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Sentenza

Ci  sono  dei  limiti  riguardo  le  attività  dei  magistrati  sui  social  network,  sia  per   espressioni/pubblicazioni di  natura privata,  sia pubblicazioni  relative  a  temi  di  interesse  generale  o di   importanza politica? C'è ugualmente una differenza tra il profilo privato e quello pubblico tenendo conto  del numero di destinatari/follower?  La partecipazione a certi "gruppi", a "like" o a "follow" sui social media può minacciare la dignità  di un magistrato?
Ci sono dei limiti riguardo le attività dei magistrati sui social network, sia per espressioni/pubblicazioni di natura privata, sia pubblicazioni relative a temi di interesse generale o di importanza politica? C'è ugualmente una differenza tra il profilo privato e quello pubblico tenendo conto del numero di destinatari/follower? La partecipazione a certi "gruppi", a "like" o a "follow" sui social media può minacciare la dignità di un magistrato?
Sulla  base  di  quanto  si  è  detto  in  ordine  alle  regole  deontologiche  
autorevolmente  stigmatizzate  dal  Presidente  della  Repubblica  e  dal  Vice  Presidente  del  
Consiglio Superiore della Magistratura, deve ritenersi che sussistono dei limiti riguardo alle 
attività dei magistrati sui social network. Questi limiti sono particolarmente penetranti con riguardo alle espressioni, esternazioni 
o pubblicazioni che hanno legami con i contenuti dei procedimenti trattati nell'ufficio o 
con le persone in essi coinvolti, giacché la legge recante la disciplina degli illeciti disciplinari 
stabilisce  che  il  magistrato  esercita  le  funzioni  con  correttezza,  riserbo  ed  equilibrio  e 
rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni (art.1 d.lgs. n. 109 del 2006). 
Le predette espressioni, esternazioni o pubblicazioni, dunque, a certe condizioni, possono 
costituire  un  illecito  disciplinare  allorché  siano  tali  da  tradursi  in  gravi  scorrettezze  nei 
confronti  delle  parti,  dei  difensori,  dei  testimoni  o  di  qualunque  soggetto  coinvolto  nel  
procedimento o nei confronti di altri magistrati (art.2, lett. d), d.lgs. n.109 del 2006). L'attività dei magistrati sui social network deve però ritenersi limitata anche quando si 
riferisca ad espressioni o pubblicazioni di natura privata, poiché la regola della sobrietà nei 
comportamenti  impone  di  non  eccedere  nell'esibizione  virtuale  di  frammenti  di  vita  
privata che dovrebbero restare riservati, al fine di non pregiudicare il necessario credito di 
equilibrio,  serietà,  compostezza  e  riserbo  di  cui  ogni  magistrato  (e,  quindi,  l'intero  ordine  
giudiziario) deve godere nei confronti della pubblica opinione. In  questa  prospettiva  le  regole  deontologiche  impongono  un  self-restraint  ancor  più  
rigoroso  nei  casi  in  cui  le  esternazioni  o  le  pubblicazioni  (ma  anche  la  creazione  di  
"amicizie" o "connessioni" virtuali o la partecipazione a "gruppi" o a "follow") abbiano 
rilevanza politica o investano temi di interesse generale.
Avv. Antonino Sugamele

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