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Sentenza

Medico e professore universitario, viene condannato per peculato per essersi appropriato delle somme erogate dai pazienti nell’esercizio dell’attività intra moenia, riscosse senza rilasciare ricevute fiscali. Viene interdetto dai pubblici uffici per 5 anni e sospeso dal servizio che prestava presso l’Università di Pisa.
Medico e professore universitario, viene condannato per peculato per essersi appropriato delle somme erogate dai pazienti nell’esercizio dell’attività intra moenia, riscosse senza rilasciare ricevute fiscali. Viene interdetto dai pubblici uffici per 5 anni e sospeso dal servizio che prestava presso l’Università di Pisa.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 giugno – 5 agosto 2020, n. 16722
Presidente Mammone – Relatore Doronzo

Fatti di causa

1.- B.P. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Pisa, quale giudice del lavoro, l'Azienda Ospedaliero-Universitaria (omissis) (d'ora in poi AOUP o Azienda) e l'Università di Pisa chiedendo - per quanto rileva in questa sede - la condanna dell'Azienda a corrispondergli differenze retributive e altri emolumenti non versati durante il periodo di sospensione dall'attività lavorativa, nonchè a risarcirgli i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all'illegittimo allontanamento definitivo dal servizio e alla condotta di mobbing-bossing adottata nei suoi confronti.
1.2.- A fondamento della domanda ha esposto:
di aver lavorato come dirigente medico di primo livello presso il reparto di Chirurgia Generale della Azienda dal 5/1/2000 e di aver esercitato l'attività libero professionale intramuraria dal settembre 2000;
di essere stato nominato professore associato straordinario con decreto rettorale dell'Università di Pisa dal 1/7/2006, così sommando i compiti tipici del rapporto di impiego con l'Università di Pisa con quelli del rapporto di servizio con la Azienda;
di essere stato sottoposto ad un procedimento penale per il reato di peculato, per essersi appropriato tra il 2001 e il 2003 delle somme erogate dai pazienti visitati nell'esercizio dell'attività intra moenia, riscosse senza rilasciare le ricevute fiscali;
di essere stato denunciato dall'Azienda alla Corte dei conti per danno erariale;
di essere stato condannato in primo grado, con sentenza n. 206 del 5/9/2011 del Tribunale di Pisa, alla pena di anni tre di reclusione, oltre alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni;
di essere stato sospeso dal servizio in via cautelare dal Rettore della Università, per la durata di anni cinque, a far data dal 1/8/2011, e di essere stato destinatario di analogo provvedimento adottato dall'Azienda, con sospensione di tutte le competenze economiche;
di essere stato assolto dalla Corte dei conti per l'improcedibilità della domanda di risarcimento del danno all'immagine poichè "la sentenza penale irrevocabile di condanna del B. non (era) intervenuta nemmeno nelle more del giudizio";
di essere stato invece condannato dalla Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale, alla pena di anni uno e sei mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena e revoca delle pene accessorie;
di essere stato poi prosciolto dal diverso reato di abuso in atti d'ufficio (così riqualificato dalla Corte di cassazione il reato di peculato) per intervenuta prescrizione, con sentenza del 13/5/2016 della Corte d'appello di Firenze in sede di rinvio dalla Corte di cassazione;
di essere stato riammesso in servizio con provvedimento del Rettore dell'Università di Pisa del 26/7/2016, con decorrenza dal 1/8/2016;
di avere invece ricevuto in data 12 agosto 2016 comunicazione dalla Azienda del suo definitivo allontanamento dalle attività assistenziali.
2.- Nel giudizio si è costituita la Azienda, la quale, in via riconvenzionale e previa richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa dei terzi, Casa di cura San Michele S.r.l. di (omissis) e Casa di cura Villa del Sole S.r.l. (CS), ha chiesto la condanna del B. al risarcimento del danno patrimoniale (da lucro cessante per lesione dell'attrattività dei pazienti e da indebita appropriazione dei compensi per le prestazioni rese in libera professione intramuraria) e non patrimoniale (danno all'immagine e danno per l'indebita spendita del nome) conseguente alla sua attività inadempiente nel periodo di sospensione cautelare, consistita (tra l'altro) nell'esercizio di attività libero professionale, anche chirurgica, in studi e cliniche private accreditate con il servizio sanitario nazionale, in violazione del rapporto esclusiva che lo legava all'azienda, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53. In forza di tale disposizione, ha chiesto la condanna del B. al versamento, in solido con le case di cura private, di ogni compenso relativo all'attività indebitamente svolta presso le dette strutture.
