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Sentenza

La zia condivide su Facebook le foto dei nipotini senza il consenso del padre dei bambini, contrario alla pubblicazione: deve risarcire il danno, anche se la madre aveva aderito alla pubblicazione.
La zia condivide su Facebook le foto dei nipotini senza il consenso del padre dei bambini, contrario alla pubblicazione: deve risarcire il danno, anche se la madre aveva aderito alla pubblicazione.
Trib. Rieti, sent., 17 ottobre 2022, n. 443

Svolgimento del processo/Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato M.M., in proprio e nella qualità di padre esercente la responsabilità genitoriale sui minori L. e L., conveniva in giudizio T.C., per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ill.mo Giudice adito, contrariis rejectis: 1) ordinare alla signora T.C. di procedere alla rimozione sicura delle fotografie e del video pubblicati e condivisi nel suo profilo Facebook raffiguranti sia i minori che l'attore, e di produrre i relativi URL, per la verifica che nessuna copia sia ancora presente nel web; 2) accertare e dichiarare, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 12 della Dichiarazione Fondamentale Dei Diritti Dell'uomo e delle Libertà Fondamentali, dell'articolo 16 della Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia, degli articoli 1,7,8 e 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, degli articoli 10 e 2043 c. c. e della legge 633/1941, la responsabilità della signora T.C. per la pubblicazione non autorizzata di 52 fotografie e 1 video raffiguranti i minori L. e L. M. e, per l'effetto, condannare la medesima signora T.C. al risarcimento del danno patrimoniale e non, in favore dell'attore nella sua qualità, da liquidarsi in via equitativa nella misura di € 20.000,00 ovvero nella diversa somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al soddisfo; 3) accertare e dichiarare, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 12 della Dichiarazione Fondamentale Dei Diritti Dell'uomo e delle Libertà Fondamentali, degli articoli 10 e 2043 c. c. e della legge 633/1941, la responsabilità della signora T. C. per la pubblicazione non autorizzata di 5 fotografie raffiguranti l'attore e, per l'effetto, piaccia condannare la medesima al risarcimento del danno patrimoniale e non, in favore dell'attore, da liquidarsi in via equitativa nella misura di € 6.000,00 ovvero nella diversa somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al soddisfo; il tutto con vittoria di spese di giudizio"". Esponeva, tra l'altro, l'attore a sostegno: che il 21.08.2017 era venuto a conoscenza, e successivamente aveva verificato, che sul profilo Facebook della signora T.C. (Vedi documento numero 1) erano pubblicate numero 52 fotografie e un video raffiguranti i suoi figli L. e L., accessibili a tutti gli utenti, per i quali la signora T.C. non aveva richiesto alcuna autorizzazione (Vedi documenti da numero 2 a 53); che, anzi, nell'ambito familiare era circostanza nota la propria contrarietà alla pubblicazione sui social network di immagini e notizie sia personali, sia dei componenti della sua famiglia; che nella medesima data, accedendo a profili Facebook di altri utenti, aveva accertato anche la condivisione delle fotografie da parte di questi (Vedi documenti da numero 54 a numero 64); che nei giorni successivi aveva provveduto a salvare e stampare tutte le fotografie pubblicate, nonché a salvare il video che si riservava di esibire; che con lettera raccomandata a. r. del 18 settembre 2017, nella sua qualità di esercente la responsabilità genitoriale sui minori, aveva diffidato la convenuta alla rimozione sicura e immediata dal web di tutte le immagini raffiguranti i minori, avendo cura che non fossero più visibili, riservandosi di adire il giudice competente per ottenere la tutela dei loro diritti, ivi compreso il risarcimento del danno subito; che a tale richiesta non aveva seguito alcun riscontro e, anzi, in data 19.09.2017 le immagini erano ancora pubblicate nel social network; che con lettera raccomandata del 05.10.2017, aveva invitato la signora T.C. ad aderire alla procedura di negoziazione assistita al fine di comporre in via stragiudiziale la controversia (Vedi documento numero 66); che con lettera raccomandata del 04.11.2017 il procuratore incaricato dalla signora T.C. aveva riscontrato l'invito alla