La condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali
Sul presupposto, di carattere generale, che le spese processuali seguono la soccombenza, la norma in esame, dispone che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanni l'imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale. È condizione necessaria una pronuncia sulla restitutio in integrum o sul risarcimento del danno, che a sua volta postula, a norma dell' art. 538, 1° co., una declaratoria di condanna dell'imputato. Si ritiene, poi, che la necessità dell'iniziativa di parte sia desumibile dal sistema sia perché è difficile ipotizzare una decisione restitutoria o risarcitoria che non presupponga una previa domanda, sia perché l'art. 153 disp. att. esplicitamente prevede, per la parte civile, l'onere di presentazione di una nota spese contestualmente alle conclusioni (Garuti, Il giudizio ordinario, in AA.VV., Procedura penale, Torino, 2010, 633; Manzione, sub art. 541, in Comm. Chiavario, V, Torino, 1991, 568).
La giurisprudenza ha chiarito, anche di recente che, in prospettiva generale, in tema di pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, attesa la loro pertinenza ad una domanda privatistica innestata nel giudizio penale, il regime adottato dal legislatore in via ordinaria, con il 1° co. dell'art. 541, è fondato sul criterio di soccombenza in analogia con quanto disposto all'art. 91 c.p.c. Sulla base di questa analogia si deve ritenere che per il giudice sia quindi possibile anche disporre la compensazione parziale o totale delle spese se ricorrono giusti motivi ( C., Sez. V, 17.6.2011, G.G., inedita). Di conseguenza, il giudice di appello, quando l'imputato abbia interposto specifico gravame sul punto, ha l'obbligo di motivare, per quanto succintamente, circa le ragioni per le quali esclude la ricorrenza di giusti motivi a fini di compensazione delle spese ( C., Sez. VI, 22.5.2003, Cosma, in RP, 2004, 679).
Il giudice che accerti - per mancata presentazione delle conclusioni, all'esito del dibattimento in primo grado - la revoca della costituzione di parte civile e, conseguentemente, ometta la pronuncia in ordine al risarcimento del danno, non può condannare l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile in quanto tale pronuncia è consentita solo nel caso di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni subìti dalla parte civile ( C., Sez. V, 3.6.2010, X, in Mass. Uff., 247904).
Non è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale la sentenza che abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di condanna dell'imputato alle spese processuali, ritualmente formulata dalla parte civile ( C., Sez. I, 1.10.2009, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Mass. Uff., 245053).
La parte civile ricorrente in cassazione non può ottenere la rifusione delle spese processuali all'esito del giudizio di legittimità che si è concluso con l'annullamento con rinvio, ma può far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell'imputato, dell'obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al principio della soccombenza, con riferimento all'esito del gravame ( C., Sez. II, 18.7.2003, Larnè, in Mass. Uff., 226260; C., Sez. III, 26.6.2003, Ranzato, in RP, 2004, 764). Tuttavia, la mancata condanna dell'imputato, nella sentenza di annullamento con rinvio, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte civile vittoriosa non esonera il giudice di rinvio dall'obbligo di disporla, in base al principio della soccombenza, con riferimento all'esito del gravame ( C., Sez. I, 9.6.2010, C.F., in Mass. Uff., 247711). In modo particolare, nel procedimento che si svolge innanzi alla Corte di Cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611, va disposta la condanna dell'imputato, il cui ricorso sia dichiarato inammissibile, al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile purché quest'ultima abbia esplicato un'attività diretta alla tutela dei propri interessi ( C., S.U., 28.1.2004, G., in DPP, 2004, 426).
L'estinzione del reato per remissione della querela non consente, nel silenzio delle parti, di condannare l'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile ( C., Sez. VI, 28.5.2007, C.V., in Mass. Uff., 237176).
2. Le spese della parte civile nel caso di patteggiamento
Il complesso tema del recupero delle spese di costituzione ed assistenza sostenute dalla parte civile, nel caso di definizione del procedimento mediante applicazione di pena su richiesta dell'imputato, è da sempre assai dibattuto, e ha costituito oggetto di molteplici decisioni della Suprema Corte di legittimità, nella sua massima composizione. Ciononostante, le visioni esegetiche sviluppatesi attorno al tema non sempre hanno dato risultati operativi pacifici.
Secondo giurisprudenza pacifica sul punto va da subito chiarito che la persona offesa costituita parte civile ha diritto, in caso di sentenza di patteggiamento, alla condanna dell'imputato alla rifusione anche delle spese per l'attività svolta prima della costituzione, e quindi in fase procedimentale, e consistita nella partecipazione a incombenti di natura probatoria, in specie all'incidente probatorio ( C., Sez. VI, 18.1.2011, S.N., in Mass. Uff., 249418).
In uno dei più recenti interventi, le Sezioni Unite della Corte di legittimità hanno stabilito che è ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, in particolare per quanto attiene alla legalità della somma liquidata e alla esistenza di una corretta motivazione sul punto, una volta che sulla relativa richiesta, proposta all'udienza di discussione, nulla sia stato eccepito ( C., S.U., 14.7.2011, S.N., in Mass. Uff., 250680). Era stato già specificato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, laddove il giudice abbia omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse ( C., S.U., B.M.L., 31.1.2008, in Mass. Uff., 238426).
Inoltre, sempre secondo le direttive delle Sezioni Unite, poiché nella sentenza emessa ai sensi dell' art. 444 non può essere pronunciata la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni e, pertanto, non è simmetricamente configurabile una situazione di soccombenza da cui derivi, ex lege, il diritto della parte vittoriosa alla ripetizione delle spese sostenute per far valere la sua pretesa nel processo, deve escludersi che, nell'applicare la pena concordata, il giudice possa liquidare d'ufficio, in mancanza della domanda dell'interessato, le spese processuali a favore della parte civile ( C., S.U., 27.10.1999, Fraccari, in CP, 2000, 1148, 1914).
Per quel che concerne il quantum di spese ed il tipo di spese oggetto di condanna, è illegittima la statuizione di condanna dell'imputato alle spese sostenute dalla parte civile per la consulenza tecnica di parte in assenza di prova documentale in ordine all'esborso effettivo in favore del consulente; prova che, anche ai fini dell'apprezzamento della congruità, deve consistere non già in un mero progetto unilaterale di parcella, ma quantomeno in un progetto approvato dalla parte interessata con conseguente assunzione della relativa obbligazione ( C., Sez. IV, 18.1.2011, X, in Mass. Uff., 249418).
