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Sentenza

Sanzione disciplinare a carico di un giudice che ritarda il deposito di provvedimenti di 10 anni in penale e 5 anni in civile.
Sanzione disciplinare a carico di un giudice che ritarda il deposito di provvedimenti di 10 anni in penale e 5 anni in civile.
Cassazione civile  sez. un. 05/03/2009 ( ud. 16/12/2008 , dep.05/03/2009 ) numero: 5283
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONI UNITE CIVILI                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. VITTORIA    Paolo                 -  Primo Presidente f.f.  -  
    Dott. PAPA        Enrico                -  Presidente di sezione  -  
    Dott. ELEFANTE    Antonio               -  Presidente di sezione  -  
    Dott. MENSITIERI  Alfredo                         -  Consigliere  -  
    Dott. PICONE      Pasquale                        -  Consigliere  -  
    Dott. BONOMO      Massimo                         -  Consigliere  -  
    Dott. FINOCCHIARO Mario                           -  Consigliere  -  
    Dott. GOLDONI     Umberto                         -  Consigliere  -  
    Dott. SALVAGO     Salvatore                  -  rel. Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 18544-2008 proposto da: 
                S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO 
    EMANUELE  II  34  9,  presso lo studio dell'avvocato  SANDULLI  MARIA 
    ALESSANDRA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VIEL 
    LIVIO per procura a margine del ricorso; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; 
                                                             - intimato - 
    avverso  l'ordinanza  n.  51/2008  della  CONSIGLIO  SUPERIORE  DELLA 
    MAGISTRATURA, depositata il 26/05/2008; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    16/12/2008 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO; 
    udito l'Avvocato Livio VIEL; 
    udito  il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo 
    che  ha  concluso per l'inammissibilità, in subordine per il rigetto 
    del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1. La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con ordinanza del 26 maggio 2008 ha disposto la sospensione cautelare del dott. S.C. dalle funzioni e dallo stipendio, nonchè il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, con corresponsione allo stesso di un assegno alimentare, osservando: a) che serie ragioni inducevano a ritenere fondata l'incolpazione del mancato o tardivo deposito di numerose sentenze penali e civili, più volte segnalata nei suoi confronti dal Presidente del Tribunale di Belluno; b) che detti ritardi,continui e reiterati, avevano raggiunto per taluni provvedimenti la misura assolutamente abnorme di circa 10 anni nel settore civile e di 5 anni in quello penali, provocando già in passato sanzioni disciplinari a suo carico, e denotando l'incapacità cronica di detto magistrato di adempiere in maniera adeguata ai doveri imposti dall'esercizio dell'attività giurisdizionale;per cui risultavano incompatibili con le funzioni; c) che l'ulteriore protrarsi delle condotte gravemente omissive del dott. S. arrecherebbe ulteriore discredito al prestigio del magistrato nonchè dell'intera magistratura.

    Per la cassazione della sentenza quest'ultimo ha proposto ricorso per 8 motivi. Il C.S.M. non ha spiegato difese.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    2. La Corte deve preliminarmente osservare che non sussistono profili di inammissibilità del ricorso,peraltro prospettati solo genericamente dal P.G..

    3. Con il primo motivo, il dr. S., deducendo violazione dell'art. 606 cod. proc. pen., nonchè mancata assunzione e valutazione di prove decisive, censura la sentenza impugnata per non aver preso in considerazione la documentazione da lui offerta circa i ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali in relazione ai quali aveva offerto la prova che erano addebitabili alle gravissime condizioni fisiche e morali seguite alla lunga malattia nonchè al decesso della moglie; e per converso l'ordinanza impugnata si era limitata ad un giudizio sommario e non motivato, malgrado la giurisprudenza di questa Corte imponesse alla Sezione disciplinare l'obbligo di verificare se i ritardi suddetti siano sintomo di mancanza di operosità o se di contro siano conseguenza di una situazione particolare. Assume che tale obbligo sussiste anche per l'apprezzamento del fumus del provvedimento cautelare anche perchè lo stesso costituisce extrema ratio non soltanto per il magistrato incolpato, ma anche per il danno che esso arreca al ruolo di questi che nelle more rimane sospeso.

    Con il secondo motivo,denunciando violazione di legge per carenza assoluta di motivazione in ordine al fumus boni iuris ed al periculum in mora, lamenta che il provvedimento lo abbia additato come "giudice fannullone" senza considerare l'ingente mole di lavoro svolta, quanto meno negli ultimi due anni, trascorsi al Tribunale di Roma, ove aveva depositato 603 sentenze (oltre a 39 sentenze per il Tribunale di Belluno), alcune gravosissime, malgrado i problemi familiari e personali; e neppure che aveva dovuto svolgere l'incarico di componente della commissione giudicatrice degli esami di abilitazione della professione di avvocato.