negoziazione affermando che la sua assistita avrebbe immediatamente provveduto alla rimozione delle fotografie relative ai minori erano state eliminate dal profilo FB della signora T.C., ma non anche il video accessibile a tutti gli utenti del web nel quale erano riprodotte le immagini dei figli (Vedi documento numero 67 bis, ter, quater e quinquies); che vista la mancanza di riscontro, inoltre, non era in grado di sapere se, in effetti, la rimozione delle fotografie fosse stata eseguita con sicurezza e se, quindi, le immagini non fossero più presenti sul web (pubblicazione delle fotografie in altri profili in quanto condivise); che ad oggi, quindi, la richiesta di rimozione sicura dal web delle fotografie e del video, stando alle informazioni in proprio possesso, non era stata ancora assolta, né era stato fornito alcun riscontro in proposito; che la pubblicazione non autorizzata di fotografie di minori configurava illecito; che ai sensi dell'art. 316 c.c. (Della responsabilità genitoriale), l'autorizzazione alla pubblicazione delle foto dei minori doveva essere fornita da entrambi i genitori, ritenendosi questione di particolare importanza ed insufficiente essendo l'autorizzazione di un solo genitore; che con l'entrata in vigore del Codice della privacy – D.Lgs. n. 196/2003, il consenso dell'interessato ovvero dell'esercente la responsabilità e/o la tutela doveva essere necessariamente espresso, non assumendo alcun rilievo il comportamento per facta concludentia (consenso tacito o implicito, che comunque nel nostro caso non vi era mai stato); che il diritto all'immagine era tutelato dall'art. 2 Cost. e dall'art. 10 c.c., oltre che dall'art. 96 L. 633/41; che controparte attraverso la pubblicazione non autorizzata aveva violato il diritto all'immagine e alla riservatezza, nonché alla privacy dei minori e aveva reso le 52 fotografie e il video disponibili per la loro condivisione e il loro utilizzo anche per il tramite delle applicazioni sviluppate da terze parti (app), potenzialmente improprio e pericoloso, a tutti gli utenti di Facebook che allo stato, ricordiamo sono più o meno 2.000.000.000 (due miliardi) e a tutti gli aventi accesso al web; che attraverso la mancata rimozione sicura, di cui si rinnovava la richiesta anche in questa sede, le immagini dei minori, con ogni probabilità, erano ancora presenti nel social network e nel web; che il 12.04.2018 aveva eseguito un ulteriore accesso sul profilo Facebook della signora T.C., verificando la pubblicazione non autorizzata di 6 fotografie ritraenti da numero 70 a 75); che nei giorni successivi, alla presenza di testimoni, aveva provveduto a salvare e stampare tutte le fotografie pubblicate; che con lettera raccomandata a/r datata 06.04.2018 aveva diffidato la signora T.C. alla rimozione sicura delle fotografie raffiguranti le immagini pubblicate, senza autorizzazione, nel suo profilo Facebook (Vedi documento numero 76); che il 18.04.2018 la convenuta gli aveva inviato un messaggio whatsapp con cui gli comunicava che avrebbe provveduto a rimuovere le fotografie e che le stesse erano state pubblicate con il suo consenso; di avere risposto lo stesso giorno di non avere mai autorizzato la pubblicazione di proprie fotografie; che il 15.05.2018 la convenuta, nel respingere l'invito alla negoziazione assistita, aveva precisato di avere rimosso tutte le foto, ad eccezione di una pubblicata da altro utente; che quanto ai danni subiti dai minori, la pericolosità delle pubblicazioni era evidente, il numero delle pubblicazioni era rilevante (ben 52 foto e 1 video) e le immagini erano state potenzialmente accessibili a tutti, dal momento che la fotografia pubblicata sul profilo Facebook può essere divulgata sia attraverso la con-divisione con e da altri utenti, sia attraverso la condivisione anche solo dell'URL; che era proprio interesse avere conoscenza dell'avvenuta o meno rimozione sicura di tutte le immagini richiesta alla convenuta ante causam; che ella, infatti, nella nota di riscontro all'invito alla negoziazione assistita e con il messaggio di Whatsapp del 18.04.2018, aveva soltanto comunicato di aver provveduto alla rimozione delle fotografie dal proprio profilo Facebook e non anche del video, ancora visibile alla data del 24.2.2019, mentre non aveva comunicato l'URL corrispondente a ciascuna immagine, né tantomeno le necessarie richieste da lei inviate al