Baracca di legno e arenile. La specificità della concessione demaniale.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 giugno – 30 settembre 2015, n. 4551
Presidente Caracciolo - Estensore Filippi
Fatto
1. – Il signor Lio Michelotti – in qualità di titolare di una concessione demaniale marittima rilasciata nel 1995 in Comune di Castiglione della Pescaia – impugna la sentenza n. 393 dell'8 marzo 2013 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha respinto il ricorso proposto avverso la declaratoria di decadenza di tale titolo nonché il successivo ricorso presentato contro il diniego opposto alla domanda di annullamento in autotutela dell'atto dichiarativo della decadenza.
2. – L'appellante espone che – costruita e poi ristrutturata una baracca con destinazione chiosco/bar, sulla scorta dei titoli edilizi rilasciati rispettivamente nel 1965 e nel 1981 – nel 1994 otteneva, in accoglimento della domanda di condono, il rilascio di concessione edilizia in sanatoria con riguardo all'intervento abusivo nel frattempo realizzato (opere edilizie con aumento di superficie utile).
Con ordinanza n. 137 del 1996 (impugnata con ricorso n. 3854 del 1996, dichiarato improcedibile a seguito della revoca dell'atto gravato) il Commissario straordinario del Comune di Castiglione della Pescaia chiariva tuttavia che tale concessione in sanatoria – concernente il manufatto utilizzato ormai da vent'anni per l'esercizio dell'attività di chiosco-bar - doveva intendersi rilasciata con destinazione d'uso esclusivo di “magazzino-deposito, sotto pena di rimozione delle opere … qualora l'Amministrazione Comunale accertasse un utilizzo del manufatto oggetto di condono diverso dalla destinazione d'uso concessa”, con ciò escludendo la vocazione “commerciale” del manufatto medesimo.
A seguito della comunicazione (in data 16 maggio 2002, reiterata in data 11 maggio 2004) di avvio del procedimento volto alla declaratoria di decadenza della concessione demaniale, il responsabile del competente servizio comunale, con disposizione 5 agosto 2004, n. 20, concludeva il procedimento dichiarando la preannunciata decadenza della concessione demaniale marittima n. 459 del 1995 per violazione dell'art. 47, lett. b), del codice della navigazione, sul presupposto della mancata utilizzazione del bene da parte del titolare.
L'atto dichiarativo della decadenza veniva impugnato dal signor Michelotti con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (n. 2247 del 2004).
Con ordinanza n. 375 del 12 agosto 2005 il Comune disponeva la revoca dell'ordinanza n. 137 del 1996 concernente la destinazione d'uso esclusivo di “magazzino-deposito”, sul rilievo che tale prescrizione doveva ritenersi difforme “sia dall'originaria concessione edilizia sia da quella richiesta con la domanda di concessione edilizia in sanatoria per l'ampliamento”.
Intervenuta tale revoca, l'appellante – muovendo dall'assunto che il vincolo di destinazione imposto dall'ordinanza poi revocata avesse comportato il “non uso” sul cui presupposto era stata pronunciata la decadenza – ha domandato al Comune di procedere all'annullamento di tale declaratoria in via di autotutela.
A questa domanda – conclude l'appellante nella sua esposizione – il Comune opponeva un diniego con atto n. 39173 del 10 novembre 2010, impugnato al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana con il ricorso n. 335 del 2011.
3. – Il Tribunale adito, riuniti i ricorsi nn. 2247 del 2004 e 335 del 2011, li respingeva con la sentenza n. 393 del 2013, oggetto dell'appello in esame.
3.a - Con riguardo al primo ricorso, proposto avverso la decadenza della concessione demaniale, la sentenza ha ritenuto infondato il motivo con cui veniva contestato il presupposto di fatto della decadenza, rilevando come il mancato esercizio dell'attività risulti confermato da tre successivi accertamenti (svolti nelle date 12 giugno 1996, 30 settembre 2003 e 28 giugno 2004), il primo dei quali antecedente all'ordinanza n. 137 del 1996 che aveva limitato l'uso del manufatto sanato alla destinazione magazzino-deposito.
