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Sentenza

Responsabilità dell’appaltatore
Responsabilità dell’appaltatore
Cassazione Civile, SS.UU., 27 marzo 2017, n. 7756 - Pres. Di Palma - Rel. Manna - P.M. Iacoviello
La Corte (omissis).
Motivi della decisione
(omissis)
Con l'unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce la
“violazione e falsa applicazione dell'art. 1669 c.c., in relazione
all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Espone che la sentenza
impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che la ristrutturazione
edilizia di un fabbricato non possa rientrare nella
previsione dell'art. 1669 c.c.; lamenta che la Corte territoriale
abbia omesso di motivare sull'entità dei lavori di
ristrutturazione del fabbricato, nonché sulla consistenza e
sulla rilevanza dei vizi accertati dal c.t.u.; deduce che)
rispetto al caso esaminato da Cass. n. 24143/07, quello in
oggetto concerne interventi edilizi di carattere straordinario
riconducibili all'ipotesi di cui all'art. 1669 c.c.; e
richiama, tra altre pronunce di questa Corte, Cass.
n. 18046/12 per affermare che la ridetta norma è applicabile
non solo alle nuove costruzioni, ma anche alle opere di
ristrutturazione immobiliare e a quelle che siano comunque
destinate ad avere lunga durata.
2. - Sotto quest'ultimo profilo, quello dell'ambito oggettivo
coperto dall'art. 1669 c.c., l'ordinanza interlocutoria
della terza sezione rileva un contrasto nella giurisprudenza
di questa Corte (precisamente all'interno della seconda
sezione). E senza mostrare di voler prendere partito per
l'una o l'altra tesi, quella che esclude o quella che afferma
l'applicabilità dell'art. 1669 c.c., anche alle ristrutturazioni
immobiliari, ritiene che emerga ad ogni modo un
contrasto sui principi di diritto affermati, al di là delle
possibili peculiarità “fattuali” delle singole situazioni
esaminate.
2.1. - Sulla peculiare questione in oggetto anche la dottrina
mostra di dividersi. Pacifica l'applicabilità dell'art.
1669 c.c., ai casi di ricostruzione o di costruzione di una
nuova parte dell'immobile, come ad esempio la sopraelevazione,
che è essa stessa una “nuova costruzione”, prevale
l'opinione dell'estensibilità della norma anche alle ipotesi
di interventi di tipo manutentivo - modificativo che
debbano avere una lunga durata nel tempo. Ciò sia nel
caso in cui a seguito delle riparazioni o delle modifiche
collassi l'intera e preesistente struttura immobiliare, indipendentemente
dall'importanza in sé della parte riparata o
modificata, sia ove la rovina o i gravi difetti riguardino
direttamente quest'ultima. Ed escluse le riparazioni non di
lunga durata, come quelle ordinarie, e quelle aventi ad
oggetto parti strutturali anch'esse non destinate a conservarsi
nel tempo, deve dunque ammettersi l'applicazione
dell'art. 1669 c.c., nelle situazioni inverse. Si osserva da
alcuni che, in definitiva, il problema è lo stesso che si
presenta allorché rovini o sia gravemente difettosa soltanto
una porzione dell'originario edificio, visto che la
stessa norma contempla anche l'ipotesi che l'immobile
rovini “in parte”. Non solo, ma si ipotizza che la soluzione
inversa si presterebbe a dubbi di legittimità costituzionale,
considerato che gli artt. 1667 e 1668 c.c., del pari riguardanti
la responsabilità dell'appaltatore, si applicano ad
opere consistenti in mere modificazioni o riparazioni,
mentre l'art. 1669 c.c., restrittivamente inteso condurrebbe,
irrazionalmente e in violazione dell'art. 3 Cost., ad
applicare l'art. 1667 c.c., ancorché l'opera consista, previa
demolizione, in una ricostruzione totale o parziale, del
tutto sovrapponibile ad una costruzione ex novo.