social network per conoscere l'ammontare delle condivisioni dei suoi contenuti e conseguentemente per chiederne la cancellazione; che per tale ragione, viste le modalità tecniche illustrate, allo stato non era in grado di conoscere se, in effetti, sul web fossero ancora presenti copie delle immagini di cui ha chiesto la rimozione sicura; che, di conseguenza, oltre al risarcimento del danno, si chiedeva di ordinare alla convenuta di provvedere alla rimozione sicura delle fotografie e del video e di produrre, per la verifica, i 59 URL corrispondenti di cui 52 relativi alle fotografie dei minori, 6 relativi alle proprie fotografie e 1 relativo al video dei minori. T.C., costituitasi in giudizio, contestava integralmente la domanda avversaria deducendo, tra l'altro: di non essere una sconosciuta, bensì la zia (sorella della madre) dei minori L. e L. M.; di avere avuto il consenso esplicito della madre dei minori alla pubblicazione; che il Sig. M. era perfettamente a conoscenza sia dell'avvenuta pubblicazione delle foto, sia del fatto che la madre dei minori avesse prestato il suo consenso; che lo stesso, tuttavia, non aveva mai mostrato il suo dissenso, né aveva mai manifestato anche implicitamente una volontà contraria; che non solo doveva ritenersi sufficiente il consenso anche di un solo genitore, ma tale consenso poteva essere espresso verbalmente o anche essere tacito; che, non appena ricevuta la diffida del Sig. M., prendendo atto della sua mutata volontà, esplicitata solo per il tramite della predetta missiva, si era affrettata a rimuovere/eliminare le fotografie dei minori secondo le istruzioni fornite dal Webmaster FB. (Doc. 2); che il centro Assistenza di FB specificava che una volta eliminata la foto, l'immagine non sarebbe stata più visibile o recuperabile; che, sicuramente, la richiesta avanzata in questa sede dal M., della produzione degli URL e della dimostrazione che le foto non fossero più reperibili in internet, non solo era inammissibile in quanto l'onere di dimostrare l'illecito spettava all'attore, ma era altresì inutile in quanto non era possibile risalire alla foto eliminata grazie all'URL come da quest'ultimo sostenuto; che, inoltre, ammesso e non concesso che fosse possibile risalire alle foto eliminate tramite l'URL, il comportamento tenuto dal M. nella fase stragiudiziale della presente controversia violava il disposto di cui all'art. 1175 c.c.; che, difatti, il sig. M. era ben consapevole che una volta eliminate le foto, essa convenuta non sarebbe potuta risalire ai corrispondenti URL e, di conseguenza, sarebbe stata impossibilitata a fare quanto, poi, esplicitamente richiesto con l'atto di citazione; che se il M. avesse voluto effettivamente tutelare i minori, le avrebbe potuto sin da subito, ovvero sin dalla diffida stragiudiziale, indicare le modalità ritenute più opportune per provvedere alla rimozione dei contenuti digitali riguardanti i figli; che l'attore si era, tuttavia, ben guardato dal farlo, palesando tale volontà solo con l'atto introduttivo del presente giudizio; che era evidente quindi, che nel caso specifico lo stesso M. aveva concorso a cagionare e/o ad aggravare l'asserito ed eventuale danno, ex artt. 1227-1175 cc.; quanto al video, di non essersi avveduta della sua presenza sul social; che, difatti, il video in questione era stato creato in modo automatico da FB e nello stesso erano raccolte alcune fotografie pubblicate nell'anno 2012; che in tale video comparivano esclusivamente 2 fotografie dei minori; di avere, ad ogni buon conto, già provveduto alla rimozione; quanto alle foto ritraenti l'attore, di avere provveduto a rimuoverle; che quest'ultimo, non contento e non appagato, aveva insistito nei suoi intenti, inviando un'ulteriore richiesta, con la quale pretendeva la rimozione di una foto presente ancora sul profilo di essa resistente, ma pubblicata da altro utente; che, in particolare, la predetta foto insisteva sul proprio profilo in virtù di un tag1 apposto dal Sig. "A.C. jr"; di avere spiegato, con missiva a firma dell'Avv. G., che non avendo lei pubblicato la foto, non avrebbe potuto eliminarla e che eliminando il tag apposto dal Sig. "A.C. jr", la foto sarebbe scomparsa dal suo profilo, ma non dal web ed in particolare, non dal profilo dell'utente che aveva materialmente pubblicato la foto; che anche nel caso di specie, occorreva precisare che la foto