Vietato divulgare particolari della vita intima delle persone: le vittime vanno sempre tutelate.
Il ricorrente fu accusato di stupro da una giocatrice della squadra locale di basket. I processi si sono tenuti a porte chiuse per tutelare la vittima, malgrado le richieste del ricorrente che si sentiva stigmatizzato dalle interviste rilasciate dalla giovane.
La CEDU ha escluso una violazione dell'art. 6 Cedu: vista la delicatezza della situazione (stupro) e, quindi, del processo la donna correva un rischio di vittimizzazione secondario evitabile con un processo a porte chiuse. Infatti durante lo stesso doveva rivelare aspetti intimi della sua vita ed era possibile che tali informazioni sensibili potessero essere rilevate ai media in qualsiasi fase del processo se pubblico o parzialmente a porte chiuse, sì che la donna avrebbe potuto essere stigmatizzata. Sul tema: Chaushev e a. c. Russia del 25/10/16 e si segnala la ricca sezione sulle norme internazionali a tutela delle vittime di reati. È analoga ai casi Rodina c. Lettonia, in cui si è ravvisata una deroga all'art.8 Cedu nel mettere in cattiva luce la ricorrente in reportages della televisione e di un settimanale su una faida familiare e Papadopoulos c. Grecia in cui parimenti sono state escluse deroghe all'equo processo per non avere registrato la testimonianza di un minore, avvenuta senza la presenza di uno specialista, che aveva accusato il padre di abusi sessuali. Si evidenzino anche le Conclusioni dell'AG (EU:C:2020:375, C-129/19) della CGUE del 14/5/20 sul mancato indennizzo della vittima di stupro perché i rei erano latitanti: le vittime di reato intenzionale violento, ai sensi della direttiva 2004/80/CE, devono essere sempre indennizzate dallo Stato (risarcimento simbolico o forfettario) indipendentemente dalla loro residenza, id est sia se si tratti di c.d. vittime itineranti (il reato è stato commesso in uno Stato diverso da quello di residenza) o di c.d. rei itineranti (residenti altrove o resisi irreperibili).
17-06-2020 00:07
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