Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) – Protezione della proprieta` (art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU) – Obblighi positivi dello Stato – Restituzione di proprieta` fondiarie agli sfollati di guerra – Genocidio di Srebrenica – Diritto a un equo processo (art. 6 CEDU) – Esecuzione di sentenze nazionali – Misure ex art. 46 CEDU
Tutela del diritto di proprieta` e misure individuali ex art. 46 CEDU
Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. IV, 1º ottobre 2019, ricorso n. 16332/18 – Pres. Jon Fridrik Kjølbro – Orlovic e
altri c. Bosnia ed Erzegovina.
Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) – Protezione della proprieta` (art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU) – Obblighi
positivi dello Stato – Restituzione di proprieta` fondiarie agli sfollati di guerra – Genocidio di Srebrenica – Diritto a un
equo processo (art. 6 CEDU) – Esecuzione di sentenze nazionali – Misure ex art. 46 CEDU
La questione: a quali condizioni puo` uno Stato legittimamente limitare il godimento della proprieta`? Quale margine di
azione residua, nell'esecuzione di una sentenza della Corte EDU, in capo allo Stato che abbia violato il diritto di proprieta`
dei ricorrenti tutelato dall'art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU?
Il fatto. I quattordici ricorrenti, cittadini della Bosnia ed
Erzegovina, sono eredi di proprieta` fondiarie costituite da
campi e pascoli e su cui insistono edifici abitativi e agricoli,
ove gli stessi ricorrenti risiedevano prima dello scoppio
della guerra e l'uccisione di piu` di venti dei loro parenti
nel genocidio perpetrato a Srebrenica.
L'11 settembre 1997 il Comune di Bratunac, senza informare
i ricorrenti, espropriava parte di tali terreni (pari a 11
765 mq) e li conferiva alla parrocchia serbo-ortodossa di
Drinjacˇa per la costruzione di una chiesa, dopo aver dichiarato
i terreni ‘‘immobile non sviluppato''. La chiesa era
edificata nel 1998, pur nell'assenza della documentazione
tecnica necessaria; solo nel 2003 la parrocchia chiedeva il
rilascio del permesso edilizio al competente Ufficio per la
pianificazione territoriale e abitativa del Comune. Il 14
aprile 2004, nel corso del procedimento di autorizzazione,
interveniva l'Ispettorato del Ministero per la pianificazione
territoriale, l'edilizia e l'ecologia della Repubblica Serba di
Bosnia ed Erzegovina che intimava all'Ispettorato comunale
di vietare l'uso della chiesa, costruita abusivamente. Il
vicesindaco di Bratunac tuttavia chiedeva e otteneva, in
data 27 agosto, un incontro tra le autorita` comunali, i rappresentanti
del Ministero e il vescovo dell'eparchia (diocesi)
coinvolta; nei mesi successivi la parrocchia otteneva il
permesso edilizio.
Nel frattempo, il 28 ottobre 1999, adita dai ricorrenti, la
Commissione per le rivendicazioni di proprieta` fondiarie di
sfollati e rifugiati, istituita dall'annesso 7 all'Accordo di
Dayton, annullava ogni espropriazione dei terreni in questione
e autorizzava i ricorrenti a rientrarne nel pieno possesso;
nello stesso senso statuiva, il 14 novembre 2001, il
Ministero per i rifugiati e gli sfollati della Repubblica Serba
di Bosnia ed Erzegovina (sezione di Bratunac).
Se da un lato i ricorrenti finalmente ottenevano, in una
data non specificata, il recupero dei propri fondi, tuttavia la
chiesa, eretta a soli 20 metri di distanza dall'abitazione della
prima ricorrente, non veniva demolita, nonostante le ripetute
richieste rivolte dai ricorrenti al Ministero per i rifugiati
e alla parrocchia. I ricorrenti rifiutavano le alternative
offerte dal sindaco di Bratunac, consistenti nella compensazione
monetaria o attribuzione di diverso terreno, chiedendo
invece la piena restituzione dei propri fondi.
