziale inversione della gerarchia dei
valori costituzionali, in forza della quale in buona sostanza le forme giuridiche di tutela del minore
sembrano doversi modellare in funzione delle (pur lodevoli) istanze di genitorialità espresse dalle persone
singole», aggiungendo che, in ogni caso, «l’idoneità dei singoli» a adottare sarebbe «riconosciuta in varie
fattispecie normative nelle quali [sarebbe] funzionale alla maggior tutela del minore».
10.– All’udienza pubblica del 29 gennaio 2025, sono state udite la difesa della parte e l’Avvocatura
generale dello Stato, che hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti
difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2024, il Tribunale per i minorenni di Firenze
ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8
CEDU, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 29- , comma 1, e 30, comma 1, della legge n. 184bis
del 1983, nella parte in cui, rispettivamente, non consentono alla persona non coniugata residente in Italia di
presentare domanda per la dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale e al giudice di emettere il
decreto di idoneità all’adozione internazionale nei confronti della persona non coniugata, di cui siano state
positivamente riscontrate le attitudini genitoriali nel corso dell’istruttoria.
Il rimettente riferisce che il giudizio deriva dalla riassunzione di un pregresso procedimento nela quo
corso del quale era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 29- , comma 1, dellabis
legge n. 184 del 1983, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU. La
questione era stata da questa Corte dichiarata inammissibile con la sentenza n. 252 del 2021.
2.– Il Tribunale per i minorenni di Firenze, dopo aver precisato che ricorrono le condizioni perché il
medesimo giudice possa, nello stesso procedimento, sollevare nuove questioni di legittimità costituzionale e
dopo aver motivato la loro rilevanza, argomenta la non manifesta infondatezza.
2.1.– Secondo il giudice , le disposizioni censurate non sarebbero idonee a realizzare il fine dellaa quo
tutela dell’interesse del minore e violerebbero il diritto alla vita privata della persona non coniugata.
Ad avviso del rimettente, l’esigenza di individuare, nel miglior interesse del minore, un contesto
familiare armonioso e stabile non dovrebbe «necessariamente […] rinvenirsi nella struttura familiare
composta da una coppia unita nel vincolo del matrimonio».
Sostiene, infatti, che simile istanza possa essere altresì garantita da una valutazione effettuata in
concreto circa l’idoneità del contesto familiare, anche se monoparentale, a tutelare il minore, avendo, al
contempo, riguardo alla rete familiare di riferimento. Questo troverebbe corrispondenza nell’inquadramento
del nucleo familiare monoparentale nel tessuto costituzionale di cui all’art. 2 Cost., che tutela le formazioni
sociali all’interno delle quali si esplica la personalità dell’individuo.
2.2.– Sul presupposto che l’esclusione della persona non coniugata dall’accesso all’adozione
internazionale non sia finalizzata al miglior interesse del minore, il giudice assume la lesione dela quo
diritto al rispetto della vita privata, di cui all’art. 8 CEDU, la cui interpretazione ritiene che debba essere
integrata e completata dall’art. 2 Cost.
Secondo il rimettente, la nozione di vita privata dovrebbe ricomprendere, in virtù di quanto si desume
dalla giurisprudenza convenzionale, «il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani, come
parte del diritto allo sviluppo personale e del principio di dignità umana, intesa sotto la prospettiva del diritto
di autodeterminazione».
Simile diritto potrebbe tollerare interferenze solo se conformi alla legge e necessarie in una società
democratica, il che implicherebbe che esse corrispondano a un’esigenza sociale pressante e, in particolare,
che siano proporzionate a uno degli scopi legittimi perseguiti dalle autorità.
A detta del giudice , l’esclusione della persona singola dall’accesso all’adozione internazionalea quo
sarebbe un mezzo inidoneo allo scopo di garantire al minore un ambiente stabile e armonioso, posto che
anche il nucleo familiare monoparentale può assicurare un .foyer stable et harmonieux
3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha sollevato due eccezioni di inammissibilità.
In primo luogo, ha eccepito l’erronea o incompleta identificazione della norma censurata, avendo
l’ordinanza omesso di riferirsi all’art. 6 della legge n. 184 del 1983, vale a dire la disposizione che
contempla i requisiti di accesso all’adozione.
In secondo luogo, ha rilevato che, anche a voler superare tale ostacolo, le questioni risulterebbero,
comunque, inammissibili, poiché il loro eventuale accoglimento determinerebbe l’inaccettabile discrasia
sistematica di consentire l’accesso delle persone singole all’adozione internazionale, ma non a quella
interna.
3.1.– La prima eccezione che riproduce quella in precedenza formulata, nel giudizio riguardante
l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 1 del 2021, e che questa Corte, con la sentenza n. 252 del 2021, ha in
quell’occasione già disatteso non è ora, per le medesime ragioni di allora, fondata.
L’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983 opera un espresso rinvio all’art. 6 della medesimabis
legge, il che svuota di significato l’eccezione.