Minoritaria la tesi opposta, che rispetto alla disciplina
degli artt. 1667 e 1668 c.c., ravvisa nell'art. 1669 c.c.,
una norma di carattere speciale. Si afferma che essa,
insuscettibile di applicazione analogica, integri una garanzia
vera e propria e una disposizione di favore per il
committente, motivata dal fatto che nelle opere di
lunga durata alcuni difetti possono presentarsi anche a
distanza di molto tempo. L'art. 1669 c.c., riguarderebbe,
per tale dottrina, le opere eseguite ex novo dalle fondamenta
ovvero quelle dotate di propria autonomia in senso
tecnico (come ad esempio una sopraelevazione).
3. - La giurisprudenza di questa Corte ha affrontato in
maniera esplicita e diretta il tema di cui si discute solo in
tre occasioni.Omeglio in due, per le ragioni che seguono.
3.1. - La prima con sentenza n. 24143/07. Riferita ad un
caso di opere d'impermeabilizzazione e pavimentazione
del terrazzo condominiale d'un edificio preesistente, detta
pronuncia ha osservato che l'art. 1669 c.c., delimita con
una certa evidenza il suo ambito di applicazione alle opere
aventi ad oggetto la costruzione di edifici o di altri beni
immobili di lunga durata, ivi inclusa la sopraelevazione di
un fabbricato preesistente, di cui ravvisa la natura di
costruzione nuova ed autonoma. Non anche, però, le
modificazioni o le riparazioni apportate ad un edificio o
ad altre preesistenti cose immobili, da identificare a norma
dell'art. 812 c.c.Atale conclusione è pervenuta attraverso
l'interpretazione letterale della norma, laddove questa
“raccorda il termine “opera” a quello di “edifici o di altre
cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata”,
per poi connettere e disciplinare le conseguenze dei vizi
costruttivi della medesima opera, così significando che la
costruzione di un edificio o di altra cosa immobile, destinata
per sua natura a lunga durata, costituisce presupposto
e limite di applicazione della responsabilità prevista in
capo all'appaltatore”. La conseguenza, conclude, è che ove
non ricorra la costruzione d'un edificio o di altre cose
immobili di lunga durata, ma un'opera di mera riparazione
o modificazione su manufatti preesistenti, non è applicabile
l'art. 1669 c.c., ma, ricorrendone le condizioni, le
norme sulla garanzia ex art. 1667 c.c. Infine, detta sentenza
ha escluso che questa Corte Suprema abbia mai affrontato
ex professo la questione, se non nella vigenza del c.c. del
1865, sotto l'art. 1639 (si tratta della sentenza n. 754 del
1934, la quale nell'escludere l'applicabilità della norma
alla copertura con asfalto d'un lastrico solare, si limitò, in
realtà, ad affermare unicamente che la norma “ha, come è
comune insegnamento, carattere eccezionale, e non può
perciò essere estesa fuori dei casi ivi preveduti della fabbricazione
di un edificio o d'altra opera notabile”: n.d.r.).
3.1.1. - In senso puramente adesivo è la n. 10658/15
(massimata in maniera del tutto conforme), avente ad
oggetto lavori di consolidamento di una villetta preesistente
che avevano provocato gravi fessurazioni su di un
corpo di fabbrica aggiuntovi.
A ben vedere, tuttavia, la motivazione chiarisce che il
giudice d'appello, ricondotta la fattispecie all'art. 1669
c.c., aveva escluso la responsabilità dell'appaltatore a tale
titolo non essendovi prova che questi avesse indicato i lavori
da eseguire, né che fosse stato messo al corrente dei difetti
strutturali che avevano determinato le lesioni riscontrate.
Sicché, in definitiva, la Corte territoriale aveva escluso sia il
nesso eziologico tra le opere eseguite dall'appaltatore e i
danni lamentati, sia una colpa di lui. Il consenso prestato
a Cass. n. 24143/07 è frutto, dunque, di una considerazione
svolta ad abundantiam rispetto alla ratio decidendi, basata su
altro; il che rende dubbio che detto precedente possa effettivamente
militare nell'ambito della tesi negativa.
