Procura alle liti formata all'estero è nulla se non tradotta.
Il notaio straniero deve certificare che la firma è stata fatta in sua presenza.
È nulla la procura alle liti autenticata da un notaio straniero quando non abbia in allegato la sua traduzione in italiano e quando il notaio autenticante non abbia certificato che la firma del mandante è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità.
È il principio che, questa volta con il sigillo delle Sezioni Unite (sentenza n. 2866 del 5 febbraio 2021), la Cassazione torna a ribadire avendolo già affermato in passato nelle Sezioni "semplici" e che, se applicato al di fuori del processo (e, quindi, nel campo contrattuale), rischia di avere un notevolissimo impatto negativo. Specialmente oggi che, a causa dell'epidemia da Covid-19, l'utilizzo delle procure provenienti dall'estero è divenuta una prassi frequentissima.
Se procura nulla nel processo significa «nullità dell'attività processuale compiuta» (Cassazione 11689/2000), nel campo contrattuale significa che l'attività compiuta dal procuratore è completamente priva di efficacia: chi intendeva vendere, non ha venduto e chi intendeva comprare non ha comprato (il prezzo pagato deve essere restituito, sempre che chi deve effettuare la restituzione ne abbia capienza).
Il principio secondo il quale la procura sarebbe nulla se il notaio straniero non attesti la sottoscrizione in sua presenza e non attesti la certezza dell'identità personale del sottoscrittore (requisiti, invero, prescritti dalla legge professionale notarile italiana) è stato affermato dalla Cassazione con riguardo alle procure alle liti nelle decisioni 8933/2005, 12309/2007, 11165/2015, 8174/2018 e 17713/2019 (su quest'ultima si veda il Sole 24 Ore del 3 luglio 2019). Il principio non è mai stato affermato con riguardo alle procure ad negotia, ma, in effetti, può essere un forte azzardo pensare che queste ultime siano talmente diverse dalle procure alle liti da sottrarsi ai principi affermati per le procure alle liti.
Tuttavia, è lecito dubitare fortemente (ameno per le procure negoziali) della perdurante attualità del principio più volte affermato dalla Cassazione per le procure alle liti e ora recepito pure dalle Sezioni Unite, anche alla luce della sempre più progressiva internazionalizzazione dei traffici giuridici, per una pluralità di motivi.
Anzitutto, il rilievo che l'articolo 60 della legge 218/95 (la legge italiana di diritto internazionale privato) dispone che:
la rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d'affari, se agisce a titolo professionale e se tale sede è conosciuta o conoscibile dal terzo; in alternativa, si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto;
la procura è valida, quanto alla forma, se considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza (lex substantia), oppure dalla legge dello Stato in cui è firmata (lex loci).
Ora, se la legge locale abilita un notaio straniero ad autenticare con certe formalità, diverse da quelle prescritte in Italia, non si vede perché gli debba essere imposto di usare anche le formalità "italiane" (senza considerare che l'esperienza insegna l'enorme fatica, se non l'impossibilità, di spiegare questa situazione ai professionisti stranieri). Anche perché l'esperienza che si sta vivendo con l'epidemia insegna che, in una pluralità di notariati:
si può autenticare "non in presenza" e in video conferenza;
la dichiarazione di certezza dell'identità personale è un affermazione verso la quale, in moltissimi casi, vi è una profonda insofferenza dei professionisti stranieri;
l'identificazione del firmatario, oltre che con cognome e nome, anche con l'indicazione di luogo e data di nascita è una modalità che – anche se sembra strano – spesso fortemente non condivisa (e talvolta anche rifiutata) dal notaio straniero.
14-02-2021 19:18
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