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Sentenza

Avvocato. Il titolo abilitativo conseguito in uno degli Stati dell'unione europea potrebbe non bastare per l'esercizio della professione.
Avvocato. Il titolo abilitativo conseguito in uno degli Stati dell'unione europea potrebbe non bastare per l'esercizio della professione.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 maggio – 3 agosto 2017, n. 19403
Presidente Rordorf – Relatore Bianchini

Fatti di causa

M.R. , iscritto il 24 aprile 2013 come advocat nella sezione speciale degli avvocati "stabiliti" dell'ordine di Messina, avendo conseguito il titolo abilitativo in Romania - in quanto iscritto alla Uniunea Nationala A Barourilor Din Romania - Struttura BOTA (in acronimo: UNBR-BOTA) -, venne cancellato da detto elenco con provvedimento del 22 gennaio 2014 dal locale Consiglio Dell'Ordine, ritenendosi che l'UNBR-BOTA non fosse legittimata a rilasciare titoli abilitativi per l'esercizio della professione forense, essendo a ciò abilitato unicamente la UNBR c.d. tradizionale, con sede in Bucarest presso il Palazzo di Giustizia (mentre la UNBR-BOTA era stabilita nella stessa città ma in str. Academiei nn 4-6);
Il M. propose impugnazione contro tale provvedimento, assumendone la illegittimità innanzi tutto perché la legittimazione esclusiva della UNBR tradizionale era stata certificata da un funzionario del Ministero della Giustizia rumeno, privo di poteri certificativi; in secondo luogo perché la legge rumena avrebbe riconosciuto la legittimità in sé della struttura UNBR-BOTA; in terzo luogo perché il provvedimento in questione sarebbe stato adottato a seguito di carente istruttoria e privo di confacente motivazione. In pendenza del giudizio, l'Advocat chiese ed ottenne la cancellazione dall'Ordine di Messina e l'iscrizione in quello di Caltagirone.
L'impugnazione venne respinta dal Consiglio Nazionale Forense sulla base della considerazione che la indicazione della UNBR tradizionale come unica abilitata a rilasciare titoli abilitativi in territorio rumeno era derivata dalla consultazione del canale ufficiale tra autorità nazionali, costituito dal sistema IMI (International Market Information System) - il cui utilizzo era vincolante, giusta la direttiva UE 2G13/55/UE, a modificazione della precedente Direttiva 2005/36/CE e del Regolamento UE N. 1024/2012- e non già dalla certificazione di un funzionario del Ministero della Giustizia del Paese straniero.
Tale decisione è stata impugnata dal M. , facendosi valere otto motivi; sono rimasti intimati il Consiglio dell'Ordine Forense di Messina; il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina; il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Messina ed il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione; la parte ricorrente ha altresì depositato memorie.

Ragioni della decisione

1 - Il ricorrente richiede che venga investita la Corte di Giustizia della Unione Europea al fine di fornire una vincolante interpretazione della normativa euro unitaria relativa all'Internal Market Information System (in sintetico acronimo: IMI): chiede il ricorrente se, al fine di consentire l'esercizio della professione in tutti gli Stati dell'Unione, dopo aver conseguito un titolo abilitativo in uno qualunque di essi, tale circostanza sia di per sé sufficiente alla circolazione del professionista o siano vincolanti solo le risultanze dell'IMI: il ricorrente patrocina la prima interpretazione in quanto lo stato "ospite" altrimenti avrebbe un non previsto potere di delibazione del titolo ottenuto in un altro Stato membro, facoltà che non gli può essere riconosciuta.
1.1 - La richiesta deve essere disattesa in quanto l'Ordine professionale non ha sindacato la validità del titolo abilitativo, bensì la sua idoneità ad essere riconosciuto nello Stato secondo le vincolanti procedure stabilite dal sistema IMI: dunque la questio juris che si vorrebbe sottoporre al preventivo vaglio della Corte di Giustizia è posta in modo non corretto perché il ricorso al sistema IMI è obbligatorio e dunque la stessa norma che ne riconosce la vincolatività per lo Stato che accede a tale sistema informativo fornisce la prova della obiettiva carenza di un potere di sindacato da parte delle autorità nazionali (se non nel caso, qui non ricorrente, di riconosciuto abuso del diritto, su cui vedi infra).
1.2 - Evidentemente il problema è "a monte" e riguarda i criteri di selezione utilizzati dall'IMI prima di attestare la idoneità di un organismo nazionale a rilasciare titoli amministrativi: tale profilo però sfugge all'intervento interpretativo della Corte di Giustizia.
