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Sentenza

Il trasferimento del magistrato, disposto in via cautelare dalla sezione disciplinare del CSM, non si pone in contrasto con la l. n. 104/1992, in materia di assistenza alle persone disabili - che attribuisce al lavoratore che assiste un parente invalido il diritto alla scelta del luogo di lavoro - in quanto in tal caso prevalgono le esigenze di tutela del prestigio dell’istituzione giudiziaria.
Il trasferimento del magistrato, disposto in via cautelare dalla sezione disciplinare del CSM, non si pone in contrasto con la l. n. 104/1992, in materia di assistenza alle persone disabili - che attribuisce al lavoratore che assiste un parente invalido il diritto alla scelta del luogo di lavoro - in quanto in tal caso prevalgono le esigenze di tutela del prestigio dell’istituzione giudiziaria.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 gennaio – 7 aprile, n. 6917
Presidente Rovelli – Relatore Vivaldi

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. B) c.p.c. in riferimento all'art. 3 e 33, commi 3, 5 e 6 della Legge 104/1992, nonché dei principi costituzionali sottesi alla citata legge ex artt. 32 e 38 Cost., nonché violazione dei principi della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità recepita con legge n. 18/2009, in riferimento agli artt. 13 e 22 del D.Lgs. 109/2006; nonché contraddittoria e manifesta illogicità ai sensi dell'art. 606, lett. E) c.p.c. dell'ordinanza cautelare n. 95/2014 in questa sede impugnata.
Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. B) c.p.c. in riferimento all'art. 3 e 33, commi 3, 5 e 6 della Legge 104/1992, nonché in riferimento agli artt. 13 e 22 del D.Lgs. 109/2006; ed ancora si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità ai sensi dell'art. 606, lett. E) c.p.c. dell'ordinanza cautelare n. 95/2014 in questa sede impugnata.
I due motivi intimamente connessi sono trattati congiuntamente.
L'attuale ricorrente - sostituto procuratore presso il tribunale di Campobasso - trasferito ai sensi dell'art. 13, comma 2 e 22 d.lgs. n. 109 del 2006 al tribunale di Rovigo con funzioni di giudice (ord. n. 72 del 2014), ha censurato l'ordinanza n. 95 del 2014, con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura ha affermato l'inapplicabilità della disciplina prevista dall'art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 ai trasferimenti cautelari per i quali si prescinde dal consenso dell'interessato.
La richiesta di essere destinato a sede più vicina a quella di provenienza è giustificata dalla condizione di invalidità della madre e dello stesso ricorrente.
Le ragioni di infondatezza dei motivi.
Va, in via preliminare, ricordato che la legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104 del 1992, ha stabilito, all'articolo 33, comma 5 (come novellato dalla legge n. 53/2000), che il genitore o il familiare, lavoratore pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
La norma - anche alla luce degli interventi della Corte costituzionale – va interpretata secondo un criterio di rigore al fine di evitare abusi nella sua applicazione.
Il Giudice delle leggi, pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, ha dato rilievo alla discrezionalità del Legislatore nell'individuare gli strumenti normativi finalizzati a garantire la condizione del portatore di handicap "mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal complessivo disegno costituzionale” (Corte Cost. 22.7.2002 n. 372; Corte cost. n. 406 del 1992; Corte Cost. n. 246 del 1997; Corte Cost. n. 396 del 1997; Corte Cost. n. 325 del 1996; v. anche S.U. 9.7.2009 n. 16102).
La norma dell'art. 33 riconosce al lavoratore che assista un parente invalido la scelta della sede di lavoro all'atto dell'assunzione, od anche nel caso di successivo trasferimento a domanda.
Ciò, però, ove possibile; il che vuoi dire che l'esercizio di quel diritto non deve comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione.
La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella del testo originario dell'art. 33 della legge n. 104, operata con la legge n. 53 del 2000 che ha tolto il requisito della convivenza, lasciando, però intatti tutti gli altri (effettiva continuità nell'assistenza, carattere di particolare gravità dell'handicap di cui soffre il congiunto, necessità di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, mancanza di altri supporti parentali (v. fra le altre CdS, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2319; CdS, Sez. IV, 22 febbraio 2006, n.793; CdS, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8527).
Queste brevi note sulla ratio e sulle finalità della legge n. 104 del 1992 ed in particolare dell'art. 33, comma 5 - anche al di là della ricorrenza o meno dei requisiti richiesti - rendono evidente la sua inapplicabilità, sia con riferimento al genitore, sia con riferimento allo stesso magistrato, al trasferimento cautelare.
Diversamente, verrebbe contraddetto proprio il presupposto sul quale questo si fonda, vale a dire l'irrilevanza del consenso del destinatario del provvedimento, laddove la norma dell'art. 33, comma 5 l. n. 104 del 1992, esclude testualmente che il dipendente che si trovi nelle condizioni di cui al comma 3, possa essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.
La ratio legis del trasferimento cautelare, invece, è quella di evitare che la permanenza nel luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto della contestazione in sede disciplinare possa ulteriormente aggravare la posizione dell'interessato e, soprattutto compromettere i principii fondamentali ai quali è improntata la funzione giudiziaria, nonché il prestigio dell'istituzione giudiziaria stessa (S.U. 28.9.2009 n. 20730; S.U. 8.7.2009 n. 15976).
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.




 Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 gennaio – 7 aprile, n. 6918
Presidente Rovelli – Relatore Vivaldi

Motivi della decisione

È opportuno ripercorrere l'iter del giudizio che ha dato luogo al presente ricorso.
Con un primo provvedimento in data 8.4.2014, in accoglimento della richiesta avanzata dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, in relazione al procedimento disciplinare n. 55 2014 promosso nei confronti del dr. P.F., la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dispose, in via cautelare, il trasferimento del magistrato dalla Procura della Repubblica di Campobasso al tribunale di Rovigo con funzioni di giudice.
Un primo ricorso, proposto ai fini della revoca o modifica dell'ordinanza, fu rigettato con provvedimento del 20.5.2014 (n. 95/2014).
Con un successivo ricorso del 2.7.2014 il magistrato ha nuovamente chiesto la revoca e/o sospensione e/o modifica dell'ordinanza.
Con ulteriore ricorso, in data 1.8.2014, poi, la richiesta è stata reiterata prospettando anche la possibilità che il provvedimento fosse modificato o revocato in sede di autotutela.
La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con l'ordinanza n. 147 del 2014 - impugnata in questa sede - ha rigettato "la richiesta di revoca o modifica della misura cautelare del trasferimento d'ufficio, disposta con ordinanza dell'8 aprile 2014".
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione, inosservanza ed erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 3 bis - 13, II comma, art. 22 I comma ultimo periodo e III comma D.Lgs. 109/2006 come modificato ed integrato dalla L. 269/2006; violazione, falsa applicazione, inosservanza ed erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 115 – 116 - 669 decies e terdecies - e 700 c.p.c., di cui all'art. 2697 c.c.; mancata e/o erronea assunzione - valutazione di una prova decisiva; mancanza, insufficienza, contraddittoria e comunque manifesta illogicità della motivazione censurabile come vizio di legge ex art. 111 Cost., risultante dal testo del provvedimento impugnato nonché da tutti gli atti del procedimento disciplinare; CON RIFERIMENTO all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., all'art. 606, lett. B, e lett. E) c.p.p. ed ai sottesi principi costituzionali artt. 24 – 25 – 27 – 97 – 111 - 113 Cost..
Il ricorrente censura la mancata valutazione del fatto sopravvenuto costituito dal rigetto - da parte del Procuratore della Repubblica, che aveva sollecitato l'inizio del procedimento disciplinare - delle istanze di astensione avanzate dal magistrato in relazione alla trattazione di procedimenti allo stesso affidati.
Ad avviso del ricorrente, il rigetto delle istanze di astensione avrebbe rilevanza ai fini della revoca, o comunque della graduabilità, della misura cautelare disposta.
Il motivo non è fondato.
È di tutta evidenza che la situazione prospettata come nuova non rivesta - come rilevato anche dal giudice disciplinare - alcuna incidenza sul piano disciplinare, posto che riguarda prerogative di un diverso organo istituzionale ed opera su un piano totalmente diverso ed autonomo rispetto a quello disciplinare.
Il rigetto di istanze di astensione ha una mera funzione endoprocessuale ed, in tale ambito, esaurisce i suoi effetti.
A voler seguire la prospettiva del ricorrente si instaurerebbe una sorta di automatismo logico per cui la misura cautelare dovrebbe inevitabilmente comportare l'accoglimento di istanze di astensione.
Il periculum del quale si contesta la ricorrenza in relazione alla misura cautelare, non risiede, infatti, in una asserita inidoneità processuale del magistrato, bensì nella compromissione della immagine del magistrato e del prestigio dell'ordine giudiziario.
In altri termini, i piani disciplinare e processuale non sono intersecabili.