    Con il terzo motivo addebita al provvedimento incongrua ed illogica motivazione anche in relazione al ritardo nel deposito dei provvedimenti relativi alle funzioni esercitate presso il Tribunale di Belluno, per non aver considerato: a) che presso il Tribunale di Roma gli era stato assegnato un ruolo particolarmente gravoso che non aveva tenuto in alcun conto della necessità di consentirgli il deposito dei pregressi provvedimenti; b) le sentenze nel frattempo emesse e depositate; c) che anche il numero di quelle relative al Tribunale di Belluno si era notevolmente ridotto: perciò neppure sotto questi profili giustificandosi il provvedimento cautelare.

    Con il quarto motivo deduce violazione della L. 109 del 2006 per non avere la Sezione disciplinare considerato che già la maggior parte delle condotte e dei ritardi in oggetto avevano costituito materia di pregressi procedimenti disciplinari,e che non vi erano specifiche nuove condotte da dover valutare; per cui il provvedimento cautelare aveva determinato una evidente violazione del principio del ne bis in idem.

    Con il quinto motivo, deducendo violazione della L. n. 109 del 2006, artt. 22 e 32 addebita al provvedimento impugnato: a) di non aver identificato le condotte disciplinari, la loro temporalità e la loro specifica contestualizzazione, non consentendogli di valutare neppure quale fosse la normativa più favorevole da applicare alla fattispecie; b) di non aver distinto tra vecchi e nuovi addebiti, come si rendeva necessario soprattutto per il fatto che alcuni erano stati oggetto di procedimenti già definiti; c) di non aver in tal modo reso possibile (neppure alla stessa Sezione disciplinare) di applicare ai fatti suddetti la disciplina più favorevole e comunque di operare un giudizio di comparazione tra le due discipline.

    Con il sesto deducendo altra violazione delle medesime disposizioni legislative addebita al provvedimento impugnato di non aver indicato quale sia la normativa applicabile al caso di specie nè in merito all'applicabilità della nuova L. del 2006, art. 22 a fatti antecedenti all'entrata in vigore della nuova normativa disciplinare.

    Con il settimo motivo deduce violazione della normativa relativa all'apprezzamento del periculum in mora, non avendo il provvedimento impugnato esplicitato: a) le ragioni per le quali soltanto ora sarebbe stato adottata la misura cautelare nè quelle connesse al pregiudizio grave che asseritamente rende incompatabile la prosecuzione dell'esercizio delle funzioni da parte del magistrato;

    b) i fatti rilevanti talmente gravi da comportare l'incompatibilità con l'esercizio delle funzioni,tratta da una mera presunzione di un astratto discredito che l'esercizio delle funzioni arrecherebbe sul magistrato e sulla stessa magistratura; c) l'esigenza di evitare che nel tempo necessario all'accertamento disciplinare si determinino situazioni tanto gravi da comportare la necessità della sospensione;

    d) l'attualità del pregiudizio e del periculum, che non possono essere riferiti nè a fatti già giudicati e definiti,nè a fatti non incidenti sull'attuale esercizio delle funzioni da parte del magistrato,ormai trasferito presso il Tribunale di Roma.

    Con l'ottavo motivo, denuncia mancanza assoluta di motivazione anche in ordine alle deduzioni e richieste di esso ricorrente: con particolare riguardo all'istanza di aspettativa senza assegni, che se concessa gli avrebbe consentito di smaltire del tutto anche il carico arretrato riguardante il Tribunale di Belluno.

    4. Tutte queste censure sono infondate.

    Il Ministero della Giustizia si è avvalso della disposizione del D.Lgs. 109 del 2006, art. 22 che gli attribuiva la facoltà di chiedere alla Sezione disciplinare del C.S.M. la sospensione cautelare del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio,nonchè il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura "quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni" (comma 1). E la Sezione disciplinare ha accolto la richiesta disponendo la misura cautelare suddetta proprio ai sensi del menzionato art. 22 (cfr. disp.), che, d'altra parte contiene una norma più favorevole all'incolpato rispetto al precedente R.D. n. 511 del 1946, art. 30 il quale invece rimetteva alla mera discrezionalità del Ministro di richiedere la sospensione "all'inizio o nel corso del procedimento" disciplinare,senz'altra condizione:invece sussistente nella disciplina attuale che più non consente di formulare detta richiesta in qualsiasi procedimento disciplinare,ma subordina la relativa facoltà alla specifica ipotesi in cui al magistrato incolpato vengano attribuiti "fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle sanzioni".