Né la censura può reputarsi incompleta, sul presupposto che l’art. 6 della legge n. 184 del 1983 regoli
l’accesso non solo all’adozione internazionale, ma anche a quella interna. Il rimettente, infatti, può (anzi,
deve) censurare la sola norma che è chiamato ad applicare nell’ambito del giudizio principale, tanto più che
l’adozione internazionale presenta tratti autonomi rispetto a quella interna con la quale condivide solo alcuni
profili della disciplina.
3.2.– Parimenti non fondata è la seconda eccezione.
Il lamentato rischio che un’eventuale pronuncia di accoglimento delle questioni determini discrasie
sistematiche, nei termini di una irragionevole disparità di trattamento fra adozione internazionale e adozione
interna, non configura un vizio di inammissibilità.
L’eccezione attiene piuttosto al merito e alla possibile valutazione, conseguente all’eventuale
accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale delle norme concernenti l’adozione internazionale,
circa la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di illegittimità consequenziale art. 27 dellaex
legge n. 87 del 1953, che investa direttamente l’art. 6 della legge n. 184 del 1983 e, dunque, anche
l’adozione interna.
3.3.– Infine, non risulta ostativa all’ammissibilità la circostanza che il Tribunale per i minorenni di
Firenze abbia già sollevato, nel medesimo procedimento e nello stesso grado di giudizio, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983, per violazione dell’art. 117,bis
primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, dichiarata inammissibile da questa Corte con la sentenza
n. 252 del 2021, stante la inadeguata motivazione circa la non manifesta infondatezza.
Nel solco di una giurisprudenza costante, deve, infatti, ritenersi che «il giudice [sia] abilitato aa quo
sollevare una seconda volta la medesima questione nello stesso giudizio quando questa Corte abbia emesso
una pronuncia a carattere non decisorio, fondata su motivi rimovibili dal rimettente, dato che, in tal caso, la
riproposizione non collide con la […] previsione dell’art. 137, ultimo comma, Cost. Ciò, alla ovvia
condizione che il giudice abbia rimosso il vizio che aveva impedito l’esame di merito della questione (Non rientra, invece, nel perimetro del presente giudizio la condizione della persona che non ha lo stato
libero, in quanto è parte di un’unione civile (art. 86, primo comma, seconda parte, cod. civ.). Tale questione
non è oggetto dell’odierno giudizio e, dunque, resta impregiudicata.
5.– Specificato l’oggetto del presente giudizio, nel merito, le censure sollevate in riferimento agli artt. 2
e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, sono fondate.
6.– Le questioni rivolte all’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983 coinvolgono due tipi dibis
interessi: quello delle persone singole che aspirano a poter adottare e rispetto alle quali è prospettata la
lesione degli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, e quello del
minore che, come rileva anche l’ordinanza, rappresenta il fulcro dell’istituto dell’adozione.
Si rende, pertanto, necessario ricostruire, anzitutto, in una prospettiva diacronica, il rapporto fra la tutela
dell’interesse del minore e i criteri normativi con cui il legislatore ha selezionato e seleziona nel presente gli
aspiranti adottanti. Occorre, infatti, verificare se ed entro quali limiti il legislatore abbia riconosciuto in
passato e tuttora riconosca l’idoneità della persona singola ad assicurare in astratto (salvo l’accertamento in
concreto) un ambiente stabile e armonioso al minore.
6.1.– L’innesto di una finalità protettiva dei minori sull’adozione non si rinviene nelle più risalenti radici
storiche dell’istituto (sentenza n. 5 del 2024), ma emerge all’indomani della prima guerra mondiale, allorché
il regio decreto-legge 31 luglio 1919, n. 1357 (Che stabilisce norme per l’adozione degli orfani di guerra e
dei nati fuori di matrimonio nel periodo della guerra), convertito, con modificazioni, nella legge 6 dicembre
1925, n. 2137, ha consentito l’adozione di minori di età inferiore ai diciotto anni, se rientranti nelle categorie
indicate dal medesimo regio decreto-legge. Prima di quel momento, la disciplina dell’adozione, riflessa nel
codice civile del 1865, era rimasta fedele, sul piano funzionale, alla matrice romanistica, restando nel solco
di un istituto finalizzato unicamente a consentire, su una base prettamente consensuale, la trasmissione del
cognome e del patrimonio a coloro che non avessero avuto figli o li avessero perduti. Essa era rivolta ai
maggiori d’età e – in un contesto in cui questa si conseguiva al compimento del ventunesimo anno – ai
minorenni solo se avessero compiuto diciotto anni (art. 206 cod. civ. 1865).
Dunque, l’adozione che nel 1919 veniva consentita anche a favore dei minorenni indicati dal regio
decreto-legge era innestata sulla disciplina del codice civile del 1865, che riconosceva la qualità di adottanti
sia ai coniugi (art. 204 cod. civ. 1865), sia alle persone singole, anche se coniugate, purché vi fosse il
consenso dell’altro coniuge (artt. 202 e 208, secondo comma, cod. civ. 1865).
Di seguito, il codice civile del 1942 ha esteso a qualunque minore la possibilità di essere adottato (art.
