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Sentenza

Le bollette telefoniche a 28 giorni sono illegittime.
Le bollette telefoniche a 28 giorni sono illegittime.
Cass. civ. Sez. Unite, Ord., (ud. 23/11/2021) 06-09-2022, n. 26164


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido - Primo Presidente f.f. -

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente di Sez. -

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -

Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -

Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere -

Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -

Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere -

Dott. PERRINO Angelina Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25570/2020 proposto da:

FASTWEB S.P.A., società a socio unico soggetta alla direzione e coordinamento di Swisscom AG, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, FORO TRAIANO I/A, presso lo STUDIO ORSINGHER/ORTU AVVOCATI ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall'avvocato ELENIA CERCHI;

- ricorrente -

contro

CODACONS - COORDINAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI E DEI COMITATI DI TUTELA DELL'AMBIENTE E DEI DIRITTI DEGLI UTENTI E DEI CONSUMATORI, ASSOCIAZIONE DEGLI UTENTI PER I DIRITTI TELEFONICI - A.U.S. TEL. ONLUS, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 73, presso l'Ufficio Legale Nazionale del Codacons, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLO RIENZI, e GINO GIULIANO;

AUTORITA' PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

MOVIMENTO CONSUMATORI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO CAMPANELLA 41, presso lo studio dell'avvocato LAILA PERCIBALLI, rappresentato e difeso dall'avvocato PAOLO FIORIO;

U.DI.CON. APS, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO CAIROLI 2, presso l'avvocato MANUELE MISIANI, (STUDIO C. e C. & PARTNERS), rappresentata e difesa dagli avvocati DONATO PATERA, e GIUSEPPE CATALANO;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 987/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 07/02/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto Dott. LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 7/2/2020 il Consiglio di Stato ha respinto i gravami interposti dalla società Fastweb s.p.a. - in via principale - e dall'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni-Agcom - in via incidentale - in relazione alle pronunzie Tar Lazio n. 11306 del 2018 e Tar Lazio n. 1956 del 2019, di rigetto dell'impugnazione della Delibera con la quale quest'ultima ha imposto alla prima di "ritornare entro il 23 giugno 2017 alla fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa e ad una periodicità almeno quadrisettimanale per quelli di telefonia mobile", nonchè della Delibera di irrogazione nei confronti della medesima della "sanzione di Euro 1.160.000" per mancata ottemperanza alla prima Delibera.

Avverso la suindicata pronunzia la società Fastweb s.p.a. propone ora ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi l'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni-Agcom, l'Associazione movimento consumatori, l'Associazione U.DI.CON. APS, il Codacons e l'Associazione degli utenti per i diritti telefonici A.U.S. Tel Onlus, i quali ultimi hanno presentato anche memoria (tardiva).

Con conclusioni scritte ex art. 380 bis.1 c.p.c., il P.G. presso questa Corte ha chiesto pronunziarsi il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Con tutti i motivi la ricorrente denunzia violazione dell'art. 111 Cost., art. 362 c.p.c..

Si duole essersi dal giudice amministrativo d'appello erroneamente ravvisato "il potere dell'Autorità di imporre lo "storno dei giorni erosi" agli operatori creando una norma di diritto del tutto nuova ed effettivamente avulsa dal quadro giuridico e regolamentare".

Lamenta che tale "potere nominato" di natura inibitoria-conformativa-indennitaria, quale "rimedio generale posto dalla legge", in realtà "non esiste".

Si duole dell'erroneità al riguardo dell'assunto secondo cui "dall'attribuzione di un determinato fine all'Autorità deriva non solo il potere (innominato) di definire in sede regolamentare il contenuto del contratto ma anche quello positivo ed espresso (che però è del pari non rinvenibile in norme positive) di azionare una forma di tutela indennitaria, ripristinatoria e generalizzata", in quanto tali poteri "in alcun modo l'ordinamento prefigura e men che meno... attribuisce all'Autorità".

Lamenta che l'eccesso di potere giurisdizionale si sostanzia nell'individuazione da parte del giudice amministrativo, "quale fonte del potere di Agcom", di "una norma espressa che in realtà non solo non esiste nell'ordinamento ma non può essere ricavata neanche in via interpretativa poichè una interpretazione in tal senso si porrebbe in contrasto con altre norme e principi positivi ed espressi".