in questione era relativa ad una riunione familiare e che il Sig. "A.C. Jr" non era uno sconosciuto, ma persona nota e conosciuta dal M.; che nonostante le spiegazioni fornite all'attore, lo stesso nell'atto di citazione continuava a dolersi della presenza alla data del 10.06.2018 della sua foto sul profilo della Sig.ra C., circostanza questa, tra l'altro, non corrispondente a realtà in quanto il tag era stato comunque rimosso; che difatti, il documento prodotto da controparte (doc. 80) non era estrapolato dal profilo della Sig.ra T.C., ma da quello del Sig. A.C. jr.. La convenuta rassegnava, all'esito, le seguenti conclusioni: "1. In via principale, accertare e dichiarare che la pubblicazione delle foto ritraenti i minori L. e L. nonché il Sig. M. è legittima per i motivi esposti in parte narrativa. 2. In subordine accertare e dichiarare che l'attore ai sensi dell'art. 1227 c.c. ha concorso a cagionare e/o aggravare l'asserito danno e, per l'effetto, dichiarare che nessun risarcimento spetta al Sig. M. 3: In ulteriore subordine rideterminare l'entità del risarcimento eventualmente dovuto 4. In ogni caso, con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e con condanna dell'attore - anche in considerazione del comportamento dallo stesso tenuto nella fase stragiudiziale del presente giudizio - ex art. 96 commi I e III c.p.c.". Erano concessi i termini ex art. 183, VI co., c.p.c., era espletata prova orale e all'esito la causa veniva trattenuta in decisione – sulle conclusioni rassegnate dalle parti in sede di note autorizzate depositate il 10.06.2022 – all'udienza del 21.06.2022, svoltasi con contraddittorio cartolare, come stabilito dal Tribunale con provvedimento del 07.06.2022. La domanda avanzata dal sig. M.M., quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori L. e L. e tesa alla condanna della sig.ra T.C. al risarcimento dei danni non patrimoniali dagli stessi asseritamente sofferti in conseguenza della pubblicazione non autorizzata sul proprio profilo facebook, da parte della convenuta, di 52 fotografie e di un video contenente ulteriori 2 foto, tutte ritraenti i minori medesimi, è fondata e meritevole di accoglimento, nei termini e nei limiti di seguito esposti. Va premesso che in tema di responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c., perché sorga un'obbligazione risarcitoria aquiliana occorrono un fatto lesivo, retto dalla causalità materiale ed un danno conseguenza di questo, retto dalla causalità giuridica, la cui imputazione presuppone il riscontro di alcuna delle fattispecie normative ex art. 2043 ss. c.c., consistenti tutte nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento ad una condotta, a cose o ad accadimenti di altra natura, collegati con una particolare relazione al soggetto chiamato a rispondere (Cass. civ. n. 4043/13). Il fatto illecito ex art. 2043 c.c. si compone, in sostanza, di una condotta (attiva o omissiva), di un danno evento (il cd. "danno ingiusto", da intendersi come evento fattuale in sé lesivo di un interesse giuridicamente tutelato nella vita di relazione), di un nesso causale tra condotta ed evento, nonché infine di un danno-conseguenza, patrimoniale o non patrimoniale, causalmente ricollegabile al danno evento e che deve essere come tale provato, non potendo considerarsi in re ipsa per il semplice fatto del verificarsi dell'evento lesivo (Cass. civ. n. 10120/09). Con specifico riguardo al tema dell'accertamento del nesso causale, si ritiene che in ambito di responsabilità civile operino gli artt. 40 e 41 c.p., in base ai quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili (Cass. civ. n. 12923/15). A ciò va, peraltro, aggiunto che anche in virtù delle diverse finalità al cui assolvimento risultano preposti il processo penale ed il processo civile – il primo ispirato ad una logica essenzialmente sanzionatoria, il secondo imperniato su una logica di carattere compensativo/riparatorio -, la causalità in materia civilistica deve essere distinta da quella penalistica, nel senso che nella prima, diversamente che nella seconda, vige il principio del "più probabile che non", mentre nel processo penale opera la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (al riguardo si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. III, n. 23933/13); la diversità dei valori in gioco nei due tipi di processi giustifica, infatti, una