In tema di patteggiamento, è illegittima la statuizione di condanna dell'imputato alle spese sostenute dalla parte civile per la consulenza tecnica di parte in assenza di prova documentale in ordine all'esborso effettivo in favore del consulente; prova che, anche ai fini dell'apprezzamento della congruità, deve consistere non già in un mero progetto unilaterale di parcella, ma quantomeno in un progetto approvato dalla parte interessata con conseguente assunzione della relativa obbligazione ( C., Sez. IV, 18.1.2011, X, in Mass. Uff., 249418). Inoltre, è ricorribile per cassazione la sentenza di applicazione della pena pronunciata in un processo cumulativo nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa di parte civile, nel caso in cui le imputazioni per le quali è stata pronunciata la sentenza sono estranee alla pretesa risarcitoria e/o restitutoria ( C., Sez. V, 18.11.2010, X, in Mass. Uff., 249780).
In dottrina v. Valentini, "Processo di parti" e spese sostenute dalla parte civile, in GI, 1991, II, 237.
3. La condanna della parte civile alla rifusione delle spese processuali
Anche la parte civile, se ne è fatta richiesta, può essere condannata alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato o dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, qualora sia rigettata la richiesta di restitutio in integrum o di risarcimento del danno. A differenza del regime del codice Rocco, non solo risultano più precisi i presupposti di detta condanna, ma essa non è connessa inevitabilmente al proscioglimento dell'imputato - che peraltro in passato doveva essere pieno e sottendere una sorta di colpa grave della parte civile - potendosi, invece, essere collegata alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato solo sul piano penale, ma non su quello "civilistico". Inoltre, il riferimento all'assoluzione dell'imputato esclude che possano dar luogo alla pronuncia in esame sentenze diverse da quelle dibattimentali, tra le quali vanno comprese anche quelle di insufficienza o di contraddittorietà delle prove a carico, con esclusione di quelle determinate da difetto di imputabilità, sul presupposto che tale ultima pronuncia postula l'antigiuridicità del fatto.
È possibile, tuttavia, che il Giudice dichiari la compensazione totale o parziale delle spese per "giustificati motivi", come nel caso di sopraggiunta estinzione del reato (Cordero, Procedura penale, Milano, 2006, 898). La possibilità per il Giudice di dichiarare la compensazione totale o parziale, è esercitabile tanto nel caso di condanna dell'imputato e del responsabile civile in favore della parte civile, tanto nell'ipotesi inversa, se ricorrano «giusti motivi», tra i quali è da annoverarsi il concorso di colpa della persona danneggiata. La decisione del Giudice di merito di compensare totalmente (o parzialmente) le spese processuali sia espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge e, quindi, incensurabile in cassazione, salvo che essa non sia fondata su ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale.
In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M. ( C., S.U., 25.10.2005, P.G. Reggio Calabria in proc. M.L., in Mass. Uff., 232165).
Più in particolare, l'inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di non luogo a procedere proposto dalla persona offesa costituita parte civile comporta la condanna di quest'ultima a rifondere all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, le spese sostenute nel giudizio di legittimità; detta statuizione, ancorché non prevista espressamente dal codice di rito penale, deve essere adottata in base al principio generale di causalità e di soccombenza, di cui sono espressione non solo gli artt. 541, 2° co. e 592, 4° co., ma, più in generale, l'art. 91 c.p.c. che viene in causa trattandosi di un giudizio di impugnazione che, pur se ispirato da finalità anche di ordine penale, è stato comunque promosso ad iniziativa di una parte privata, rimasta soccombente nei confronti di un'altra ( C., Sez. VI, 12.5.2010, M., in Mass. Uff., 248256).
Inoltre, è legittimo il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale per rimediare all'omessa quantificazione nel dispositivo della sentenza delle spese processuali, sostenute dall'imputato, a cui il querelante è stato condannato ( C., Sez. I, 9.2.2011, S.N., in Mass. Uff., 249894).
La Cassazione ha avuto, inoltre, modo di specificare che nel processo penale, ove non ricorrano le condizioni previste dall'art. 541, 2° co., ultima parte, non può farsi luogo a condanna della parte civile che abbia agito con colpa grave al risarcimento del danno in favore dell'imputato, dovendosi, in particolare, escludere l'applicabilità dell'art. 96, 1° co., c.p.c., attesa la radicale differenza esistente tra il giudizio penale, in cui, pur nella vigente disciplina processuale che ha inteso assimilarlo ad un processo di parti, sono comunque prevalenti la figura, il ruolo e la funzione del giudicante, ed il giudizio civile, in cui non solo l'instaurazione, ma anche i successivi atti d'impulso, sono espressione della volontà dell'attore o del convenuto ( C., Sez. V, 14.5.2008, S.E., in Mass. Uff., 240495).
Pur non avendo la parte civile, come è previsto per il querelante, un esplicito potere di impugnare i capi della sentenza relativi alla condanna alla rifusione delle spese, le Sezioni Unite hanno affermato che ha sempre diritto di ricorrere per cassazione, ai sensi dell' art. 568, 2° co., contro i capi delle sentenze che la condannano al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato ( C., S.U., 25.10.2005, P.G. Reggio Calabria in proc. M.L., in Mass. Uff., 232166).
AggiornatoDi recente le Sezioni unite hanno affrontato la questione relativa alla competenza nel giudizio di legittimità a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, indicando che spetta al giudice di rinvio o a quello che ha emesso la sentenza passata in giudicato, liquidare tali spese, mediante l'emissione del decreto di pagamento, ai sensi degli artt. 82 e 83, D.P.R. 30.5.2002, n. 115 ( C., S.U., 26.9.2019-12.2.2020, n. 5464).
Aggiornato In dottrina v. il commento di Montagna, Chi liquida le spese della parte civile ammessa al gratuito patrocinio? La risposta delle SS.UU., in Quot. Giur., 14.2.2020.
Massima
Nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio od a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83, D.P.R. n. 115 del 2002.
sentenza Cass. pen., Sez. Unite, 26/09/2019, n. 5464
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico - Presidente -
Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Consigliere -
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere -
Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.F.G., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 11/05/2018 della Corte di Assise di appello di Napoli;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Componente DOVERE Salvatore;
lette le richieste del Pubblico Ministero, nella persona dell'Avvocato generale GAETA Pietro, che ha concluso chiedendo che gli atti vengano restituiti alla Corte di Assise di appello di Napoli perchè provveda alla liquidazione degli onorari e delle spese spettanti all'avv. D.F.G. per l'opera professionale prestata dinanzi alla Corte di cassazione in favore della parte civile M.L..