3.- Il Tribunale di Pisa ha separato la domanda proposta dal B. avente ad oggetto l'impugnazione dell'allontanamento dalle attività assistenziali (licenziamento) dalle altre domande, risarcitorie e riconvenzionali, che pertanto hanno dato vita al giudizio iscritto al n. di R.G. 289/2017.
3.1.- Nell'ambito di quest'ultimo giudizio, con ricorso notificato in data 7 giugno 2019, il B. ha proposto, dinanzi a questa Corte, ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, dubitando della giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dalla Azienda, essendo a suo parere sussistente la giurisdizione della Corte dei conti.
Hanno resistito con controricorso l'Azienda e l'Università di Pisa, che hanno concluso per l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
4.- Il regolamento di giurisdizione è stato avviato alla trattazione camerale sulla base delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 380-ter c.p.c., il quale ha chiesto che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
In prossimità della camera di consiglio, il B. ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. A fondamento del ricorso, il B. assume che le condotte a lui addebitate, e poste a base della domanda riconvenzionale dell'Azienda, integrino un'ipotesi di responsabilità amministrativa, ex art. 28 Cost., cui è stata data attuazione con il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e, oggi, con il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 1, complesso normativo che individua nella Corte dei Conti il "giudice naturale degli interessi pubblici alla buona gestione delle risorse".
1.2.- Osserva che della responsabilità contabile ricorrono tutti gli elementi tipici, ossia: a) il rapporto di impiego e di servizio che lega l'autore dell'illecito all'amministrazione che risente dell'illecito; b) la violazione di obblighi strumentali al corretto esercizio delle funzioni istituzionali, quali quelli imposti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7; c) l'evento lesivo, costituito dall'illegittimo sacrificio di un bene pubblico della Pubblica amministrazione, costituito, nella specie, da un lato, nel danno all'attrattività dell'azienda ospedaliera, da sviamento dei pazienti e all'immagine dell'azienda, dall'altro, nel mancato riversamento dei compensi indebitamente ricevuti ex art. 53 D.Lgs. cit..
1.3.- Rileva che, con riguardo a quest'ultima ipotesi, la L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 42, lett. d) (legge anticorruzione), nell'inserire il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7 bis, ha espressamente previsto la giurisdizione del giudice contabile, avendo disposto che "L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti".
1.4.- Reputa irrilevante che parte della condotta risalga ad un periodo precedente all'introduzione, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, del comma 7 bis cit., dovendo trovare applicazione l'art. 5 c.p.c., e il principio della perpetuatio iurisdictionis, con la conseguenza che la regola di giurisdizione imposta dal citato comma 7 bis deve applicarsi anche alla fattispecie in esame, in quanto legge vigente al momento della proposizione della domanda giudiziale (ricorso del 28/2/2017), anche se riferibile a fatti avvenuti anteriormente.
1.5.- Ritiene che anche il danno all'immagine della p.a. costituisca ipotesi di responsabilità contabile, essendo espressamente disciplinata dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102, e che, in difetto dei presupposti per la sua configurabilità ai fini dell'azione dinanzi al giudice contabile (esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna per un delitto contro la pubblica amministrazione), non sia possibile proporre la domanda dinanzi al giudice ordinario (a tal fine invoca Corte Cost. 15/12/2010, n. 355 e Corte dei conti, 13/8/2011, n. 13).
1.6.- Sostiene poi che, con riguardo all'ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 7 e 7 bis, deve ritenersi prevalente l'indirizzo segnato da Cass. Sez. Un. 2/11/2011, n. 22688, e da Cass. sez. Un., 22/12/2015, n. 25769, secondo cui l'omesso versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale, soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.
2. Conformemente alle conclusioni del Procuratore Generale, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
2.1. In via preliminare deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del regolamento preventivo sollevata dall'Azienda controricorrente, sul presupposto che le questioni poste non riguarderebbero la giurisdizione bensì la proponibilità della domanda. A tal fine l'Azienda ha citato Cass. 24/3/2006, n. 6581.