    5. Non è, poi, esatto che non vi sia stata precisa identificazione delle condotte attribuite al dott. S., nè della loro temporalità e contestualizzazione, poichè nella parte iniziale del provvedimento impugnato si legge che il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione gli ha addebitato di non avere depositato alla data del 17 gennaio 2008 - malgrado l'avvenuto tramutamento di funzioni al Tribunale di Roma fin dal 20 marzo 2006 - ben 63 sentenze penali e 10 sentenze civili - specificamente individuate negli elenchi allegati all'incolpazione - emesse quando svolgeva le proprie funzioni presso il Tribunale di Belluno (nonchè presso la sezione distaccata di Pieve di Cadore): perciò con ritardi - da 645 a 2075 giorni per i provvedimenti penali e talvolta per più di 10 anni per quelli civili - tali da incidere sui termini di prescrizione dei reati (nei procedimenti penali), nonchè sulla possibilità per le parti di esercitare il diritto di impugnazione (per entrambe le tipologie di giudizi).

    Nè giova al ricorrente che per taluni di questi ritardi,pur quando non avevano ancora raggiunto la consistenza e la gravità assunte alla data della contestazione,egli era stato già sottoposto ad iniziative disciplinari riportando già le sanzioni della censura,nonchè della perdita di anzianità dapprima di mesi uno e successivamente di anni due: avendo queste Sezioni Unite ripetutamente affermato che il ritardo nel deposito di provvedimenti giurisdizionali, contestato al magistrato in sede disciplinare, si traduce in una condotta a carattere omissivo collegata al permanere del dovere di provvedere all'adempimento omesso e, quindi, cessa per il sopravvenire, in alternativa, del contegno attivo dello stesso magistrato, consistente nella redazione e deposito dei provvedimenti riservati, ovvero della contestazione dell'infrazione nella predetta sede disciplinare.

    Tuttavia nella seconda ipotesi, che è quella verificatasi nella fattispecie, siccome la formalizzazione dell'addebito non elimina il dovere di emettere il provvedimento riservato, insorge (con decorrenza dalla data considerata nel precedente atto di incolpazione) una nuova condotta omissiva, che costituisce fatto diverso da quello a tale data esaurito:come del resto nel caso concreto risulta inequivocabilmente sia dalla nota 3 ottobre 2007 del Presidente del Tribunale di Belluno ove si lamentava che nell'arco degli ultimi sei mesi la situazione del dott. S. era rimasta immutata e persisteva in particolare l'omesso deposito di importanti sentenze innumerevoli volte sollecitate; sia dalla ricordata nota 4 marzo 2008 del Procuratore Generale che gli ha addebitato di "persistere" nel non depositare le numerose sentenze di cui si è detto, accumulando ritardi "abnormi ed anche pluriennali" e "malgrado la già avvenuta sottoposizione ad altri procedimenti disciplinari per fatti analoghi"; ed infine dalla decisione impugnata che ha giustificato la misura cautelare per "gli ennesimi gravi, abnormi e reiterati ritardi contestati al dott. S.", nonchè per "l'ulteriore protrarsi delle condotte gravemente omissive" (pag. 3).

    Con la conseguenza che il procedimento instaurato in relazione a queste nuove omissioni e l'eventuale nuova sanzione non comportano la violazione del divieto di reiterazione di procedimenti e di sanzioni,pacificamente applicabile anche nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati (Cass. sez. un. 12/2001;

    9617/1997).

    6. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente,il provvedimento ha specificamente valutato tanto il "fumus boni iuris" dei fatti addebitati,che il pericolo per l'ulteriore protrarsi di detti comportamenti, osservando quanto al primo, che gli stessi erano ampiamente documentati "per tabulas"; e pienamente riconosciuti dallo stesso incolpato che "con nota del 12 maggio 2008 ha ammesso i ritardi ... con punte massime di più di dieci anni nel settore civile e di cinque anni e mezzo nel settore penale ...".

    Non ha poi mancato di esaminare le giustificazioni addotte dal ricorrente . che ha disatteso anche richiamando le considerazioni già svolte nella precedente decisione 22 febbraio 2008 n. 14, secondo cui triste vicenda della moglie deceduta dopo una lunga malattia il (OMISSIS) e le sue condizioni di salute anche psichiche non potevano rilevare per gli anni successivi durante i quali peraltro era mancato qualsiasi comportamento del magistrato,adeguato e teso comunque a porre rimedio alla situazione patologica dallo stesso determinata; ribadendo il precedente giudizio che l'ulteriore ritardo nel deposito di detti provvedimenti,molti dei quali riguardavano per di più processi di notevole rilevanza, attestavano una ormai cronica incapacità del medesimo di adempiere in maniera adeguata ai doveri di correttezza,diligenza e scrupolosa osservanza della legge. E con ciò esaurendo l'obbligo di motivazione posto che l'adozione della misura cautelare della sospensione di un magistrato sia ai sensi del R.D. n. 511 del 1946, art. 30, che ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 non concreta l'irrogazione di una sanzione disciplinare; e perciò non richiede un approfondito accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull'illecito disciplinare), ma presuppone esclusivamente una valutazione della rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, con la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (Cass. sez. un. 14212/2005; 13602/2004;

    2379/1997).