291 cod. civ., nel suo testo originario, e artt. 301 e 303 cod. civ., poi abrogati dall’art. 67 della legge n. 184
del 1983), confermando l’accesso in qualità di adottanti non solo ai coniugi (art. 294, secondo comma, cod.
civ.), ma anche alle persone singole, comprese quelle coniugate, con l’assenso dell’altro coniuge (art. 297
cod. civ.). Tale apertura si collocava nel quadro di una disciplina che preservava i legami dell’adottato con
la famiglia d’origine e non faceva sorgere vincoli familiari con i parenti dell’adottante (art. 300 cod. civ.),
ma che, comunque, assegnava a quest’ultimo la “patria potestà” (oggi, responsabilità genitoriale) sul minore,
con i relativi obblighi di mantenere, educare e istruire l’adottato (art. 301 cod. civ.).
Mentre, dunque, l’adozione ordinaria di matrice codicistica aveva acquisito un volto plurifunzionale,
abbracciando anche l’adozione dei minori, con la legge 5 giugno 1967, n. 431 (Modifiche al titolo VIII del
libro I del Codice civile “Dell’adozione” ed inserimento del nuovo capo III con il titolo “Dell’adozione
speciale”), emergeva una nuova figura di adozione speciale, specificatamente finalizzata alla tutela dei
minori di otto anni dichiarati in stato di adottabilità, perché privi di assistenza materiale e morale da parte
dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi (artt. 314/3 e 314/4 cod. civ., abrogati dall’art. 67 della legge
n. 184 del 1983). Tale disciplina riservava la qualità di adottanti ai coniugi, sposati da almeno cinque anni
(art. 314/2 cod. civ., abrogato dall’art. 67 della legge n. 184 del 1983) e prevedeva la rottura del vincolo
giuridico con la famiglia d’origine e l’acquisizione dello stato di “figlio legittimo” da parte dell’adottato, a
favore del quale si instauravano rapporti di parentela con i congiunti degli adottanti, esclusi i collaterali (art.
314/26 cod. civ., abrogato dall’art. 67 della legge n. 184 del 1983).
Nel periodo successivo all’entrata in vigore della citata legge n. 431 del 1967, l’adozione dei minori era,
in sostanza, possibile sia attraverso il percorso dell’adozione ordinaria, accessibile anche alle persone
singole, sia attraverso l’itinerario dell’adozione speciale, riservato alla coppia di coniugi, conviventi da
almeno cinque anni, sicché il primo modello finiva, di fatto, per assorbire le ipotesi escluse dall’adozione
speciale.
6.2.– Il quadro normativo muta profondamente con la legge n. 184 del 1983, che abroga l’adozione
speciale, sostituendola con una disciplina generale di adozione piena destinata a tutti i minori d’età in stato
di abbandono e riservando l’adozione codicistica alle persone maggiori di età (come emerge dalla nuova
intitolazione del Capo II del Titolo VIII del Libro I del codice civile).
La riforma crea uno spartiacque fra l’adozione dei minori, cui è dedicata la legge di settore, e la
disciplina codicistica, che diviene fonte di regolamentazione dell’adozione della persona maggiore d’età.
Nondimeno, l’opera di dell’adozione dei minori non viene portata a integralereductio ad unum
compimento, poiché è preservato un ambito di adozioni in casi particolari (art. 44 della legge n. 184 del
1983), i cui effetti si plasmano in buona parte tramite rinvio all’adozione codicistica del maggiorenne (art.
55 della medesima legge). Questa Corte, con la sentenza n. 79 del 2022, ha peraltro dichiarato il citato art.
55 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, cod. civ.,
prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti
dell’adottante.
Principio ispiratore della nuova legge è l’interesse del minore che viene perseguito attraverso un duplice
percorso: affermando il suo diritto a essere cresciuto e educato nell’ambito della famiglia d’origine e
assicurandogli, ove ciò non sia possibile, un ambiente familiare stabile e armonioso («un foyer stable et
»), in linea con il principio affermato all’art. 8, paragrafo 2, dalla Convenzione di Strasburgo delharmonieux
1967.
Sul primario interesse del minore si vengono poi a focalizzare anche i successivi interventi che
modificano e integrano la disciplina del 1983: l’art. 3 della legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed
esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione
internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di
adozione di minori stranieri), che sostituisce il Capo I del Titolo III della legge n. 184 del 1983,
incorporando i contenuti della Convenzione de L’Aja; la legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge
4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo
VIII del libro primo del codice civile), che innova vari aspetti della disciplina, regola compiutamente
l’affidamento familiare (con il nuovo Titolo I- ) e riproduce plasticamente la centralità del minore nellabis
nuova intitolazione della legge, riferita al «Diritto del minore ad una famiglia»; il decreto legislativo 28
dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2
della legge 10 dicembre 2012, n. 219), il cui art. 100 adegua la legge n. 184 del 1983 alla terminologia
introdotta con la riforma della filiazione; la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), che
rafforza l’affidamento familiare; la legge 11 gennaio 2018, n. 4 (Modifiche al codice civile, al codice penale,
al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici), che, ai fini
che qui interessano, regola l’ipotesi dell’affidamento familiare del minore orfano di uno dei genitori, la cui
morte sia stata cagionata volontariamente dall’altro genitore (art. 4, comma 5- , della legge n. 184quinquies
del 1983).
