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Sentenza

Ricorribilità delle decisioni del CNF. Solo se sono prive di motivazione.
Ricorribilità delle decisioni del CNF. Solo se sono prive di motivazione.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 17 novembre 2015 – 25 febbraio 2016, n. 3734
Presidente Salmè – Relatore Di Blasi

Svolgimento del processo

Con atto 06.10.2008 i signori B.O. e P. nonché N.S. , esponevano che l'avvocato C.S. ed il Dott. P.L. , in relazione alle prestazioni professionali rese in riferimento ad un sinistro stradale, nel corso del quale era deceduto un loro congiunto, avevano chiesto ed ottenuto il relativo pagamento, sia dai clienti sia pure, direttamente, dalla Compagnia di assicurazioni. L'adito Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, sentiti i predetti professionisti, con delibera dell'01 luglio 2010, disponeva l'archiviazione della pratica nei confronti del dr. P. e l'apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell'Avvocato C. , per essere, quest'ultimo, venuto meno ai doveri di correttezza, lealtà, probità e decoro per: "1) avere richiesto ed incassato dai propri assistiti sig.ri B.O. e P. e N.S. , l'importo di Euro 25.000,00 a seguito dell'attività dalla stessa prestata in loro favore per la definizione del sinistro relativo al decesso di B.A. , sottacendo agli stessi di avere incassato, per il medesimo titolo, dall'Assicurazione Generali - INA Assitalia, l'importo di Euro 2 6.928,00;
2) non avere emesso fattura per l'importo di Euro 25.000,00, percepito dai propri clienti a seguito dell'attività legale prestata per la definizione del sinistro relativo al decesso di B.A. ". All'esito della svolta attività istruttoria, il Consiglio dell'Ordine di Milano, affermava la responsabilità disciplinare dell'incolpata, comminando alla stessa la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi otto. L'Avvocato C. impugnava il citato provvedimento, innanzi al Consiglio Nazionale Forense, riproponendo ed ulteriormente illustrando le argomentazioni difensive già prospettate nel procedimento davanti al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano.
Con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, il Consiglio Nazionale Forense, ha rigettato il ricorso, confermando la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per mesi otto, così come irrogata dal Consiglio dell'Ordine di Milano.
L'Avvocato C. ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, che ha affidato a più mezzi, con l'ultimo dei quali ha formulato domanda di sospensione della decisione del C.N.F., nella parte in cui inibisce l'esercizio della professione per mesi otto, avuto riguardo al grave pregiudizio connesso alla relativa applicazione.
L'intimato Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, non ha svolto difese in questa sede.
Il Procuratore Generale, con atto 28.10.2015, ha chiesto che la Corte, in camera di consiglio, rigetti la domanda di sospensione dell'impugnata sentenza.

