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Sentenza

Art. 303 c.p.p. - Termini di durata massima della custodia cautelare .
Art. 303 c.p.p. - Termini di durata massima della custodia cautelare .
Questioni di costituzionalità

  La Corte Costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto ha dichiarato non fondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, 4° co., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo di durata massima della custodia cautelare, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorché si verifichi la situazione descritta nel 2° co. del medesimo articolo. Invero, il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione determina la perdita di efficacia della custodia, anche se quei termini sono stati sospesi, prorogati o sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo; tale limite del doppio dei termini di fase ( art. 304, 6° co.), individua il limite estremo, superato il quale il permanere dello stato coercitivo si presuppone essere "sproporzionato", in quanto eccedente gli stessi limiti di tollerabilità del sistema, e funge, pertanto, da meccanismo di chiusura della disciplina dei termini ( C. Cost. 18.7.1998, n. 292, in CS, 1998, II, 1040. Il principio è stato ribadito in altre numerose pronunce - cfr.  C. Cost. 30.1.2004, n. 59;  C. Cost. 7.11.2003, n. 335, in GiC, 2003, 828;  C. Cost. 15.7.2003, n. 243, in CP, 2003, 3343;  C. Cost. 22.11.2000, n. 529, in GI, 2001, 787), dando vita ad un acceso contrasto interpretativo con la Corte di Cassazione.

Infatti le Sezioni Unite hanno ritenuto che, nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi, siano cumulabili, per il calcolo del doppio dei termini di fase ai sensi dell' art. 304, 6° co., solo i periodi di custodia cautelare sofferti nel corso della stessa fase o del medesimo grado di giudizio ( C., S.U., 19.1.2000, Musitano, in Mass. Uff., 215214). Tale liena interpretativa è stata successivamente ribadita in più occasioni dalle Sezioni Unite ( C., S.U., 10-25.7.2002, D'Agostino, in Mass. Uff., 222002;  C., S.U., 31.3-17.5.2004, Pezzella, in Mass. Uff., 227524, che ha sostenuto che l'unica soluzione sistematicamente corretta sia rappresentata dalla cumulabilità dei soli periodi di custodia patiti in fasi o gradi omogenei, non potendosi sconvolgere l'assetto della disciplina normativa con la introduzione di un termine "interfasico" o "plurifasico", in quanto il codice prevede unicamente limiti di custodia operanti in ogni singola fase e limiti complessivi riferiti all'intero procedimento penale).

Infine la Corte Costituzionale, risolvendo il contrasto insorto con le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 303, 2° co. nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall' art. 304, 6° co., i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito ( C. Cost. 22.7.2005, n. 299, in Gdir, 2005, 31, 59). Sul punto v. anche sub  art. 304.

Con la sentenza n. 253 del 2004 ( C. Cost. 21.7.2004, n. 253, in GiC, 2004, 2594) la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 722 nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dalla Stato italiano sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, 1°, 2° e 3° co. Recentemente cfr., altresì,  C., Sez. VI, 5.2.2008, Gallo, Mass. red., 2008. Si veda infra, par. 9 nonché sub  art. 722.

In termini analoghi, la Corte Costituzionale, rilevando la insussistenza di ragioni idonee a giustificare un trattamento deteriore - in ordine ai limiti di durata massima della carcerazione preventiva - del destinatario di un provvedimento restrittivo eseguito all'estero rispetto a chi viene sottoposto in Italia ad analoga misura cautelare, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, L. 22.4.2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, 1°, 2° e 3° co., del codice di procedura penale ( C. Cost. 16.5.2008, n. 143, in CP 2008, 3588).

È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, 1° co., lett. b, n. 3 bis, nella parte in cui ricollega l'aumento della durata della custodia cautelare al semplice nomen iuris del reato contestato e non richiede uno specifico provvedimento del giudice, atteso che l'automaticità del predetto aumento risponde alla stessa esigenza che ha indotto il legislatore ad introdurre una presunzione di pericolosità sociale dell'agente quando si proceda per il delitto di associazione mafiosa o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p., ovvero portati ad esecuzione al fine di agevolare l'attività delle predette associazioni ( C., Sez. V, 27.2.2002, Forgione, in Mass. Uff., 221325).

Per quanto attiene alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia, cfr.  C. eur. 5.4.2005, Nevmerzhitsky c. Ucraina, Mass. red., 2005;  C. eur. 26.10.2005, Kudla c. Polonia, Mass. red., 2005;  C. eur. 21.3.2002, Stasaitis c. Lituania, in LP, 2002, 883;  C. eur. 9.11.1999, Debboub alias Hussein Alì c. Francia, Mass. red., 2005;  C. eur. 24.8.1998, Contrada c. Italia, Mass. red., 2005.
Avv. Antonino Sugamele

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