Nel quadro di tale disciplina focalizzata sull’interesse del minore, l’art. 6, comma 1, della legge n. 184
del 1983 dispone che «[l]’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i
coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale
neppure di fatto».
Il legislatore, da un lato, sembra rispondere all’esigenza di assicurare al minore lo stato di figlio che,
all’epoca, offriva le più ampie garanzie di tutela: quello che si qualificava come stato di “figlio legittimo” e
che presupponeva il vincolo matrimoniale fra i genitori.
Da un altro lato, pur avendo ratificato la Convenzione di Strasburgo del 1967 ed essendosi ispirato ai
suoi principi, non si è avvalso della facoltà concessa da tale Convenzione di consentire l’adozione anche alle
persone singole, ma ha voluto garantire la bigenitorialità, associata alla stabilità della coppia, anche a costo
di limitare la platea dei potenziali adottanti e, dunque, di ridurre le possibilità per i minori di essere adottati.
Inoltre, anche dopo la ratifica della Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale, che pure
ricomprende fra i potenziali adottanti le persone singole (art. 2), il legislatore – nel traslare la sua disciplina
all’interno della legge n. 184 del 1983 – ha continuato a escludere dall’accesso all’adozione tali soggetti.
L’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983 opera, infatti, – come già sopra evidenziato ( ,bis supra
punto 4.1. del ) – un testuale rinvio all’art. 6 della medesima legge.Considerato in diritto
6.3.– Alla luce della richiamata evoluzione, che ha visto gradualmente abbandonare, rispetto
all’adozione del minore, la figura dell’adottante persona singola, occorre a questo punto verificare se,
nell’attuale normazione, persistano, nondimeno, indici che attestano, da parte del legislatore, il
riconoscimento dell’astratta idoneità della persona singola a garantire un ambiente stabile e armonioso al
minore.
Ebbene, la stessa legge n. 184 del 1983 ha, invero, accreditato – sia pure in limitate ipotesi – l’attitudine
della persona singola a garantire in astratto un ambiente stabile e armonioso al minore.
In particolare, presuppongono tale idoneità i commi 4 e 5 dell’art. 25 della legge n. 184 del 1983, riferiti
a situazioni che, per l’adottante e per i potenziali riverberi sull’adottato, sono tutt’altro che prive di criticità
sul piano esistenziale.
Il comma 4 consente l’adozione piena se «uno dei coniugi muore o diviene incapace durante
l’affidamento preadottivo». In tal caso, l’adozione – sebbene disposta «nei confronti di entrambi [i coniugi],
con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte» – nella sostanza, implica l’inserimento del
minore in un nucleo monoparentale.
Il comma 5 prevede, inoltre, che l’adozione piena possa essere direttamente disposta nei confronti di
uno solo dei due aspiranti genitori, che ne faccia richiesta, se «nel corso dell’affidamento preadottivo
interviene separazione tra i coniugi affidatari».
Rivolgendo, poi, lo sguardo all’adozione in casi particolari, regolata dall’art. 44 della legge n. 184 del
1983, emerge come il legislatore riconosca l’astratta idoneità della persona singola a garantire un ambiente
stabile e armonioso persino rispetto a minori che, di norma, richiedono un impegno particolarmente elevato.
L’art. 44, comma 3, della legge n. 184 del 1983 consente, infatti, l’adozione in casi particolari anche alla
persona non coniugata nelle ipotesi indicate alle lettere ), ) e ) del comma 1. Nello specifico, le ultimea c d
due previsioni fanno riferimento a minori affetti da disabilità (art. 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992),
che siano anche orfani di padre e di madre, e a minori per i quali sia risultato impossibile l’affidamento
preadottivo.
I gruppi di ipotesi sopra richiamati (l’art. 25, commi 4 e 5, e l’art. 44, comma 3, della legge n. 184 del
1983) rispondono, evidentemente, a precise , ma queste, a ben vedere, non si rinvengono solo entrorationes
quei ristretti limiti.
Quanto all’esigenza di dare preminente rilievo alla continuità del rapporto affettivo con il minore, essa
non sussiste solo nei casi di cui all’art. 25, commi 4 e 5, della legge n. 184 del 1983. Simile istanza può
rinvenirsi anche quando, durante un prolungato periodo di affidamento familiare, il minore sia dichiarato
adottabile. Ove gli affidatari ne chiedano l’adozione, il giudice, nel decidere su di essa, deve tenere conto dei
legami affettivi significativi che si sono consolidati con gli affidatari e del rapporto stabile e duraturo fra
questi e il minore (art. 4, comma 5- , della legge n. 184 del 1983). Eppure, solo se gli affidatari rispondonobis
ai requisiti di cui all’art. 6 della legge n. 184 del 1983 possono chiedere l’adozione e far valere la
menzionata esigenza, mentre ciò non è consentito alla persona singola che pure può essere affidataria del
minore, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della medesima legge.