Il motivo dedotto con la seconda e con la quarta censura - con cui si lamentava il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento per la declaratoria della decadenza – è stato ritenuto infondato in relazione alla natura meramente ordinatoria del termine medesimo.
Anche il terzo motivo - con cui si deduceva la mancanza di interesse pubblico alla decadenza – è stato ritenuto privo di fondamento sulla considerazione che l'atto impugnato, consistendo in una “revoca sanzionatoria”, non richiedeva una espressa motivazione sul punto.
3.b - Con riguardo invece al ricorso proposto avverso il diniego di esercizio dell'autotutela (ricorso n. 335 del 2011), la sentenza impugnata – muovendo dalla circostanza che già in data 12 giugno 1996 (e dunque prima dell'ordinanza 137 del 1996) era stato accertato il mancato esercizio dell'attività - ha ritenuto infondato il motivo con cui si sosteneva che la revoca dell'ordinanza 137 del 1996 avesse comportato il venire meno dei presupposti per la decadenza.
Anche l'ultimo motivo, con cui si deduceva l'erroneità del richiamo, contenuto nella motivazione dell'atto impugnato, alla intervenuta estinzione del primo ricorso (n. 2247 del 2004), è stato ritenuto inconferente in quanto - se l'efficacia del decreto di perenzione (n. 4439 del 2010) era effettivamente venuta meno a seguito della sentenza con cui il Consiglio di Stato ha annullato l'ordinanza collegiale di rigetto dell'opposizione al decreto di perenzione (n. 3909 del 4 luglio 2012) – il ricorso n. 2247 del 2004 risultava comunque infondato.
4. – Con i motivi di appello – dedotti nel ricorso ed illustrati nelle successive memorie - il signor Michelotti lamenta l'erroneità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione dell'articolo 47 del codice della navigazione, della motivazione insufficiente e contraddittoria in punto di legittimità del procedimento amministrativo, della violazione del principio di tutela dell'affidamento, nonché della violazione degli articoli 2 e 2 bis della legge n. 241 del 7 agosto 1990. Conclude chiedendo, in accoglimento dell'appello, l'annullamento della sentenza impugnata e la condanna del Comune al risarcimento del danno nella misura di €. 425.000,00 o nella diversa somma ritenuta adeguata.
5. – Il Comune di Castiglione della Pescaia, costituitosi in giudizio, chiede il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata per i motivi illustrati anche nelle memorie depositate in vista dell'udienza.
6. – Il 4 giugno 2015 la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.
Diritto
1. – L'appello non è fondato.
1.a - La questione centrale dell'impugnativa concerne l'intreccio tra la vicenda edilizia riguardante la costruzione e l'ampliamento di una baracca di legno, situata nell'arenile del Comune di Castiglione della Pescaia, e la vicenda demaniale riguardante l'occupazione dell'arenile circostante la baracca.
L'appello muove dall'assunto che l'impugnato atto di decadenza della concessione demaniale marittima rilasciata al signor Michelotti sia illegittimo perché motivato da una circostanza di fatto - il non uso dell'arenile – provocata da un factum principis e dunque non addebitabile al concessionario: il Comune di Castiglione della Pescaia – dopo aver accolto (con atto risalente al 1994) la domanda di condono edilizio riguardante interventi abusivi realizzati sulla baracca – ha poi precisato (con ordinanza n. 137 del 1996) che la concessione in sanatoria doveva intendersi rilasciata con destinazione d'uso esclusiva di magazzino-deposito. Tale circostanza – sostiene l'appellante – sarebbe la causa del non uso dell'arenile oggetto di concessione e quindi dell'impugnata decadenza.
1.b – L'assunto è erroneo perché muove da una impropria commistione tra atti di natura autorizzatoria (i titoli edilizi) e atti di natura concessoria (la concessione demaniale marittima), diversi quanto a presupposti e ad effetti.