1.3 - Risultano allora inconferenti sia la circostanza secondo la quale più volte i giudici rumeni avrebbero riconosciuto la validità dei titoli fatti valere dai i c.d. advocat BOTA (da intendersi: quei professionisti che hanno conseguito la abilitazione presso la struttura UNBR-BOTA) sia il fatto che il Ministero della Giustizia rumeno avrebbe "sconfessato" il proprio funzionario - stante il fatto che il giudizio del COA non si era basato su tale "certificazione"-: in realtà con tali deduzioni il ricorrente cerca di ricondurre la causa di cancellazione dall'Albo degli avvocati stabiliti all'esercizio del potere riconosciuto agli Stati, di sanzionare, in casi eccezionali (in presenza cioè di specifici indici di anomalia), eventuali comportamenti abusivi (vedi Corte di giustizia, sent. 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi, sugli abogados spagnoli; Corte di giustizia, sent. 29 gennaio 2009, causa C-311/06, Cavallera; Cass., S.U. n 4252 del 2016) ma, ripe-tesi, non a seguito di tale potere è stata disposta la cancellazione dall'Albo.
1.4 - Né è corretto sostenere che, ragionando altrimenti, si attribuirebbe all'IMI una funzione certificatoria che non le è propria: invero l'IMI è stato correttamente utilizzato come mero veicolo di un potere certificatorio esplicato all'interno dello Stato in cui l'Advocat ha conseguito l'abilitazione e, dunque, la incongruenza che il ricorrente addebita allo Stato "ricevente" dovrebbe essere indagata con riferimento alle strutture dello Stato certificante.
1.5 - Non è fondata poi - sempre ai fini di identificare una res dubia da sottoporre alla valutazione della Corte di Giustizia - l'affermazione contenuta a fol 10 del ricorso, secondo la quale le procedure di riconoscimento IMI avrebbero una incisività "costitutiva" (nel senso che condizionerebbero la riconoscibilità in un paese dell'Unione delle abilitazioni conseguite ed inciderebbero pertanto sul diritto di libera circolazione professionale) solo nel caso delle professioni che hanno implicazioni per la salute o per la sicurezza pubblica: in tale caso, sostiene il ricorrente, i Paesi membri potrebbero consentire l'accesso del professionista solo previo riconoscimento della qualifica (con ciò intendendosi: esercitando un controllo delle modalità con cui il titolo abilitante e comunque la qualifica da far valere nel paese membro siano state ottenute): invero tale differenziazione non si rinviene nel regolamento CE 25 ottobre 2012 n. 1024 (istitutivo dell'IMI) e neppure nella Direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali: quanto a quest'ultima è ben vero che nel preambolo vi sono dei "considerando" che riguardano le professioni con attinenza alla salute e sicurezza pubblica (segnatamente al punto 6) in relazione a servizi transfrontalieri su base temporanea ed occasionale) ma solo per evidenziare agli Stati l'esigenza di specifiche normative su tali professioni,(vedi punto 9 dei "considerando"), ferme restando per il resto le norme sulla libera circolazione delle professioni; in particolare l'espressione "senza pregiudicare" di cui all'art. 42 va coniugata con la riaffermazione dell'applicazione della direttiva medesima al riconoscimento immediato dei titoli professionali (ibidem).
1.6 - Va altresì disattesa la prospettiva contenuta nelle memorie ex art. 378 cod. proc. civ., secondo la quale il CNF avrebbe fatto erronea applicazione della normativa sull'IMI mentre la regolamentazione primaria sarebbe - ratione temporis - quella di cui alla direttiva 98/05/CE in luogo della direttiva 2013/55/UE del 20 novembre 2013 (la quale, soggiunge il ricorrente, conterrebbe la regolamentazione del riconoscimento dei titoli professionali secondo il sistema IMI nei soli casi in essa previsti). Invero a parte la considerazione che il CNF non ha fatto riferimento a tale direttiva, e che, per altro verso, la difesa sopra riportata appare nuova rispetto alle tesi portate nel ricorso, è sufficiente il rilevare che all'epoca della iscrizione e della cancellazione era già in vigore il c.d. sistema IMI.
