Per la Cedu è illegittimo demolire l'alloggio abusivo se la famiglia resta senza casa.
Il ricorso e le norme violate
Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi sull'articolo 8 (diritto al rispetto della casa familiare) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la ricorrente lamentava che l'ordine del marzo 2015 per la demolizione dell'edificio in cui viveva con i suoi figli aveva interferito in modo sproporzionato con il diritto al rispetto della sua casa.
Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo il 25 maggio 2016.
La decisione della Corte di Strasburgo
La Corte di Strasburgo, richiamati i principi applicabili in materia, ha rilevato che l'ordine di demolizione non conteneva alcuna analisi del fatto che avrebbe pregiudicato in modo sproporzionato la ricorrente alla luce delle sue particolari circostanze. Né vi era alcuna prova che, nell'emettere l'ordinanza, il vicesindaco di Kuklen avesse cercato di bilanciare l'obiettivo perseguito dall'ordinanza rispetto alle circostanze individuali della ricorrente.
Ciò di per sé, secondo la Corte EDU, non pone alcun problema. Ma quando l'ordinanza gli era stata poi sottoposta per essere nuovamente esaminata a seguito della richiesta di controllo giurisdizionale della ricorrente, nemmeno il tribunale amministrativo di Plovdiv aveva esaminato la questione. Si era limitato il ragionamento sul punto alla semplice constatazione che i servizi sociali erano stati informati della situazione familiare della ricorrente, e all'osservazione che il suo caso era diverso da Y. e altri. Il giudice amministrativo non aveva quindi tenuto conto di tutti gli elementi idonei a incidere sulla proporzionalità dell'ingerenza – esposta provvisoriamente, in maniera non esaustiva, nel caso Ivanova e Cherkezov– né aveva posto in essere alcun tentativo di bilanciare l'interesse della ricorrente a continuare a vivere nell'edificio con i suoi figli con le considerazioni che militavano a favore della sua demolizione (v. CEDU, P. e W. c. Regno Unito (dec.), 24/9/2013, n. 31673/11, § 33).
È vero che la ricorrente non aveva approfondito la questione, ma è sembrato improbabile alla Corte di Strasburgo che il suo agire in tal modo avrebbe indotto il tribunale a impegnarsi in tale analisi, poiché secondo la giurisprudenza della Corte amministrativa suprema dell'epoca, tali questioni non avevano alcuna rilevanza sulla legittimità di un ordine di demolizione (si veda, ad esempio, CEDU, Z. c. Croazia, 3/10/2013, n. 46726/11, § 69). Nel caso della ricorrente, alcuni di questi fattori – ad esempio, che l'edificio era, in violazione del suo permesso, utilizzato per scopi residenziali piuttosto che agricoli, che, non avendo un impianto elettrico, idrico e fognario, era molto probabilmente inadatto all'abitazione umana e che era stato in parte eretto su un terreno appartenente a qualcun altro – indicavano con forza la conclusione che l'ordine di demolizione doveva essere confermato, in particolare perché l'edificio non poteva apparentemente essere reso conforme alle norme costruttive pertinenti.
Allo stesso tempo, le considerazioni relative al rischio che una famiglia formata da almeno quattro figli minorenni restasse di conseguenza senza dimora, avrebbero potuto essere lette come un potente argomento a favore dell'accompagnare la demolizione con misure volte ad alleviare adeguatamente il grave disagio che ne derivava – ad esempio, passi effettivi da parte delle autorità sociali o di altro tipo intesi a garantire che la ricorrente e i suoi figli potessero trovare tempestivamente una sistemazione alternativa adeguata, sia con i propri mezzi, sia attraverso l'assistenza altrui, sia attraverso l'assistenza delle autorità. Il tribunale amministrativo di Plovdiv non sembrava quindi aver ricevuto informazioni complete su tutti questi punti quando aveva deciso la causa della ricorrente, né aveva cercato di chiarirli.
