Parenti ed affini - Partecipazione al giudizio - Intervento volontario necessariamente adesivo - Conseguenze - Eccezione di difetto di giurisdizione - Proponibilità - Esclusione.
Cassazione civile SEZIONI UNITE
ORDINANZA DEL 19 FEBBRAIO 2020, N. 4250
Nei procedimenti di interdizione o inabilitazione, i parenti e gli affini dell'interdicendo o dell'inabilitando - i quali, a norma dell'art. 712 c.p.c., devono essere indicati nel ricorso introduttivo - non hanno qualità di parti in senso tecnico-giuridico, né sono litisconsorti, ma svolgono funzioni "consultive", essendo fonti di informazione per il giudice, sicché la loro partecipazione al giudizio va inquadrata nell'ambito dell'intervento volontario a carattere necessariamente adesivo (delle ragioni dell'istante o del soggetto della cui capacità si discute); ne consegue che costoro, non essendo assimilabili al convenuto in giudizio, non sono legittimati ad eccepire il difetto di giurisdizione, e ciò sia in riferimento all'art. 11 della l. n. 218/1995 che in riferimento alle disposizioni generali di cui all'art. 268 c.p.c.
GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE IN GENERALE - DIFETTO DI GIURISDIZIONE - IN GENERE.
Interdicendo - Eccezione di difetto di giurisdizione – Proponibilità – Limiti – Artt. 4 e 11 della l. n. 218 del 1995 - Applicabilità - Fattispecie.
Nel giudizio di interdizione, regolato – per quanto non derogato da norme speciali - dai principi propri del processo ordinario di cognizione, l'interdicendo, convenuto in lite, può eccepire il difetto di giurisdizione ex art. 11 della l. n. 218/1995 soltanto ove non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione proposta da un interdicendo dopo che, nella comparsa di costituzione, si era difeso nel merito senza sollevare la questione).
Con riferimento al primo principio, si richiama Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15346/2000: Nel giudizio di interdizione parenti ed affini dell'interdicendo non hanno qualità e veste di parti in senso proprio, avendo essi un compito "consultivo" e cioè di fonti di utili informazioni al giudice. Ditalché, escluso che detti parenti ed affini siano qualificabili come parti necessarie del procedimento, ne discende che, non intervenuti né chiamati in primo grado e facoltizzati ad impugnare la prima sentenza sol deducendo fatti ed informazioni indebitamente pretermesse per effetto della loro esclusione, certamente non sono ammessi a dedurre in sede di legittimità - e per la prima volta - pretesi vizi correlati alla ridetta esclusione.
Con riguardo al secondo principio, si vedano:
a) Sez. 1, Sentenza n. 21718/2005: Il procedimento di interdizione, pur presentando numerose peculiarità, essendo caratterizzato dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, che esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo, dagli ampi poteri inquisitori del giudice, dalla particolare pubblicità della sentenza e dalla sua revocabilità, si configura pur sempre come un procedimento contenzioso speciale, il che comporta l'applicazione ad esso di tutte le regole del processo di cognizione, salvo le deroghe previste dalla legge. In particolare, essendo anche in questo caso il regolamento delle spese conseguenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, la condanna al pagamento delle spese di lite legittimamente può essere emessa, a carico della parte soccombente, anche d'ufficio, in mancanza di un'esplicita richiesta della parte vittoriosa, a meno che risulti che esista una esplicita volontà di quest'ultima di rinunziarvi.
b)Sez. 1, Sentenza n. 21013/2013: Il processo di interdizione o di inabilitazione si configura come un procedimento contenzioso speciale disciplinato, ove non diversamente disposto, sia pure con rilevanti deviazioni, dalle regole del rito ordinario che non siano con esso incompatibili: pertanto, l'appello avverso la sentenza dichiarativa dell'interdizione va proposto con atto di citazione e, ove il gravame sia erroneamente proposto con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre aver riguardo non alla data di deposito di quest'ultimo, ma alla data in cui esso risulti notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza.
30-08-2020 14:33
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