3.2. - Di segno opposto la sentenza più recente, n. 22553/15,
secondo cui risponde ai sensi dell'art. 1669 c.c., anche
l'autore di opere realizzate su di un edificio preesistente,
allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile
o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità
globale. In quella fattispecie, le opere avevano riguardato
lavori di straordinariamanutenzione presso uno stabile condominiale,
consistiti nel rafforzamento dei solai e delle
rampe delle scale (queste ultime ricostruite completamente).
Nel darsi carico dei due precedenti massimati di segno
contrario all'avviso espresso, detta sentenza ravvisa una
“diversa valutazione complessiva delle emergenze fattuali”,
più che un “contrasto sincrono di giurisprudenza”.
Afferma, quindi, che la lettura della norma giustifica una
diversa impostazione ermeneutica, “perché non a caso il
legislatore discrimina tra edificio o altra cosa immobile
destinata a lunga durata, da un lato, e opera, dall'altro.
L'opera cui allude la norma non si identifica necessariamente
con l'edificio o con la cosa immobile destinata a
lunga durata, maben può estendersi a qualsiasi intervento,
modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria
costruzione dell'edificio, con la conseguenza che
anche il termine compimento, ai fini della delimitazione
temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto
non già l'edificio in sé considerato, bensì l'opera, eventualmente
realizzata successivamente alla costruzione dell'edificio”.
Ha osservato, inoltre, che “l'etimologia del
termine costruzione non necessariamente deve essere
ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma
ben può riferirsi alle opere successive realizzate sull'edificio
pregresso, che abbiano i requisiti dell'intervento costruttivo”.
Pertanto, anche “gli autori di tali interventi di
modificazione o riparazione possono rispondere ai sensi
dell'art. 1669 c.c., allorché le opere realizzate abbiano una
incidenza sensibile sugli elementi essenziali delle strutture
dell'edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali
da compromettere la funzionalità globale dell'immobile
stesso”. Per contro, prosegue la sentenza, “nessun valore
può essere attribuito con riguardo alla responsabilità di cui
all'art. 1669 c.c., alle classificazioni urbanistiche predisposte
dal legislatore al diverso fine del recupero di manufatti
preesistenti: la differenza dei parametri di riferimento
giustifica l'integrale responsabilità dell'appaltatore sia in
presenta di interventi di manutenzione straordinaria sia in
ipotesi di manutenzione ordinaria ai sensi dell'art. 31 L.
n. 457 del 1978”.
3.3. - Invece, Cass. n. 18046/12, richiamata tra altre nel
motivo di ricorso, non pare prendere posizione nell'un
senso piuttosto che nell'altro, sebbene in quel caso fosse sul
tappeto, perché dedotta dalla ricorrente venditrice - (ri)
costruttrice, la differenza tra l'imperfetta realizzazione di
immobili di nuova costruzione, rientrante nell'art. 1669
c.c., e i difetti di specifici lavori di ristrutturazione, che
sosteneva non riconducibili alla norma. In detta sentenza,
infatti, questa Corte ha ritenuto la censura non accoglibile
in parte per difetto di autosufficienza, e in parte perché la
pronuncia impugnata faceva riferimento all'inadeguatezza
sia dei lavori di completa ristrutturazione compiuti dai
venditori a stregua della concessione, sia di quelli di
rifinitura, mentre le censure della ricorrente attenevano
alla configurabilità, affermata dalla Corte territoriale,
della violazione dell'art. 1669 c.c., in relazione solo a
tali ultimi lavori.
4. - Queste Sezioni unite aderiscono all'orientamento
meno restrittivo, ritenendolo sostenibile sulla base di
ragioni d'interpretazione storico-evolutiva, letterale e
teleologica.
