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Sentenza

“Avocat” stabiliti: bisogna verificare l’organizzazione professionale di provenienza.
“Avocat” stabiliti: bisogna verificare l’organizzazione professionale di provenienza.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 20 dicembre 2016 – 26 maggio 2017, n. 13400
Presidente Rordorf – Relatore Di Iasi

Fatti rilevanti

L'Avocat P.F. - già iscritta a decorrere dal maggio 2013 nella sezione speciale degli avvocati stabiliti dell'albo di Roma, ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 96 del 2001, in virtù di titolo conseguito in Romania - ricorre con quattro motivi (successivamente illustrati da memoria) avverso la sentenza del C.N.F. che ha confermato la decisione del COA di Roma di cancellazione della predetta dall'elenco degli avvocati stabilizzati sulla base del titolo conseguito in Romania, sul rilievo che il Ministero della giustizia italiano aveva individuato, tramite il sistema IMI (International Market Information System), quale unica organizzazione professionale della Romania "competente" ai sensi dell'art. 6 comma 2 d.lgs. n. 96 del 2001 la U.N.B.R. Tradizionale, laddove la predetta Avocat aveva conseguito il titolo presso la U.N.B.R. struttura Bota.
Questa Corte con ordinanza n. 15043/16 ha già respinto istanza di sospensione dell'esecutività del provvedimento impugnato.
Il COA di Roma non ha svolto attività difensiva.

Ragioni della decisione

Col primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 161 cod. proc. civ., perché quella notificata risultava priva della sottoscrizione del Presidente e del Segretario, l'unica firma riportata essendo quella della segretaria che aveva rilasciato l'attestazione di conformità.
Il motivo è infondato, in base al principio secondo cui "in materia di decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, qualora la conformità all'originale della copia notificata della sentenza risulti attestata dal consigliere segretario recando, con la dicitura "firmato" e l'indicazione a stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale formulazione della copia non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione dell'originale asseverando, anzi, il contrario" (Cass., Sez. U. 20/5/2014, n. 11024; 21/7/2016, n. 15043).
Col secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 24 e 111, commi 1 e 2, Cost. e 6 della CEDU, per difetto di imparzialità del giudice, poiché il CNF aveva già espresso la propria posizione nella circolare del 25 settembre 2013.
Il motivo è inammissibile, in quanto l'ipotizzato difetto di terzietà avrebbe dovuto formare oggetto di istanza di ricusazione (Cass., Sez. U., 21/7/2016, n. 15043).
Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 96 del 2001, sostenendo che la cancellazione è avvenuta sulla base di una nota del CNF elaborata a partire da una nota del Ministero della giustizia italiano che, a sua volta, dava conto di una nota del Ministero della giustizia rumeno nota, quest'ultima, impugnata dinanzi alla Corte d'appello di Bucarest, la quale ha ritenuto che essa esprimesse solo un parere. In ogni caso la ricorrente evidenzia che la circostanza della mancata iscrizione della U.N.B.R. Struttura Bota all'IMI non sarebbe in alcun modo dirimente e non avrebbe comunque il rilievo ad essa attribuito dal CNF.
La doglianza è inammissibile.
Queste Sezioni unite hanno già affermato, in controversie del tutto analoghe alla presente (Cass., Sez. U., 4/11/2016, nn. 22398 e 22399; 7/11/2016, n. 22517; 9/11/2016, n. 22719, ed altre), che l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati comunitari stabiliti è subordinata, ai sensi dell'art. 3, comma 2, della direttiva 98/5/CE e dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, al solo requisito dell'iscrizione "presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine".
Nel caso di specie, il CNF, sulla base della documentazione acquisita, e in particolare della nota del Ministero della giustizia italiano, che ha svolto i relativi accertamenti attraverso il sistema di informazione del mercato interno - denominato IMI - per la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri, ha ritenuto che il titolo esibito dalla ricorrente ai fini dell'iscrizione in Italia non fosse stato rilasciato dall'organismo competente, essendo questo individuato dalla Romania esclusivamente nella U.N.B.R. con sede nel palazzo di giustizia di Bucarest.
Ne deriva che la censura che investa l'esito negativo della detta verifica compiuta dal Consiglio nazionale forense - il quale non ha posto in discussione il sistema delineato dal d.lgs. n. 96 del 2001 in attuazione della direttiva comunitaria 98/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998 - si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione che, giusta il novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 per nullità del provvedimento di cancellazione in autotutela: osserva che la delibera di cancellazione del COA, essendo atto amministrativo, ai sensi dell'art. 21 nonies citato e successive modificazioni non poteva intervenire oltre i diciotto mesi dalla adozione del provvedimento, precisando inoltre che per l'autorizzazione all'esercizio della professione di avvocato stabilito dovevano ritenersi sufficienti gli elementi documentali e gli obblighi assunti al momento dell'adozione della delibera di iscrizione nel maggio 2013 e sostenendo di esercitare da quasi tre anni la professione legale nel pieno rispetto delle norme di riferimento e di aver perciò ormai acquisito, in assenza di intervento della P.A. interessata nel termine prescritto, il diritto ad ottenere l'iscrizione nell'albo ordinario, con dispensa dalla prova attitudinale di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 115 del 1992.
Le censure esposte sono infondate.
A prescindere da ogni altra possibile considerazione, è sufficiente evidenziare che al momento della cancellazione disposta dal COA (novembre 2013) non era trascorso neppure un anno (tanto meno, perciò, 18 mesi) dalla iscrizione nell'albo degli avvocati stabiliti, ed in ogni caso che al momento del deposito della sentenza impugnata (17 febbraio 2016) non era trascorso il triennio di esercizio in Italia, in modo effettivo e regolare, della professione, termine decorrente dall'iscrizione nella sezione speciale (avvenuta nel maggio 2013) né tantomeno il triennio era trascorso al momento della disposta cancellazione (novembre 2013).
Infine, nella memoria depositata successivamente al ricorso, la ricorrente chiede di rimettere alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, in via pregiudiziale, la questione circa il rilievo e l'efficacia dell'iscrizione all'IMI con riferimento alla questione sub judice.
La richiesta deve essere disattesa, poiché nel caso di specie, come sopra evidenziato, non viene in rilievo una questione di interpretazione della normativa comunitaria concernente il predetto sistema di collaborazione tra Stati membri, ma unicamente la rilevanza che, sul piano probatorio, assumono le informazioni che dall'indicato organismo provengono: quindi, non di interpretazione della normativa comunitaria si tratta bensì, unicamente, dell'apprezzamento di prove, anche documentali, concernenti la provenienza del titolo abilitante all'esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato, nel proprio ordinamento, a rilasciare quel titolo (in tal senso, Cass., Sez. U., n. 22398 del 2016, cit.).
Nella suddetta memoria la ricorrente inoltre: 1) solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 35, 36 e 37 della legge n. 247 del 2012, per difetto di terzietà ed imparzialità del CNF, nonché violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo (avendo il CNF deciso sull'impugnazione di un provvedimento emesso sulla base di una circolare emanata dallo stesso CNF); 2) denuncia nullità della sentenza per avere il COA inflitto la sospensione cautelare dall'esercizio della professione senza aver convocato l'interessata prima dell'adozione del provvedimento. Quanto alla questione di costituzionalità, va osservato che essa è priva di rilevanza in questa sede, non avendo la ricorrente, come sopra evidenziato, formulato istanza di ricusazione; quanto alla deduzione sub 2), è sufficiente rilevarne l'inammissibilità in quanto proposta per la prima volta in memoria.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte del COA intimato. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo ex art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte a sezioni unite rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Avv. Antonino Sugamele

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