Con il secondo motivo si denuncia violazione, falsa applicazione, inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 13, II comma, dell'art. 22, I comma ultimo periodo e III comma D.Lgs. 109/2006 così come modificato ed integrato dalla L. 269/006; - nullità per contrarietà a norma imperativa in riferimento all'art. 22, I comma ultimo periodo d.lgs. 109/2006 ed in subordine eccesso di potere nella parte dell'ordinanza n. 147 nella quale viene confermata l'individuazione di una sede (Rovigo) che non costituisce "distretto limitrofo" alla circoscrizione giudiziaria di Campobasso; -mancanza, insufficienza, contraddittorietà e comunque manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato nonché da tutti gli atti del procedimento disciplinare; CON RIFERIMENTO all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., agli artt. 606 lett. B) e lett. E) c.p.c. ed ai principi costituzionali sottesi di cui agli artt. 24 – 25 – 27 - 32 – 35 - 38 – 97 – 111 - 113 Cost..
Va innanzitutto rilevato che rispetto a tale motivo non c'è alcun novum che giustifichi una nuova richiesta di revoca della misura.
Pertanto, deve ritenersi operante la preclusione processuale sul punto.
Nel merito comunque il motivo è infondato.
Va ribadito che unica è la misura cautelare del trasferimento d'ufficio, che, secondo la previsione di cui all'art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 109 del 2006, può comportare, sia l'allontanamento del magistrato dalla sua sede, sia la destinazione ad altre funzioni.
Le ragioni sono da ricercarsi nella sussistenza di gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare, nel contrasto della permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, nella urgenza di provvedere.
L'art. 22, comma 1, dello stesso decreto legislativo, prevede, poi, una particolare applicazione di questa stessa misura, come sostituiva della misura della sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio, quando la minore gravità del caso renda sufficiente il trasferimento provvisorio dell'incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, purché diverso da quello indicato nell'art. 11 c.p.p..
I presupposti del trasferimento d'ufficio previsto dall'art. 22 del D.Lgs. n. 109 del 2006 sono dunque i medesimi del trasferimento d'ufficio previsto in via generale dall'art. 13 dello stesso decreto legislativo.
E questo perché il riferimento all'incompatibilità con la permanenza nella stessa sede, anziché con l'esercizio delle funzioni prevista per la sospensione, descrive in termini più sintetici la stessa situazione in cui la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appaia in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia (così S.U. 8.7.2009 n. 15976; v. anche S.U. ord. 28.11.2012 n. 21112).
Ad avviso del ricorrente, la misura cautelare poteva riguardare solo il trasferimento in un ufficio di un distretto limitrofo, mentre, nel caso in esame, il trasferimento è avvenuto in un ufficio non limitrofo.
L'interpretazione proposta non può essere accolta perché non è nella legge.
Il trasferimento ad ufficio non limitrofo non è una misura atipica, non prevista dalla legge.
Essa invece rientra nel tipo del trasferimento di ufficio e risponde a criteri di adeguatezza e proporzionalità rispetto al periculum.
Né può parlarsi di interpretazione in malam partem.
Invero, se si dovesse interpretare la norma nel senso che il trasferimento di ufficio possa avvenire solo in ufficio di distretto limitrofo dovremmo giungere alla conclusione che il giudice disciplinare dovrebbe applicare la più rigoroso misura della sospensione qualora ritenesse del tutto inadeguata la misura del trasferimento in ufficio di distretto limitrofo.
Invece, la graduazione all'interno del tipo "trasferimento di ufficio" tra ufficio limitrofo e non limitrofo serve proprio ad adeguare la misura al caso concreto, evitando drastiche alternative.
Sulla base di questi principii il Giudice disciplinare ha disposto il trasferimento al tribunale di Rovigo, ritenendo, da un lato, che le esigenze cautelari poste a base del provvedimento, pur non giustificando la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, non consentissero il trasferimento ad un ufficio di un distretto limitrofo; e, dall'altro, che le vicende oggetto della contestazione disciplinare fossero tali da non consigliare neppure una contiguità fra uffici giudiziari.
Si tratta di una scelta che appartiene al giudice della cautela, congruamente e correttamente motivata, rispettosa delle finalità di una corretta e trasparente amministrazione giudiziaria.
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Avv. Antonino Sugamele

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