2.2. Sull'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, deve essere richiamata la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, secondo cui il regolamento deve ritenersi ammissibile anche quando sia volto a delimitare le sfere giurisdizionali tra giudizio contabile e l'ordinario giudizio di responsabilità civile, rispondendo al diritto vivente di questa Corte regolatrice offrire alle parti, anche in questo tipo di giudizi, la tutela di un controllo preventivo in ordine alla sussistenza o meno della giurisdizione della Corte dei conti (cfr. Cass. Sez.Un., 2/7/2015, n. 13567; Cass. Sez. Un., 18/5/2015, n. 10094; Cass. Sez. Un., 29/4/2015, n. 8622; Cass. Sez.Un. 11/7/2014, n. 15943; Sez. Un., 22/9/2014, n. 19891).
2.3. Questi principi non sono contraddetti da Cass. n. 6581/2006, cit., nè dalle pronunce successive (Cass. Sez.Un. 4/01/2012, n. 11; Cass. Sez. Un., 10/9/2013, n. 20701; Cass. Sez.Un., 28/11/2013, n. 26582; Cass. Sez.Un. 19/2/2019, n. 4883; Cass. Sez.Un. 7/5/2020, n. 8634), nelle quali si ritrova sovente l'affermazione che le eventuali interferenze tra il giudizio di responsabilità per danno erariale e quello di responsabilità civile promosso dalle singole amministrazioni interessate davanti al giudice ordinario, anche quando investono i medesimi fatti materiali, non integrano una questione di giurisdizione, bensì di proponibilità della domanda.
2.4. Tale affermazione - che si ritrova peraltro espressa proprio in sede di regolamenti preventivi, culminati tutti con una decisione sulla giurisdizione (cfr. per tutte, Cass. Sez.Un. 4883/2019) - non confligge con la possibilità che una delle parti del processo metta in discussione in astratto la sussistenza stessa della potestas iudicandi del giudice contabile o di quello ordinario investiti della cognizione della causa, e chieda alla Corte regolatrice un controllo preventivo in ordine alla sussistenza o meno della giurisdizione.
2.5. Questa soluzione interpretativa, oltre a soddisfare il predetto interesse oggettivo (evidenziato anche dalla natura non impugnatoria del regolamento preventivo), non produce eccessivi ritardi della durata del processo e previene significative lesioni del diritto di difesa, posto che l'eventuale accoglimento del regolamento, nel senso auspicato dalla parte ricorrente, consentirebbe la transiatio iudicii ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 59 della parte interessata, con il recupero delle attività processuali svolte innanzi al giudice dichiarato privo di giurisdizione, evitando cosi, anche sul piano sostanziale, eventuali decadenze (in termini, Cass., Sez. Un. 16/12/2013, n. 27997).
3. In realtà, l'asserto che le interferenze tra giudizio contabile e giudizio ordinario (civile o penale) danno luogo a questioni di proponibilità della domanda e non di giurisdizione, lungi dall'escludere l'ammissibilità del regolamento ogni qualvolta si dubiti della sussistenza della potestas iudicandi del giudice adito (cfr. Cass. Sez.Un. 28/9/2016, n. 19072, che in un caso sovrapponibile a quello in esame ha ritenuto ammissibile il regolamento di giurisdizione, dissentendo da Cass. n. 6581/2006 e n. 63/2014, di cui ha evidenziato le peculiarità dei casi concreti) ha la sola finalità di rimarcare l'autonomia del giudizio amministrativo contabile, e quindi dell'azione di responsabilità esercitata dal Procuratore presso la Corte dei Conti, rispetto ai giudizi civili, amministrativi e disciplinari che possono intercorrere tra i soggetti passivi dell'azione contabile ed i soggetti danneggiati e che l'amministrazione può promuovere anche nei confronti di terzi ad essa estranei, autori del danno, per farne valere la responsabilità anche solidale (Cass. Sez.Un. 20701/2013, cit.).
3.1. L'assoluta autonomia dei giudizi è stata consacrata anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 104/1989, seguita dalla sentenza n. 1/2007.
Nel giudizio contabile, invero, il Procuratore generale della Corte dei conti agisce quale pubblico ministero portatore di obiettivi interessi di giustizia nell'esercizio di una funzione neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, rappresentando un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell'ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati, non l'interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure convergenti con il primo (Corte Cost. n. 104 del 1989, n. 1 del 2007, n. 291 del 2008).