Parimenti, se nel secondo gruppo di casi, sopra richiamati, la sottostante è quella di allontanare ilratio
pericolo che l’esclusione delle persone singole dal ruolo di possibili adottanti si tramuti in una barriera
capace di ostacolare lo stesso diritto del minore a essere accolto in un ambiente stabile e armonioso, a ben
vedere, tale esigenza è ravvisabile anche al di fuori delle limitate ipotesi prospettate dal legislatore.
La possibilità di incidere sull’effettività della tutela dei bambini abbandonati è, infatti, in generale, un
rischio riconducibile anche alla restrizione della platea dei potenziali adottanti.
E che si tratti di un’eventualità non puramente teorica emerge, del resto, dalla progressiva riduzione
delle domande di adozione che si è avuta a partire dall’inizio del nuovo millennio (sia il Dipartimento per la
giustizia minorile e di comunità, sezione statistica, sia la Presidenza del Consiglio dei ministri, Commissione
per le adozioni internazionali, Autorità centrale per la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993,
documentano il passaggio, nel caso dell’adozione internazionale, da quasi settemila domande nel 2007 a una
stima di circa cinquecento domande per il 2024).
7.– Evidenziato, dunque, come lo stesso legislatore, pur a fronte di una scelta di fondo che non include
nel perimetro dei potenziali adottanti di minori le persone singole, abbia riconosciuto la loro idoneità ad
assicurare un ambiente stabile e armonioso, si deve, a questo punto, verificare se la loro esclusione
dall’accesso all’adozione internazionale vìoli il diritto al rispetto della vita privata, come previsto dall’art. 8
CEDU, in coordinamento con l’art. 2 Cost., anche in considerazione del principio di solidarietà ivi sancito.
7.1.– Va, a riguardo, precisato che la mancanza di un intervento della Corte di Strasburgo, che censuri
l’esclusione delle persone singole dalla possibilità di essere dichiarate idonee all’adozione internazionale,
non impedisce a questa Corte di valutare la violazione dell’art. 8 CEDU nel coordinamento con l’art. 2 Cost.
Lo si desume, anzitutto, dall’art. 117, primo comma, Cost., che – come la giurisprudenza costituzionale
ha già avuto modo di rilevare (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007) – comporta l’obbligo del legislatore
ordinario di rispettare le norme della CEDU, ferma restando la «verifica di compatibilità con le norme della
Costituzione» (sentenza n. 349 del 2007).
D’altro canto, la peculiarità della CEDU, rappresentata dalla istituzione di «un sistema di tutela
uniforme dei diritti fondamentali» (ancora, sentenza n. 349 del 2007) affidato alla Corte di Strasburgo,
implica il rispetto delle interpretazioni offerte dalla Corte EDU, ma non vincola ad attendere un preciso
pronunciamento rispetto a una specifica vicenda, per poter accertare la violazione delle norme convenzionali
(sentenza n. 10 del 2024). Questo tanto più va ribadito a fronte di diritti convenzionali, come quello dell’art.
8 CEDU, la cui tutela – in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo – presuppone, in capo agli Stati
contraenti, obblighi non solo negativi, ma anche positivi ( , Corte EDU, sentenze 27 maggio 2021,ex aliis
Jessica Marchi contro Italia; 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia, paragrafo 159; 20 gennaio 2015,
Gözüm contro Turchia, paragrafo 44; 4 ottobre 2012, Harroudj contro Francia; 16 dicembre 2010, A, B e C
contro Irlanda; 28 maggio 1985, Abdulaziz, Cabales e Balkandali contro Regno Unito).
Dunque, nell’osservanza delle coordinate ermeneutiche offerte dalla Corte EDU e nel raccordo con i
principi costituzionali interni, spetta a questa Corte intervenire per garantire tutela ai diritti previsti dalla
Convenzione.
Ciò in conformità, peraltro, al principio generale di sussidiarietà, di cui al preambolo della Convenzione
come modificato a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo XV, in virtù del quale spetta agli Stati
contraenti il compito di garantire, all’interno dei rispettivi ordinamenti, i diritti e le libertà convenzionali,
interpretandone la portata normativa in armonia con i propri principi costituzionali. Questa Corte, nel
procedere a una interpretazione integrata delle garanzie convenzionali e delle corrispondenti tutele
costituzionali, contribuisce, al contempo, alla definizione di standard comuni di protezione a livello europeo.
Infine, occorre precisare che l’intervento di questa Corte, in virtù del coordinamento fra l’art. 2 Cost. e
l’art. 8 CEDU, è, in ogni caso, coerente con l’art. 53 CEDU, secondo cui «[n]essuna delle disposizioni della
[…] Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà
fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro
accordo al quale essa partecipi». I Paesi contraenti possono, infatti, viceversa, rafforzare la tutela dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti nel loro ordinamento, in coordinamento con le
disposizioni della Convenzione (Corte EDU, sentenze 17 gennaio 2017, A.H. e altri contro Russia; 22
gennaio 2008, E.B. contro Francia).
