Il CSM sanziona un magistrato infliggendogli le sanzioni della censura e del trasferimento di sede, perché, quale giudice, aveva (con negligenza inescusabile) omesso di dichiarare tempestivamente la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari di due imputati, con un ritardo di cinquantasei giorni per entrambi. La Cassazione annulla con rinvio.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 gennaio – 11 febbraio 2016, n. 2724
Presidente Rordorf – Relatore Napoletano
In fatto e in diritto
Rilevato che:
questa Corte con ordinanza dell'8 aprile 2014 n. 11228 ha, in relazione all'impugnazione proposta dall'incolpato in epigrafe avverso la sentenza con cui la sezione disciplinare dei Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava il ricorrente responsabile dell'incolpazione di cui all'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», infliggendogli le sanzioni della censura e del trasferimento di sede, perché, quale magistrato con funzioni di giudice aveva (con negligenza inescusabile) omesso di dichiarare tempestivamente la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari di due imputati, con un ritardo di cinquantasei giorni per entrambi, sollevato questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 13, comma 1, secondo periodo, limitatamente alle parole da "quando ricorre" a "nonché", in relazione all'art. 3 Cost.; queste Sezioni Unite, nella richiamata ordinanza, hanno preliminarmente ritenuto(in termini di rilevanza) la non fondatezza dei due motivi di impugnazione svolti dal ricorrente nella parte in cui rispettivamente si deduceva che il giudice a quo, nell'escludere che il fatto contestato fosse sanzionabile ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, sia lett. a), sia lett. g), aveva erroneamente ritenuto applicabile la prima anziché la seconda di tali disposizioni, conseguentemente irrogando, oltre alla censura, anche la sanzione dei trasferimento di sede, comminata dall'articolo 13 dello stesso decreto legislativo come effetto automatico di "una delle violazioni previste dall'art. 2, comma 1, lett. a)" e si denunciava il mancato riconoscimento, da parte della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, della sussistenza nella specie dell'ipotesi della scarsa rilevanza del fatto e quindi della non configurabilità dell'illecito, ai sensi del citato D.Lgs. n. 109 dei 2006, art. 3 bis;
a base di tale infondatezza queste Sezioni Unite hanno osservato che:
la giurisprudenza di questa Corte, relativamente proprio a ipotesi come quella in considerazione, di ritardo nella scarcerazione di imputato o "indagati", si è stabilmente orientata nel senso che le previsioni del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a) e g), sono entrambe contestualmente applicabili, poiché non sussiste tra loro un rapporto di specialità, che comporti l'esclusione dell'una o dell'altra; da questo principio, enunciato da Cass. s.u. 11 marzo 2013 n. 5943, 22 aprile 2013 n. 9691, 29 luglio 2013 n. 18191, non vi è motivo di discostarsi, stante la sua coerenza con il disposto delle norme da cui è stato desunto, le quali delineano le fattispecie di cui si tratta come comprese in cerchi non già concentrici ma adiacenti, anche se in parte interferenti, sicché l'ambito di ognuna non comprende interamente quello dell'altra;
alla stregua della suddetta giurisprudenza, risulta altresì da disattendere l'assunto del ricorrente, secondo cui la lett. a), attiene soltanto a comportamenti del magistrato intenzionalmente diretti ad arrecare ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, atteso che la tesi è contraddetta dal tenore della disposizione, che configura l'illecito disciplinare di cui si tratta come conseguente alle violazioni dei "doveri di cui all'art. 1", tra le quali sono certamente comprese anche quelle colpose, in quanto riferite, tra l'altro, al dovere della "diligemza" nell'esercizio delle funzioni attribuite al magistrato: appunto un difetto di diligenza è stato addebitato al Dott. D.P.M.
per non essersi avveduto della scadenza del termine massimo della misura degli arresti domiciliari, cui erano sottoposte due persone nei cui confronti procedeva il suo ufficio, in un procedimento a lui affidato;
neppure si può aderire alla tesi dei ricorrente, secondo cui si sarebbe dovuta riconoscere, in applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, la non configurabilità come illecito del fatto contestatogli, stante la sua scarsa rilevanza attenendo il tema ad accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, insindacabili in questa sede se non sotto il profilo dei vizi della motivazione, dai quali però la sentenza impugnata risulta immune, poiché il giudice a quo ha dato adeguatamente conto delle ragioni del mancato riconoscimento dell'esimente in questione, ravvisate nella protrazione per 56 giorni, oltre i limiti di legge, dello stato di detenzione di due persone, con conseguente gravità del danno loro arrecato, consistente nella privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo;
la Corte Costituzionale con sentenza n. 170 del 2015 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», limitatamente alle parole da «quando ricorre» a «nonché». Ritenuto che:
non vi sono valide ragioni giuridiche per discostarsi, come dei resto anche sottolineato dalla Corte Costituzionale nella predetta sentenza n. 170 del 2015, da quanto affermato da queste Sezioni Unite nella citata ordinanza circa i motivi d'impugnazione svolti dal ricorrente avverso la precitata sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, dei decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è inapplicabile la sanzione dei trasferimento al Tribunale di Rimini irrogata in ragione della previgente obbligatorietà del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando ricorre una delle violazioni previste dall'art. 2, comma 1, lettera a), dello stesso d.lgs ex art. 13, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 in parola;
la sentenza impugnata va,di conseguenza, in parziale accoglimento del primo motivo del ricorso (ossia con riferimento alla dedotta illegittimità dell'automaticità della sanzione del trasferimento di sede) cassata in parte qua con rinvio alla Sezione disciplinare dei Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite,accogiie in parte il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo. Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.
12-02-2016 21:46
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