differenza negli standard probatori ed il diverso livello di incertezza da assumersi come ragionevolmente accettabile (Trib. Reggio Emilia, 27.02.2014). Deve, infine, rammentarsi che in virtù dei principi ordinari di riparto dell'onere della prova, grava sull'attore la dimostrazione degli elementi costitutivi di tale responsabilità e cioè del fatto (condotta attiva o omissiva), del danno evento (lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione), del nesso causale tra condotta ed evento, del danno conseguenza (pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali causalmente riconducibili al danno evento) e dell'elemento psicologico (dolo o colpa). Venendo ora più specificamente al tema dei presupposti di risarcibilità del danno non patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ. n. 1361/14) è tradizionalmente dell'avviso che la categoria generale del danno non patrimoniale – che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio – presenti natura composita, articolandosi in una serie di voci aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d'animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento della abitudini di vita del soggetto danneggiato). Ciò posto, si ritiene comunemente ammissibile la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità, stante l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni all'integrità psico-fisica (Cass. civ. n 583/16). Per il principio di tipicità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. deve trattarsi, peraltro, di voci causalmente ricollegabili alla lesione di interessi espressamente tutelati da norme di legge (quale è l'art. 185 c.p. nel caso del danno morale), ovvero di interessi costituzionalmente protetti (nel caso del cd. danno esistenziale), in entrambi i casi facenti strettamente capo alla persona. Ancora, si sostiene che tanto il danno morale soggettivo, consistente nella sofferenza interiore, quanto il danno esistenziale, consistente nella significativa alterazione della vita quotidiana, sono autonomamente risarcibili, sempre che siano rigorosamente provati in relazione alle circostanze concrete del caso (Cass. civ. n. 22585/13). Si è ritenuto, altresì, che il danno conseguenza non può mai essere considerato in re ipsa, ma deve essere allegato in modo sufficientemente specifico e provato, sia pure per presunzioni (Cass. civ., SS.UU., n. 26972/08). Con specifico riferimento al tema della pubblicazione non autorizzata di fotografie ritraenti l'immagine di minori, occorre ulteriormente premettere in linea generale che il diritto all'immagine della persona fisica rientra senz'altro nell'ambito dei diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dall'art. 2 Cost., norma che pacificamente sancisce la libertà di autodeterminazione della persona in ordine alle proprie scelte esistenziali, tra le quali rientra quella consistente nel rendere o meno accessibile a terzi una fotografia che la ritrae. Detto diritto costituisce, altresì, una proiezione del diritto alla privacy, inteso come diritto all'intimità della propria sfera riservata ed anch'esso evidentemente tutelato dal sopra citato art. 2 Cost. - nella misura in cui l'individuo è libero di decidere autonomamente se propalare o meno a terzi le informazioni che lo riguardano, salve le eccezioni stabilite dalla legge – oltre che, specificamente, dagli artt. 4,7,8 e 145 D.lgs. 196/2003 (cd. "Codice della privacy"), come modificato dal D.Lgs. n. 101/18. Il diritto all'immagine riceve, ancora, specifica tutela all'art. 10 c.c., ai sensi del quale qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni. Completa il quadro della normativa nazionale l'art. 96 della legge 633/1941 sul diritto d'autore, secondo cui "Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa", salvi i casi in cui "la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico." (art. 97). Passando alle fonti extranazionali e con specifico riferimento alla posizione dei minori, il Regolamento europeo sulla privacy dispone che: "i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali…" (Considerando n. 38 Regolamento UE 679/2016). Il medesimo Regolamento all'art. 8, come attuato in Italia (d.lgs. n. 101/2018 art. 2 quinquies), stabilisce che il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a 14 anni, come la pubblicazione di immagini, sia lecito, purché il consenso venga prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale. Soccorrono, infine, gli artt. 1 e 16, 1° comma, della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (Conv. NY 20.11.1989, ratificata dall'Italia con L. 27.5.1991 n. 176: quest'ultimo stabilisce, in particolare, che "1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti". In ordine alla necessità, ai fini della liceità della condotta consistente nella pubblicazione di fotografie ritraenti figli minori, della prestazione del consenso da parte di uno o di tutti e due i genitori, ritiene questo giudice che venendo in considerazione un atto che eccede l'ordinaria amministrazione avente ad oggetto il trattamento di dati personali sensibili nei quali è compresa l'immagine del minore (V. il Considerando numero 8/38 del GDPR, cit.), occorra il preventivo consenso di entrambi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 320 c.c.. Dello stesso avviso si mostra la giurisprudenza di merito (ex multis, v. Trib. Roma, 23.12.2018). Trib. Rieti, 07.03.2019; Trib. Mantova, 19.09.2017). Ciò posto e tornando al caso che ci occupa, la sig.ra T.C. in sede di interrogatorio formale ha ammesso di avere pubblicato sul proprio profilo facebook ben 52 fotografie ritraenti l'immagine dei figli minori dell'attore L. e L., nonché la presenza sullo stesso profilo di un video contenente ulteriori 2 fotografie dei minori. La circostanza è risultata comprovata anche documentalmente (sono state prodotte tutte le fotografie) e all'esito della espletata prova orale (si vedano le deposizioni dei testi M. M., fratello dell'attore e Giovanni Meucci, compagno di quest'ultimo). Eccepisce, peraltro, la difesa della convenuta che la pubblicazione sarebbe intervenuta con il consenso della madre dei bambini, nonché moglie dell'attore sig.ra Clara C. (circostanza confermata da quest'ultima in sede di prova testimoniale) e dello stesso M.M., il quale non si sarebbe mai opposto alla pubblicazione delle fotografie. Posto che, peraltro, ai sensi dell'art. 2697, II co., c.c., una volta allegati e provati dall'attore i fatti posti a fondamento del diritto c.c., colui che eccepisca l'inefficacia di tali fatti o che il diritto si è modificato o estinto è gravato dal relativo onere probatorio, incombeva sulla convenuta l'onere di dimostrare l'intervenuto consenso espresso anche del M. alla pubblicazione delle fotografie in questione (non essendo sufficiente la semplice mancata opposizione). La circostanza è rimasta, viceversa, totalmente priva di riscontro, nulla essendo emerso in tal senso all'esito dell'istruttoria orale: la teste di parte convenuta Clara C. si è, infatti, limitata a dichiarare che il marito "…non ha mai manifestato il dissenso alla pubblicazione anche perché se non vuole fare una cosa lo esterna", dichiarazione inidonea a provare alcunché sia in quanto valutativa, sia poiché non vale a far ritenere l'esistenza di un consenso che, come si accennava poc'anzi, deve essere manifestato espressamente; il teste E.U. non è stato in grado, viceversa, di riferire fatti rilevanti ai fini che interessano. Con riferimento alla pubblicazione del video contenente 2 immagini dei minori, la stessa difesa della convenuta nella comparsa di costituzione risposta dichiara che "…il video in questione, è stato creato in modo automatico da FB e nello stesso erano raccolte alcune fotografie pubblicate nell'anno 2012 dalla resistente": la sig.ra C. ammette, in altri termini, di avere pubblicato essa stessa in passato dette fotografie, salvo sostenere – senza in alcun modo offrirsi di provarlo – che il video sarebbe stato "creato" da facebook, fatto comunque irrilevante alla luce della evidente negligenza della titolare del profilo, responsabile di non avere vigilato sulla pubblicazione non autorizzata, all'interno dello stesso, di immagini di minori. In entrambi i casi, comunque, non è stata raggiunta alcuna prova neppure in ordine alla asserita (da parte convenuta) previa conoscenza, da parte del M., dell'esistenza delle citate fotografie sul profilo facebook della convenuta, dal che si sarebbe dovuta dedurre (in base alla tesi di parte convenuta) una sorta di tacita acquiescenza del coniuge alla pubblicazione. In tale prospettiva, invero, non solo non è stata contestata la circostanza che l'attore fosse sprovvisto di account facebook, ma elementi significativi di segno contrario sono emersi