L’atto processuale per essere idoneo a interrompere la prescrizione, deve contenere la richiesta di esecuzione della pretesa e notificato alla parte personalmente e non solo al difensore costituito? La parola alle sezioni unite civili.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza interlocutoria 10 ottobre 2014 – 18 febbraio 2015, n. 3276
Presidente Petti – Relatore Scarano
Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/9/2012 la Corte d'Appello di Lecce, in parziale accoglimento del gravame interposto dal Comune di Brindisi e in conseguente parziale riforma della pronunzia - emessa su riuniti giudizi - Trib. Brindisi 31/8/2010 (che aveva - tra l'altro - disatteso l'eccezione di giudicato, asseritamente scaturente all'esito della pronunzia App. Lecce n. 578 del 2001, argomentando dal rilievo che trattavasi di mera sentenza processuale di inammissibilità della domanda per novità ex art. 345 c.p.c.), respingeva per decorsa prescrizione la domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti del medesimo proposta dal sig. P.C. , in relazione ad espletata attività professionale di valutazione dei danni subiti dagli agricoltori del territorio per calamità naturali, in luogo di quella in origine monitoriamente azionata di pagamento del corrispettivo contrattualmente stabilita.
Avverso la suindicata pronunzia il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Resiste con controricorso il Comune di Brindisi.
Motivi della decisione
Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219, 2943, 2945 c.c., 170 c.p.c., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 4, c.p.c..
Si duole che il giudice dell'appello abbia ritenuto nel caso maturata la prescrizione, erroneamente considerando non interrotto il relativo decorso dalla citazione in appello in ragione della ravvisata relativa inidoneità ad integrare “un valido atto di costituzione in mora ex art. 2943, u.c., c.c.”, per essere stata essa notificata non al Comune ma al suo difensore, laddove si è nella giurisprudenza di legittimità affermato che l'effetto interruttivo della prescrizione è prodotto anche dalla domanda come nella specie proposta nel corso del giudizio d'appello e si protrae sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, senza che rilevi in contrario l'inammissibilità della domanda medesima.
È dunque dal ricorrente, con riferimento a domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (in relazione ad espletata attività professionale di valutazione dei danni subiti dagli agricoltori del territorio per calamità naturali) riproposta nei confronti del Comune di Brindisi, all'esito di precedente giudizio conclusosi con declaratoria d'inammissibilità della domanda ex art. 345 c.p.c., la questione se debba riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione alla domanda asseritamente "nuova" in sede di gravame introdotta con atto di appello notificato non alla parte personalmente ma al difensore della parte (nel caso, il Comune di Brindisi), che questa rappresentava limitatamente al giudizio di primo grado.
Sulla questione non risultano precedenti in termini.
Atteso che giusta consolidato principio la notificazione dell'appello in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario, determina non l'inesistenza ma la semplice nullità della notifica, imponendo al giudice di ordinarne la rinnovazione ex artt. 291 e 350 c.p.c. (cfr. Cass., 27/5/2009, n. 1381; Cass., 29/1/2004, n. 1640), nella giurisprudenza di legittimità risulta costantemente ribadita la massima secondo cui in tema di interruzione della prescrizione l'inammissibilità della domanda non ne esclude l'efficacia interruttiva, che anche in questo caso permane fino al giudicato (cfr. Cass., 14/12/2012, n. 23017; Cass., 9/3/2006, n. 2654; Cass., 22/01/2002, n. 696. Cfr. anche Cass., 10/4/2013, n. 8686).
Si è altresì precisato che efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, 2 co., c.c. ha (anche) la domanda proposta per la prima volta nel corso del giudizio di appello, e che tale effetto si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio ai sensi dell'art. 2945 c.c., non rilevando, ai fini dell'esclusione dell'effetto interruttivo, il fatto che la domanda sia dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c., in quanto nuova (v. Cass., 11/01/2006, n. 255. Nel senso che la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa costituisce un presupposto della domanda, richiesto dalla legge, sicché non integrando un'eccezione in senso stretto tale condizione può essere rilevata d'ufficio dal giudice, nei limiti in cui la circostanza risulti da elementi di fatto già acquisiti nel giudizio, ed è proponibile per la prima volta anche nel giudizio di appello, non operando il divieto di ius novorum posto dall'art. 345 c.p.c., inapplicabile per le eccezioni rilevabili d'ufficio, v. peraltro Cass., 18/4/2013, n. 9486; Cass., 15/4/2010, n. 9042: ma sul punto non c'è censura al riguardo).
Si è ulteriormente posto in rilievo che il principio posto all'art. 2945 c.c. (in base al quale l'interruzione della prescrizione per effetto di domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio) trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decide nel merito ma definisce eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, sempre che essa sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza, di modo che non si possa presumere l'abbandono del diritto fatto valere in giudizio. Con la conseguenza che deve riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi che il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione della citazione, posto che in tale ipotesi (diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente) si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronunzia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c. (v. Cass., 23/05/1997, n. 4630, e, conformemente, Cass., 28/11/2001, n. 15075. Cfr. altresì, con riferimento a giudizio che si concluda con una sentenza che dichiari l'improponibilità della domanda, Cass., 24/11/2005, n. 24808; Cass., 14/2/2000, n. 1608. V. altresì Cass., 17/12/1999, n. 14243).
