Il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per motivi di giurisdizione, avverso le pronunce emesse dalla Corte dei Conti, non trova ostacolo nella circostanza che tale questione non sia stata sollevata nelle precedenti fasi processuali, ricollegandosi l'effetto preclusivo al solo maturarsi del giudicato interno formatosi per la mancata impugnazione di una pregressa pronuncia resa esplicitamente sulla giurisdizione, ovvero sul merito, nel presupposto implicito della giurisdizione medesima.
Cass. civ. Sez. Unite, 29/10/2020, n. 23899
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 15/09/2020) 29-10-2020, n. 23899
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro - Primo Presidente -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente di Sez. -
Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. -
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi - Consigliere -
Dott. NAPOLITANO Lucio - Consigliere -
Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. RUBINO Lina - rel. Consigliere -
Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2149-2019 proposto da:
D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI 5, presso lo studio dell'avvocato ENRICO SOPRANO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 252/2018 della CORTE DEI CONTI - SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE - ROMA, depositata il 25/06/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso in via principale per l'inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto.
Svolgimento del processo
1.- D.M. propone ricorso, articolato in tre motivi ed illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza n. 252/2018, depositata dalla Corte dei Conti - sezione giurisdizionale centrale- in data 25.6.2018, con la quale è stato respinto il suo appello e confermata la condanna emessa in primo grado al pagamento di Euro 20.173,96 in favore del Comune di Napoli, per responsabilità erariale, non essendosi adoperato, mentre ricopriva l'incarico di Assessore al Patrimonio del Comune di Napoli (carica ricoperta nel periodo dal gennaio 2009 al maggio 2011) al fine di evitare l'inutile pagamento da parte del Comune in favore dei locatori dei canoni di locazione di un immobile preso in locazione in quanto destinato al pubblico servizio nonostante l'intervenuta cessazione della destinazione a finalità pubbliche e l'abbandono dello stesso, per il periodo tra maggio 2007 e giugno 2008.
2. - Resiste la Procura Generale presso la Corte dei Conti con controricorso.
Motivi della decisione
3. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 8, in relazione all'art. 362 c.p.c., comma 1, in punto di eccesso di potere giurisdizionale, che configura nello sconfinamento da parte della magistratura erariale nella sfera di attribuzioni riservate in via esclusiva al legislatore laddove il giudice contabile ha affermato la responsabilità del ricorrente sulla scorta del principio - sconosciuto al nostro ordinamento, nella ricostruzione del ricorrente - secondo cui i titolari delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo rivestirebbero una posizione di garanzia all'interno dell'ente locale e dunque non potrebbero giammai rimanere estranei ed inerti rispetto all'obbligazione di risultato pretesa nei confronti dei dirigenti.
4. - Con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 8, in relazione all'art. 362 c.p.c., comma 1, in punto di eccesso di potere giurisdizionale, laddove la Corte dei Conti ha confermato integralmente la sentenza di primo grado ritenendo assorbito il motivo di appello incentrato sulla insussistenza del requisito della colpa grave e condannato il ricorrente per un "comportamento contrastante con uno specifico parametro comportamentale voluto da regole normative di cautela e di protezione dell'ente locale", con ciò elaborando una nuova regula iuris, affatto sconosciuta nel nostro ordinamento giuridico, secondo cui la responsabilità amministrativa sussisterebbe anche senza il requisito del dolo o della colpa grave.
5. - Con il terzo motivo, il D. deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 8, in relazione all'art. 362 c.p.c., comma 1, in punto di eccesso di potere giurisdizionale laddove la Corte dei Conti ha confermato integralmente la sentenza di primo grado anche in relazione al danno erariale pretesamente arrecato all'ente locale in un arco temporale in cui il ricorrente non rivestiva la carica di assessore al patrimonio del Comune di Napoli, con ciò elaborando una nuova regula iuris, anch'essa affatto sconosciuta nel nostro ordinamento nella ricostruzione del ricorrente, secondo cui ogni soggetto titolare di funzioni di indirizzo politico-amministrativo all'interno della P.A. risponderebbe anche del danno arrecato all'erario in un arco temporale in cui egli non abbia rivestito alcuna carica istituzionale ovvero sarebbe chiamato a rispondere anche dei danni in alcun modo riconducibili a condotte, commissive o omissive, avvenute in costanza di rapporto di servizio.
6. - La Procura generale presso la Corte dei Conti deduce in primo luogo l'inammissibilità del ricorso alla luce del giudicato implicito formatosi sull'attrazione della controversia alla giurisdizione del giudice contabile, non essendone mai stato contestato, nel corso del giudizio di merito, il difetto di giurisdizione, quindi chiede il rigetto del ricorso.
7. - Preliminarmente, il rilievo della Procura generale relativo alla inammissibilità del ricorso per intervenuta formazione del giudicato interno in punto di giurisdizione è infondato, dovendosi escludere l'intervenuta formazione del giudicato interno.
Il D. non ha inteso contestare, nè nel corso dei due gradi di merito nè ora, in sede di legittimità, che l'azione esercitata nei suoi confronti, di responsabilità per danno erariale, rientri nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti. Ciò che ha contestato è che, per il modo in cui quell'attività giurisdizionale è stata esercitata, essa si collochi nel limitato ambito di censurabilità, dinanzi alla Corte di cassazione dei provvedimenti decisori del giudice contabile, ossia che sia configurabile un eccesso di potere giurisdizionale per come il giudizio si è svolto.