4.1. - In primo luogo vale premettere e chiarire che anche
opere più limitate, aventi ad oggetto riparazioni straordinarie,
ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura
immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo
di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata
o modificata, quanto in quella diversa e preesistente che ne
risulti altrimenti coinvolta per ragioni di statica. L'attenzione
va, però, soffermata principalmente sull'ipotesi dei
“gravi difetti”, sia perché confinaria rispetto al regime
ordinario degli artt. 1667 e 1668 c.c., sia per il rilievo
specifico che i “gravi difetti” assumono nel caso in oggetto,
sia per le ragioni di carattere generale che emergeranno più
chiaramente di seguito.
4.2. - Innumerevoli altre volte la giurisprudenza di questa
Corte, pur non esaminando in maniera immediata e consapevole
la questione in esame, si è occupata dell'art. 1669
c.c., presupponendone (per difetto di contrasto fra le parli
o per altre ragioni) l'applicabilità anche in riferimento ad
opere limitate. Ed è pervenuta a soluzioni applicative di
detta norma che appaiono poter prescindere dalla necessità
logica di un'edificazione ab imo o di una costruzione ex
novo.
Si è ritenuto, infatti, che sono gravi difetti dell'opera,
rilevanti ai fini dell'art. 1669 c.c., anche quelli che riguardano
elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni,
rivestimenti, infissi ecc.) purché tali da
compromettere la funzionalità globale dell'opera stessa e
che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria,
possono essere eliminati solo con interventi di manutenzione
ordinaria ai sensi dell'art. 31 L. n. 457 del 1978,, e
cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione
delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie
per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici
esistenti” (sentenze nn. 1164/95 e 14449/99; in
senso del tutto analogo e con riferimento a carenze costruttive
anche di singole unità immobiliari, v. n. 8140/04, che
ha ritenuto costituire grave difetto lo scollamento e la
rottura, in misura percentuale notevole rispetto alla superficie
rivestita, delle mattonelle del pavimento dei singoli
appartamenti; da premesse conformi procedono le
nn. 11740/03, 81/00, 456/99, 3301/96 e 1256/95; di un
apprezzabile danno alla funzione economica o di una
sensibile menomazione della normale possibilità di godimento
dell'immobile, in relazione all'utilità cui l'opera è
destinata, parlano le sentenze nn. 1393/98, 1154/02, 7992/
97, 5103/95, 1081/95, 3644/89, 6619/88, 6229/83, 2523/
81, 1178/80, 839/80, 1472/75 e 1394/69).
Esemplificando, sono stati inquadrati nell'ambito della
norma in oggetto i gravi difetti riguardanti: la pavimentazione
interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro
di recinzione (sentenza n. 2238/12); opere di pavimentazione
e di impiantistica (n. 1608/00); infiltrazioni d'acqua,
umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti
d'impermeabilizzazione (nn. 84/13, 21351/05, 117/00,
4692/99, 2260/98, 2775/97, 3301/96, 10218/94, 13112/
92, 9081/92, 9082/91, 2431/86, 1427/84, 6741/83, 2858/
83, 3971/81, 3482/81, 6298/80, 4356/80, 206/79, 2321/77,
1606/76 e 1622/72); un ascensore panoramico esterno ad
un edificio (n. 20307/11); l'inefficienza di un impianto
idrico (n. 3752/07); l'inadeguatezza recettiva d'una fossa
biologica (n. 13106/95); l'impianto centralizzato di riscaldamento
(nn. 5002/94, 7924/92, 5252/86 e 2763/84); il
crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell'edificio
(nn. 6585/86, 4369/82 e 3002/81, 1426/76); il collegamento
diretto degli scarichi di acque bianche e dei pluviali
discendenti con la condotta fognaria (n. 5147/87); infiltrazioni
di acque luride (n. 2070/78).
Se ne ricava, inconfutabile nella sua oggettività, un dato di
fatto.
