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Sentenza

Il detenuto musulmano è libero di pregare all’alba: il riposo è un diritto non un dovere.
Il detenuto musulmano è libero di pregare all’alba: il riposo è un diritto non un dovere.
Il ricorrente è un detenuto musulmano osservante che si lamenta dei vani ricorsi contro le sanzioni disciplinari (avvertimenti) per avere pregato durante l'orario di riposo obbligatorio notturno (tra le 21 e le 6 del mattino). La sua religione, infatti, prevede 5 preghiere al giorno.
Violata la libertà religiosa del ricorrente (art.9 Cedu): non si può imporre una restrizione alla libertà di culto salvo che comporti «rischi per la sicurezza pubblica, la salute, la morale o i diritti di altri prigionieri», abbia causato inconvenienti agli altri detenuti ed imposto oneri alle autorità. In una società pluralista la libertà di religione (ivi compresa quella di non professarne alcuna) assurge ad un ruolo fondamentale: «la manifestazione del credo religioso può assumere la forma dell'adorazione, dell'insegnamento, della pratica e del rispetto dei precetti. Testimoniare parole e opere è legato all'esistenza di convinzioni religiose», purchè avvenga nel rispetto degli altri credi, convinzioni etc. Nella fattispecie la religione musulmana impone 5 preghiere al giorno, specie nel periodo del Ramadam: ergo rientrano nelle pratiche religiose poste a fondamento di detta libertà. Ciò non creava disagi od oneri aggiuntivi per le autorità e gli altri detenuti, tanto più che il riposo è un diritto e non un dovere, sì che ognuno durante il suddetto periodo (21-6 con obbligo di sonno ininterrotto dalle 22 alle 6) può fare ciò che vuole senza disturbare gli altri detenuti: era prevista una sorveglianza obbligatoria da parte dei secondini e la preghiera non deteriorava le condizioni degli altri carcerati. Non vi è stato perciò un equo bilanciamento tra i contrapposti diritti, anzi le autorità hanno peccato di eccessivo formalismo, sì da imporre misure non necessarie in una società democratica ed incompatibili con l'art.9 Cedu.

Sul tema: Aliyev v Azerbaigian nella rassegna del 21/9/18, Jakóbski c. Polonia del 7/12/10 e Leyla Şahin c. Turchia [GC] del 2005; Raccomandazione del Comitato dei Ministri del COE n.2006/2 sulle regole penitenziare europee in cui si affronta anche il problema dell'esercizio della libertà di culto durante la detenzione.
Avv. Antonino Sugamele

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