Parallelamente i ricorrenti instauravano un giudizio civile
contro la parrocchia dinanzi alla Corte di prima istanza di
Srebrenica, al fine di ottenere la rimozione della chiesa e la
restituzione dei loro terreni nello stato originario. Il 4 marzo
2003 la Corte dichiarava la propria incompetenza per
materia, ma la decisione era annullata, il 25 agosto 2006,
dalla Corte distrettuale di Bijeljina e la causa nuovamente
sottoposta alla Corte di prima istanza. Dopo diversi rinvii
dovuti ai tentativi di raggiungere una soluzione amichevole
della controversia, il 20 aprile 2010 i ricorrenti chiedevano
alla Corte di riconoscere un accordo stragiudiziale concluso
con il Primo Ministro della Repubblica Serba di Bosnia ed
Erzegovina, il suo consigliere e il vescovo, accordo che
prevedeva l'abbattimento della chiesa entro quindici giorni
dalla data in cui altro terreno sarebbe stato individuato per
la costruzione della chiesa nell'ambito del Comune. L'istanza
era tuttavia rigettata dalla Corte il 3 giugno 2013, con
sentenza confermata dalla Corte distrettuale ma annullata
dalla Corte suprema della Repubblica Serba di Bosnia ed
Erzegovina; il caso tornava quindi dinanzi alla Corte di
prima istanza, che tuttavia nuovamente rigettava il ricorso,
ritenendo non provato che il Primo Ministro e il suo consigliere
fossero stati autorizzati a rappresentare la parrocchia
convenuta in giudizio e che il vescovo fosse stato parte
dell'accordo con i ricorrenti. La sentenza della Corte di
prima istanza era confermata dalla Corte distrettuale e dalla
Corte suprema.
Il 17 ottobre 2014 i ricorrenti adducevano, dinanzi alla
Corte costituzionale di Bosnia ed Erzegovina, la violazione
dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU; il 28
settembre 2017 una maggioranza di cinque giudici contro
quattro rigettava il ricorso come infondato, ritenendo le
sentenze delle corti inferiori non arbitrarie.
Il 30 marzo 2018 i ricorrenti adivano la Corte EDU
lamentando l'impossibilita` di esercitare pienamente il proprio
diritto di proprieta` , protetto dall'art. 1, Protocollo, n.
Corti europee n Recentissime
Giurisprudenza Italiana - Novembre 2019 2357
1, CEDU, in ragione della mancata rimozione della chiesa
dai propri terreni; essi altresı` eccepivano la violazione dell'art.
6 CEDU da parte delle corti nazionali nell'ambito del
procedimento civile da loro avviato.
La decisione. La Corte ha anzitutto proceduto a esaminare
la presunta violazione dell'art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU,
che protegge il diritto di proprieta` . Stabilita l'ammissibilita`
del ricorso, la Corte ha fatto riferimento alla propria costante
interpretazione della norma in questione come comprendente
a sua volta tre regole distinte ma tra loro strettamente
connesse: la prima volta a sancire il generale diritto
al pacifico godimento della proprieta` (primo periodo del
primo comma); la seconda a condizionare la privazione
della proprieta` a certi presupposti (secondo periodo del
primo comma); e la terza a riconoscere che gli Stati Parti
possono disciplinare l'uso della proprieta` nell'interesse generale
e stabilire il pagamento di imposte o ammende (secondo
comma).
La Corte ha quindi sottolineato che, per assicurare il
godimento del diritto di proprieta` , agli Stati Parti puo` essere
richiesto di porre in essere delle condotte positive
(cosı`, tra gli altri, nella nota sentenza pilota Broniowski c.
Polonia, sentenza del 22 giugno 2004); e che tali condotte
possono anche indirizzarsi a rapporti che intercorrano
esclusivamente tra privati (la Corte cita, in proposito, il
caso Kotov c. Russia [Grande Camera], sentenza del 3
aprile 2012, riguardante i rapporti tra una banca privata
in liquidazione e un creditore). E ` , quest'ultimo, riferimento
di particolare rilievo per il caso di specie, in cui il procedimento
civile aveva visto opporsi i ricorrenti e la parrocchia.
La Corte ha quindi proceduto a un bilanciamento tra il
diritto di proprieta` rivendicato dai ricorrenti e il pubblico
interesse opposto dal Governo, sulla base di un giudizio di
proporzionalita` , notando in particolare come il diritto dei
ricorrenti alla completa restituzione dei propri fondi fosse
stato riconosciuto in ben due occasioni, attraverso le decisioni
definitive e immediatamente esecutive della Commissione
per le rivendicazioni di proprieta` fondiarie di sfollati
e rifugiati e del Ministero per i rifugiati, e come i ricorrenti
non fossero ancora rientrati nel pieno possesso dei loro
fondi ben diciassette anni dopo la ratifica della CEDU e
dei suoi Protocolli da parte del Governo della Bosnia ed
Erzegovina, con un ritardo quindi considerevole e ingiustificabile.