1.6.1 Va anche considerato che il regolamento IMI ha anche indicato, per i suoi compiti istituzionali (art. 5: "Definizioni") quali debbano essere considerate le autorità abilitate a fornire alla Commissione le informazioni necessarie per garantire il diritto di stabilimento; da questa definizione (vedi: ibidem "lett. f) autorità competente: qualsiasi organismo a livello nazionale, regionale o locale e registrato nell'IMI (n.r. sottolineatura dell'estensore) con compiti specifici inerenti all'applicazione del diritto nazionale o di atti dell'Unione elencati nell'allegato in uno o più settori del mercato interno") emerge che la legittimazione ad interloquire a livello sovranazionale nel circuito IMI presuppone una registrazione -che l'UNBR-BOTA non aveva ottenuto- e solo attraverso essa si identifica l'"autorità Competente" a fornire informazioni agli utenti IMI - in questo caso: gli Stati di appartenenza dell'advocat.
2 - Il ricorrente solleva poi una questione di costituzionalità degli artt. 34, 36 e 37 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense) per violazione dell'art. 111, commi 1 e 2; dell'art. 24, commi 1 e 2 della Costituzione, sostenendo che nella subjecta materia il Consiglio Nazionale Forense cumulerebbe in sé sia la funzione giurisdizionale che quella di indirizzo (esplicata, quest'ultima con circolari esplicative del 2013 e 2016 che escludevano il c.d. titolo BOTA tra quelli legittimanti il riconoscimento dell'abilitazione alla professione forense ottenuta in Romania le quali espressamente erano considerate vincolanti per il locali Consigli dell'Ordine, e con la diffusione presso gli organismi locali di decisioni in precedenza adottate sempre in materia di riconoscimento del titolo di advocat rilasciato dalla UNBR BORA), lamentando una illegittimità per confusione di ruoli nella composizione dell'organo professionale di vertice; in progressione argomentativa contesta che tale vizio di attribuzione di funzioni potesse formare oggetto di facoltà di ricusazione - non tempestivamente esercitata - a norma delle disposizioni del codice di rito, riguardando la struttura stessa e non la occasionale composizione soggettiva dell'organismo collettivo. Sottolinea pertanto che il sistema di commistione di competenze determinerebbe un vulnus al principio del giusto processo soprattutto con riferimento alla terzietà ed imparzialità del giudicante.
2.1 - Giudicano queste Sezioni Unite che il profilo messo in evidenza deve considerarsi manifestamente infondato in quanto, come già deciso in precedente occasione (Sezioni Unite, sentenza 16 gennaio 2014 n. 775, in materia di giudizi disciplinari) la circostanza il Consiglio Nazionale Forense, nella sua funzione di indirizzo e di coordinamento dei vari Consigli dell'ordine territoriali, abbia sollecitato gli stessi all'adozione di provvedimenti di cancellazione dall'albo (nell'ipotesi allora in esame: per incompatibilità, ai sensi della legge 25 novembre 2003, n. 339) non costituisce violazione dell'art. 111 Cost. sotto il profilo del difetto di terzietà, giacché le norme che disciplinano, rispettivamente, la nomina dei componenti del C.N.F. ed il procedimento (nel caso richiamato in pronuncia:di disciplina; nella fattispecie in esame: di controllo sulle iscrizioni) offrono sufficienti garanzie con riguardo all'indipendenza del giudice ed alla imparzialità dei giudizi.
2.1.1. - La questione prospettata difetta altresì di rilevanza e decisività ai fini del decidere in quanto la duplicità di ruoli nell'organo amministrativo-giudiziario non ha inciso sulla decisione finale atteso che la stessa è stata adottata in relazione a note del Ministero della Giustizia - che ricordavano la rilevanza del sistema IMI al fine del riconoscimento del titolo straniero e della autonoma valutazione della non menzione della struttura UNBR BORA in detto sistema; pienamente legittimo comunque, in ambito più generale, è il prevedere che un organismo a rilevanza pubblica quale il Consiglio Nazionale Forense - e quindi deputato a emanare provvedimenti organizzativi e di indirizzo per i propri iscritti - abbia, a limitati fini, anche il potere di decidere su impugnazioni di provvedimenti degli Ordini locali che formalmente si fondino su proprie disposizioni di carattere generale.
2.2 Inconferente è poi il richiamo a Cass. 26 marzo 2002 n. 4297 a sostegno della tesi per eterogeneità della fattispecie: in detta decisione infatti si era fatta questione della impugnabilità o meno della ordinanza sulla ricusazione del giudice.
2.3 - Del tutto immotivati poi - se non con un implicito rinvio alla omni-comprensività della suesposta censura di lesione al diritto al giusto processo - sono gli ulteriori profili di ritenuta contrarietà delle norme surrichiamate al principio del diritto di difesa e di parità delle parti nell'ambito del procedimento di che trattasi.
3 - Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 17 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 e dell'art. 43 del regio decreto legge 27 novembre 1933 n.1578, lamentando il ricorrente di non esser stato ascoltato né dal Consiglio Provinciale dell'ordine né da quello Nazionale, nonostante le sue richieste.