    D'altra parte, la prospettata successiva laboriosità con riferimento alle funzioni esercitate in seguito al suo trasferimento presso il Tribunale di Roma, e desunta dal carico di lavoro svolto nella nuova sede giudiziaria, poteva assumere valore giustificativo soltanto nei limiti della ragionevolezza del ritardo. Come infatti questa Corte più volte ha evidenziato il ritardo nel deposito dei provvedimenti, soprattutto se reiterato, sistematico e prolungato, in una misura che per quantità dei casi ed entità dei tempi del deposito è tale da violare la soglia della ragionevolezza e giustificabilità, comporta, di per sè, lesione del prestigio dell'ordine giudiziario e implicando violazione di specifiche norme che impongono al riguardo l'osservanza di tempi precisi, vale ad integrare gli estremi obiettivi dell'illecito. Sicchè in tale prospettiva anche lo svolgimento di incarichi extragiudiziari (come quello di componente della commissione di esami per procuratore legale dedotto dal ricorrente: Cass. sez. un. 94/1999), poteva costituire causa di giustificazione o attenuante anzitutto se il magistrato avesse documentato che prima di accettarlo aveva rappresentato agli organi conferenti la difficoltà di svolgerlo per l'eccessivo lavoro giudiziario in quel periodo dovuto sostenere; e quindi, semprecchè il ritardo o i ritardi non avessero superato i limiti suddetti in quanto l'efficacia scriminante di detti carichi cessa comunque quando quel ritardo finisca per assumere,come è avvenuto nella fattispecie,la valenza di un diniego di giustizia lungamente protratto (Cass. sez. un. 22738/2004; 19347/2005; 17916/2007).

    7. Si deve aggiungere per completezza di indagine, che la Sezione disciplinare ha giustificato la misura anche al lume dell'effettivo pericolo che l'ulteriore protrarsi delle condotte gravemente omissive del ricorrente (periculum in mora) possa "gettare ulteriore discredito sul prestigio del magistrato e della magistratura tutta".

    E siffatta valutazione non è contestabile dal ricorrente perchè nei procedimenti disciplinari a carico di magistrati, l'accertamento compiuto dalla Sezione disciplinare, non solo sulla materialità dei fatti contestati all'incolpato,ma anche sulla loro idoneità a ledere la considerazione di cui deve godere il magistrato ed il prestigio dell'ordine giudiziario rientra negli apprezzamenti di merito della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e non è suscettibile di ulteriore apprezzamento in sede di legittimità (Cass. sez. un. 13904/2004); e perchè l'accertata trasgressione dei doveri di diligenza e di operosità, in alcun modo giustificata, non impone alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, quale giudice del merito, di spiegare altrimenti perchè detta condotta comporti anche la perdita della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere: in quanto, una volta stabilito che il mancato deposito dei provvedimenti adottati è segno univoco di mancanza di diligenza e di scarsa operosità, tale da superare i limiti della ragionevolezza, e che per tale condotta è da escludere ogni legittima esimente, la lesione del prestigio dell'Ordine giudiziario è intrinseca, essendo in "re ipsa" la perdita della fiducia ed il discredito per il magistrato negligente.

    E non abbisogna, perciò di specifica dimostrazione poichè il ritardo suddetto è sentito dalla coscienza sociale come sintomo di inefficienza intollerabile (Cass. sez. un. 20602/2007; 11904/2004;

    13355/2003).

    Quanto, infine alle articolate considerazioni svolte in ricorso al fine di dimostrare che tutte le giustificazioni addotte dal dott. S. avrebbero ben potuto essere diversamente valutate, e comunque che la sua successiva attività svolta presso il Tribunale di Roma è sufficiente ad escludere il prospettato periculum in mora, nonchè l'adozione della misura cautelare, le stesse risultano palesemente inammissibili: alla luce della giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice - che in questa sede deve ulteriormente ribadirsi - secondo la quale il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 e anche dell'art. 606 c.p.c., lett. c si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

    Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova (In argomento, tra le altre, Cass. 23738/2004; 11936/2003; 11918/2003).

    Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può pervenire solo quando tale vizi emergano dall'esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non già quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

    8. Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali,perchè il Ministero della Giustizia cui l'esito del giudizio è stato favorevole non ha spiegato difese.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

    Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2008.

    Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2009
Avv. Antonino Sugamele

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