Motivi della decisione

Il Collegio ritiene che la domanda di sospensione vada respinta, per plurimi profili di inammissibilità. Un primo profilo di inammissibilità deriva dal condiviso principio, cui questo Collegio, intende dare continuità, secondo cui "In tema di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d'appello resa dai giudici speciali, impugnata con ricorso alle sezioni Unite della Corte di Cassazione, deve ritenersi applicabile, salvo che sia diversamente disposto da specifiche disposizioni, la disciplina di cui all'art. 373 cod. proc. civ., poiché1 nulla prevede al riguardo l'art. 111 Cost. sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, con la conseguenza che è inammissibile un'istanza "cautelare" contenuta nel ricorso per cassazione" - Cass. SS.UU. (N n.4112/2007).
Risulta, altresì, preclusa l'ammissibilità della domanda di sospensione, avuto riguardo alla genericità della doglianza della ricorrente, che non indica i concreti elementi, alla cui stregua dall'esecuzione della sentenza, dovrebbe "derivare grave ed irreparabile danno".
La ricorrente, infatti, si limita a prospettare, gli effetti pregiudizievoli connessi alla sospensione dell'esercizio professionale, ma ciò fa con riferimenti generici, senza indicare concreti elementi-giustificativi.
Rileva, peraltro, la Corte che il ricorso, così come correttamente evidenziato dal P.M. nelle conclusioni scritte del 28.10.2015 e come agevole desumere dal relativo tenore, prospetta mezzi che censurano la sentenza, esclusivamente, sotto il profilo motivazionale e, quindi, da ritenersi inammissibile.
Da tanto deriva che eventuali lacune, ove pure fossero state indicate puntualmente ed idoneamente formulate e valorizzate nell'ottica della relativa decisiva rilevanza, comunque, dovrebbero essere esaminate, tenendo conto del consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, secondo cui "In tema di ricorso per cassazione avverso le decisioni emanate dal Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare, l'inosservanza dell'obbligo di motivazione su questioni di fatto integra una violazione di legge, denunciabile con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, solo ove essa si traduca in una motivazione completamente assente o puramente apparente, vale a dire non ricostruibile logicamente ovvero priva di riferibilità ai fatti di causa(Cass. SS.UD. n.23240/2005, n. 5072/2003).
Non ricorrendo, nel caso, tali presupposti, per essere la decisione impugnata supportata da motivazione che esplicita il percorso logico-formale seguito per giungere all'adottata decisione, i motivi del ricorso appaiono inidonei a dare ingresso all'impugnazione, precludendo, pure, l'esame della domanda di sospensione di che trattasi che, invece, proprio quella presuppone.
Peraltro, sotto altro profilo, risultano inammissibili i vari motivi di ricorso e, quindi, la connessa domanda oggetto di esame in questa sede, in base al nuovo testo dell'art. 360 n.5 cpc, applicabile alle sentenze depositate dopo l'11 settembre 2012, e del principio, alla relativa stregua affermato da questa Corte (Cass. SS.UU. n.ri 8053, 8054, 8925 e 8926 del 2014).
Il tenore delle censure rende palese che i mezzi fanno riferimento al testo dell'art.360 n.5 cpc, nella versione introdotta dalla Legge n. 69 del 2009, quindi, anteriore alla riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 07 agosto 2012 n. 134.
Norma, quella richiamata, non applicabile al caso, trattandosi di sentenza depositata il 23 luglio 2015, quindi dopo l'entrata in vigore della precitate legge n.134 del 2012, la quale, ha introdotto una disciplina più stringente, che ha limitato la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l'intervento della Corte di Cassazione solo nel caso di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".
Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo del n.ro 5 dell'art. 360 cpc, viene eliminato non solo il riferimento alla "insufficienza" ed alla "contraddittorietà", ma addirittura la stessa parola "motivazione".
Può quindi affermarsi che la nuova e vigente previsione del n.5 dell'art. 360 cpc, legittima solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di “insufficiente” o “contraddittorietà” della motivazione.
Né a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per "omessa, insufficiente o contraddittorietà della motivazione", potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all'aspetto sostanziale più che a quello letterale e formale del mezzo e quindi prescindendo dalla inidoneità della formulazione, ostandovi l'evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l'area del sindacato di legittimità sui “fatti”, escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà), che non si traducano nella totale incomprensibilità dell'argomentare.
In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio. La formulazione dei motivi in esame, quale desumibile dal relativo tenore, non sembra, quindi, ossequiosa della nuova previsione processuale e del principio affermato dalle precitate sentenze di questa Corte, non offrendo concreti elementi, idonei a giustificare l'adozione della richiesta decisione.
Sotto altro aspetto, osserva la Corte, che le doglianze, difficilmente, sfuggirebbero alla declaratoria di inammissibilità, avuto riguardo all'orientamento giurisprudenziale, che questa Corte ha contribuito a formare, con specifico riguardo ai procedimenti disciplinari a carico di avvocati, secondo cui l'apprezzamento in fatto del Consiglio Nazionale Forense circa la idoneità' di un determinato comportamento posto in essere da un avvocato a ledere il decoro e la dignità' professionale della categoria - valori tutelati dall'art. 38 del r.d.l. n. 1578 del 1933 – ha carattere di esclusività', con la conseguenza della relativa incensurabilità in sede di legittimità ove sorretto da motivazione sufficiente (Cass. SS.UU. n. 6213/2005, n. 27689/2005).
Conclusivamente, può ritenersi, che, nel caso, tutti i motivi del ricorso non offrono elementi idonei per far ritenere sussistenti i prescritti presupposti, per l'accoglimento della domanda di sospensione degli effetti della sentenza in epigrafe indicata.
Nulla va disposto per le spese del giudizio, in assenza dei relativi presupposti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile la domanda di sospensione della esecutività del provvedimento impugnato. Trattandosi di pronuncia che non definisce il giudizio, non trova applicazione l'art. 13 comma l6 quater del dpr n.115 del 30.05.2002, come modificato dall'art. 1 commi 17 e 18 della Legge n.228 del 24 dicembre 2012.
Avv. Antonino Sugamele

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