La possibilità di proporre ricorso per cassazione, deducendo la configurabilità dell'ipotesi dell'eccesso di potere giurisdizionale da parte di un giudice speciale, non è in alcun modo preclusa dalla accettazione della giurisdizione sul merito della controversia, derivante dal non aver sollevato la relativa questione nei gradi di merito. Come già più volte affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, infatti, "Il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per motivi di giurisdizione, avverso le pronunce emesse dalla Corte dei Conti, non trova ostacolo nella circostanza che tale questione non sia stata sollevata nelle precedenti fasi processuali, ricollegandosi l'effetto preclusivo al solo maturarsi del giudicato interno formatosi per la mancata impugnazione di una pregressa pronuncia resa esplicitamente sulla giurisdizione, ovvero sul merito, nel presupposto implicito della giurisdizione medesima" (da ultimo, Cass. S.U. n. 8095 del 2020; in precedenza, Cass. S.U. n. 18758 del 2008, Cass. S.U. n. 2707 del 1989).
8. - Nondimeno, il ricorso è inammissibile.
La vicenda che vede il D. condannato per danno erariale in questa controversia presenta indubbie singolarità: egli, Assessore al Patrimonio del Comune di Napoli nel periodo compreso tra il 7.1.2009 e il 30.5.2011, è stato ritenuto responsabile, insieme ai pubblici funzionari all'epoca responsabili del procedimento, del danno subito dal Comune di Napoli per aver inutilmente pagato i canoni di locazione di un immobile a suo tempo locato per esigenze di pubblico servizio nel periodo dal maggio 2007 al giugno 2008, ovvero quando, a seguito del recesso, l'immobile era già stato rilasciato e ne era cessata la destinazione a finalità pubbliche. E' stato ritenuto responsabile, quindi, per fatti verificatisi prima che assumesse la sua carica politica.
L'azione di responsabilità erariale promossa nei suoi confronti si inserisce in una serie di azioni promosse a seguito di una approfondita verifica da parte della Corte dei Conti delle modalità di gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli e dei contratti con i quali il Comune prendeva in locazione da privati immobili per destinarli a finalità pubbliche, con esborsi ritenuti talora inutili o ingiustificati, che portò all'introduzione di molteplici procedimenti nei confronti dei funzionari e politici ritenuti a vario titolo responsabili. Il ricorrente riferisce che in alcuni di questi procedimenti, paralleli al presente e relativi ad altri immobili, la responsabilità del D. venne esclusa (sentenze della Corte dei Conti n. 74/2016, 496/2017, 79/2018) in ragione delle funzioni meramente di indirizzo politico svolte dal D. in quanto Assessore al Bilancio ed anche in considerazione del fatto che egli divenne titolare dell'incarico in un momento successivo ai fatti e quindi che nessun apporto causale abbia potuto recare la sua condotta sulle ingiustificate erogazioni precedenti all'assunzione della carica pubblica.
Nel caso di specie, la Corte dei Conti è stata di diverso avviso, adottando una soluzione particolarmente rigida nei confronti dell'Assessore al Bilancio.
Nondimeno, il ricorso proposto è comunque inammissibile attesi i limiti particolarmente circoscritti entro i quali è rilevabile, anche alla luce dei recenti interventi della Corte costituzionale, l'eccesso di potere giurisdizionale nonostante la particolarità della fattispecie.
9. - Il confine entro il quale deve muoversi la Corte di Cassazione allorchè indaga sulla possibile violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte dei giudici speciali è ormai stato tracciato da numerose pronunce di questa che recepiscono le indicazioni cogenti di Corte Cost. n. 6 del 2018: Cass. S.U. n. 8311 del 2019 ha affermato che "Alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale - la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8 - il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per "invasione" o "sconfinamento" nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per "arretramento" rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull'erroneo presupposto di quell'attribuzione. L'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento "abnorme o anomalo" ovvero abbia comportato uno "stravolgimento" delle "norme di riferimento", atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un "error in iudicando", ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione". V. anche Cass. S.U. n. 7926 del 2019: "L'eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione - che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c. d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze "abnormi", "anomale" ovvero di uno "stravolgimento" radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per "errores in procedendo", i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell'esercizio del potere medesimo.
Nella specie, sia la valutazione giudiziale circa la sussistenza o meno, nel caso di specie, della c.d. esimente politica di cui alla L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 1-ter, sia quella sulla configurabilità o meno, nel comportamento del D., degli estremi della colpa grave, sia il rilievo relativo all'insussistenza del nesso di causalità, per aver il D. svolto la sua attività politica in un momento successivo al consumarsi dei fatti per i quali è stato ritenuto responsabile, rappresentano altrettanti scrutini giurisdizionali pacificamente riconducibili nei confini della giurisdizione contabile, e di valutazione, nell'ambito dei parametri fissati dalla legge, sulla configurabilità o meno di tale ipotesi di responsabilità, sulla cui correttezza o meno in iure questa Corte non può giudicare. Non configurano ipotesi di sconfinamento nell'ambito del potere legislativo, a mezzo della creazione di una norma non esistente.
Nessuno dei motivi di ricorso supera quindi il vaglio di ammissibilità. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la posizione di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei Conti. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l'onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombenti risultino i suoi contraddittori.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020
10-01-2021 15:31
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