Si duole non essersi considerato che la "restituzione dei giorni erosi è una prestazione patrimoniale imposta autoritativamente agli operatori" in contrasto con l'art. 23 Cost.; e che la L. n. 481 del 1995, art. 2, non legittima l'Agcom ad imporre un "rimborso automatico" in caso (anche) di ravvisata "violazione di un obbligo di trasparenza", trattandosi di misura impositiva di prestazione patrimoniale di natura sanzionatoria adottata in violazione dei principi di tassatività e legalità, risultando a tale stregua travalicata anche la giurisdizione del giudice ordinario.

Lamenta che "qualificare come indennizzo la misura non la depriva della sua natura sanzionatoria".

Si duole che, nel riconoscere la legittimità dei provvedimenti impugnati e la spettanza all'Agcom del potere di adottarli, il giudice dell'appello amministrativo abbia invaso la "sfera riservata al legislatore" anche "con riferimento alle disposizioni dell'ordinamento comunitario", giacchè nell'"affermare la sussistenza del potere dell'Agcom di imporre la restituzione dei giorni erosi, il Consiglio di Stato ha violato le direttive di massima armonizzazione UE ed in particolare della direttiva 21/2002/CE, che non contemplano la possibilità per le ANR di imporre la gratuità delle prestazioni erogate dagli operatori, nè contemplano un potere conformativo/ripristinatorio come ipotizzato dal Consiglio di Stato".

Lamenta che erroneamente tale giudice non ha (come invero in altro giudizio) disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in argomento.

Si duole che il travalicamento da parte del giudice amministrativo dei "limiti della propria giurisdizione anche rispetto al potere dell'Autorità Giudiziaria ordinaria" trovi ulteriore menifestazione nell'adozione di "misure ripristinatorie imposte dall'Autorità" incidenti "sui rapporti e sulle situazioni sostanziali", imponendosi esse "sulla volontà delle parti e sul contratto", laddove la "disponibilità dei propri diritti (ivi inclusa la scelta di non esercitarli) sta alla base dell'ordinamento e si concretizza nell'esigenza di una domanda di parte per l'accesso alla giustizia (in questo caso ordinaria)".

Lamenta che il giudice amministrativo ha "posto a fondamento del decidere le proprie valutazioni di merito e di opportunità", a tale stregua altresì "invadendo la competenza della stessa Autorità".

Si duole che il giudice amministrativo abbia ritenuto avere essa posto in essere una "pratica scorretta" - in quanto "sleale" - sulla base di una valutazione di opportunità al medesima invero preclusa, nè oggetto di accertamento in tali termini da parte dell'Agcom, cui viceversa competeva, atteso che la "prassi dei 28 giorni, attuata dal 2015 al 2017, non è stata di per sè criticata dall'Autorità", che non ha "espresso un giudizio di valore sul contegno degli operatori", sicchè il "decisum si è fondato interamente... su una valutazione di opportunità del giudice che era tuttavia ad esso preclusa".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, l'eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va invero riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici), e, in coerenza con la relativa nozione posta da Corte Cost. n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze "abnormi", "anomale" ovvero di uno "stravolgimento" radicale delle norme di riferimento), tale vizio non è configurabile in relazione ad errores in iudicando e in procedendo, i quali non investono la sussistenza dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell'esercizio del potere medesimo (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 11/11/2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 11/9/2019, n. 22711; Cass., Sez. Un., 6/7/2019, n. 18079; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926).

Si è da queste Sezioni Unite altresì precisato che l'interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e l'eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto (cfr. Cass., 11/9/2019, n. 22711), a fortiori allorquando abbia correttamente argomentato non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì (anche) dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale avuto riguardo al sistema normativo invocato, tale operazione ermeneutica non integrando la violazione dei limiti esterni della giurisdizione ma potendo al più dare luogo ad un error in iudicando (v. Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784), sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite (cfr. Cass., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8720; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8719; Cass., Sez. Un., 25/9/2017, n. 22251; Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628; Cass., Sez Un., 10/9/2013, n. 20698; Cass., Sez Un., 10/6/2013, n. 14503), salvo il caso di radicale stravolgimento delle norme o dell'applicazione di una norma creata ad hoc (v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380) tali da ridondare in denegata giustizia (cfr. Cass., Sez. Un., 14/11/2018, n. 29285).