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 21091 dell'8 febbraio 2018, depositata l'11 maggio 2018, la Prima Sezione della Corte di cassazione rigettava i ricorsi proposti da R.G. ed altri, imputati del delitto di omicidio commesso in danno di M.V., condannandoli, in solido, alle spese sostenute nel grado dalle parti civili D.G. e M.L., spese che liquidava, per ciascuna, in complessivi Euro 3.600,00 per onorari, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali), come per legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
L'Avv. D.F.G., con istanza datata 12 marzo 2018, chiedeva alla Corte d'assise d'appello di Napoli la liquidazione del compenso per l'attività professionale prestata dinanzi alla Corte di cassazione in favore di M.L. e depositava notula che quantificava i compensi - computati entro i valori medi tabellari per le fasi di studio, introduttiva e decisionale ed operata la riduzione di un terzo prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 106-bis, (testo unico sulle spese di giustizia) - in Euro 4.020,00, da maggiorare delle spese generali, del contributo per la Cassa di Previdenza degli Avvocati e dell'IVA e da ridurre della ritenuta d'acconto, per un totale di Euro 4.941,00.
2. Con ordinanza dell'11 maggio 2018, depositata in pari data, la Corte d'assise d'appello di Napoli, accertato che il M. era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rilevava che, nella sentenza n. 21091 del 2018, la Corte di cassazione aveva già operato la liquidazione delle spese del grado in favore di ciascuna delle parti civili costituite. Pertanto, sul presupposto che tale liquidazione dovesse coincidere con la liquidazione effettuata in favore del difensore ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e che spettasse alla stessa Corte di cassazione disporre anche la seconda delle due liquidazioni nel caso, ricorrente nella specie, in cui l'imputato è condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non ritenendosi competente a provvedere sull'istanza dell'Avv. D.F. trasmetteva gli atti alla Corte di cassazione.
3. Il procedimento instaurato presso la Corte di cassazione veniva assegnato alla Quarta Sezione penale che, all'udienza del 4 dicembre 2018, qualificava l'ordinanza della corte territoriale come "richiesta di correzione dell'errore contenuto nel dispositivo della sentenza emessa dalla Sezione Prima penale in data 8 febbraio 2018 (...) nella parte in cui determina l'ammontare delle spese liquidate a favore delle parti civili" e disponeva trasmettersi gli atti alla Prima Sezione penale.
Questa, rilevata la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza in ordine all'individuazione, per il giudizio di cassazione, del giudice competente a liquidare le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p. e ad emettere, sempre per il giudizio di legittimità, il decreto di liquidazione degli onorari in favore del difensore della medesima, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 83, comma 2, con ordinanza del 28 marzo 2019 rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
4. Con Decreto del 5 giugno 2019 il Primo Presidente ha disposto, ai sensi dell'art. 610 c.p.p., comma 2, l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, da trattarsi all'odierna camera di consiglio.
5. Con memoria del 9-16 agosto 2019, l'Avv. D.F., premesso di non essere parte del procedimento, essendo stato questo attivato d'ufficio, sostiene, in merito alla questione controversa, che la liquidazione del compenso del difensore della parte civile vittoriosa ammessa al patrocinio a spese dello Stato dovrebbe essere effettuata dal giudice di merito.
Motivi della decisione
1. La questione rimessa alle Sezioni Unite è così formulata:
"Se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, comma 2, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato".
2. Appare opportuna una breve ricognizione delle disposizioni di maggiore attinenza.
2.1. Dopo aver disposto in merito alle spese processuali che il condannato deve allo Stato (art. 535; D.P.R. n. 115 del 2002, art. 5), il codice di rito prende in considerazione le spese sostenute dalla parte civile per l'esercizio dell'azione civile nel giudizio penale. L'art. 541 c.p.p., comma 1, dispone, a tal riguardo, che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il giudice condanna l'imputato e il responsabile civile in solido al pagamento alle spese sostenute dalla parte civile, salva la possibilità di compensarle, ove ricorrano giusti motivi. La previsione è completata da quella dell'art. 153 disp. att. c.p.p., a mente del quale "agli effetti dell'art. 541, comma 1, del codice, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta al più tardi insieme alle conclusioni".
L'art. 541 c.p.p., comma 2, prende in considerazione l'ipotesi che la domanda di restituzione o di risarcimento del danno sia rigettata e quella dell'assoluzione dell'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità; in tali casi il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale. Se vi è nella parte civile colpa grave, il giudice può condannarla anche al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile.
La condanna prevista dall'art. 541 c.p.p., attiene al rapporto imputato - parte civile, regolato dal criterio della soccombenza (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 4497 del 15/10/1999, dep. 2000, Barbisan G, Rv. 216462; Sez. 6, n. 31744 del 22/05/2003, Cosma, Rv. 225928) ed ha ad oggetto le "spese processuali", le quali comprendono i compensi che la parte deve al proprio difensore, oltre alle spese documentate, alle spese quantificate in modo forfettario e alle indennità e alle spese di trasferta (cfr. D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, che detta anche i parametri per la liquidazione dei compensi, modificati con D.M. 8 marzo 2018, n. 37).
Si tratta di una statuizione autonomamente impugnabile secondo le ordinarie regole del codice di rito e che si ritiene provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., poichè alla condanna di natura civile pronunciata dal giudice penale trovano applicazione le norme processuali civili, salvo che sia diversamente previsto da disposizioni speciali del codice di rito, che però non ricorrono nella fattispecie in parola (Sez. 4, n. 4497/2000, cit.; Sez. 1, n. 4908 del 19/12/2012, dep. 2013, Escolino, Rv. 254702, in motivazione).
Per il pagamento non è richiesto un ulteriore provvedimento giudiziale, seguendo alla statuizione l'apposizione della formula esecutiva da parte del funzionario di cancelleria.
Il D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, dal canto loro, prevedono che il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato venga liquidato dal giudice con apposito decreto di pagamento,9 osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità (art. 82, comma 1); tale compenso deve essere ridotto di un terzo (art. 106-bis). Non si dà luogo alla liquidazione se l'impugnazione è dichiarata inammissibile (art. 106).
La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione (art. 83, comma 2).