Nell'economia del ragionamento giuridico sotteso ai casi
sopra menzionati, che fa leva sulla compromissione del
godimento dell'immobile secondo la sua propria destinazione,
è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino
una costruzione interamente nuova. La circostanza che le
singole fattispecie siano derivate o non dall'edificazione
primigenia di un fabbricato non muta i termini logicogiuridici
dell'operazione ermeneutica compiuta in ormai
quasi mezzo secolo di giurisprudenza, perché non preordinata
al (né dipendente dal) rispetto dell'una o dell'altra
opzione esegetica in esame. Spostando l'attenzione sulle
componenti non strutturali del risultato costruttivo e
sull'incidenza che queste possono avere sul complessivo
godimento del bene, la giurisprudenza ha mostrato di porsi
dall'angolo visuale degli elementi secondari ed accessori.
Questo non implica di necessità propria che si tratti della
prima realizzazione dell'immobile, essendo ben possibile
che l'opus oggetto dell'appalto consista e si esaurisca in
questi stessi e soli elementi. Ferma tale angolazione, a
fortiori deve ritenersi che ove l'opera appaltata consista
in un intervento di più ampio respiro edilizio (come,
appunto, una ristrutturazione), quantunque non in una
nuova costruzione, l'art. 1669 c.c., sia ugualmente
applicabile.
In conclusione, considerare anche gli elementi “secondari”
ha significato distogliere il focus dal momento “fondativo”
dell'opera per direzionarlo sui “gravi difetti” di
essa; per desumere i quali è stato necessario indagare altro,
vale a dire l'aspetto funzionale del prodotto conseguito.
5. - Come la previsione dei “gravi difetti” dell'opera sia il
risultato d'un progressivo allontanamento del precetto dal
suo nucleo originario, lo dimostra la storia della norma.
Derivata dall'art. 1792 del codice napoleonico (il quale
stabiliva che “Si l'edifice construit a prix fait, perit en tout
ou en partie par le vice de la construction,memepar le vice
du sol, les architecte et entrepreneur en sont responsables
pendant dix ans”), essa così recitava sotto l'art. 1639 c.c.
del 1865: “Se nel corso di dieci anni dal giorno in cui fu
compiuta la fabbricazione di un edificio o di altra opera
notabile, l'uno o l'altra rovina in tutto o in parte, o
presenta evidente pericolo di rovinare per difetto di
costruzione o per vizio del suolo, l'architetto e l'imprenditore
ne sono responsabili”. Rispetto all'ascendente francese,
la norma aveva, dunque, aggiunto un quid pluris (cioè
le altre opere notabili e il pericolo di rovina). Ma - si noti -
aveva mantenuto inalterato il soggetto della seconda
proposizione subordinata (“...l'uno o l'altra...”), cioè l'edificio,
cui appunto aveva aggiunto “altra opera notabile”.
Un ulteriore e consapevole passo in avanti è stato operato
dal codice civile del 1942, il quale prevede che quando si
tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro
natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal
compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della
costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta
evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è
responsabile nei confronti del committente e dei suoi
aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno
dalla scoperta.
Si legge nella relazione del Guardasigilli (par. 704): “Innovando
poi al codice del 1865 si è creduto di non dover
limitare la sfera di applicazione della norma in questione
alle sole ipotesi di rovina di tutto o parte dell'opera o di
evidente pericolo di rovina,masi è estesa la garanzia anche
alle ipotesi in cui l'opera presenti gravi difetti. Naturalmente
questi difetti devono essere molto gravi, oltre che
riconoscibili al momento del collaudo, e devono incidere
sempre sulla sostanza e sulla stabilità della costruzione,
anche se non minacciano immediatamente il crollo di
tutta la costruzione o di una parte di essa o non importano
evidente pericolo di rovina. Non vi è dubbio che la
giurisprudenza farà un'applicazione cauta di questa estensione,
in conseguenza del carattere eccezionale della
responsabilità dell'appaltatore”. (Il riferimento alla riconoscibilità
dei gravi difetti al momento del collaudo è, ad
evidenza, un fuor d'opera. Concessa per un decennio, la
garanzia ex art. 1669 c.c. copre anche e soprattutto i gravi
difetti che si manifestino soltanto in progresso di tempo).