3.2. Tale azione, a carattere necessario, non potrebbe mai essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate (Cass., sez. un., 18/12/2014, n. 26659; Cass. Sez.Un. 19/2/2019, n. 4883), le quali ben possono promuovere dinanzi al giudice ordinario l'azione civilistica di responsabilità a titolo risarcitorio, facendo valere il proprio interesse particolare e concreto (Cass. Sez.Un. 10/9/2013, n. 20701), non essendo neppure in astratto ipotizzabile che detti soggetti non possano agire in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti e interessi (artt. 3 e 24 Cost.), tanto più in mancanza di specifiche norme derogatorie.
3.3. Nè può farsi valere, per impedire all'amministrazione creditrice di agire davanti al giudice ordinario, la disposizione di cui al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 52 (estesa dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, ai dipendenti e amministratori degli enti locali), che assoggetta alla giurisdizione contabile i funzionari e impiegati pubblici autori per colpa di danno allo Stato e ad altra amministrazione, essendo detta giurisdizione ammessa dall'art. 52 pur sempre "nei casi e modi previsti dalla legge".
3.4. L'autonomia tra le due azioni emerge evidente anche se si guarda alle rispettive finalità: l'azione contabile ha una funzione prevalentemente sanzionatoria (Cass. Sez. Un. 2/9/2013, n. 20075 e 12/4/2012, n. 5756) e si caratterizza per una "combinazione di elementi restitutori e di deterrenza" (cfr. Corte Cost. 20/11/1998, n. 371 e Corte Cost. 30/12/1998, n. 453); non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante; solo in determinati casi (a differenza dell'azione civile in cui il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi) è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno (Cass. Sez.Un. 2/9/2013, n. 20075); richiede (a differenza dell'azione civile per la quale è sufficiente la sola colpa) il dolo o la colpa grave; diversamente, l'azione civile o penale proposta dalle amministrazioni interessate è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola amministrazione attrice (Cass. Sez.Un. 27/8/2019, n. 21742; Cass. 4883/2019, cit.; Cass.20/12/2018, n. 32929, Cass. 14/7/2015, n. 14632; Cass. n. 6372014, cit.).
In altri termini, le due azioni restano reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali (Cass. Sez.Un. 3/2/1989, n. 664; Cass. Sez.Un. 4/1/2012, n. 11), declinandosi il rapporto tra le stesse in termini di alternatività e non già di esclusività (Cass. Sez.Un. 22/12/2009, n. 27092).
3.5.- La diversità di funzione e di presupposti delle due azioni esclude così che possa prospettarsi una violazione del principio del ne bis in idem (Cass. Sez.Un. 27/8/2019, n. 21742; Cass. 20/12/2018, n. 32929; Cass. 14/7/2015, n. 14632; Cass. Sez.Un. 28/11/2013, n. 26582; Cass. 11/6/2007, n. 13662), anche alla stregua della recente giurisprudenza Cedu - a mente della quale il principio deve ritenersi violato solo ove l'ordinamento assoggetti la medesima condotta ad una pluralità di giudizi di responsabilità distinti unicamente sotto il profilo della sanzione e non anche quanto ai relativi presupposti (cfr. Cedu 4/3/2014, Grande Stevens e altri c. Italia) (Cass. n. 14632/2015, cit.; Cass. Sez.Un., n. 21742/2019, cit.).
3.6. Così delineato il rapporto tra le due azioni, deve escludersi che il mancato esercizio dell'una costituisca condizione di proponibilità dell'altra, atteso che "il giudizio civile volto ad ottenere la liquidazione del danno patito dall'Amministrazione può essere instaurato e definito anche allorquando il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei Conti sia già arrivato a decisione, quante volte quest'ultimo non si sia concluso con una pronuncia di condanna al ristoro integrale del pregiudizio; pena, altrimenti, l'irragionevole compressione della legittima aspettativa ad una integrale compensazione facente capo all'Amministrazione danneggiata. Con l'unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in sede contabile, che il debitore potrà far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione" (Cass. Sez.Un., n. 14632/2015, cit.; Cass. Sez.Un. 32929/2018).