L'eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore è allora configurabile solo ove il giudice amministrativo (o contabile) applichi non già la norma esistente bensì una norma da esso stesso creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comportando viceversa la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacchè il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale (v. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16974).

Il sindacato di queste Sezioni Unite sulle decisioni del giudice amministrativo (e del giudice contabile) è quindi circoscritto alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi anche -come detto- alla verifica degli errores in iudicando nè degli errores in procedendo, qual è in particolare il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunziato (cfr. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9687; Cass., Sez. Un., 4/10/2012, n. 16849; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 10/9/2019, n. 22569; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926) o l'applicazione di norme processuali ostative all'esame del merito della domanda (v. Cass., Sez. Un., 27/6/2003, n. 10287) o la negazione dell'esistenza di condizioni dell'azione (v. Cass., Sez. Un., 14/1/2015, n. 475) o il mancato esame di questione procedurale (v. Cass., Sez. Un., 17/11/2016, n. 23395) o l'applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale nell'ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell'Unione Europea direttamente applicabili secondo l'interpretazione elaborata dalla Corte di Giustizia (v. Cass., Sez. Un., 29/12/2017, n. 31226), o la violazione dell'obbligo di rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni relative all'interpretazione delle norme dell'U.E. (v. Cass., Sez. Un., 28/7/2021, n. 21641; Cass., Sez. Un., 30/10/2020, n. 24107; Cass., Sez. Un., 15/11/2018, n. 29391).

Sotto altro profilo, si è da queste Sezioni Unite posto in rilievo che le decisioni del giudice amministrativo concernenti la legittimità dei provvedimenti della P.A. possono essere impugnate con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, qualora siano affette da eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della usurpazione della funzione amministrativa, configurabile solo allorquando eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito (riservato alla P.A.) detto giudice compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, evidenzi l'intento dell'organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella della P.A. mediante una pronunzia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l'esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa (v. Cass., Sez. Un., 7/5/2021, n. 12155; Cass., Sez. Un., 4/2/2021, n. 2604).

Orbene, dei suindicati principi il giudice amministrativo d'appello ha nell'impugnata sentenza fatto piena e corretta applicazione, e le dedotte ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativo nella specie non risultano invero integrate.

La vicenda attiene all'"aumento di circa l'8,6% delle condizioni economiche per i contratti di telefonia fissa", dall'odierna ricorrente nel 2017 introdotto mediante la "riduzione del periodo di rinnovo e/o fatturazione delle offerte, che passò dalla cadenza mensile ad una quadrisettimanale (28 gg.)", ritenuto dall'Agcom "pregiudizievole per l'utenza" in quanto determinante un "aumento tariffario" mediante "non già libere scelte imprenditoriali degli operatori di TLC" ma particolari "modalità della cadenza di fatturazione" in un mercato quale quello della telefonia fissa "tradizionalmente connotato da periodi di fatturazione ordinaria su base mensile, a sua volta coincidente con le modalità di fatturazione di altri servizi ed utenze, oltre che con la cadenza con la quale si genera usualmente il reddito mensile degli utenti", altresì "non rispettosa della dovuta trasparenza nei confronti degli utenti, in quanto sostanzialmente rivolta a realizzare aumenti tariffari di non immediata percezione da parte dei consumatori", oltre che ostativa alla "comparabilità delle offerte".

L'Agcom pertanto "impose a detti operatori di telefonia, ma senza contestar loro l'aumento in sè della tariffa, di ritornare, entro il 23 giugno 2017, alla fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa e ad una periodicità almeno quadrisettimanale per quelli di telefonia mobile".

L'impugnazione da parte dell'odierna ricorrente della relativa Delibera, nonchè di quella avente ad oggetto l'irrogazione della "sanzione di Euro 1.160.000" per mancata ottemperanza alla medesima, è stata rigettata nei due gradi del giudizio amministrativo di merito.