8.– Ciò chiarito, occorre inquadrare, nel raccordo fra l’art. 2 Cost. e l’art. 8 CEDU, l’interesse coinvolto
e i presupposti che ne determinano la lesione.
8.1.– In termini generali, le scelte orientate alla costituzione di vincoli genitoriali sono ascrivibili
all’ampio contenuto della libertà di autodeterminazione.
È quanto afferma questa Corte, là dove rileva che la scelta di diventare genitori e di formare una
famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della generale libertà di autodeterminarsi, libertà
riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concernente la sfera privata e familiare (sentenza n. 162 del
2014, ma già nella sentenza n. 332 del 2000, con riguardo alla procreazione naturale).
Analoghe considerazioni sono svolte in successive pronunce che collegano la scelta di diventare o di
non diventare genitore con l’art. 2 Cost. (sentenza n. 161 del 2023), nonché con il concetto di “vita privata”,
di cui all’art. 8 CEDU (sentenza n. 221 del 2019).
In senso corrispondente, la giurisprudenza della Corte EDU osserva che «la nozione di “vita privata” ai
sensi dell’articolo 8 della Convenzione è una nozione ampia, che non si presta a una definizione esaustiva.
Essa comprende l’integrità fisica e psicologica di una persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 22,
[…]) e, entro certi limiti, il diritto, per l’individuo, di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani
(Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, […]). Può a volte comprendere aspetti dell’identità fisica e
sociale di una persona (Mikuli c. Croazia, n.53176/99, § 53, […]). La nozione di vita privata include anche
il diritto alla realizzazione personale o il diritto all’autodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n.2346/02, §
61 […]), e il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans c. Regno Unito [GC],
n. 6339/05, § 71, […], e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, […])» (Corte EDU, sentenza 27
maggio 2021, Jessica Marchi contro Italia, paragrafo 60; nello stesso senso, sentenze 17 aprile 2018,
Lazoriva contro Ucraina, paragrafo 66; 16 gennaio 2018, Nedescu contro Romania, paragrafo 66; 24
gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafi 159, 161-165).
8.2.– Se, dunque, la scelta di divenire genitori rientra nell’ampia nozione di autodeterminazione,
quest’ultima, tuttavia, può sottendere diversi interessi.
In particolare, ove la genitorialità sia accessibile o per natura o perché il soggetto già rientra nelle
previsioni nazionali che consentono la procreazione medicalmente assistita o l’adozione, la libertà di
autodeterminarsi nella scelta orientata alla genitorialità sottende una pretesa a non subire indebite
compressioni di tale libertà da parte del legislatore. Questa Corte ha, in tal senso, dichiarato
costituzionalmente illegittima una disciplina che includeva, tra i requisiti necessari per essere reclutati nel
Corpo della Guardia di finanza, l’essere senza prole (sentenza n. 332 del 2000).
Fuori da tali ipotesi, viene, invece, in considerazione un interesse ad ampliare gli spazi
dell’autodeterminazione orientata alla genitorialità attraverso il superamento dei limiti fissati dal legislatore,
cui primariamente spetta il compito di dettare le condizioni di accesso a forme di genitorialità diverse dalla
procreazione naturale.
In questo secondo caso, non si può, evidentemente, parlare di una pretesa o di un “diritto alla
genitorialità”, che sono stati espressamente negati sia da questa Corte (sentenze n. 33 del 2021, n. 230 del
2020 e n. 221 del 2019) sia dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, sentenze 24 gennaio 2017, Paradiso e
Campanelli contro Italia, paragrafo 141; 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia, paragrafo 41; 28 giugno
2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 121; 26 febbraio 2002, Fretté contro Francia,
paragrafo 29).
I presupposti costitutivi di un vincolo genitoriale non solo, infatti, coinvolgono una pluralità di interessi,
ma devono essere anche orientati alla realizzazione dell’interesse del potenziale figlio, cui è
inscindibilmente correlato il vincolo genitoriale (sentenze n. 230 del 2020 e n. 221 del 2019). Dunque,
l’autodeterminazione orientata alla genitorialità in tanto può far valere la propria espansiva, in quanto sivis
opponga a scelte legislative che, avendo riguardo al complesso degli interessi implicati, risultino
irragionevoli e non proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito (sentenza n. 221 del 2019).
D’altro canto, la primaria considerazione dell’interesse del minore (o del concepito o del futuro nato)
non comporta che la protezione costituzionale di tale interesse ricomprenda qualunque istanza il legislatore
ritenga di riconoscergli.
Le singole esigenze riferite al potenziale figlio vanno, infatti, anch’esse ponderate, tenendo conto di
eventuali altre istanze di quest’ultimo, nonché dell’interesse di chi aspira alla genitorialità.