4. Ferma dunque l'ammissibilità del regolamento, con riferimento alla controversia avente ad oggetto il pagamento delle somme percepite dal pubblico dipendente nello svolgimento di un incarico non autorizzato, queste Sezioni unite hanno già espresso il principio secondo cui essa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario anche dopo l'inserimento, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, del comma 7 bis, attesa la natura sanzionatoria dell'obbligo di versamento previsto dal comma 7 cit., che prescinde dalla sussistenza di specifici profili di danno richiesti per la giurisdizione del giudice contabile (Cass. 26/6/2019, n. 17124; Cass., Sez. Un., 3/8/2018, n. 20533; Cass., Sez. Un., 28/5/2018, n. 13239; Cass. 9/3/2018, n. 5789; Cass. 19/01/2018, n. 1415; Cass. Sez. Un., 10/1/2017, n. 8688; Cass. Sez.Un. 28/09/2016, n. 19072).
4.1. Da ultimo, Cass. Sez.Un. 14/1/2020, n. 415, ha specificato che l'azione di responsabilità erariale non interferisce con l'eventuale azione di responsabilità amministrativa della P.A. contro il soggetto tenuto alla retribuzione, l'azione D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 53, comma 7, ponendosi rispetto ad essa in termini di indefettibile alternatività (v. anche Cass. Sez. Un., 26/6/2019, n. 17124).
4.2. Al riguardo, va rilevato che, nel caso in esame, nessuna azione è stata promossa dal Procuratore generale della Corte dei conti volta ad ottenere la restituzione dei compensi percepiti in conseguenza di attività libero professionale svolta dal B. senza autorizzazione, in violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7 e 7 bis.
E' altresì incontestato che la Corte dei conti ha dichiarato improcedibile la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno all'immagine sicchè non può profilarsi alcun conflitto di giudicati - peraltro non dedotto - e neppure può porsi una questione di violazione del principio del ne bis in idem, considerato il tenore meramente in rito della sentenza della Corte dei Conti.
4.3. In tale prospettiva, non giova alla tesi del ricorrente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale 15/12/2010, n. 355, che ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 78 del 2009, art. 17, comma 30 ter, nella parte in cui prevede che le procure regionali della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e modi previsti dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 7 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche).
4.4. Contrariamente all'assunto del ricorrente, secondo cui il Giudice delle leggi, nella sentenza citata, avrebbe escluso la possibilità di una concorrente azione del giudice ordinario, questa Corte (Cass. Pen. 18/7/2017, n. 35205; Cass. Pen. 23/10/2017, n. 48.603) si è già espressa nel senso che "In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, è ammessa la costituzione di parte civile per far valere il risarcimento del danno all'immagine arrecato all'ente pubblico, non essendo prevista una riserva di giurisdizione esclusiva in favore del giudice contabile, in quanto la L. 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 3-ter, nel prevedere la proposizione dell'azione risarcitoria da parte della Procura della Repubblica presso la Corte dei Conti nel giudizio erariale, si limita a circoscrivere oggettivamente l'ambito di operatività dell'azione, senza introdurre una preclusione alla proposizione della stessa dinanzi al giudice ordinario".
In altri termini, la ratio della norma è quella di individuare i casi di iniziativa della procura della corte dei conti per danno all'immagine, senza che ciò comporti alcuna preclusione per l'esercizio della giurisdizione ordinaria.
5. Quanto infine all'altre domande risarcitorie, è pure incontestato che con la sentenza n. 279 del 8/8/2013 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, ha condannato il B. al pagamento in favore dell'azienda di somme dovute ad altro titolo rispetto a quelle azionate nel giudizio a quo (percentuale sul compenso per interventi chirurgici e visite ambulatoriali in intramuraria, che se fossero state legittimamente effettuate in regime di libera professione sarebbero spettate all'azienda, somme corrispondenti agli onorari percepiti dal B. per 178 visite effettuate presso studi privati o presso la stessa azienda e non fatturate, v. pag. 7 del controricorso).
6. Spetta in ogni caso al giudice di merito - attenendo la questione alla fondatezza nel merito della domanda e non già alla giurisdizione - verificare se le specifiche voci di danno richieste abbiano già costituito oggetto del giudizio dinanzi alla Corte dei conti e se, in tale sede, il B. sia stato condannato al pagamento delle voci corrispondenti, dovendosi rispettare, come su chiarito, il principio del divieto del bis in idem.
7. Conclusivamente, tutte le domande proposte dalla Azienda rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale le parti devono essere rimesse anche per la regolamentazione delle spese del presente procedimento. Non integrando il regolamento di giurisdizione un mezzo di impugnazione, non sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.
Avv. Antonino Sugamele

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