3.1 - Il mezzo è inammissibile per difetto di specificità, avendo il ricorrente omesso di indicare se ed in quale momento processuale la relativa questione sarebbe stata posta all'attenzione del CNF in sede di impugnativa; ulteriore causa di inammissibilità si rinviene nella omessa indicazione di quale attività difensiva sarebbe stata preclusa al deducente per non esser stato ascoltato personalmente, stante il fatto che lo stesso ha compiutamente svolto le proprie difese innanzi al CNF.
4 Con il quarto motivo si assume la violazione dell'art. 3 della direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 - recepita con il decreto legislativo 9 novembre 2007- contenente le definizioni generali utilizzate nel testo normativo: sostiene il ricorrente che la nota del Ministro della Giustizia con la quale si dava atto che la identificazione nel UNBR tradizionale come unica struttura legittimata secondo il sistema IMI a rilasciare titoli abilitativi, riposava su una comunicazione, poi disconosciuta quanto a poteri certificativi del funzionario straniero, dallo stesso Ministro rumeno; ricorda altresì il ricorrente che anche la Corte di Appello di Bucarest avrebbe negato tale potere certificativo al Ministero.
4.1 - Il rilievo è inammissibile per difetto di specificità in quanto non è stato riportato il contenuto né della nota del Ministero della Giustizia italiano né le certificazioni e rettifiche di quello rumeno, come neppure le decisioni della Corte di Appello di Bucarest; al postutto va ribadito quanto dedotto nel par 1.6: la "autorità competente" non diventa tale per una sorta di auto attibuzione di poteri bensì perché, attraverso le procedure del sistema IMI, si accredita presso le istituzioni euro unitarie: dunque la legittimità di tale registrazione (ed i vincoli interpretativi che da essa derivano) non può essere sindacata in sede di impugnativa del provvedimento nazionale di cancellazione.
4.2 Non condivisibile appare dunque la conclusione che conduce il ricorrente a negare che "autorità competente" ad attestare la legittimità del rilascio di titoli abilitativi sia il Ministero della Giustizia rumeno, senza poi neppure prospettare chi ad esso si debba sostituire o, meglio, suggerendo che la stessa emissione del titolo stesso e il suo utilizzo di fatto presso gli organi di quello Stato costituiscano i presupposti legittimanti il successivo riconoscimento, "saltando" dunque ogni riferimento al sistema IMI.
5. Con il quinto motivo viene sindacato il rigetto dell'eccezione di cessazione della materia del contendere sollevata dal ricorrente per il fatto che lo stesso, nel corso del giudizio innanzi al CNF, aveva chiesto ed ottenuto di potersi cancellare dall'ordine di Messina ed aveva ottenuto il nulla osta per l'iscrizione in quello di Caltagirone.
5.1 - Il provvedimento era stato motivato in base al rilievo che non vi sarebbe stata una formale rinuncia da parte dell'advocat ed essendo privo dei necessari poteri il suo difensore tecnico.
5.2 Sottolinea il ricorrente la differente disciplina della rinuncia agli atti del giudizio - che comporta l'estinzione dello stesso ed abbisogna dell'accettazione della controparte- e quella della cessazione della materia del contendere per rinuncia all'azione - che invece da tale accettazione prescinde e, come tale, non necessita del conferimento di speciali procure al difensore, potendo essere rilevata di ufficio-.
- 5.3 Il rilievo è innanzi tutto inammissibile per difetto di specificità in quanto non viene riportato il tenore della dichiarazione del difensore; in secondo luogo anche se la decisione del CNF è errata, come del pari la interpretazione del ricorrente - in merito al contenuto dell'istituto pretorio della cessazione della materia del contendere che presuppone pur sempre una delibazione della res litigiosa e delle ragioni del venir meno della stessa, di talché la pronuncia sulle spese viene pronunciata sulla base della soccombenza virtuale - e, per altro verso, se è errato il sostenere che la rinuncia agli atti del giudizio abbisogna della accettazione della controparte (che invece è rilevante solo per la condanna alle spese), deve comunque confermarsi il rigetto, atteso che l'ordine di cancellazione disposto dall'Ordine di Messina e confermato dal Consiglio dell'Ordine Nazionale riguardava l'iscrizione del ricorrente nell'elenco degli avvocati "stabiliti", rimanendo limitata la indicazione territoriale solo alla individuazione dell'organo competente ad operare la cancellazione, senza alcun limite territoriale degli effetti del suo accertamento; in altri termini il nulla-osta per il trasferimento presso l'ordine di Caltagirone in tanto era necessario in quanto era pendente il presente procedimento ma non determinava, di per sé, la carenza di interesse alla prosecuzione dell'impugnazione.
