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Sentenza

L'avvocato che non indica la PEC in giudizio si intende domiciliato ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita.
L'avvocato che non indica la PEC in giudizio si intende domiciliato ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 11 dicembre 2014 – 4 maggio 2015, n. 8870
Presidente Bianchini – Relatore Manna

Svolgimento del processo e motivi della decisione

I. - Il Consigliere, nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione in base agli artt. 380-bis e 375 c.p.c.:
"I. - L'avv. P.F., con studio professionale in Gorizia, domanda la cassazione della sentenza emessa dalla Corte d'appello di Trieste il 21.1.2013, con ricorso notificato alla A.N.S.E.R. Costruzioni edili, di Mistruzzi & C. s.r.l. il 12.7.2013.
1.1. - Nel resistere con controricorso la predetta società eccepisce l'inammissibilità del ricorso in quanto notificato dopo la scadenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., essendo stata notificata la sentenza d'appello il 9.5.2013, ai sensi dell'art. 82 R.D. n. 37 del 1934 presso la cancelleria della Corte d'appello di Trieste.
2. - Allo stato degli atti in possesso di questo relatore, il ricorso è - con la precisazione di cui infra - improcedibile e ad ogni modo inammissibile.
2.1. - La giurisprudenza di questa Corte Suprema si è orientata nel senso che l'art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 - secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all'atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria adita - trova applicazione in ogni caso di esercizio dell'attività forense fuori del circondario di assegnazione dell'avvocato, come derivante dall'iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d'appello e l'avvocato risulti essere iscritto all'ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d'appello, ancorché appartenente allo stesso distretto di quest'ultima. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dall'art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d'interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall'art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Cass. S.U. n. 10143/12).
2.1.1. - Dall'epigrafe della sentenza impugnata risulta che l'avv. P.F. si costituì in proprio (la controversia ha per oggetto il pagamento di sue spettanze professionali) nel giudizio d'appello, eleggendo domicilio presso la cancelleria della Corte triestina. Pertanto, legittimamente la sentenza di secondo grado gli è stata ivi notificata il 9.5.2013, a prescindere dal fatto che detta domiciliazione sia stata propriamente elettiva (come parrebbe stando alla lettera dell'epigrafe della sentenza) ovvero derivante dall'applicazione del secondo comma dell'art. 82 R.D. cit.
Pertanto, la validità della prima notificazione della sentenza d'appello eseguita il 9.5.2013 rende vana, ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione ex artt. 325 e 326 c.p.c., la successiva notificazione della medesima sentenza munita di formula esecutiva, effettuata a mezzo del servizio postale al predetto avvocato il 14.5.2013 e depositata ai sensi dell'art. 369, secondo comma n. 2 c.p.c.
Di riflesso, il ricorso è anche improcedibile in base a quest'ultima norma, non essendo stata depositata la copia della sentenza impugnata con la relata della prima notificazione.
2.1.2. - Il tutto a meno che dall'esame diretto degli atti (consentito a questa Corte trattandosi di verificare i fatti processuali) non emerga che l'avv. F. avesse indicato nel giudizio d'appello (verosimilmente con atto successivo alla proposizione del gravame, anteriore alla legge n. 183/11) il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al Consiglio dell'ordine d'appartenenza.
3. - Per le considerazioni svolte si propone la decisione del ricorso con ordinanza, ai sensi del n. 1 dell'art.375 c.p.c."
II. - La Corte condivide la relazione, in ordine alla quale nessuna delle parti ha depositato memoria.
III. - Pertanto il ricorso va dichiarato improcedibile, prevalendo quest'ultima sanzione rispetto a quella, concorrente, d'inammissibilità (cfr. Cass. n. 6706/13).
IV. - Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente
V. - Ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, in base a quanto previsto dall'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12,

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in E 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Avv. Antonino Sugamele

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