Come si è visto, però, la postulata eccezionalità dell'art.
1669 c.c., non è valsa ad arginarne l'applicazione. Chiamata
a dotare il sintagma “gravi difetti” di un orizzonte di
senso, la giurisprudenza ha ovviamente seguito l'unica
strada percorribile, quella di stemperare la vaghezza del
concetto giuridico al calore dei fatti.
5.1. - Il mutamento di prospettiva nel codice del 1942 è
evidente per due ragioni. La prima, d'ordine logico, è che
la nozione di “gravi difetti” per la sua ampiezza è omogenea
a qualunque opera, edilizia e non, per cui meglio si presta al
riferimento, del pari generico, alle altre cose immobili. In
secondo luogo, e l'argomento è di indole letterale, mentre
nel testo del 1865 il soggetto della seconda proposizione
subordinata era l'edificio o altra opera notabile (“l'uno o
l'altra”), nella frase che vi corrisponde nell'art. 1669 c.c., il
soggetto diviene “l'opera”, nozione che rimanda al risultato
cui è tenuto l'appaltatore (art. 1655 c.c.). E dunque
qualsiasi opera su di un immobile destinato a lunga durata,
a prescindere dal fatto che, ove di natura edilizia, essa
consista o non in una nuova fabbrica.
Ben si comprende, allora, che nell'ampliare il catalogo dei
casi di danno rilevante ai sensi dell'art. 1669 c.c., l'aggiunta
dei “gravi difetti” ha comportato per trascinamento
l'estensione dell'area normativa della disposizione, includendovi
qualsiasi opera immobiliare che (per traslato) sia
di lunga durata e risulti viziata in grado severo per l'inadeguatezza
del suolo o della costruzione. Ne è seguita,
coerente nel suo impianto complessivo, l'interpretazione
teleologica fornita dalla giurisprudenza, che è andata oltre
l'originaria visione dell'art. 1669 c.c., come norma di
protezione dell'incolumità pubblica, valorizzando la non
meno avvertita esigenza che l'immobile possa essere
goduto ed utilizzato in maniera conforme alla sua
destinazione.
Completano e confermano la validità di tale esito ermeneutico,
l'irrazionalità (non conforme ad un'interpretazione
costituzionalmente orientata) di un trattamento
diverso tra fabbricazione iniziale e ristrutturazione edilizia,
questa non diversamente da quella potendo essere foriera
dei medesimi gravi pregiudizi; e la pertinente osservazione
(v. la richiamata sentenza n. 22553/15) per cui costruire,
nel suo significato corrente (oltre che etimologico)
implica non l'edificare per la prima volta e dalle fondamenta,
ma l'assemblare tra loro parti convenientemente
disposte (cum struere, cioè ammassare insieme).
6. - Così ricomposta (la storia e) l'esegesi della norma, il
vincolo letterale su cui l'interpretazione restrittiva dell'art.
1669 c.c. pretende di fondarsi perde la propria base
logico-giuridica. Infatti, riferire l'opera alla “costruzione” e
questa a un nuovo fabbricato, inteso quale presupposto e
limite della responsabilità aggravata dell'appaltatore
(come ritiene Cass. n. 24143/07), non sembra possibile
proprio dal punto di vista letterale.