La Corte ha dunque riconosciuto che i ricorrenti
hanno dovuto sostenere un onere ‘‘sproporzionato ed eccessivo''
e ha accertato la violazione del loro diritto di proprieta`
cosı` come tutelato dall'art. 1, Protocollo, n. 1, CEDU.
Quanto alla violazione dell'art. 6 CEDU (diritto a un
equo processo), lamentata dai ricorrenti in ordine alla causa
civile da loro instaurata, la Corte ha ritenuto il motivo di
ricorso strettamente connesso a quello relativo alla violazione
del diritto di proprieta` , e ha conseguentemente stabilito
di non procedere a un suo separato esame.
All'esito della considerazione del ricorso nel merito, riscontrata
la violazione del diritto di proprieta` dei ricorrenti,
la Corte ha loro accordato un'equa soddisfazione per il
danno patrimoniale subito, pari a euro 5000 per la prima
ricorrente, attualmente residente sui fondi contesi, e a euro
2000 per i rimanenti ricorrenti. Significativamente, tuttavia,
la Corte non si e` limitata a riconoscere tali somme, ma ha
prescritto al Governo della Bosnia ed Erzegovina l'adozione
di specifiche misure individuali ai sensi dell'art. 46 CEDU.
In particolare, ritenendo che in capo allo Stato convenuto
non residuassero margini di manovra nell'esecuzione
della sentenza, la Corte ha stabilito l'obbligo per il Governo
della Bosnia ed Erzegovina di adottare tutte le misure necessarie
per la piena ed effettiva esecuzione delle decisioni
della Commissione per le rivendicazioni di proprieta` fondiarie
e del Ministero per i rifugiati, in particolare assicurando
la demolizione della chiesa senza ritardo e al massimo
entro tre mesi dalla data in cui la sentenza della Corte e`
destinata a divenire definitiva.
Rispetto a tale parte del dispositivo, peraltro, e` da segnalare
l'opinione dissenziente del Presidente della Sezione,
Giudice Kjølbro, il quale, nel ribadire l'eccezionalita` dell'indicazione
da parte della Corte delle misure di esecuzione,
ha ritenuto problematico il fatto che gli interessi della
parrocchia, sui quali la decisione della Corte fortemente
incide, non fossero stati in alcun modo rappresentati dinanzi
alla Corte stessa, la parrocchia non avendo partecipato
neppure come terzo interveniente. Nell'opinione del
Presidente, sarebbe spettato alle corti interne di decidere
nel merito della controversia tra i ricorrenti e la parrocchia.
Gli effetti. La sentenza, da un lato, concorre ad arricchire
la giurisprudenza della Corte EDU in materia di tutela del
diritto di proprieta` e di bilanciamento tra tale diritto e il
pubblico interesse perseguito dallo Stato, che puo` variamente
costituire un limite al pieno godimento della proprieta`
. D'altro lato, la sentenza costituisce un ulteriore tassello
del quadro di casi in cui la Corte si e` trovata a dover
statuire sui diritti di coloro che la guerra che ha afflitto la
Bosnia ed Erzegovina tra il 1992 e il 1995 ha reso sfollati e
rifugiati, nonche´ sull'effettiva esecuzione di sentenze interne
in merito. Cosı`, ad esempio, in C ˇ olic´ e altri, sentenza del
10 novembre 2009, relativamente alla sistematica inosservanza
di sentenze interne che riconoscevano ai ricorrenti
danni di guerra; o in S ˇ ekerovic´ e Pasˇalic´ , sentenza dell'8
marzo 2011, in merito al diritto alla pensione dei rimpatriati
dopo la guerra nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina;
o ancora in Ðokic´ , sentenza del 27 maggio 2010, e
in Mago e altri, sentenza del 3 maggio 2012, riguardanti la
richiesta di restituzione di appartamenti acquistati o detenuti
prima della guerra.
Il contributo piu` significativo della sentenza in esame,
tuttavia, consiste probabilmente nella decisione della Corte
di statuire ai sensi dell'art. 46 CEDU, prescrivendo allo
Stato convenuto l'adozione di misure specifiche per l'esecuzione
della sentenza stessa. E ` noto che la Corte EDU,
generalmente, emette sentenze di natura dichiarativa, che
accertano le violazioni in cui sono incorsi gli Stati convenuti,
eventualmente corredate di condanne al pagamento di
un'‘‘equa soddisfazione'', astenendosi invece dal condannare
gli Stati a specifici obblighi di dare, facere o non facere.
La Corte ha ribadito numerose volte che spetta agli Stati di
decidere in ordine alle modalita` con cui dare attuazione alle
sentenze, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri
(art. 46, 2º comma, CEDU).