6 - Con il sesto motivo viene dedotta la violazione dell'art. 6, comma 2, del decreto legislativo 96/2001, deducendosi che l'iscrizione presso la sezione speciale dell'albo era subordinata solo all'iscrizione presso la competente organizzazione professionale dello stato membro di origine: viene in sostanza ribadita la non vincolatività della prima nota di risposta del Ministero della Giustizia rumeno sia per la successiva precisazione sia per il contenuto della sentenza della Corte di Appello di Bucarest che accertava che la prima esternazione costituiva un mero parere senza creare situazioni nuove, imponendo allo stesso Ministero estero di chiarire la propria posizione in merito alla legittimazione dell'UNBR struttura BOTA.
6.1 - Viene altresì messa in rilievo la presentazione - a seguito delle note del Ministero Italiano del 2013 e del parere del CNF - alla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo di tre petizioni con le quali si sarebbe contestata la legittimità di tali atti: a seguito di ciò la Commissione avrebbe avviato - nel 2015 - una procedura di chiarificazione presso le autorità nazionali competenti, senza però prendere posizione sulla illegittimità dei titoli rilasciati dalla UNBR BOTA.
6.2 - La complessiva argomentazione esposta nel motivo porterebbe a concludere, secondo il ricorrente: che in attesa della pronuncia della Commissione petizioni, non potrebbe essere adottata alcuna valutazione sulla iscrizione presso un albo professionale di un paese membro; che il CNF non avrebbe potuto entrare nel merito di un provvedimento (l'emanazione del titolo abilitante da parte del UNBR-BOTA) legittimamente emesso da un organo di altro Stato membro della Comunità Europea; che nessuna piattaforma di interscambio (IMI) potrebbe negare all'Ordine BOTA di rilasciare abilitazioni all'esercizio della professione forense nel proprio Paese di origine.
6.3 Le complessive considerazioni sopra descritte non sono altro che una riaffermazione delle tesi espresse, esaminate e rigettate ai parr. 1.6 e segg. e ne seguono le sorti: va solo sottolineata l'assenza di qualunque effetto sospensivo del presente giudizio in attesa di un pronunciamento della Commissione Petizioni del Parlamento Europeo la cui funzione non è quella di dirimere controversie o di emanare pareri vincolanti bensì di veicolare le doglianze di qualunque cittadino dell'Unione agli organi nazionali competenti a decidere in merito.
7 - Con il settimo motivo si assume la violazione dell'art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990 n 241 (prevedente dei limiti temporali per l'esercizio in autotutela della facoltà di revoca dell'iscrizione): il rilievo è inammissibile in quanto nuovo (si vorrebbe aggiungere: necessariamente, atteso che il limite di 18 mesi per l'autoannullamento è stato introdotto con l'art. 25, comma 1 lett b quater del decreto legge 12 settembre 2014 n.133, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 2014 n.164 e successivamente con l'art. 6, comma 1 lett. d n. 1, della legge 7 agosto 2015 n.124) -e comunque non applicabile alla fattispecie ratione temporis.
8 - Con l'ottavo motivo si assume che, essendo il ricorrente iscritto da più di tre anni dalla data della pronuncia, avrebbe conseguito il diritto di essere iscritto nell'albo ordinario come avvocato integrato ai sensi del decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 96 art. 12, così che ogni contraria pronuncia sarebbe irrimediabilmente viziata di eccesso di potere, andando contro il diritto quesito del ricorrente.
8.1 - La prospettazione difensiva che sta alla base della censura è priva di qualunque fondamento: a - perché il triennio di esercizio non era trascorso al momento della cancellazione che, se confermata, ha effetto dalla sua emissione; b- perché presupposto della "integrazione" è che si tratti di un avvocato legittimamente "stabilito", il che invece è proprio l'oggetto della contestazione in esame; c - perché il diritto non può dirsi quesito se sia in contrasto con norme imperative.
9 - Il ricorso va dunque rigettato senza onere di spese, non avendo svolto difese le parti intimate; dal momento che il ricorso medesimo è stato affidato per la notifica il 15 settembre 2016 e dunque ben oltre il trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012 n 228 che ha modificato l'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002 n.115, sussistono i presupposti per porre a carico del ricorrente il pagamento di somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso, in applicazione dell'art. 13, comma 1 quater, del citato d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Avv. Antonino Sugamele

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