Nello stigmatizzare l'"eccentricità della scelta, comune a tutti i principali operatori di telefonia, verso una fatturazione dei servizi erogati con cadenza a 28 giorni, anzichè, com'è sempre stato e lo è comunque dall'entrata in vigore della novella recata del D.L. n. 148 del 2017, art. 19-quinquiesdecies", secondo la "periodicità mensile (o multipli del mese)", quale "scadenza d'uso da sempre adoperata per i contratti di durata relativi alle utilities continuativamente erogati (tipo la telefonia fissa)", assurta a "fatto notorio ex art. 115 c.p.c., comma 2" e trovante "buona conferma pure a livello Eurounitario nell'art. 5, p. 1, lett. e) della Dir. n. 2011/83/UE (sugli obblighi informativi precontrattuali del professionista al fine della stipula di contratti da concludere con i consumatori a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali)) che "si premura di precisare, per i contratti di abbonamento o a tempo indeterminato che prevedono l'addebito di una tariffa fissa, che il prezzo totale equivalga anche ai costi mensili totali", sicchè "il legislatore UE reputa un dato di fatto ovvio, ossia un patrimonio di conoscenza comune della collettività per i contratti a prestazioni continuative a cadenza fissa, che il parametro ordinario di riferimento sia appunto il mese solare"), il giudice amministrativo d'appello ha nell'impugnata sentenza in particolare sottolineato che la condotta dell'odierna ricorrente "s'appalesa sleale, non solo perchè indusse l'utente, grazie all'apparente piccolo scarto tra 28 giorni e mese intero a sottovalutare tal sottile discrepanza e non cogliere fin da subito il predetto aumento" (la "nuova cadenza di fatturazione" sembrando "impedire" o, comunque, rendere "più difficile all'utente rappresentare a se stesso e con la dovuta immediatezza come, attraverso la contrazione della periodicità di tariffazione, il gestore telefonico percepisce, nel corso di un anno, il corrispettivo per 13, anzichè per 12 volte"), ma anche perchè "la scelta a 28 giorni limitò drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili e rese difficoltoso, se non inutile, l'esercizio del diritto di recesso, non essendo più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata", sicchè l'"anomalia era legata al riscontro, da parte degli utenti, di un aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti in seguito alla nuova e simultanea rimodulazione dell'offerta".

A tale stregua, il "passaggio dalla fatturazione a cadenza mensile a quella a 28 giorni, quantunque annunciata dall'appellante alla sua clientela, determinò una violazione del principio di trasparenza, rendendo meno intellegibile l'effettivo costo del servizio al fine di non consentire la percezione immediata dell'aumento della tariffa ed impedendo perciò una libera valutazione delle offerte".

Con tale "passaggio" si è infatti realizzato "un aumento del costo dei sevizi... pari a ca. l'8,6%".

Per altro verso, "il cambio di tal cadenza da parte di tutti i principali operatori non consentì nei fatti la possibilità di recesso".

Il giudice amministrativo d'appello ha ulteriormente posto in rilievo che "buona fede e correttezza (regole specifiche sia della fase di conclusione che di quella di esecuzione del contratto, artt. 1175, 1375 c.c.), nonchè (il) rispetto del principio di trasparenza... imponevano all'appellante di render noto ai suoi utenti" quanto sopra "già alla luce del solo art. 71, comma 1, CCE, senza bisogno pertanto di coinvolgere pure il Codice del consumo".

Ha osservato, ancora, che il fondamento del potere nella specie esercitato dall'Agcom è da individuarsi nella L. n. 481 del 1995, istitutiva di tutte le Autorità per i servizi di pubblica utilità (e in particolare l'art. 2, comma 12 lett. d), g) ed h); l'art. 2, comma 20 lett. d); l'art. 2, comma 37), nonchè nella L. n. 249 del 1997, istitutiva dell'Agcom, ponendo in rilievo che "in base all'art. 2, comma 20, lett. d), l'Agcom non ha esercitato un vero e proprio potere sanzionatorio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt'altro che privo di base normativa) sull'ordinamento delle Autorità di regolazione"; e che "tal rimedio indennitario" (il quale "per sua natura s'attaglia alla situazione cui intende por soluzione", e appunto "per questo sfugge al principio di tipicità proprio delle sanzioni" trovando "fondamento nella necessità di assicurare, insieme con la promozione della concorrenza e con definizione di sistemi tariffari certi, trasparenti e basati su criteri predefiniti, per i servizi erogati, la tutela degli interessi degli utenti e consumatori"), proprio "in base alla Delib. n. 114 del 2017 CONS non s'atteggia più a mero rimborso", contemperando "le esigenze di ripristino della fatturazione a cadenza mensile... con la refusione dei disagi subiti dagli utenti", in quanto volto "ad evitare che la scelta unilaterale degli operatori di telefonia... incida senza controllo sula sfera giuridica degli utenti ", quale forma di "c.d. tutela amministrativa dei diritti o public enforcement".

