La giurisdizione nei provvedimenti de potestate.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 febbraio – 18 marzo 2016, n. 5418
Presidente Macioce – Relatore Ragonesi
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con ricorso del 29/10/2013 M.C. proponeva reclamo avverso il decreto 9/10/2013 con il quale il Tribunale di Bologna aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano sull'istanza ex artt 317 bis c.c. e 710 c.p.c. del 1/7/2013 presentata da M. e diretta ad ottenere la modifica del provvedimento ex art. 317 bis c.c. del 1117/3/2010 del Tribunale per i Minorenni di Bologna (confermato in sede di reclamo dalla Corte di Appello di Bologna sezione minorenni con decreto del 21/7/2010), con il quale il minore M. T. (nato il (omissis)) era stato affidato ad entrambi i genitori con collocazione presso la madre D.C.F.L. nella sua residenza in (…) ed erano stati regolamentati i rapporti con il padre.
Con il medesimo ricorso il M. altresì proponeva ricorso avverso il provvedimento della Corte d'appello di Bologna depositato il 24.12.13 che aveva respinto il ricorso ex art 709 ter cpc dello stesso M. .
La reclamata non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
IL PG chiedeva la conferma del provvedimento impugnato.
La Corte d'Appello, rigettando, con decreto del 12.2.14, il reclamo proposto avverso il decreto del suddetto Tribunale, ha confermato il ritenuto difetto di giurisdizione sulla base del criterio di collegamento rappresentato dalla residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, precisando che la permanenza del minore in Italia nel 2013 per circa sei mesi seguita da rientro in (…) non era idonea a modificare la residenza abituale del minore che aveva vissuto in Brasile 11 mesi nei primi due anni di vita, nonché da aprile 2010 a febbraio-marzo 2013, e vi era tornato nell'agosto 2013.
Il M. propone ricorso, notificato l'11.4.14, avverso il decreto della Corte d'Appello.
Con il primo motivo contesta i conteggi dei periodi di presenza del minore in Brasile, e in ogni caso esclude che si possa prendere come punto di riferimento un calcolo puramente aritmetico del vissuto del minore senza considerare che al momento della proposizione della domanda di affidamento il minore permaneva in Italia ormai da sei mesi a seguito di legittimo trasferimento ed aveva ivi il centro dei propri legami affettivi e della vita di relazione.
Con il secondo motivo lamenta che erroneamente la Corte d'appello, nel pronunciare sul ricorso ex art 709 ter cpc, ha ritenuto che competente fosse il tribunale dei minorenni di Bologna.
Il primo motivo è in fondato.
Ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961 "le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, salve le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso, della presente Convenzione, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni".
Al fine dunque di individuare la giurisdizione nella fattispecie in esame occorre valutare quale fosse al momento della introduzione del giudizio la residenza abituale del minore.
A tale proposito la Corte d'appello ha confermato la valutazione del tribunale affermando che questi “ha correttamente ritenuto che la residenza abituale del minore M. T. (nato il (OMISSIS)) sia rimasta in (…). Ciò sul rilievo che il bambino nei primi due anni di vita ha vissuto undici mesi in (…) e vi si è poi trasferito, definitivamente da aprile 2010 a febbraio/marzo 2013, e vi è poi ritornato ad agosto 2013. Il breve periodo di trasferimento in Italia non ha dunque inciso in concreto sul luogo di svolgimento della sua vita personale che, deve ritenersi essere rimasto il paese di origine della madre, dove questi ha vissuto in modo continuativo e tendenzialmente stabile per la maggior parte della sua vita".
Tale motivazione non appare in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale già espresso da questa corte secondo cui in tema di giurisdizione sui provvedimenti "de potestate", l'art. 1 della Convenzione dell'Aja dà rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all'atto dell'introduzione del giudizio, non consentendo, quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di "prossimità", poiché questo è evocabile solo in tema di competenza interna; pertanto, in caso di trasferimento di un minore permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorché l'autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d'urgenza. (Cass. 16864/11).
È stato poi ulteriormente precisato, sia pure in riferimento al regolamento CE 2201 del 2003,ma il principio riveste carattere generale, applicabile quindi al caso di specie in relazione alle disposizioni della Convenzione dell'Aja,secondo cui in tema di giurisdizione sui provvedimenti "de potestate", al fine di stabilire la competenza giurisdizionale di uno stato membro occorre dare rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (Cass. sez. un. 1984/12) In particolare per "residenza abituale" deve intendersi il luogo in cui l'interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica, essendo rilevante, ai fini dell'identificazione della residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposizione della domanda (Cass. 3580/10).
Per quanto concerne poi i minori questa Corte ha già chiarito che la nozione di "residenza abituale" posta dalla Convenzione dell'Aja corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato. (Cass. 22507/06).
Nel caso di specie la Corte d'appello ha effettuato una valutazione complessiva dei periodi di vita vissuti dal minore tra l'Italia ed il Brasile ritenendo che, avendo questi trascorso il periodo compreso tra i tre ed i sei anni circa in (…), per essere poi tornato per sei mesi in Italia e successivamente rientrato nel paese sud americano, il breve periodo trascorso in Italia non poteva considerarsi significativo ai fini di un suo radicamento.
Tale motivazione, ancorché sintetica, appare corretta, lasciando implicitamente sottendere che nel periodo tra i tre ed i sei anni, in cui i minori tendono massimamente a porsi autonomamente in relazione con il mondo esterno, M.T. abbia costruito una serie di legami affettivi, cognitivi ed ambientali tali da far ragionevolmente presumere che colà sussistesse il luogo dei propri interessi e relazioni.
La predetta motivazione, congruamente e logicamente motivata, non appare pertanto censurabile in questa sede di legittimità. (Cass. 22507/06).
Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso,va premesso che con esso viene a proporsi, con forme diverse da quelle dell'art. 42 cpc, un regolamento di competenza impugnandosi con esso la declinatoria di competenza da parte della Corte d'appello.
A prescindere dalla cumulabilità di un siffatto ricorso con quello qui proposto per regolamento di giurisdizione, si osserva in ogni caso che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che le pronunce che decidono soltanto sulla competenza e sulle spese, di primo o di secondo grado - ad eccezione delle sentenze del giudice di pace (art. 46 cod. proc. civ.) -, devono essere impugnate esclusivamente con il regolamento necessario di cui all'art. 42 cod. proc. civ., che configura il regolamento di competenza come unico mezzo di impugnazione tipico per ottenere una diversa statuizione. Ne consegue che, in tal caso, è inammissibile l'impugnazione proposta nelle forme del ricorso ordinario per cassazione (ovvero con quelle del regolamento di giurisdizione n.d.r.), salva la possibilità di conversione in istanza di regolamento di competenza se ne ricorrano i requisiti e lo stesso sia proposto nel termine di trenta giorni, decorrente dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria. (Cass. 9268/15; Cass. 5598/14 – Cass. 6105/06).
Nel caso di specie il ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione e neppure alcuna allegazione di aver rispettato i termini di cui all'art. 42 cpc, nulla avendo dedotto e documentato riguardo la data della avvenuta comunicazione dell'ordinanza né avendo allegato che nessuna comunicazione era stata effettuata.
Il motivo è pertanto inammissibile.
Non avendo l'intimata svolto attività difensiva non si procede a liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso confermandosi l'insussistenza della giurisdizione del giudice italiano; dichiara inammissibile il secondo.
22-03-2016 21:38
Richiedi una Consulenza