A mente dell'art. 84, avverso tale provvedimento è possibile l'opposizione di cui all'art. 170, disciplinata dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 15.
2.2. Ciò posto, va preliminarmente rilevato come nessuno degli orientamenti in campo ponga in dubbio che la condanna dell'imputato alla rifusione alla parte civile delle spese del giudizio di legittimità, prevista dall'art. 541 c.p.p., debba essere pronunciata dalla Corte di cassazione. E' ormai consolidata la tesi che le norme che disciplinano la condanna dell'imputato soccombente alle spese in favore della parte civile sono estensibili al giudizio di cassazione in virtù del rinvio disposto dall'art. 168 disp. att. c.p.p. (Sez. 5, n. 1693 del 31/01/1995, Cafagna, Rv. 200664, Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716, in motivazione).
Ciò anche quando la parte civile sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, giacchè il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, comma 3, si limita a specificare il contenuto della condanna pronunciata ai sensi dell'art. 541 c.p.p., prevedendo che la statuizione di condanna dell'imputato (non ammesso al patrocinio a spese dello Stato) al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa a tale beneficio contempli la disposizione del pagamento in favore dello Stato. Esplicitamente in tal senso Sez. 5, n. 8218 del 18.1.2018, Murtas, n. m.; mentre sono numerose le sentenze che, liquidando ai sensi dell'art. 541 c.p.p., le spese in favore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, danno mostra di ritenere che la previsione dell'art. 110 cit. non rifluisca sul piano della competenza, atteso che si limitano alla quantificazione, disponendo il pagamento a favore dello Stato, senza i contenimenti e le decurtazioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, (Sez. 4, n. 29314 del 05/06/2018, Vivanet; Sez. 5, n. 44915 del 27/04/2018, Musumeci; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Natalizio; Sez. 2, n. 11647 del 05/02/2019, Ben Said; Sez. 1, n. 7784 del 27/11/2017, dep. 2018, Parola; Sez. 2, n. 12856 del 27/01/2017, Viorel; Sez. 5, n. 2186 del 14/11/2016, dep. 2017, Antonucci; Sez. 5, n. 11960 del 07/12/2017, dep. 2018, Ripamonti e Sez. 1, n. 7308 del 21/12/2016, dep. 2017, Graziano).
La questione, quindi, attiene più propriamente all'individuazione del giudice competente ad emettere il decreto di liquidazione in favore del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato a favore della quale l'imputato sia stato condannato al pagamento delle spese per il giudizio di legittimità, con pagamento in favore dello Stato.
3. Secondo l'indirizzo maggioritario la Corte di cassazione non è competente a provvedere alla liquidazione del compenso del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; il fondamento di tale affermazione viene rinvenuto nell'esplicita previsione dell'art. 83, comma 2 (Sez. 5, n. 8218 del 18.1.2018, Murtas; Sez. 2, n. 43356 del 21/10/2015, Zecca; Sez. 5, n. 4143 del 20/10/2016, dep. 2017, IGM). Non risultano ulteriori argomentazioni; soltanto Sez. 2, n. 18317 del 22/04/2016, Plaia, Rv. 266695, svolge una aggiuntiva considerazione, traendo dal testo dell'art. 83 la convinzione che con esso sia stata introdotta una regola di carattere speciale nella disciplina relativa all'onorario e alle spese spettanti al difensore.
Nutrito è il numero delle pronunce che si limitano a statuire in merito alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese, le quali vengono anche quantificate contestualmente e assegnate allo Stato, pretermettendo ogni statuizione relativa al compenso del difensore della parte civile (Sez. 2, n. 11647 del 05/02/2019, Ben Said; Sez. 5, n. 44915 del 27/04/2018, Musumeci; Sez. 4, n. 29314 del 05/06/2018, Vivanet; Sez. 1, n. 21091 del 08/02/2018, Riccio; Sez. Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Natalizio; Sez. 5, n. 11960 del 07/12/2017, dep. 2018, Ripamonti; Sez. 1, n. 7784 del 27/11/2017, dep. 2018, Parola; Sez. 2, n. 12856 del 27/01/2017, Viorel; Sez. 1, n. 7308 del 21/12/2016, dep. 2017, Graziano; Sez. 5, n. 2186 del 14/11/2016, dep. 2017, Antonucci).
Sez. 3, n. 6025 del 26/10/2016, dep. 2017, Aperi, e Sez. 2, n. 18317 del 22/04/2016, Plaia precisano che la liquidazione degli onorari e delle spese dei difensori di imputati ammessi al patrocinio spetta al giudice di merito competente ex art. 83, comma 2.
4. All'orientamento maggioritario possono essere associate anche quelle decisioni che assegnano alla condanna ex art. 541 c.p.p., un contenuto limitato all'an, ritenendo che il quantum debba essere determinato dal giudice del rinvio o da quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato con il decreto previsto dagli artt. 82 e 83.
E' la soluzione adottata da Sez. 6 n. 6509 del 08/01/2019, Carola, e da Sez. 6 n. 51387 del 03/11/2016, Foti, entrambe intese a tenere indenne la Corte di cassazione non solo dall'incombente di liquidare il compenso del difensore della parte civile vittoriosa ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ma altresì da quello di liquidare le spese che l'imputato, in quanto soccombente, deve versare all'erario dello Stato.
Nella prima decisione si dispone, senza particolare motivazione, la condanna dell'imputato ricorrente anche "alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile..., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal competente Giudice di appello, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato".
La seconda è stata adottata per la valutazione della ricorrenza di un errore materiale nella sentenza n. 1386 del 2016, emessa dalla Sez. 5 della Corte di cassazione, la quale, avendo disposto la condanna dell'imputato ricorrente "a rifondere alla parte civile... le spese sostenute nel presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3500 oltre spese generali, iva e cpa", per l'istante difensore della parte civile aveva errato nel non disporre il pagamento in favore dell'Erario.
La Corte ha affermato che alla liquidazione provvede, per il giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 83, comma 2, il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, con separato decreto; ha rimarcato che nel processo penale, con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il magistrato, se condanna l'imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato (D.P.R. n. 115 cit. art. 110, comma 3); ha ritenuto erronea anche la diretta liquidazione delle spese in favore della parte civile. Pertanto ha disposto la correzione del dispositivo della sentenza nel senso seguente: "Condanna inoltre l'imputato... alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile... ammessa a speciale programma di protezione a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria, e ne dispone il pagamento in favore dello Stato".