Ha quindi sottolineato come il successivo intervento legislativo (D.L. n. 148 del 2017, art. 19 quinquiesdecies) abbia in realtà "completato quello che l'atto di regolazione aveva già stabilito", espressamente regolamentando un potere già desumibile dalle norme anteriormente vigenti, prevedendo la cadenza mensile quale "periodicità temporale d'uso per i pagamenti nei contratti di somministrazione (recte, continuativa) di beni (energia, gas, acqua) e di servizi (telefonia fissa)", pur non trattandosi "nè della conferma della carenza di potere dell'Autorità in materia, nè tampoco d'una sorta di "sanatoria" della Delib. n. 121", la "detta novella" avendo avuto "al più" lo "scopo d'estendere, recte, di rammentare la tutela per la violazione del principio di trasparenza all'erogazione degli altri servizi di TLC".

Orbene, a fronte di siffatta ricostruzione in fatto e delle conclusioni al riguardo dal giudice amministrativo d'appello raggiunte nell'impugnata sentenza, l'odierna ricorrente formula invero censura di eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore - anche Eurounitario; nei confronti del giudice ordinario; nei confronti della P.A. Quanto al legislatore, in ragione della ravvisata sussistenza del potere dell'Agcom di imporre agli operatori di TLC lo storno dei giorni erosi, a tal fine asseritamente creando una norma di diritto del tutto nuova ed avulsa dal quadro legislativo e regolamentare, atteso che solo successivamente, con l'emanazione del D.L. n. 148 del 2017, art. 19 quinquiesdecies, è stato a quest'ultima invero riconosciuto tale potere, pertanto in capo alla medesima insussistente al momento dell'adozione delle impugnate delibere in argomento.

Con invasione invero anche del potere riservato al legislatore dell'U.E., non essendosi nemmeno disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'U.E. in ordine alla suindicata Delib. n. 121 del 2017 CONS..

Quanto al giudice ordinario, per indebita ingerenza a fronte della tutela apprestata dal Codice del consumo, compresa l'azione di classe ex art. 140.

Quanto all'autorità amministrativa, per avere il giudice amministrativo invaso la sfera di attribuzione dell'Agcom, sostituendo le proprie considerazioni di opportunità e di merito a quelle di quest'ultima.

Orbene, relativamente al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore, anche Eurounitario, va osservato che nell'impugnata sentenza il giudice amministrativo d'appello ha posto in rilievo che nella specie "in base all'art. 2, comma 20, lett. d), l'Agcom non ha esercitato un vero e proprio potere sanzionatorio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt'altro che privo di base normativa) sull'ordinamento delle Autorità di regolazione", avendo "la giurisprudenza da tempo... riconosciuto alle Autorità indipendenti, per la loro collocazione istituzionale, dei poteri impliciti, da esercitarsi in relazione agli scopi stabiliti dalla legge", a fortiori in un settore, quale quello di specie, in cui il "particolare tecnicismo" che lo contraddistingue impone di assegnare all'"Autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all'evoluzione del sistema", in quanto "una predeterminazione legislativa rigida risulterebbe invero di ostacolo al perseguimento di tali scopi", il potere nella specie dall'Agcom esercitato - nell'ambito di "una fattispecie procedimentale a formazione progressiva... in contraddittorio con le imprese" - essendo "riconducibile all'ampio genus dei poteri conformativi ed inibitori spettanti all'Autorità per garantire la tutela degli utenti sul mercato", nell'ambito del riequilibrio di una "situazione alterata da un aumento dei prezzi non trasparente".

Potere, si è sottolineato, a tale stregua sussistente in capo all'Agcom già da epoca anteriore all'emanazione del D.L. n. 148 del 2017, art. 19 quinquiesdecies, trovando - come detto - fonte nella L. n. 481 del 1995, art. 2, comma 20 lett. d), che a fronte di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti attribuisce alle Autorità di regolazione il potere di imporre il pagamento dell'indennizzo, che ai sensi del precedente comma 12, lett. g), può essere anche automatico.