Né la ricorrente poteva ottenere un esame della proporzionalità della demolizione alla luce delle sue specifiche circostanze in seguito, quando l'ordine di demolizione sarebbe stato eseguito. Al momento dei fatti, una domanda di controllo giurisdizionale dell'esecuzione dell'ordinanza ai sensi dell'articolo 294 del codice di procedura amministrativa non avrebbe portato a tale esame. Né tale risultato avrebbe potuto essere ottenuto mediante una richiesta di dichiarazione giudiziaria ai sensi dell'articolo 292 di quel codice. Per il Governo, l'assenza di un adeguato esame delle circostanze individuali della ricorrente nel procedimento di controllo giurisdizionale era stata compensata dal modo de facto di procedere delle autorità nell'esecuzione dell'ordine di demolizione. È vero che il ritardo nell'esecuzione dell'ordine e le concomitanti trattative e discussioni sulle possibilità di reinsediamento della ricorrente e dei suoi figli minori suggerivano che le autorità avevano cercato un approccio equilibrato alla situazione. È anche vero che la ricorrente sembra non si fosse adeguatamente impegnata con loro in relazione a tale questione. Ma date le circostanze questo, secondo la Corte EDU, non può essere visto come decisivo.
Per prima cosa, quei tentativi da parte delle autorità di trovare una soluzione al problema abitativo della ricorrente non hanno avuto luogo nell'ambito di una procedura formale che comportasse un esame completo della proporzionalità dell'ingerenza alla luce delle sue circostanze individuali (si veda, CEDU, B. c. Regno Unito, 18/9/2012, n. 40060/08, §§ 67-68). Inoltre, non sembra che nel corso di tali discussioni le autorità abbiano offerto alla ricorrente una soluzione esauriente: la loro unica proposta definitiva sembra essere stata quella di collocare temporaneamente i suoi figli in un alloggio gestito dai servizi sociali. Il ritardo nell'esecuzione dell'ordine di demolizione, pur offrendo indubbiamente alla ricorrente una certa tregua, non portava di per sé ad alcuna soluzione adeguata al problema che si trovava ad affrontare. Vi era stata quindi una violazione dell'Articolo 8 della Convenzione.
La Corte, dunque, ha condannato la Bulgaria a corrispondere alla ricorrente, a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, la somma di 4.500 euro a titolo di danno non patrimoniale.
I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi
Di particolare interesse la questione esaminata dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame, conclusosi con l'accertamento della violazione del diritto al rispetto della casa familiare, tutelato dall'art. 8 CEDU, per il mancato rispetto della proporzionalità dell'ingerenza statale nell'ordinare la demolizione di un immobile abusivamente costruito, a fronte della circostanza che tale immobile costituiva l'unica abitazione per lei e per i suoi figli minori con cui la donna conviveva.
Si tratta di una questione che più volte è stata oggetto di attenzione anche da parte dei tribunali italiani, sempre più frequentemente investiti, sia in sede penale che civile che, infine, amministrativa, di istanze di sospensione o revoca di ordini di demolizione dei manufatti abusivi, motivate dalla circostanza dell'essere gli immobili abusivi adibiti ad abitazione del nucleo familiare occupante. L'atteggiamento assunto dalla nostra giurisprudenza, va subito detto, si uniforma ai principi fissati dalla Corte EDU in materia.
Nella giurisprudenza penale, ad esempio, si è affermato che in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, I. e C. c. Bulgaria, e Corte EDU, 4/8/2020, K. c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca dell'ordine di demolizione, avendo il giudice omesso di valutare la documentazione prodotta in ordine alle condizioni socio-economiche e di salute del ricorrente: Cass. pen., Sez. III, n. 423 dell'8/1/2021, CED Cass. 280270 – 01).
Ancora, si è ribadito che in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU I. e C. c. Bulgaria del 21/4/2016 e CEDU, K. c. Lituania del 4/8/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali: Cass. pen., Sez. III, n. 5822 del 18/2/2022, CED Cass. 282950 – 01).