5. L'indirizzo che afferma la competenza del giudice di legittimità propone un percorso argomentativo articolato.
La sentenza che genera l'orientamento è Sez. 6, n. 46537 del 08/11/2011, F., Rv. 251383, pronunciata per un ricorso che aveva specificamente ad oggetto la statuizione con la quale il Gip aveva condannato l'imputato al pagamento delle spese di difesa in favore della parte civile, provvedendo anche alla loro liquidazione. L'imputato si era doluto rappresentando che la parte civile era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, e che la liquidazione come in concreto disposta dal giudice avrebbe potuto determinare un indebito arricchimento della medesima parte civile, e un corrispondente danno dell'imputato, in ragione della possibilità che questa potesse ottenere una duplicazione della liquidazione dei compensi al proprio difensore. Per il ricorrente il Gip avrebbe dovuto limitarsi ad affermare il diritto della parte civile all'an debeatur in ordine alla rifusione delle spese legali, con rinvio per la quantificazione alla procedura prevista nell'ambito della disciplina speciale del patrocinio a spese pubbliche.
La Corte ha ritenuto che la censura richiedesse di dare risposta al quesito se la somma che il giudice con la sentenza deve porre a carico dell'imputato per la rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile vincitrice, ma che vedono come destinatario lo Stato e non la parte privata, debba o meno coincidere con quella, a carico dello Stato, che lo stesso giudice deve liquidare al difensore della parte civile, con il decreto ex art. 82. Al quesito ha fornito risposta affermativa. Si è posta poi il problema di come assicurare che le due liquidazioni coincidano ed ha ritenuto che la soluzione sia rinvenibile nella immediata liquidazione da parte del giudice che pronuncia la condanna alle spese. Pertanto, "Il giudice del processo penale... quando condanna l'imputato anche al pagamento delle spese di difesa sostenute da tale parte, nel medesimo dispositivo deve provvedere all'indicazione dello Stato come creditore del pagamento a carico dell'imputato, quantificandolo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e contestualmente provvedendo alla liquidazione della stessa somma in favore del difensore della parte civile, sempre ai sensi di tale norma".
Ad avviso della Corte tale conclusione è, non tanto o non solo soluzione dettata dal criterio sistematico, quanto la conseguenza immediata dell'applicazione concreta della specialità della disciplina del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, rispetto all'art. 541 c.p.p., ovviamente sul punto della sola quantificazione, mentre l'an debeatur rimane disciplinato integralmente e solo da tale ultima disposizione.
Dal che la Corte ha fatto discendere sia la necessità che il difensore presenti la nota spese redatta secondo i parametri dell'art. 82, sia, quale "conseguenza sistematica" "che le impugnazioni relative all'an debeatur sono disciplinate dal codice di rito, come tutte quelle relative ai singoli punti della decisione, mentre quelle relative al quantum debeatur sono disciplinate dal D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170...".
In conclusione, il dispositivo della sentenza deve contenere sia la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, disponendone il pagamento in favore di quest'ultimo, sia la liquidazione a beneficio del difensore della predetta parte civile (in tal senso, ma senza argomentazioni, anche Sez. 6, n. 15435 del 20/03/2014, C.R.). Quando ciò non accada, ovvero si registri "il mancato inserimento di tale seconda statuizione in seno al dispositivo..." si ritiene ricorra "... un mero errore materiale, appunto in ragione del carattere obbligato della statuizione omessa, direttamente correlata - e vincolata - al provvedimento adottato, di liquidazione delle spese processuali a favore dello Stato anticipatario, nel rispetto del disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110 comma 3" (Sez. 6, n. 20552 del 06/03/2019, Setti, Rv. 275734).
Sin qui non è detto a chiare lettere chi sia il giudice che deve provvedere contestualmente quando sopravvenga la decisione del giudice di legittimità. Questo ulteriore sviluppo è operato da Sez. 6, n. 3885 del 18/01/2012, Iovine, Rv. 252135. Essa introduce, proprio in tema di competenza, una precisazione al principio di diritto in precedenza stabilito, della necessaria coincidenza e quindi della contestualità delle statuizioni: "E' vero che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 83, comma 2, prevede che la liquidazione del compenso al difensore per il giudizio di cassazione è compito del giudice di rinvio ovvero di quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. E certamente sussiste e permane tale competenza nel caso di sentenza della corte di cassazione che o accolga il ricorso dell'imputato o comunque compensi, del tutto o parzialmente, le spese tra le parti private: anche in tali casi, infatti, il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese pubbliche ha diritto alla liquidazione da parte dello Stato del proprio compenso. Quando però nel giudizio di impugnazione l'imputato ricorrente viene condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, trova applicazione il generale obbligo di liquidazione - ex artt. 541 e 592 c.p.p., quale però disciplinato con norma speciale dal T.U. Stup. N. 115 del 2002, art. 110, con la previsione della ricordata necessità della coincidenza tra le due somme (imputato-Stato; Stato - difensore della parte civile ammessa). Pertanto, anche la corte di cassazione potrebbe in questo peculiare caso procedere alla liquidazione".
La Corte, nell'occasione, non si è spinta sino a formulare un principio di diritto ed ha considerato possibile che il giudice di legittimità proceda alla liquidazione. Stabilendo, peraltro, una ulteriore condizione per la competenza della Corte, ovvero che sia stata presentata una nota spese che risponda puntualmente, nell'indicazione delle voci e nei limiti quantitativi, ai principi imposti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82. Condizione all'evidenza imposta dalla considerazione che l'attribuzione della generale competenza al giudice del merito anche per le prestazioni avanti la corte di cassazione, operata dal legislatore, risponde consapevolmente alle caratteristiche di contenuto ed organizzazione del lavoro della corte di cassazione.
Appare opportuno rilevare che nel caso specifico, poichè nel giudizio di cassazione la richiesta difensiva di liquidazione era stata generica, perchè limitata all'indicazione della sola somma finale pretesa, la Corte ha ritenuto che per il principio di coincidenza delle somme, la statuizione nel dispositivo della propria sentenza dovesse essere limitata alla sola condanna nell'an (con l'affermazione dell'obbligo di rifusione delle spese di lite in favore dello Stato), contestualmente riservando a successivo decreto di liquidazione del giudice del merito, ex art. 83, comma 2, la determinazione del quantum, in esito all'integrale applicazione della procedura di cui all'art. 82, comma 3 (richiesta e comunicazione anche all'imputato ed alle altre parti), artt. 84 e 170 (opposizione nei venti giorni al presidente dell'ufficio giudiziario competente).