In tale prospettiva, questa Corte ha reputato non decisivo l’interesse a che il figlio abbia lo stesso
patrimonio genetico dei genitori e ha ritenuto, con riferimento a una coppia di aspiranti genitori,
irragionevole e non proporzionato il divieto assoluto di fecondazione eterologa. In simile contesto, questa
Corte ha, in particolare, sottolineato il rilievo, insieme al vaglio di ragionevolezza, del «test di
proporzionalità […] che “richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in
quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri
non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (sentenza n. 1 del 2014)» (sentenza n. 162 del
2014).
Ebbene, non diverge dalla richiamata prospettiva quanto si evince dalla CEDU e dalla giurisprudenza
della Corte di Strasburgo.
Quest’ultima, da un lato, opera valutazioni diverse a seconda che lo specifico accesso alla genitorialità
sia stato o meno già disciplinato dal singolo ordinamento (nel primo caso, opera, infatti, un attento vaglio su
eventuali irragionevoli disparità di trattamento o su soluzioni ineffettive; Corte EDU, sentenze 17 gennaio
2023, Fedotova e altri contro Russia, paragrafi 152-153; 17 gennaio 2017, A.H. e altri contro Russia,
paragrafo 381; 20 gennaio 2015, Gözüm contro Turchia, paragrafi 51-54; 22 gennaio 2008, E.B. contro
Francia, paragrafi 44-49).
Da un altro lato, al fine di verificare se vi sia un’indebita compressione della vita privata, la CEDU e la
Corte di Strasburgo introducono un metro di giudizio che trova ampia corrispondenza con quanto sopra
richiamato.
L’art. 8, paragrafo 2, CEDU stabilisce, infatti, che «[n]on può esservi ingerenza di una autorità pubblica
nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in
una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere
economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della
morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
In particolare, se l’ingerenza sia necessaria in una società democratica dipende dal suo corrispondere a
un’esigenza sociale urgente, vale a dire dal suo essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito, tenuto
conto del giusto equilibrio che deve essere garantito tra gli interessi concorrenti rilevanti, anche in
considerazione del margine di discrezionalità lasciato alle autorità nazionali («the notion of necessity implies
that the interference corresponds to a pressing social need and, in particular, that it is proportionate to the
legitimate aim pursued, regard being had to the fair balance which has to be struck between the relevant
competing interests. In determining whether an interference was “necessary in a democratic society” the
»; così CorteCourt will take into account that a margin of appreciation is left to the national authorities
EDU, sentenza 18 maggio 2021, Valdis Fjölnisdóttir e altri contro Islanda, paragrafo 68).
Simile valutazione deve essere effettuata alla luce delle condizioni del presente, essendo la Convenzione
EDU uno strumento vivente («the Convention is a living instrument which must be interpreted in the light of
»; così Corte EDU, sentenzepresent-day conditions and of the ideas prevailing in democratic States today
17 gennaio 2023, Fedotova e altri contro Russia, paragrafo 167; nello stesso senso, sentenze 19 febbraio
2013, X e altri contro Austria, paragrafo 139; 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia; 28 giugno 2007,
Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo; 26 febbraio 2002, Fretté contro Francia), sicché il margine di
discrezionalità può variare nel tempo, oltre a risentire del grado di consenso fra gli Stati contraenti in ordine
al riconoscimento di un diritto o di una facoltà (Corte EDU, sentenza 15 novembre 2016, Dubská e Krejzová
contro Repubblica Ceca).
9.– Sulla base dei principi sopra richiamati, l’esclusione della persona singola dall’accesso all’adozione
internazionale lede gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.
9.1.– La disciplina censurata si riverbera sul diritto alla vita privata, inteso come libertà di
autodeterminazione, che si declina, nel contesto in esame, quale interesse a poter realizzare la propria
aspirazione alla genitorialità, rendendosi disponibile all’adozione di un minore straniero.
Questo specifico interesse si coniuga, dunque, anche con una finalità di solidarietà sociale, in quanto
rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione.
Se scopo dell’adozione internazionale è quello di accogliere in Italia minori stranieri abbandonati,
residenti all’estero, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso, l’insuperabile divieto per le persone
singole di accedere a tale adozione non risponde a una esigenza sociale pressante e configura – nell’attuale
contesto giuridico-sociale – una interferenza non necessaria in una società democratica.
9.2.– Anzitutto, il divieto – nell’assetto giuridico presente – non è più funzionale all’esigenza di
assicurare al minore le più ampie tutele giuridiche associate allo . A seguito della riformastatus filiationis
della filiazione introdotta nel 2012-2013 (legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia
di riconoscimento dei figli naturali», e decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione
delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n.
219»), si configura, infatti, un unico (art. 315 cod. civ.), il che non rende più necessariostatus filiationis
correlare tale alla coppia di genitori uniti in matrimonio per poter assicurare all’adottato la più ampiastatus
protezione giuridica (sentenza n. 79 del 2022).
9.3.– Inoltre, l’aprioristica esclusione delle persone singole dalla genitorialità adottiva non è un mezzo
idoneo a garantire al minore un ambiente stabile e armonioso.
Come già sopra evidenziato (punto 6.3. del ), lo stesso legislatore ha riconosciutoConsiderato in diritto
che la persona singola è, in astratto, idonea ad assicurare un ambiente stabile e armonioso al minore,
finanche in contesti non privi di criticità o rispetto a minori che richiedono un particolare impegno.
