Le Sezioni Unite argomentano e decidono sulla sdemanializzazione tacita
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 7739/20; depositata il 7 aprile 2020
SENTENZA sul ricorso 6865-2019 proposto da: B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell'avvocato CESARE PERSICHELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato SERGIO LAZZARINI; - ricorrente - contro AGENZIA DEL DEMANIO;
- intimata - avverso la sentenza n. 189/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 22/11/2018. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2020 dal Consigliere ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale IMMACOLATA ZENO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato Sergio Lazzarini. FATTI DI CAUSA 1. Con l'impugnata sentenza, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, respinto l'appello principale di B.P., confermava la decisione del Tribunale Regionale che aveva rigettato l'originaria domanda, formulata dal medesimo B., di accertamento della natura non più demaniale dell'area sulla quale era stato eretto un «edificio razionalista», già sede della «Associazione Motonautica Italiana Lario», affacciante sul lago di Como; inoltre, con il rigetto dell'appello principale, il TSAP riteneva assorbito l'appello incidentale proposto dall'Agenzia del Demanio, che sin dall'inizio aveva chiesto la declaratoria di inammissibilità dell'avversaria domanda per mancanza di interesse processuale, in thesi perché la stessa era intesa ad ottenere un mero accertamento fattuale. 2. Il TSAP, dopo aver ricordato che l'area in discussione era stata oggetto di rilascio di concessione nell'anno 1927, reputava che detto provvedimento non potesse costituire «equipollente» di un atto di sdemanializzazione, sia perché lo stesso non rispettava le rigorose forme stabilite dall'art. 23 r.d. 1 dicembre 1895 n. 726, sia perché le opere dovevano essere considerate precarie ai sensi dell'art. 47 r.d. n. 726 cit., disposizione che prevedeva la rimessa in pristino stato allo scadere del diritto concessorio; ma, «soprattutto», così il TSAP, perché doveva ritenersi che una «sdemanializzazione tacita» dell'area avrebbe potuto riconoscersi soltanto per effetto di atti incompatibili con la volontà dell'amministrazione di conservarne la destinazione ad uso pubblico, ma che tale non poteva essere considerato l'atto di assenso alla realizzazione sulla stessa di opere utilizzabili per scopi privati. 3. B.P. ricorreva per un unico complesso motivo, anche illustrato da memoria; l'Agenzia demaniale restava intimata. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorrente, con il suo unico articolato motivo, denunciata la violazione dell'art. 429 c.c. del 1895, degli artt. 96 e 97 r.d. 25 luglio 1904 n. 523, in generale del r.d. 10 dicembre 1895 n. 726, lamentava l'eccentricità della motivazione del TSAP, atteso che oggetto della ricognizione giudiziale non doveva essere una «tacita sdemanializzazione » dell'area, cioè il passaggio di un bene dal demanio al patrimonio disponibile dello Stato in assenza del formale provvedimento di declassificazione previsto dall'art. 829 c.c. del 1942; diversamente, spiegava il Brenni, quello che il TSAP avrebbe dovuto decidere era il passaggio dell'area da bene demaniale a patrimonio disponibile dello Stato secondo le regole di cui all'anteriore art. 429 c.c. del 1865, applicabile ratione temporis perché la concessione era stata rilasciata nell'anno 1927, cioè in epoca precedente a quella dell'entrata in vigore del codice civile del 1942; art. 429 c.c. del 1865 che, continuava il B. per il passaggio di un bene demaniale al patrimonio disponibile dello Stato, non richiedeva alcun formale provvedimento di declassificazione, come invece in attualità era previsto dall'art. 829 c.c. del 1942, ma subordinava il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato, al semplice verificarsi del fatto obbiettivo della cessazione della destinazione pubblica dei beni; un fatto che, però, erroneamente il TSAP non aveva accertato, avendo appunto frainteso la domanda nei termini precedentemente esposti. 1.1. Il motivo è inammissibile; deve essere chiarito che l'art. 829 c.c. del 1942, si pone in continuità con l'antecedente rappresentato dall'art. 429 c.c. del 1865; e, questo, nel senso che il primo prevede che il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio disponibile dello Stato può essere semplicemente dichiarato dall'autorità amministrativa, con ciò riconoscendo espressamente al provvedimento di declassificazione natura esclusivamente dichiarativa, cioè soltanto ricognitiva della perdita della destinazione ad uso pubblico del bene (Cass. sez. I n. 12555 del 2013; Cass. sez. II n. 10817); ricavandosi, da questo, la pacifica conclusione che il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato consegue direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del bene, cosiddetta sdemanializzazione tacita, locuzione che evidenzia come la declassificazione prescinde dal provvedimento dell'autorità amministrativa, diversamente da quanto invece previsto dall'art. 35 c. nav. per il demanio marittimo e dall'art. 947, comma 3, c.c. per il demanio idrico (Cass. sez. II, 11/05/2009, n. 10817 del 2009; Cass. sez. H n. 14666 del 2008); cosicché, cioè prendendo atto di questo, la Corte ha già in passato avuto occasione di chiarire che la regola contenuta nell'art. 829 c.c. del 1942 è rimasta quella stessa dell'art. 429 c.c. del 1865, poiché anche oggi, come ieri, trattasi unicamente di stabilire, con un tipico accertamento di fatto, se il bene abbia mantenuto o perduto la sua destinazione ad uso pubblico (Cass. sez. II n. 21018 del 2016; Cass. sez. I n. 5817 del 1981); un accertamento che il TSAP ha per vero compiuto, sia negando che la concessione abbia di per sé dato luogo alla perdita della destinazione ad uso pubblico dell'area, sia negando che le opere realizzate sulla stessa, seppure assentite, avessero fatto venire meno il carattere pubblico dell'uso; nessuna violazione di legge, quest'ultima da farsi unicamente consistere in una erronea interpretazione della fattispecie astratta, pertanto, è stata posta in essere dal TSAP; laddove, invece, con le riassunte censure, è stata la contribuente che ha, in realtà, inammissibilmente censurato l'accertamento in fatto compiuto dal TSAP, prospettando un inesistente error in iudicando (Cass. sez. I n. 24155 del 2017; Cass. sez. trib. n. 8315 del 2013). 2. In assenza di avversarie difese, non deve farsi luogo ad alcun regolamento di spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 Il Presidente
09-04-2020 12:39
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