Si noti che nel testo della norma il sostantivo “costruzione”
rappresenta un nomen actionis, nel senso che sta per
“attività costruttiva”; e non potrebbe essere altrimenti,
visto che se esso valesse (come mostra d'intendere la
sentenza appena citata) quale specificazione riduttiva
del soggetto (l'opera) della (terza, nel testo vigente) proposizione
subordinata, si avrebbe una duplicazione di
concetti ad un tempo inutile e fuorviante. Inoltre, il
supposto impiego sinonimico di “costruzione” quale
nuovo edificio, porterebbe a intendere la norma come se
affermasse che l'opera può rovinare per difetto suo proprio.
Lettura criptica, questa, che restituirebbe inalterato all'interprete
il problema ermeneutico, dovendosi stabilire cosa
sia il vizio proprio di un'opera; salvo convenire che esso è
quello che deriva (da un vizio del suolo o) dal difetto di
costruzione, così confermandosi che quest'ultimo sostantivo
allude, appunto, all'attività dell'appaltatore.
Non senza aggiungere che supponendo la tesi qui non
condivisa, a) sarebbe stato ben più logico un diverso incipit
della norma (e cioè, “Quando si tratta (della costruzione)
di edifici...”); e b) il termine “costruzione” risulterebbe
irriferibile agli altri immobili di lunga durata, pure contemplati
dall'art. 1669 c.c., per i quali, paradossalmente,
questa sarebbe applicabile solo se rovina, evidente pericolo
di rovina o gravi difetti dipendessero da vizio del
suolo, cioè da una soltanto delle due cause ivi indicate (e,
per soprammercato, proprio quella che naturaliter fa pensare
alle opere murarie).
Ancora. Incentrando l'interpretazione dell'art. 1669 c.c.,
sul concetto di “costruzione” quale nuova edificazione,
diverrebbe (se non automatico, almeno) spontaneo il
rinvio al concetto normativo di costruzione così come
elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte in materia
di distanze. E, in effetti, Cass. n. 24143/07 sembra presupporlo
lì dove afferma (cosa in sé condivisibile) che la
norma in commento ricomprende la sopraelevazione, la
quale è costruzione nuova ed autonoma rispetto all'edificio
sopraelevato. Ma è una tematica del tutto estranea,
quella dell'art. 873 c.c. e ss., il rimando alla quale sortirebbe
effetti contraddittori e inaccettabili anche per la tesi
seguita dal citato precedente, sol che si consideri che ai fini
delle distanze è costruzione un balcone (v. sentenza
n. 18282/16), ma non la ricostruzione fedele, integrale e
senza variazioni plano-volumetriche di un edificio preesistente
(v. ordinanza S.U. n. 21578/11 e sentenza
n. 3391/09).
6.1. - Non meno controvertibile l'altro argomento - la
specialità o l'eccezionalità della norma - utilizzato dall'interpretazione
restrittiva dell'art. 1669 c.c., per escluderne
l'applicazione analogica.
In disparte il fatto che (i) solo di specialità potrebbe
trattarsi, nel senso che la responsabilità aggravata prevista
da detta disposizione è speciale rispetto al regime ordinario
del risarcimento del danno per colpa ai sensi dell'art. 1668
c.c., comma 1; che (ii) tale specialità si è già attenuata
fortemente allorché la giurisprudenza di questa Corte ha
ammesso, oltre all'azione risarcitoria, quella di riduzione
del prezzo, di condanna specifica all'eliminazione dei
difetti dell'opera e di risoluzione, che costituiscono il
contenuto della garanzia ordinaria cui è tenuto l'appaltatore
(per l'affermativa, che sembra ormai consolidata, cfr.
nn. 815/16, 8140/04, 8294/99, 10624/96, 1406/89 e 2763/
84; contra, le più risalenti sentenze nn. 2954/83, 2561/80 e
1662/68); e che (iii) l'analogia serve a disciplinare ciò che
non è positivizzato, non a riposizionare i termini di una
regolamentazione data; tutto ciò a parte, quanto fin qui
considerato dimostra come l'art. 1669 c.c., includa a pieno
titolo gli interventi manutentivi o modificativi di lunga
durata, la cui potenziale incidenza tanto sulla rovina o sul
pericolo di rovina quanto sul normale godimento del bene
non opera inmododissimile dalle ipotesi di edificazione ex
novo. Pertanto, la pur indubbia specialità della protezione
di lunga durata accordata al committente (protezione che
resiste anche al collaudo: cfr. Cass. nn. 7914/14, 1290/00 e
4026/74), non interferisce con la questione in oggetto.