Il principio secondo il quale la Corte di cassazione, affinchè possa essere messa nelle condizioni di effettuare "uno acto" le due liquidazioni (coincidenti), debba disporre di una nota delle spese conforme all'art. 82 (ma altresì all'art. 106-bis dello stesso testo), altrimenti ritornando operativa la competenza del giudice di cui all'art. 83, comma 2, è sostenuto anche da Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S. e altri, Rv. 263866, e da Sez. 4, n. 52538 del 09/11/2017, Filareto.
6. Possono essere accostate all'orientamento minoritario anche quelle decisioni che ritengono di dover quantificare le spese già computando nella liquidazione ex art. 541 c.p.p., l'abbattimento di un terzo ai sensi dell'art. 106-bis. In altri termini, senza emettere un autonomo decreto di pagamento, l'ammontare delle spettanze del difensore viene determinato già dalla Corte di cassazione ma in guisa da rispettare le previsioni degli artt. 82 e 106-bis. Propendono per tale soluzione Sez. 1, n. 10551 del 07/11/2018, dep. 2019, L.; Sez. 1, n. 46118 del 12/04/2018, Garau; Sez. 1, n. 41124 del 10/04/2018, Petrianni.
7. Ritengono le Sezioni Unite che la questione debba essere risolta a partire dal rispetto che si deve al canone dell'interpretazione letterale, specie quando, come nel caso che occupa, il "significato proprio delle parole secondo la connessione di esse" (art. 12 preleggi) non lascia margini di ambiguità.
L'art. 83, comma 2, laddove dispone che "La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato" è di inequivoco significato; la giustapposizione dei due periodi esalta ulteriormente la scelta del legislatore di sottrarre alla Corte di cassazione il compito di provvedere alla liquidazione.
Scelta che, come è stato diffusamente osservato, è coerente con le caratteristiche del giudizio di legittimità. Coglie nel segno l'osservazione proposta nell'ordinanza di rimessione, la quale rileva che "le stesse decisioni che hanno affermato la competenza della Corte di cassazione a liquidare le spese in favore del difensore della parte civile ammessa al pubblico patrocinio per il giudizio di legittimità non hanno potuto fare a meno di riconoscere sia la pregnanza del dato letterale esplicito della norma, parlando di "attribuzione della generale competenza al giudice del merito anche per le prestazioni avanti la Corte di cassazione, operata dal legislatore", sia la ratio ispiratrice della disposizione medesima, che, si è detto, "risponde consapevolmente alle caratteristiche di contenuto ed organizzazione del lavoro della Corte di cassazione" (Sez. 6, n. 3885/2012 cit.)".
Un'opzione, quella del legislatore, che trova eco in diverse disposizioni del D.P.R. n. 115 del 2002. Qui è sufficiente menzionarne le principali. L'art. 93, che nell'individuare il magistrato al quale va presentata l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato dispone che essa venga presentata all'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo. Se però procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Anche l'individuazione del magistrato competente ad emettere la decisione sull'istanza segue il medesimo schema; a mente dell'art. 96 vi provvede il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione. L'art. 112, comma 3, dal canto suo, individua il giudice competente a revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel "magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti (ovvero i termini rispettivamente previsti dall'art. 79, comma 1, lett. d) e dell'art. 94, comma 3) ovvero al momento in cui la comunicazione (di cui all'art. 79, comma 1, lett. d)) è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato".
Come è agevole osservare, il legislatore si è posto in piena consapevolezza il tema dell'applicazione nel giudizio di legittimità delle norme dettate in materia di patrocinio a spese dello Stato ed ha adottato costantemente la scelta di sottrarre alla Corte di cassazione ogni competenza al riguardo.
Atteso che gli artt. 82 e 83, collocati nel Titolo I, dedicato alle "Disposizioni generali sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario", hanno valenza anche nei giudizi civili, merita di essere rammentato che in tale ambito la giurisprudenza di legittimità è unanime nell'escludere la competenza della Corte di cassazione a provvedere alla liquidazione ai sensi dell'art. 83, comma 2, tanto nel caso di esito infausto della lite che di compensazione delle spese (Sez. 1 civ., n. 23007 del 29/09/2010; Sez. 3 civ., n. 11028 del 13/05/2009; Sez. 1 civ., n. 13760 del 21/02/2007; Sez. 1 civ., n. 16986 del 04/04/2006; Sez. 1 civ., n. 3122 del 15/12/2004, dep. 2005; Sez. 1 civ., n. 22616 del 02/12/2004); che nel caso di vittoria della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (Sez. 1 civ., n. 9384 del 16/04/2018; Sez. 6 civ., n. 17971 del 20/07/2017; Sez. U civ., n. 22792 del 04/12/2012).
D'altro canto, la stessa questione oggi all'esame è insorta non perchè dal quadro normativo emerga come plausibile una interpretazione che ponga in capo al giudice di legittimità siffatta competenza, ma piuttosto per la rinvenuta necessità di evitare una possibile negativa situazione fattuale, ovvero la discrasia delle liquidazioni perchè emesse da giudici diversi sulla base di criteri non coincidenti.
Non è senza significato che la tesi della competenza del giudice di legittimità finisca per il riconoscerla in modo "intermittente", come osservato in termini perspicui dal Procuratore Generale requirente; e riconosca, senza plausibile ragione, carattere di norma speciale all'art. 110 ma non all'art. 83, comma 2.
Sotto tale profilo è da respingere anche la tesi, sostenuta da Sez. 4, n. 26663 del 10/04/2008, Amato e Sez. 4, n. 42844 del 09/10/2008, Amato, Rv. 241336, della integrale indipendenza delle due liquidazioni. Essa fa perno sulla assenza di disposizioni che vincolino la liquidazione in favore del difensore alla misura fissata dal giudice penale in sentenza; sulla previsione di differenti criteri di liquidazione; sulla necessità di adottare un provvedimento che permetta al difensore di riscuotere le proprie competenze, prevedendo la condanna pronunciata ai sensi del combinato disposto dall'art. 541 c.p.p., comma 1 e D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, il pagamento in favore dello Stato.
