Giudice. Incompatibilità, astensione e ricusazione. Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali.
Incompatibilità, astensione e ricusazione.
Sez. U, Sentenza n. 36847 del 26/06/2014 (dep. 03/09/2014) Rv. 260095
I termini per la formalizzazione della dichiarazione di ricusazione, nell'ipotesi in cui il giudice abbia raccolto l'invito della parte ad astenersi, non decorrono fino a quando non sia nota la decisione di rigetto della dichiarazione di astensione, potendosi configurare in capo alla parte una legittima aspettativa a vedere riconosciuta la situazione di pregiudizio alla imparzialità e serenità di giudizio da essa segnalata.
In senso difforme, v. sezioni semplici n. 33422 del 2008 - rv. 241385.
Sez. U, Sentenza n. 36847 del 26/06/2014 (dep. 03/09/2014) Rv. 260094
Integra propriamente una causa di ricusazione, ex art. 37, comma primo lett. b), cod. proc. pen. (come inciso da Corte cost., sent. n. 283 del 2000) e non una causa di incompatibilità di cui all'art. 34 cod. proc. pen. la circostanza che il medesimo magistrato chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato abbia già pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente nel medesimo reato, allorquando nella motivazione di essa risultino espresse valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del soggetto sottoposto a giudizio.
La sentenza risolve il contrasto tra n. 3822 del 1997 - rv. 208192, n. 2485 del 1998 - rv. 212120, n. 9239 del 2001 - rv. 219277, n. 32424 del 2003 - rv. 226511, n. 22689 del 2004 - rv. 228097, n. 8472 del 2005 - rv. 231490, n. 14176 del 2005 - rv. 233950, n. 15174 del 2009 - rv. 243563, n. 7908 del 2011 - rv. 249632, conformi al principio espresso, e n. 3771 del 1997 - rv. 209077, n. 4201 del 1997 - rv. 210112, n. 1385 del 1998 - rv. 210664, n. 44511 del 2003 - rv. 226409 orientate alla soluzione della non ricusabilità.
Sez. U, Sentenza n. 36847 del 26/06/2014 (dep. 03/09/2014) Rv. 260093
L'ipotesi di incompatibilità del giudice derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996 - che ha dichiarato la incostituzionalità dell'art. 34, comma secondo, cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata" - sussiste anche con riferimento alla ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia, in separato procedimento, pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente necessario nello stesso reato.
V. massima che precede.
Sez. U, Sentenza n. 23122 del 27/01/2011 (dep. 09/06/2011) Rv. 249733
Rientra, nell'ambito del divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza sino a che non intervenga l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ogni provvedimento che, comunque denominato, sia idoneo a definire la regiudicanda cui la dichiarazione di ricusazione si riferisce. (Fattispecie di ordinanza di revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale).
Sez. U, Sentenza n. 23122 del 27/01/2011 (dep. 09/06/2011) Rv. 249734
La violazione del divieto, ex art. 42, comma primo, cod. proc. pen., per il giudice la cui ricusazione sia stata accolta, di compiere alcun atto del procedimento comporta rispettivamente la nullità, ex art. 178, lett. a) cod. proc. pen., delle decisioni ciononostante pronunciate e l'inefficacia di ogni altra attività processuale, mentre la violazione del divieto, ex art. 37, comma secondo, cod. proc. pen., per il giudice solo ricusato, di pronunciare sentenza, comporta la nullità di quest'ultima solo ove la ricusazione sia successivamente accolta, e non anche quando la ricusazione sia rigettata o dichiarata inammissibile. (In motivazione la Corte ha precisato che il rispetto del divieto di pronunciare sentenza costituisce in ogni caso un preciso dovere deontologico del magistrato ricusato).
Sez. U, Sentenza n. 23122 del 27/01/2011 (dep. 09/06/2011) Rv. 249735
Il divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza ex art. 37 comma secondo, cod. proc. pen., opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva, dell'organo competente a decidere sulla ricusazione, essendo, tuttavia, la successiva decisione del giudice ricusato, affetta da nullità qualora la pronuncia di inammissibilità o di rigetto sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di imparzialità accertato dalla stessa Corte o nell'eventuale giudizio di rinvio.
La sentenza risolve il contrasto tra n. 7220 del 2007 - rv. 235862, conforme al principio espresso, e n. 40511 del 2001 - rv. 220303, orientata all'affermazione per cui in pendenza di ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione pronunciata "de plano" ai sensi del primo comma dell'art. 41 cod. proc. pen., è inibito al giudice ricusato di pronunciare sentenza, operando la regola generale dell'effetto sospensivo dell'impugnazione.