Ma, soprattutto, questa stessa Corte, sin dall’ormai risalente sentenza n. 183 del 1994, ha riconosciuto
l’astratta idoneità della persona singola a offrire un ambiente stabile e armonioso.
Chiamata a pronunciarsi in merito ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati, in riferimento agli artt.
3, 29 e 30 Cost., con riguardo all’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967 – che il rimettente aveva
erroneamente reputato auto-applicativo –, questa Corte ha rilevato che i richiamati principi costituzionali
«non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’ in guisa da non consentire l’adozioneimitatio naturae
da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983». Quei
principi costituzionali non impediscono – come sottolinea sempre la sentenza n. 183 del 1994 – di ravvisare
nell’adozione da parte di persone singole una possibile «soluzione in concreto più conveniente all’interesse
del minore», il che presuppone una loro idoneità in astratto a garantire al minore un ambiente stabile e
armonioso.
Questo tanto più va ribadito, ove si consideri che anche il modello della famiglia monoparentale trova
riconoscimento nella Costituzione.
Inoltre, nel contesto della disciplina dell’adozione, il miglior interesse del minore è direttamente
preservato dalla verifica giudiziale concernente la concreta idoneità dell’adottante.
La giurisprudenza costituzionale ha da tempo valorizzato il rilievo che tale giudizio riveste al fine di
perseguire la «soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore» (sentenza n. 11 del 1981). E
sempre questa Corte non ha mancato di porre in evidenza l’importanza del sostegno che può essere offerto
anche dalla rete familiare di riferimento (sentenze n. 183 del 2023 e n. 79 del 2022), della quale può tenere
conto il giudice, in sede di vaglio sull’idoneità in concreto del richiedente a adottare (artt. 29- , comma 4,bis
lettera , e 30, comma 1, della legge n. 184 del 1983, ma, anche a seguito dell’ingresso del minore in Italia,c
artt. 34, comma 2, e 35, comma 4, della stessa legge).
9.4.– Se, dunque, deve ritenersi che la persona singola è idonea a garantire al minore un ambiente stabile
e armonioso, d’altro canto, l’esigenza, sottesa alla scelta del legislatore, di assicurare all’adottato «la
presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori» (sentenza n. 198 del
1986) non viene perseguita con un mezzo idoneo e proporzionato.
Come si è già in passato rilevato (sentenza n. 183 del 1994), si tratta di una istanza che può giustificare
«una indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi», ma che non supporta la
scelta di convertire tale modello di famiglia in una aprioristica esclusione delle persone singole dalla platea
degli adottanti.
In particolare, nel caso dell’adozione internazionale, allo Stato di accoglienza spetta solo il compito di
regolare l’idoneità o meno a adottare, dopodiché l’abbinamento con il minore di chi ha ottenuto il decreto di
idoneità è di competenza dello Stato d’origine del minore stesso.
Pertanto, là dove la disciplina censurata crea nei confronti delle persone singole una barriera all’accesso
all’adozione internazionale, essa determina un sacrificio dell’autodeterminazione orientata alla genitorialità,
che – specie nell’attuale contesto giuridico-sociale ( , punto 6.3. del ) – rischia disupra Considerato in diritto
riverberarsi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente
familiare stabile e armonioso.
Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, i limiti frapposti all’autodeterminazione orientata alla
genitorialità «non possono consistere in un divieto assoluto […] a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo
per tutelare altri interessi di rango costituzionale» (sentenza n. 162 del 2014).
Alla luce, dunque, del complesso degli interessi implicati e dello stesso scopo dell’istituto dell’adozione
internazionale, la scelta operata dal legislatore con l’art. 29- , comma 1, della legge n. 184 del 1983 risultabis
non necessaria in una società democratica, in quanto non conforme al principio di proporzionalità, e
determina la lesione della vita privata e dell’autodeterminazione orientata a una genitorialità ispirata al
principio di solidarietà.
10.– Per le ragioni esposte, sono fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate, in
riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, dell’art. 29-bis
, comma 1, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone
singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un
minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la
residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione.
Rimane, dunque, ferma l’applicabilità alla persona singola delle restanti previsioni di cui all’art. 6 della
legge n. 184 del 1983. In particolare, l’adottante persona singola deve rispondere agli altri requisiti, non
incompatibili con il suo stato libero, che attengono all’età e al suo «essere affettivamente idone[o] e capac[e]
di educare, istruire e mantenere i minori che intend[a] adottare» (comma 2 del citato art. 6).
Al minore adottato dalla persona singola sarà riconosciuto l’unico stato di figlio, di cui all’art. 315 cod.
civ., al quale implicitamente rimanda l’art. 27 della legge n. 184 del 1983, a sua volta richiamato dall’art. 35,
comma 1, della medesima legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 29- , comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184bis
(Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone
singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un
minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la
residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2025
Il Cancelliere
F.to: Valeria EMMA
Avv. Antonino Sugamele

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