Analoga attenzione al problema è stata dedicata dalla giurisprudenza civile, essendosi affermato che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo — a seguito del rigetto dell'istanza di sospensione e revoca di tale ordine — non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto 'assoluto' ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio. Pertanto, l'ordine di demolizione non costituisce una sanzione penale, bensì una misura funzionalmente diretta al ripristino dello status quo ante, la cui non esecuzione è limitata ad ipotesi specificamente individuate dal legislatore (come la c.d. fiscalizzazione ex art. 34 T.U. edilizia: Cass. civ., sez. III, 17/1/2020, n. 844).
In sede amministrativa, poi, è stato ritenuto illegittimo per violazione del principio di proporzionalità l'ordine di demolizione emanato a distanza di oltre 40 anni dalla realizzazione delle opere abusive allorquando la destinazione delle stesse abbia carattere abitativo-residenziale, in quanto il tempo trascorso dalla realizzazione della costruzione abusiva all'ordine di demolizione assume rilevanza per la valutazione della proporzionalità della sanzione demolitoria, ai sensi dell'art. 8 della CEDU, atteso che la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte ribadito la non proporzionalità della sanzione in quanto rappresenta una marcata ingerenza nei diritti dei ricorrenti che da anni abitavano l'immobile (T.A.R. Napoli, Sez. III, 10/8/2020, n.3552).
Tutte le decisioni richiamate, come è evidente, si ispirano alla giurisprudenza della Corte EDU sul tema. In particolare, i giudici europei, hanno già più volte affermato che l'ordine di demolizione, che interferisce con il diritto al rispetto della casa familiare, è un atto "conforme alla legge" (si veda I. e C. c. Bulgaria, 21/4/2016, n. 46577/15, § 50). L'ordine può anche essere considerato come strumento per il perseguimento di uno scopo legittimo. Con i suoi termini, cerca di attuare il requisito normativo che nessun edificio può essere eretto senza i titoli abilitativi richiesti. Nel contesto in esame, ciò può essere visto come rientrante nella rubrica dell'art. 8 CEDU di "prevenzione del disordine" e come promozione del "benessere economico del paese" (si veda I. e C., sopra citata, § 51).
Peraltro, in casi come quello esaminato in cui era stato accertato l'immobile abusivo era stato edificato anche su terreno di proprietà di un terzo, l'ordine di demolizione può essere considerato anche come finalizzato a tutelare indirettamente "i diritti altrui " (si veda, mutatis mutandis, CEDU, Y. e altri c. Bulgaria, 24/4/2012, n. 25446/06, § 111; CEDU, B. e altri c. Russia, 11/10/2016, n. 19841/06, § 96).
La questione saliente per la Corte EDU è se l'ingerenza rappresentata dall'ordine di demolizione sia "necessaria in una società democratica". I principi generali che reggono su questo punto, in relazione agli ordini di demolizione di edifici abusivamente costruiti che costituiscono l'unica "abitazione", sono stati enunciati nella sentenza I. e C. (sopra citata, §§ 53-55). Non è necessario ripeterli tutti qui, salvo sottolineare che:
a) richiedono che le persone che rischiano di perdere la loro unica abitazione a causa della prevista demolizione debbano poter chiedere e ottenere – a un certo punto del procedimento che porta alla demolizione – un adeguato esame della sua proporzionalità alla luce delle loro circostanze individuali;
b) è solo in casi eccezionali che tali persone riuscirebbero a sollevare un'eccezione secondo cui la demolizione sarebbe sproporzionata nelle loro circostanze specifiche.
Deve tuttavia escludersi la violazione del diritto all'abitazione tutelato dall'art. 8 CEDU nell'ipotesi in cui l'ordine di demolizione dell'abuso edilizio riguardi un immobile costituente l'unica abitazione del contravventore e quest'ultimo sia un soggetto in età avanzata e si trovi in precarie condizioni reddituali, qualora la situazione personale del destinatario dell'ordine demolitorio non assuma un peso determinante a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un'area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione (CEDU, K. c. Lituania, 4/8/2020, n. 44817/18). Situazione, quest'ultima, in cui si è ritenuto non rientrasse il caso esaminato, con conseguente illegittimità dell'ordine demolitorio.
06-05-2023 03:10
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