Orbene, l'indubbia autonomia delle due liquidazioni, effetto riflesso della alterità dei rapporti al cui regolamento si volgono rispettivamente l'art. 541 c.p.p., comma 1 e D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, deve trovare espressione anche attraverso l'adozione di distinti provvedimenti (in tal senso anche la Circolare del Ministero della Giustizia del 10 gennaio 2018, che, stigmatizzando schemi operativi contrari invalsi in taluni uffici giudiziari, ha ribadito come il decreto di liquidazione debba essere adottato con un provvedimento separato da quello definitivo), per i quali sono previste regole diverse quanto al giudice competente, all'oggetto e al regime impugnatorio. Ma tale autonomia non implica necessariamente che le liquidazioni siano totalmente indipendenti l'una dall'altra.
In senso opposto milita la relazione corrente tra l'art. 541 c.p.p., integrato dall'art. 153 delle disposizioni di attuazione e dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, da un lato, e il D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, dall'altro; relazione in forza della quale lo Stato viene ad essere al tempo stesso creditore dell'imputato (in luogo della parte civile) e debitore del difensore di quest'ultima.
Pertanto, la necessità di coordinare le diverse previsioni è reale. Il generale divieto di ingiustificato arricchimento contrasta l'ipotesi di una condanna dell'imputato a somma maggiore di quella liquidata al difensore della parte civile ammessa: lo Stato si arricchirebbe ingiustificatamente. Evenienza che la stessa Corte costituzionale mostra di ritenere deteriore, atteso che, nell'ambito del giudizio in ordine alla legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, ha richiamato la coincidenza delle due liquidazioni affermata dalla giurisprudenza di legittimità quale motivo che permette di escludere la lamentata iniusta locupletatio dell'erario (Corte Cost. n. 270 del 28/11/2012).
Per l'opposto versante, una eventuale condanna dell'imputato al pagamento di una somma minore rispetto a quella liquidata al difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato determinerebbe un indebito depauperamento dell'erario, giacchè in tal caso l'imputato si arricchirebbe della differenza versata dallo Stato e che invece, costituendo voce delle "spese processuali", dovrebbe rimanere a suo carico.
Per altro verso, l'obiezione che pone in luce l'irragionevole favore che deriverebbe all'imputato - chiamato a pagare spese processuali determinate nella misura imposta dall'applicazione degli artt. 83 e 106 - bis, per il solo fatto che la parte civile è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (così Sez. 6 civ., n. 11590 del 03/05/2019, Rv. 653764, con riferimento alla analoga previsione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130), trova agevole replica nella considerazione che la condanna alle spese processuali in favore della parte civile ha funzione reintegrativa e non già sanzionatoria; sicchè il dovuto dall'imputato è giustamente limitato a quanto lo Stato sopporta per la parte civile ammessa al patrocinio pubblico. Peraltro, anche nella giurisprudenza civile, divisa in orientamenti contrastanti in ordine alla necessità che la somma liquidata a favore dello Stato coincida con quella liquidata al difensore della parte civile vincitrice ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nel propendere per l'esclusione di tale necessità segnala la diversa regola valevole per il giudice penale (Sez. 2 civ., n. 22017 del 11/09/2018, Rv. 650319).
Assodato che le due liquidazioni non sono del tutto autonome tra loro, va anche escluso che possa affermarsi una loro perfetta coincidenza in linea teorica.
E ciò per la semplice ragione che le spese processuali gravanti sulla parte civile non si esauriscono negli onorari e nelle spese del difensore, ai quali soli si riferisce la liquidazione di cui agli artt. 82 e 83. Basti porre mente al contributo unificato, che secondo la previsione dell'art. 12, comma 2, se è chiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno, è dovuto in caso di accoglimento della domanda, in base al valore dell'importo liquidato e secondo gli scaglioni di valore di cui all'art. 13. Contributo che, ai sensi dell'art. 11 è prenotato a debito nei confronti della parte obbligata al risarcimento del danno; come prenotati a debito sono anche, secondo la previsione dell'art. 108, le spese forfettizzate per le notificazioni a richiesta d'ufficio, l'imposta di registro ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 59, comma 1, lett. a) e b), l'imposta ipotecaria e catastale ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 16, comma 1, lett. e). Inoltre, ai sensi dell'art. 4, se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l'erario anticipa le spese relative agli atti chiesti dalla parte privata.
Non può pertanto escludersi che le spese processuali gravanti sulla parte civile non si esauriscano nell'onorario e nelle spese dovute al difensore. Di conseguenza non può sostenersi che gli importi delle due liquidazioni delle quali qui si tratta debbano coincidere. Piuttosto, è necessario che esse vengano coordinate tra loro.
La soluzione atta a realizzare tale obiettivo non può travalicare la lettera della legge, il criterio sistematico e la ratio legis.
8. Nell'orizzonte giurisprudenziale è già emerso il rimedio che permette al contempo di rispettare la previsione normativa e di soddisfare la necessità di coordinamento.
Come si è rammentato, alcune decisioni hanno ritenuto che la Corte di cassazione deve pronunciare una condanna al pagamento delle spese processuali a favore della parte civile che non sia determinata nel quantum, alla quale segue, da parte del giudice indicato dall'art. 83, comma 2, il decreto di liquidazione dell'onorario e delle spese spettanti al difensore della parte civile (Sez. 6 n. 6509 del 08/01/2019, Carola, e da Sez. 6 n. 51387 del 03/11/2016). Le stesse sentenze n. 46537/2011 e n. 3885/2012 contemplano l'ipotesi della condanna indeterminata nel quantum, anche se solo per il caso che non venga presentata dal difensore una notula conforme alle prescrizioni dell'art. 82 (e dell'art. 106-bis).
Secondo la corrente interpretazione è quindi possibile che il giudice di legittimità pronunci una condanna nell'an, affermando il diritto della parte civile a vedersi ristorate le spese processuali (escludendosi quindi la compensazione, totale o parziale, delle stesse), venendo il quantum determinato solo in seguito e tenuto conto della liquidazione dell'onorario e delle spese spettanti al difensore.
Tale interpretazione va ribadita anche in questa sede, giacchè essa assicura la salvaguardia dei diversi interessi in gioco, nei limiti già previsti dall'ordinamento.
