Ai magistrati non si applica il limite massimo di durata quinquennale della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 15196/20; depositata il 16 luglio 2020
Il GIP del Tribunale competente per il caso di specie, adottava con ordinanza la misura cautelare personale della custodia in carcere nei confronti di un uomo -già sostituto procuratore della Repubblica, all'epoca in aspettativa per mandato parlamentare- sottoposto ad indagini preliminari in relazione ad alcuni gravi delitti, realizzati in continuazione ex art. 81 c.p., quali: corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, concussione, favoreggiamento personale ed estorsione. Conseguentemente, la Sezione disciplinare del CSM disponeva la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio dell'incolpato nonché il suo collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura.
L'ex procuratore della Repubblica, però, con istanza chiedeva alla Sezione disciplinare di voler dichiarare l'inefficacia della sospensione cautelare per decorrenza del termine di 5 anni di durata massima.
In esito, però, la Sezione disciplinare rigettava l'istanza rilevando che la disciplina dettata in materia assicura che la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, pure quando applicata in via automatica, sia mantenuta solo fin quando permangono i presupposti della sospensione facoltativa, ovvero (a) il fumus di fondatezza in ordine a fatti astrattamente riconducibili a fattispecie tipiche di illecito disciplinare; (b) la gravità di tali fatti e (c) la loro incompatibilità con lo svolgimento dell'attività giurisdizionale nelle condizioni di necessario prestigio. Secondo la Sezione disciplinare il termine quinquennale previsto per la cessazione dell'efficacia della sospensione cautelare del pubblico dipendente, non si applica alla sospensione cautelare del magistrato, dato che, pure in assenza di un limite rigido di durata massima della sospensione cautelare, la previsione della revoca, di diritto o facoltativa, della sospensione cautelare obbligatoria assicura adeguatamente il rispetto dei diritti costituzionalmente rilevanti del singolo magistrato, tutelando altresì il regolare e corretto svolgimento dell'attività giudiziaria.
In conclusione, la Sezione disciplinare valutava la permanenza delle esigenze sottese al mantenimento della misura applicata al magistrato, rilevando che l'intervenuta sua condanna in primo grado alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione rafforzava le esigenze cautelari, considerato che l'eventuale condanna definitiva per i gravi reati imputati allo stesso avrebbe avuto autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale nonché della sua attribuibilità all'incolpato. La Sezione del Consiglio superiore, inoltre, osservava che il tipo di reati per i quali l'uomo era stato condannato in primo grado comportava, di per sé, la grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario e legittimava la persistenza della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.
Per la cassazione dell'ordinanza della Sezione disciplinare, l'incolpato proponeva ricorso.
Con il primo motivo il condannato si doleva che la Sezione disciplinare avesse ritenuto inapplicabile ai magistrati ordinari, rispetto ai quali risulta pendente un procedimento penale, il termine quinquennale di durata massima della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. In particolare, l'incolpato sosteneva che, poiché la misura cautelare rispetto alla quale era stata formulata istanza di revoca atteneva alle misure obbligatorie, e non discrezionali, la Sezione disciplinare avrebbe dovuto procedere alla revoca di diritto della misura.
Inoltre, con altro motivo di doglianza, l'incolpato denunciava violazione e falsa applicazione di legge per avere -a proprio dire- la Sezione disciplinare trasformato la misura cautelare obbligatoria in misura facoltativa, senza intraprendere un autonomo procedimento volto alla sua emanazione.
Da ultimo, osservava che, poiché nel caso di specie si controverteva di una misura cautelare obbligatoria, la Sezione disciplinare -laddove avesse voluto mantenere il regime di sospensione cautelare dalle funzioni in capo all'incolpato- avrebbe necessariamente dovuto adottare una nuova e diversa misura. In ogni caso, osservava che l'ordinanza impugnata non si sarebbe fondata sul riesame del merito dei fatti, per i quali era stato avviato il procedimento penale, perché la valutazione operata di fatto si era appiattita sulla mera esistenza della sentenza, resa a definizione del procedimento penale di primo grado.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha colto l'occasione per precisare alcuni aspetti di grande attualità oltre che di rilevante importanza e, precisamente, che la specificità dello status di magistrato e delle funzioni dallo stesso esercitate giustifica ampiamente, anche nella fase cautelare, una disciplina più rigorosa rispetto a quella dettata per gli altri pubblici impiegati, essendo necessario tutelare soprattutto il dovere e l'immagine di imparzialità e la connessa esigenza di credibilità nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Peraltro, gli Ermellini hanno precisato che la normativa prevede l'ipotesi di cessazione di diritto degli effetti della sospensione cautelare collegandola alla definitività della pronuncia della Sezione disciplinare che conclude il procedimento. Pertanto, per la Suprema Corte a Sezioni Unite la Sezione disciplinare correttamente aveva escluso l'applicabilità ai magistrati del limite massimo quinquennale di durata della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, previsto invece nel caso di pubblico dipendente. Né, tra l'altro, gli Ermellini ritengono che l'esito del giudizio appaia disallineato rispetto alle indicazioni provenienti dal Giudice delle leggi, dato che la Corte Costituzionale aveva sottolineato che la necessità di un termine rigido di durata massima della misura cautelare vale solo nei casi in cui essa non sia adottata in base ad una autonoma valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine ai presupposti di fatto ed alla sussistenza delle esigenze cautelari.
La Suprema Corte rileva che è decisivo evidenziare come la Sezione disciplinare si sia di fatto attenuta al principio, già enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui la sospensione obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio per adozione di misura cautelare penale è soggetta a revoca facoltativa e non obbligatoria quando la detta misura sia cessata per motivi diversi dalla carenza dei gravi indizi di colpevolezza; nel qual caso, il criterio di esercizio del potere di revoca è identico a quello concernente la sospensione facoltativa, la cui revoca è sempre discrezionale. Pertanto, lungi dal passare dalla sospensione obbligatoria a quella facoltativa -per la Suprema Corte- la Sezione disciplinare aveva correttamente individuato nel sistema un criterio regolatore, legittimo e ragionevole, per l'esercizio del potere discrezionale di revoca della sospensione cautelare obbligatoria.
Infatti, dopo aver evidenziato che la disciplina normativa assicura che la sospensione cautelare obbligatoria sia mantenuta fin quanto permangano i presupposti della sospensione facoltativa, il giudice disciplinare aveva -per un verso- sottolineato che l'incolpato era stato condannato in primo grado alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione e che tale condanna rafforzava le esigenze cautelari, giacché l'eventuale condanna definitiva per i gravi reati commessi dall'uomo avrebbe avuto valore di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della sua attribuibilità all'incolpato, ed aveva -per altro verso- evidenziato che il tipo di reati per i quali il ricorrente era stato condannato in primo grado comportava di per sé la grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario, legittimando la persistenza della misura cautelare della sospensione dalle funzioni.
In conclusione, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, per la Suprema Corte l'ordinanza impugnata aveva congruamente motivato, senza incorrere in vizi logici e giuridici, le ragioni del diniego della revoca della sospensione cautelare obbligatoria originariamente disposta.
17-07-2020 16:50
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