Ancora, privilegiandosi il rilievo da assegnarsi al comportamento dell'avente diritto più che alla corrispondenza simmetrica tra giudizio instaurato e diritto prescrittibile, si è affermato che la proposizione dell'azione revocatoria, al fine di garantire la soddisfazione di un diritto di credito risarcitorio, ex artt. 2943 e 2945 c.c. produce effetto interruttivo - sospensivo della prescrizione di tale diritto, pur se quest'ultimo sia azionato solo successivamente in autonomo giudizio, trattandosi di un comportamento univocamente finalizzato a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto medesimo, benché mediante l'attivazione preventiva di un altro giudizio, peraltro ad esso teleologicamente connesso in via esclusiva [v. Cass., 18/1/2011, n. 1084. Contra, nel senso - invero seguito dalla corte di merito nell'impugnata sentenza- che non ogni domanda ha effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l'attore chiede il riconoscimento e la tutela giuridica del diritto del quale si eccepisca poi la prescrizione, v. Cass., 29/3/2005, n. 6570; Cass., 9/4/2003, n. 5577; Cass., 14/6/1988, n. 4031: “la prescrizione del diritto all'indennità per arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., può essere interrotta, oltre che dal riconoscimento del diritto stesso (art. 2944 c.c.), dalla proposizione della domanda giudiziale (art. 2943, 1 co., c.c.), ma non anche dagli altri atti di costituzione in mora del debitore previsti dall'art. 2943, ult. co., c.c. in relazione all'art. 1219 c.c., atteso che la obbligazione corrispondente sorge e si specifica soltanto con la sentenza pronunciata su quella domanda; Cass., 12/7/1980, n. 4473: “La prescrizione del diritto all'indennità per arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., può essere interrotta, oltre che dal riconoscimento del diritto stesso (art. 2944 c.c.), dalla proposizione della domanda giudiziale (art. 2943, 1 co., c.c.), con cui si chiede al giudice, nella ricorrenza dei presupposti di legge, la concreta determinazione del relativo credito, ma non anche degli altri atti di costituzione in mora del debitore (artt. 2943, ult. co., c.c. e 1219 c.c.), tenuto conto che l'obbligazione corrispondente sorge e si specifica nel suo contenuto soltanto con la sentenza pronunciata su quella domanda”].
Recentemente, si è peraltro diversamente affermato che in tema di applicazione degli artt. 2943, 1 co., c.c. e 2945, 2 co., c.c., la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio impedisce l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione del suo corso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, a nulla rilevando, in senso contrario, la mera possibilità che la nullità sia successivamente sanata, e fermo restando che, qualora la sanatoria processuale abbia poi effettivamente luogo, i relativi effetti sul corso della prescrizione decorrono dal momento della sanatoria medesima, senza efficacia retroattiva (v. Cass., 16/5/2013, n. 11985 Cfr. altresì Cass., 7/7/2006, n. 15489. E già Cass., 13/3/1973, n. 706. Contra v. Cass., 10/4/1970, n. 999).
Sostanzialmente in tale prospettiva sembra invero argomentare la corte di merito dell'impugnata sentenza.
Osserva anzitutto come risulti delineato “il principio generale per cui l'effetto interruttivo permanente è conseguente solo ad atti specificamente individuati, e cioè quelli con cui si instaura un procedimento giurisdizionale e quello con cui al convenuto è consentito introdurre ritualmente una domanda giudiziale (la riconvenzionale). Tutti gli altri atti processuali,... sebbene possano di fatto rappresentare il veicolo per spiegare un'azione giudiziale, non hanno invece alcuna efficacia interruttiva, perché non contemplati nell'art. 2943 c.c.”.
Esclude che sia ravvisabile “alcun motivo per discostarsi da questo principio nel caso di specie, atteso che l'atto di impugnazione non è certamente un atto introduttivo del giudizio, perché è semplicemente deputato a promuovere il grado di appello”.
Conclude quindi per l'esclusione della possibilità “che dall'atto di appello notificato dal P. il 21 marzo 1997 possa conseguire un' interruzione permanente del termine di prescrizione dell'azione di arricchimento senza causa”.
Dopo avere per altro verso negato che “la domanda inammissibile comporti l'interruzione con effetto istantaneo (non esteso, cioè, all'intera durata del processo)”, afferma che per esplicarsi “l'effetto interruttivo della prescrizione del diritto occorre quindi che l'atto giudiziale contenente la richiesta di esecuzione della prestazione pretesa sia notificato alla parte personalmente”, e perviene a concludere che “non essendo stato ricevuto dal debitore personalmente, va escluso che l'atto processuale, invalido perché contenente una domanda (di indebito arricchimento) nuova perché proposta per la prima volta in appello, possa essere convertito in atto di costituzione in mora. Da ciò deriva la prescrizione del diritto del P. di ottenere dal Comune di Brindisi l'indennizzo ex art. 2041 c.c., perché tra il primo atto interruttivo idoneo (23.04.91) e l'introduzione dell'odierno giudizio (citazione di primo grado notificata il 28.07.05, con cui è stata introdotta la causa nr. 1840/05) sono decorsi più di dieci anni e quindi è maturata la prescrizione ordinaria”.
Emerge invero, a tale stregua, il diverso rilievo che alla nullità della notificazione dell'atto di appello contenente domanda "nuova" risulta assegnato (non solo, nel caso di specie, dai giudici di primo e secondo grado al cui esame è stata sottoposta la presente vicenda ma) anche in pronunzie di questa Corte.
Orbene, ravvisando l'esigenza di pervenire a soluzione univoca, al fine di comporre le divergenze interpretative emerse in argomento, e trattandosi comunque di questione di massima di particolare importanza, il Collegio ritiene opportuno rimettere la questione al Primo Presidente per l'eventuale relativa assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per la relativa eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
22-02-2015 15:33
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