Come ha osservato la pronuncia della Sez. 6 n. 3885/2012, proprio con riferimento all'ipotesi di condanna limitata all'an, "La soluzione evita paralisi procedimentali, non sacrifica alcun interesse tutelato e appare sistematicamente coerente e rispettosa delle diverse logiche e discipline, codicistica e speciale. In definitiva, con la sentenza (pronunciata nei tempi e modi propri della specifica causa) esce dal processo (dando luogo ad un autonomo procedimento incidentale, integralmente ed esaustivamente disciplinato dalla disciplina speciale) ogni problematica relativa alla quantificazione delle spese di lite in favore della parte civile (e quindi del compenso al suo difensore), mentre vi rimane quella sull'obbligo della rifusione. E tutti i soggetti interessati (parte civile e suo difensore, imputato, pubblico ministero) trovano ampia possibilità di far valere le proprie ragioni quantitative nell'ambito della medesima procedura speciale. Quanto alla compatibilità della riserva di liquidazione con il rito penale, innanzitutto deve rilevarsi come la stessa risulti imposta dalle considerazioni normative e sistematiche commentate".
L'impostazione qui respinta non considera che norma speciale, rispetto all'art. 541 c.p.p., è anche l'art. 83, che necessariamente va quindi ad integrare la previsione di carattere generale, definendone il contenuto per il caso della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato (profilo già colto dalla stessa ordinanza di rimessione).
L'interpretazione adottata non trova ostacolo neppure nella previsione dell'art. 83, comma 3-bis (introdotto dalla L. 23 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 783), ai sensi del quale "il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta". Come ha correttamente rilevato la sezione remittente, la disposizione "nulla ha innovato in ordine alla chiara configurazione delle competenze stabilita dal comma 2 della norma stessa".
Neppure si determinano ostacoli alla precisa determinazione delle spese processuali che, oggetto della condanna emessa ai sensi dell'art. 541 c.p.p., non consistono nell'onorario e nelle spese del difensore della parte ammessa al patrocinio pubblico. Infatti si tratta di voci di spesa la cui liquidazione compete, ai sensi dell'art. 165, al funzionario addetto all'ufficio.
Tanto stabilito, va negato che la limitativa condizione posta dalla sentenza n. 3885/2012 alla pronunciabilità della condanna nell'an trovi persuasivo fondamento.
La tesi della necessità, allo scopo, della presentazione di una nota coerente all'art. 82 (e all'art. 106-bis) da un canto contraddice la preliminare affermazione (operata dalla sentenza n. 46537/2011) di una competenza della Corte di cassazione derivante dalla natura di norma speciale (rispetto all'art. 541 c.p.p.) dell'art. 110. Invero, è palese che il rapporto di specialità tra norme non può dipendere dalla presentazione o meno della notula, nemmeno prevista dalla norma speciale. Dall'altro contrasta con l'indirizzo prevalente, per il quale "poichè l'art. 153 disp. att. c.p.p., non commina alcuna sanzione di nullità o inammissibilità per l'inosservanza del dovere della parte civile di produrre l'apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente, nè va escluso il rimborso delle spese vive" (Sez. 4, n. 2311 del 05/12/2018, dep. 2019, Grasso, Rv. 274957; Sez. 3, n. 31865 del 17/03/2016, Rv. 267666, Vacca; Sez. 6, n. 5680 del 03/12/2007, dep. 2008, Rv. 238730, Garofalo; Sez. 3, n. 8552 del 23/01/2002, Rv. 221262, Montirosi; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Rv. 214641, Fraccari).
9. In conclusione, va formulato il seguente principio di diritto:
"Nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83".
10. Sulla scorta di tale principio è possibile pervenire all'esame della fattispecie concreta posta all'attenzione delle Sezioni Unite.
La Prima Sezione della Corte di cassazione ha provveduto a condannare l'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili, disponendone il pagamento allo Stato; ma ha anche determinato l'ammontare di tali spese, liquidando, per ciascuna di esse, complessivi Euro 3.600,00, per onorari, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali), secondo le previsioni di per legge.
Orbene, alla luce di quanto sin qui esposto, in tale sentenza ricorre un errore materiale, poichè la Corte non avrebbe dovuto procedere alla liquidazione, risultando a ciò competente, nel caso di specie, la Corte di Assise di appello di Napoli.
Deve ritenersi che si tratti di un errore materiale in quanto inficia una statuizione accessoria, privandola di un contenuto obbligatorio. A tal proposito vale rammentare quanto statuito dalle Sezioni Unite, per le quali, in ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, là dove il giudice abbia omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, può farsi ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426).
Per quanto pronunciata con riferimento allo speciale rito, la sentenza pone affermazioni di valenza più generale, avallando quella ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale secondo la quale vanno ricondotte alla nozione di "errore materiale": l'ipotesi di divergenza manifesta e casuale tra la volontà del giudice e il correlativo mezzo di espressione, quali l'errore linguistico e l'errore evidenziabile immediatamente dal contesto interno dell'atto; gli analoghi errori emergenti sulla base di atti diversi da quello da correggere; l'errore omissivo nei quali la divergenza è tra l'espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell'assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo. In sostanza, rimarcano le Sezioni Unite, "il dato peculiare è che quello che si "ricostruisce" non è la volontà "soggettiva" del giudice emergente dallo stesso atto (o da atti allo stesso collegati), bensì la sua volontà "oggettiva", da considerarsi (necessariamente) immanente nell'atto per dettato ordinamentale".
Posto che l'art. 130 c.p.p., richiede esclusivamente che dall'errore non derivi la nullità dell'atto e che la sua rimozione non ne determini una modificazione essenziale, è ammissibile la procedura di correzione purchè l'integrazione dell'atto sia realizzabile mediante operazioni meccaniche di carattere obbligatorio e conseguenziale.
11. Il dispositivo va quindi emendato eliminando la statuizione di liquidazione delle spese, che va sostituita dalle seguenti parole: "ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di Appello di Napoli con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83".
Anche nel corpo della motivazione va eliminato il riferimento alla liquidazione delle spese.
Infine, deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Appello di Napoli perchè provveda con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83.
P.Q.M.
Dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza emessa da questa Corte di cassazione, Sez. 1^ penale, n. 21091 dell'8.2.2018 nel senso che:
- nel punto 8 della motivazione le parole ", liquidate come in dispositivo" sono eliminate;
- nel dispositivo le parole "spese che liquida, per ciascuna, in complessivi Euro 3.600,00, per onorari, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali), come per legge" sono sostituite dalle seguenti: "ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di Appello di Napoli con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83". Dispone la trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Appello di Napoli. Manda alla Cancelleria per provvedere alle annotazioni sulla sentenza.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020
12-03-2020 12:40
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