dalla deposizione del teste M. M. (fratello dell'attore) il quale ha dichiarato, tra l'altro, che "…mio fratello era molto arrabbiato perché mi disse che T. lo sapeva che non gli piaceva essere in mostra su facebook; posso dire che a mio fratello non piace finire su facebook tanto che neppure sul mio profilo personale ci sono foto di mio fratello o dei figli; me lo ha detto espressamente che non gli piace che vengano mostrate le sue foto e questo in discorsi che si sono fatti negli anni". Difetta, in conclusione, qualsiasi prova dell'esistenza di un consenso espresso o finanche tacito del M. alla pubblicazione delle foto di che trattasi. Sussistono, in definitiva, ex art. 2043 c.c. tanto il fatto, rappresentato dalla pubblicazione, da parte della convenuta, delle fotografie di cui sopra in assenza del previo consenso di uno dei due genitori esercenti la responsabilità genitoriale, quanto il danno ingiusto sub specie di lesione di un interesse giuridicamente tutelato nella vita di relazione, costituito dalla lesione del diritto costituzionalmente rilevante all'immagine e alla riservatezza dei minori scaturente dalla suddetta condotta, quanto ancora il nesso causale tra condotta e danno evento. Ricorre, altresì, la colpa rappresentata dalla violazione, da parte della C., del coacervo di norme nazionali, europee e di diritto internazionale in precedenza richiamate e poste a tutela del diritto all'immagine e alla riservatezza, avuto specifico riguardo alla posizione dei minori. Ciò posto, deve preventivamente darsi atto della rinuncia di parte attrice alla domanda con cui in sede di citazione si era chiesto ordinarsi alla signora T.C. "di procedere alla rimozione sicura delle fotografie e del video pubblicati e condivisi nel suo profilo Facebook raffiguranti sia i minori che l'attore, e di produrre i relativi URL, per la verifica che nessuna copia sia ancora presente nel web". Ed invero, per giurisprudenza costante, la rinuncia alla domanda, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l'adozione di forme particolari, non necessita dell'accettazione della controparte ed estingue l'azione (v. Cass. civ. n. 19946/04; n. 8387/99), seguendone che in tali ipotesi il giudice, dopo avere constatato la modifica delle conclusioni della parte in tal senso, deve necessariamente prendere atto del venir meno del suo potere- dovere di giudicare in merito alla domanda rinunciata, fatta salva ogni determinazione, riservata allo stesso giudice di merito, in punto di spese processuali (Cass. civ., Sez. III, n. 23749/11). Ebbene, nel caso che ci occupa detta domanda non risulta essere stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni rassegnate dall'attore nelle note autorizzate depositate il 10.06.2022: ne segue che la stessa deve intendersi implicitamente rinunciata, con conseguente estinzione della relativa azione. La domanda di condanna della convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, avanzata dal sig. M. quale padre esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori L. e L., è fondata e meritevole di accoglimento, nei termini e nei limiti di cui appresso. Occorre premettere che nel caso che ci occupa la risarcibilità del danno de quo ex art. 2059 c.c. discende sia dalle previsioni espresse di cui all'art. 10 c.c. (quanto al diritto all'immagine) e all'art. 82 GDPR (in merito al tema della privacy), sia dal fatto che viene in considerazione la lesione di beni interessi costituzionalmente rilevanti, siccome riconducibili all'art. 2 Cost. Ciò stante, nel ribadire che il danno non patrimoniale deve essere allegato in modo sufficientemente specifico e provato, sia pure per presunzioni (Cass. civ., SS.UU., n. 26972/08, cit), ritiene il Tribunale che il suddetto danno- evento (lesione dell'immagine e della privacy dei minori scaturente dalla pubblicazione non autorizzata delle fotografie) abbia a sua volta provocato un danno non patrimoniale-conseguenza suscettibile di ristoro per equivalente pecuniario. A tale ultimo riguardo, occorre considerare l'elevato numero di fotografie (ben 52, oltre alle 2 presenti nel video) complessivamente pubblicate dalla sig.ra C. sul proprio profilo e ritraenti i minori nell'ambito della loro vita privata, tra l'altro, anche da soli, in primo piano e in costume da bagno e la durata dell'esposizione (la stessa difesa di parte convenuta dichiara a pag. 4 della