Il giudice amministrativo si è pertanto attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto in termini non comportanti la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non ravvisandosi nella specie alcun radicale stravolgimento delle norme di riferimento tali da ridondare in denegata giustizia, la stessa censura mossa dall'odierna ricorrente in realtà sostanziandosi nell'asserita erroneità dell'interpretazione della L. n. 481 del 1995, fornita dal giudice amministrativo, che può dare al più luogo ad un error in iudicando, sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite.

Deve per altro verso sottolinearsi che, come da queste Sezioni Unite posto in rilievo all'esito della pronunzia Corte Cost. n. 6 del 2018, anche la violazione del diritto dell'U.E. e il mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali debbono ritenersi compatibili con il diritto Eurounitario, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed Europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, essendo rimessa ai singoli Stati l'individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall'Unione, pertanto non sindacabile ex art. 111 Cost., comma 8, da parte della Corte Suprema di Cassazione (v., con riferimento al Consiglio di Stato, Cass., Sez. Un., 17/12/2018, n. 32622; Cass., Sez. Un., 30/10/2020, n. 24107; Cass., Sez. Un., 28/7/2021, n. 21641; e, conformemente, da ultimo, Cass., Sez. Un., 24/1/2022, n. 1996).

Queste Sezioni Unite hanno d'altro canto già avuto modo di sottolineare come solo ad un primo sguardo la lettera dell'art. 267, paragrafo 3, TFUE "potrebbe indurre a ritenere tale giudice "tenuto" al rinvio" (così Cass., Sez. Un., 15/4/2020, n. 7839), laddove non ricorre in materia alcun automatismo ma va dal giudice vagliata la relativa necessità "per evitarne gli abusi" (v. Cass., Sez. Un., 23/2/2021, n. 4848; Cass., Sez. Un., 15/4/2020, n. 7839; Cass., Sez. Un., 10/9/2013, n. 20701).

Quanto al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del giudice ordinario, va ulteriormente osservato che la relativa inconfigurabilità nella specie discende dalla considerazione che, come sottolineato anche dal P.G. presso questa Corte nelle sue conclusioni scritte, l'esercizio da parte dell'Agcom dei propri poteri regolatori mediante l'applicazione del "rimedio generale" L. n. 481 del 1995, ex art. 2, comma 20 lett. d), opera invero su un piano diverso e "parallelo" rispetto alla tutela civilistica apprestata dal codice civile e dal codice del consumo ex artt. 138 e segg., cui si aggiunge, senza escluderla.

In ordine al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti dell'autorità amministrativa, va infine posto in rilievo che nell'impugnata sentenza il giudice amministrativo d'appello ha ravvisato la piena legittimità dell'intervento nella specie dall'Agcom operato nell'esplicazione dei propri poteri in materia.

A tale stregua, il giudice amministrativo non si è sostituito a detta Autorità nel valutare l'opportunità e la convenienza dell'atto, nemmeno là dove ha qualificato come sleale o contraria a buona fede o correttezza la condotta dell'odierna ricorrente nel caso mantenuta.

Atteso che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il vizio in argomento non è invero configurabile in relazione a pronunzia come nella specie di rigetto dell'impugnazione del provvedimento amministrativo, sostanziandosi essa nella conferma di quest'ultimo e non sostituendosi al medesimo (sicchè l'Autorità che l'ha emesso mantiene intatti tutti i poteri che avrebbe avuto se l'atto non fosse stato impugnato, con la sola eccezione di ravvisare in esso i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice amministrativo: v., da ultimo, Cass., Sez. Un., 7/5/2021, n. 12155), va al riguardo evidenziato che le valutazioni espresse dal giudice amministrativo si appalesano nella specie al più meramente aggiuntive al riguardo, senza pertanto infirmare i poteri e i provvedimenti dell'Agcom, sicchè esse possono se del caso integrare meramente la violazione di limiti interni della giurisdizione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni-Agcom; in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dell'Associazione movimento consumatori; in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dell'Associazione U.DI.CON. APS; in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del Codacons e dell'Associazione degli utenti per i diritti telefonici A.U.S. Tel Onlus.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma 1-bis dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2022
Avv. Antonino Sugamele

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