Tuttavia, nel corso del tempo, pur mantenendo fermo
questo principio generale, la Corte ha con sempre maggiore
frequenza finito per suggerire od ordinare agli Stati le misure
ritenute piu` idonee per la piena esecuzione delle proprie
decisioni. Tale tendenza non si e` sviluppata in maniera
lineare e ad oggi convivono sentenze di diversa natura:
sentenze in cui la Corte si limita a invitare lo Stato ad
adottare ‘‘tutte le misure necessarie'' per la loro esecuzione;
sentenze in cui la Corte suggerisce le misure ritenute piu`
adatte; sentenze in cui la Corte prospetta allo Stato conve-
Recentissime n Corti europee
2358 Giurisprudenza Italiana - Novembre 2019
nuto un'alternativa tra piu` misure possibili; sentenze in cui
la Corte richiede allo Stato specifiche misure, nel dispositivo
o solo in motivazione; sentenze che propongono o
prescrivono misure individuali, e altre che propongono o
prescrivono misure di carattere generale, quali l'adozione o
la riforma di leggi o la modifica di prassi amministrative;
c.d. sentenze pilota, che individuano un problema di carattere
sistemico nello Stato convenuto e le possibili soluzioni
al problema stesso, ed eventualmente ‘‘aggiornano'' casi
simili pendenti dinanzi alla Corte, che potranno essere reindirizzati
alle competenti autorita` nazionali una volta che
siano stati predisposti gli opportuni rimedi.
L'assenza di criteri chiari in base ai quali la Corte decida
di prescrivere o meno allo Stato convenuto l'adozione misure
specifiche ha attirato non poche critiche sulla Corte; al
tempo stesso, tale prassi appare ormai accettata dagli Stati
nella generalita` dei casi, fatti salvi rilievi puntuali. A volte,
peraltro, sono gli stessi giudici della Corte a non essere
pienamente convinti dell'opportunita` di indicare allo Stato
le modalita` di esecuzione della sentenza: anche in tali casi,
piu` che un'opposizione di fondo, trattasi di dubbi relativi
alle circostanze del caso di specie, quali quelli espressi dal
Giudice Kjølbro nel caso in esame.
E `
significativo che la prima area in cui la Corte sperimentava
tale approccio piu` ‘‘interventista'' era proprio la tutela
del diritto di proprieta` , con le sentenze Hentrich c. Francia
(Art. 50), del 3 luglio 1995, in cui la Corte dichiarava che
‘‘la migliore forma di riparazione sarebbe, in linea di principio,
la restituzione dei terreni da parte dello Stato'', e
Papamichalopoulos e altri c. Grecia (Art. 50), del 31 ottobre
1995, in cui la Corte poneva lo Stato convenuto di
fronte all'alternativa tra la restituzione dei terreni e il pagamento
della somma stabilita dalla stessa Corte a titolo di
compensazione (alternativa contenuta nel dispositivo della
sentenza).
Nel caso in esame, la Corte ha argomentato, con formula
divenuta ricorrente in questi casi, che ‘‘la violazione accertata
[...] non lascia [allo Stato] alcuna reale scelta rispetto
alle misure richieste per porvi rimedio'', e ha proceduto a
indicare allo Stato convenuto le precise misure individuali
da adottare, ossia la piena esecuzione delle sentenze interne
e la conseguente demolizione della chiesa abusivamente
costruita; tali indicazioni sono riportate nel dispositivo della
sentenza.
Non e` peraltro la prima volta che il Governo della Bosnia
ed Erzegovina si e` visto ordinare misure di esecuzione ai
sensi dell'art. 46 CEDU, anche in materia di tutela del
diritto di proprieta` : nel sopracitato C ˇ olic´ e altri, la Corte
aveva invitato il Governo ad assicurare un'adeguata riparazione
ai ricorrenti con casi simili a quello di specie pendenti
dinanzi alla stessa Corte, attraverso la composizione amichevole
della controversia od offerte unilaterali alla luce dei
criteri individuati nella sentenza; mentre in S ˇ ekerovic´ e
Pasˇalic´ , la Corte aveva prescritto nel dispositivo la modifica
delle leggi vigenti in materia di pensioni per i rimpatriati
(misura, dunque, di carattere generale), quale unico mezzo
per rimediare a un difetto strutturale dell'ordinamento nazionale.
Il godimento del diritto di proprieta` si conferma dunque,
per sua stessa natura, particolarmente suscettibile di limitare
la liberta` dello Stato nella scelta delle misure di esecuzione
delle sentenze CEDU.
31-01-2020 07:09
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