comparsa di risposta che si tratta di foto risalenti ad ameno cinque anni prima) in relazione alla accessibilità alle foto da parte di una platea potenzialmente sterminata, quale è quella costituita dagli utenti di facebook e, di conseguenza, alla diffusività della condotta lesiva; elementi, tutti, che consentono di presumere l'esistenza del pregiudizio di che trattasi, la cui liquidazione, peraltro, non potrà che avvenire in forma equitativa ex art. 1226 e 2056 c.c., essendo impossibile provare il danno nel suo preciso ammontare. Nella indicata prospettiva ed alla luce degli elementi tutti sin qui considerati, si ritiene di liquidare in favore di M.M., quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sui minori L. e L., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dai figli in conseguenza dei fatti di causa, la somma complessiva di €5.000,00 (€2.500,00 ciascuno) all'attualità, da intendersi comprensiva anche degli interessi, intesi, a mente dei noti principi sanciti dalla S.C. con sent. n. 1712/95, come "lucro cessante", trattandosi di debito di valore e computabili sui singoli scaglioni annualmente rivalutati secondo il criterio indicato nella stessa pronuncia, pari al rendimento che presumibilmente i danneggiati avrebbero ricavato dalle somme dovute, se le avesse tempestivamente percepite, utilizzandole nei più comuni sistemi di investimento. Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c.. La domanda proposta dall'attore in proprio deve essere, viceversa, respinta, per essere rimasta totalmente sfornita di prova. Ed invero, a venire in considerazione è un numero esiguo (7) di foto realizzate in contesti conviviali e che non appaiono, pertanto, in alcun modo pregiudizievoli per la persona del M.. Né la difesa dell'attore ha allegato o si è in alcun modo offerta di provare l'esistenza di un danno non patrimoniale conseguenza riconducibile alla pubblicazione di tali fotografie, non potendo – lo si ribadisce – tale pregiudizio essere considerato in re ipsa. Ne segue l'inevitabile reiezione della domanda de qua. L'accertata fondatezza in parte qua della domanda principale implica, altresì, l'inevitabile rigetto della domanda riconvenzionale ex art. 96 c.p.c. avanzata dalla convenuta. L'accoglimento solo parziale delle domande attoree giustifica, infine, la compensazione ex art. 92, II co., c.p.c. delle spese di lite tra le parti – liquidate come in dispositivo - in misura pari a 1/3, con condanna della convenuta a rifondere all'attore la restante quota dei 2/3.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, istanza o eccezione disattesa o assorbita, così provvede:

- accerta e dichiara l'intervenuta rinuncia di M.M. alla domanda tesa ad ottenere la condanna di T.C. a "… procedere alla rimozione sicura delle fotografie e del video pubblicati e condivisi nel suo profilo Facebook raffiguranti sia i minori che l'attore, e di produrre i relativi URL, per la verifica che nessuna copia sia ancora presente nel web";

- in parziale accoglimento della relativa domanda proposta dall'attore quale padre esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori L. e L., accerta e dichiara la responsabilità extracontrattuale ex artt. 2043 e 2059 c.c. della sig.ra T.C., in relazione alla pubblicazione non autorizzata sul proprio profilo facebook di 52 fotografie e di un video contenente ulteriori 2 foto, ritraenti i suddetti minori;

- per l'effetto, condanna la convenuta a corrispondere all'attore, nella indicata qualità, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dai minori in conseguenza dei fatti di cui al punto che precede, la somma complessiva di €5.000,00 (€2.500,00 ciascuno) all'attualità, oltre agli interessi legali decorrenti dalla data di pubblicazione della sentenza e sino all'effettivo soddisfo;

- respinge la domanda risarcitoria avanzata in proprio dal M.;

- respinge la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. proposta dalla convenuta;

- compensa in ragione di 1/3 le spese di lite tra le parti, che liquida in complessivi €2.700,5, di cui €2.430,00 a titolo di compensi professionali ed €270,50 per esborsi, il tutto oltre alle spese forfettarie ex art. 2 D.M. n. 55/14 ed oltre ad IVA e CPA come per legge, condannando la convenuta a rifondere all'attore la restante quota dei 2/3.
Avv. Antonino Sugamele

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