Sez. U, Sentenza n. 13626 del 16/12/2010 (dep. 05/04/2011) Rv. 249299
In assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci. (La Suprema Corte ha precisato che la nozione di «efficacia» indica, nella specie, la possibilità di inserimento degli atti, compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, nel fascicolo per il dibattimento, e che la valutazione di efficacia od inefficacia, operata dal giudice che decide sull'astensione o sulla ricusazione, pur autonomamente non impugnabile, è successivamente sindacabile, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione).
La sentenza risolve il contrasto tra n. 2799 del 1997 - rv. 207741, n. 4824 del 1997 - rv. 207588, n. 23657 del 2001 - rv. 219004, n. 21831 del 2002 - rv. 221986, conformi al principio espresso, e n. 4227 del 1997 - rv. 208409, n. 27604 del 2001 - rv. 219145, orientate all'affermazione per cui gli atti compiuti dal giudice astenutosi sono validi.
Sez. U, Sentenza n. 13626 del 16/12/2010 (dep. 05/04/2011) Rv. 249300
In tema di astensione (e ricusazione), le questioni sollevate da una parte, inerenti all'incompatibilità per precedenti funzioni svolte, hanno natura oggettiva e sono estensibili a tutti i coimputati, poiché le relative norme attuano i principi costituzionali di imparzialità e terzietà del giudice, a garanzia del giusto processo. (La Suprema Corte ha precisato che le questioni concernenti l'efficacia e la conseguente utilizzabilità degli atti compiuti dal giudice prima della dichiarazione di astensione o ricusazione sono deducibili in ogni stato e grado del processo).
La sentenza, sul principio, si pone in difformità con n. 2844 del 1997 - rv. 208555, n. 36777 del 2003 - rv. 226529, orientate all'affermazione per cui il riconoscimento, a seguito di ricusazione, di una causa di incompatibilità del magistrato non produce effetti nei confronti dei coimputati che non l'abbiano invocata.
Sez. U, Sentenza n. 41263 del 27/09/2005 (dep. 15/11/2005) Rv. 232067
L'indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell'ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della "res iudicanda", ovvero sulla colpevolezza dell'imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato. (La S.C. ha confermato la decisione della Corte d'appello che aveva respinto l'istanza di ricusazione, in una fattispecie in cui il richiedente deduceva che il giudice avesse espresso valutazioni sul merito del processo, negando l'ammissione d'ufficio di nuove prove per superfluità delle medesime).
Sez. U, Sentenza n. 31421 del 26/06/2002 (dep. 20/09/2002) Rv. 222046
La presentazione della dichiarazione di ricusazione del giudice non determina automaticamente la sospensione dell'attività processuale e, conseguentemente, non comporta la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare ai sensi dell'art. 304, commi 1, lett. a) e 4, c.p.p., salvo che intervenga nel momento immediatamente precedente la deliberazione della sentenza, nel qual caso la sospensione dell'attività processuale ha luogo come effetto indiretto della richiesta dell'imputato, con la conseguenza che legittimamente il giudice dispone la sospensione di detti termini.
Sez. U, Sentenza n. 31421 del 26/06/2002 (dep. 20/09/2002) Rv. 222045
Il giudice competente a decidere sulla ricusazione non ha il potere di sospendere i termini di durata della custodia cautelare durante il periodo per il quale abbia disposto, a norma dell'art. 41, comma 2, c.p.p., la sospensione dell'attività processuale.
Sez. U, Sentenza n. 23 del 24/11/1999 (dep. 01/02/2000) Rv. 215097
L'eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità del giudizio. (Fattispecie relativa a pretesa situazione di incompatibilità del componente di un organo giudicante collegiale).
Sez. U, Sentenza n. 5 del 17/04/1996 (dep. 08/05/1996) Rv. 204464
L'esistenza di cause di incompatibilità, non incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, da far valere con la specifica procedura prevista dal codice di rito; né ha incidenza sulla capacità del giudice la violazione del dovere di astensione, che non è causa, pertanto, di nullità generale ed assoluta ai sensi dell'art. 178 lett. a) c.p.p., ma costituisce anch'essa esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi. (Nell'affermare detto principio la Corte ha precisato che il difetto di capacità del giudice di cui all'art. 178 lett. a) c.p.p. deve essere inteso quale mancanza dei requisiti occorrenti per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali e non anche come difetto delle condizioni specifiche per l'esercizio di tali funzioni in un determinato procedimento).
16-12-2018 23:02
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