7. - Poco o punto rilevante, e dunque non decisiva ai fini in
esame, la natura extracontrattuale della responsabilità ex
art. 1669 c.c. - con carattere di specialità rispetto alla
previsione generale dell'art. 2043 c.c. - costantemente
affermata dalla giurisprudenza (tanto che Cass. nn.
4035/17 e 1674/12 hanno escluso che la relativa controversia
possa rientrare nell'ambito della clausola che si
limiti a compromettere in arbitri le liti nascenti da un
contratto d'appalto). Tutt'altro che monolitica, invece, è
al riguardo la dottrina.
Ammessa anche dalle sentenze nn. 24143/07 e 10658/15,
che come detto escludono l'applicazione dell'art. 1669
c.c., alle ipotesi di riparazioni o modificazioni, la tesi
della natura extracontrattuale di detta responsabilità;
qualificata come ex lege (cfr. Cass. n. 261/70 e il brano
della relazione al c.c. del 1942 riportato supra al paragrafo
5) e prevista per ragioni di ordine pubblico e di tutela
dell'incolumità personale dei cittadini, quindi, inderogabile
e irrinunciabile (v. Cass. n. 81/00), ha anch'essa
origini remote, essendo stata altrettanto costantemente
affermata dalla giurisprudenza sotto l'impero del c.c. del
1865 a partire dagli anni venti del XX secolo. Ciò allo
scopo di riconoscere l'azione risarcitoria anche agli acquirenti
del costruttore-venditore, essendo invalsa già in
allora, con lo sviluppo delle attività edilizie, l'unificazione
delle due figure.
7.1. - Ai limitati fini che qui rilevano può solo osservarsi
che, come sopra detto, la categoria dei gravi difetti tende a
spostare il baricentro dell'art. 1669 c.c., dall'incolumità
dei terzi alla compromissione del godimento normale del
bene, e dunque da un'ottica pubblicistica ed aquiliana ad
una privatistica e contrattuale. Oltre a ciò, va considerata
la maggior importanza che sul tema della tutela dei terzi ha
assunto, invece, l'esperienza dell'appalto pubblico;
l'espresso riconoscimento dell'azione anche agli aventi
causa del committente (i quali possono agire anche contro
il costruttore-venditore: fra le tante, v. Cass. nn. 467/14,
9370/13 e 2238/12 e 4622/02), il che ha privato del suo
principale oggetto la teoria della responsabilità extracontrattuale
ex art. 1669 c.c.; i più recenti approdi della
dottrina sull'efficacia ultra partes del contratto; e - da
ultima, ma non ultima - la possibilità che tale efficacia
operi in favore dei terzi nei casi previsti dalla legge (art.
1372 cpv. c.c.). Tutto ciò rende ormaimenoattuale il tema
della natura extracontrattuale della responsabilità di cui
all'art. 1669 c.c., che se non ha esaurito la propria funzione
storica (per difetto di rilevanza non è questa la sede per
appurarlo), di sicuro ha perso l'originaria centralità che
aveva nell'interpretazione della norma.
8. - Per le considerazioni svolte l'unico motivo di
ricorso deve ritenersi fondato. Consegue la cassazione
della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione
della Corte d'appello di Ancona, che nel decidere il
merito si atterrà al seguente principio di diritto: “l'art.
1669 c.c., è applicabile, ricorrendone tutte le altre
condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia
e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi
di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino
o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi
difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione
del bene, secondo la destinazione propria di
quest'ultimo”.
(omissis).
Avv. Antonino Sugamele

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