La concessione demaniale - a differenza dell'autorizzazione edilizia - è rilasciata in vista del miglior uso del bene pubblico cui afferisce e richiede quindi la verifica in ordine alle modalità utilizzazione, da parte del concessionario, del bene medesimo, al fine di accertarne la coerenza rispetto a quanto stabilito nel titolo.
Con riguardo alle concessioni demaniali marittime l'articolo 47, comma 1, lett. b), del codice della navigazione prevede che l'amministrazione possa dichiarare la decadenza del concessionario “per non uso continuato durante il periodo fissato a questo effetto nell'atto di concessione, o per cattivo uso”.
1.c - Con atto n. 459 del 1995 – prodotto nel fascicolo di primo grado - la Capitaneria di Porto di Livorno rilasciava all'appellante concessione demaniale marittima avente ad oggetto l'occupazione di una superficie pari a 99 mq. allo scopo di mantenere la baracca adibita a bar e servizi con spogliatoio e di “usufruire dell'arenile antistante la baracca … per la posa di n. 18 ombrelloni e sedie a sdraio”.
Come esattamente rilevato nella sentenza impugnata i tre successivi sopralluoghi eseguiti dall'amministrazione – nei giorni 12 giugno 1996, 30 settembre 2003 e 28 giugno 2004 - dimostrano come, già prima dell'adozione dell'ordinanza n. 137 del 6 luglio 1996 (con la quale era stato precisato il vincolo quanto alla destinazione a magazzino-deposito della baracca), il bene oggetto della concessione demaniale non fosse utilizzato per adibire la baracca a bar e relativi servizi e neppure per collocare, nell'arenile antistante, 18 ombrelloni e sedie a sdraio.
1.d – Non è fondata, in primo luogo, la censura con cui il signor Michelotti lamenta, sul punto, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, sostenendo come, in sede di rilascio della concessione in sanatoria - in data 24 dicembre 1994 (dunque due anni prima del sopralluogo effettuato il 12 giugno 1996) – l'amministrazione avesse ristretto illegittimamente l'uso della baracca, stabilendo che essa non avrebbe più potuto essere utilizzata come stabilimento balneare, ma solo come magazzino-deposito. Tanto è vero, si aggiunge, che il Comune non ha rilasciato il certificato di agibilità che avrebbe consentito all'appellante di aprire al pubblico la struttura: sicché, a fronte di una tale situazione, qualunque utilizzazione commerciale sarebbe avvenuta in violazione del titolo.
Ad escludere la fondatezza della censura, in disparte il rilievo della mancata impugnazione in parte qua della concessione in sanatoria, è in ogni caso sufficiente la circostanza – incontestata – del mancato utilizzo del bene oggetto della concessione demaniale: i 99 mq. di arenile concessi all'appellante non sono stati utilizzati – secondo quanto attestato nel corso dei tre sopralluoghi, l'ultimo dei quali svoltosi il 28 giugno 2004 – né per mantenere la baracca (ad uso bar con spogliatoio e servizio), né per adibire i 60 mq. di arenile antistanti la baracca alla posa dei previsti 18 ombrelloni e sedie a sdraio.
Tanto basta per ritenere che il potere di cui si è avvalsa l'amministrazione - in sede di controllo circa la corretta utilizzazione del bene e in sede di adozione del conseguente atto decadenziale – sia stato esercitato nel rispetto della disciplina attributiva del potere medesimo e delle finalità ad essa sottese.
Con la conseguenza che deve ritenersi infondata anche la censura formulata avverso la sentenza impugnata nella parte in cui – esaminando il ricorso n. 335 del 2011 – ritiene che la revoca dell'ordinanza n. 137 del 1996 non assuma “una valenza significativa”con riferimento alla domanda di ritiro in autotutela del provvedimento di decadenza della concessione demaniale. Affermazione che invece va condivisa appunto alla stregua delle considerazioni svolte.
Si può dunque prescindere dagli ulteriori elementi di fatto che ciascuna delle parti ha portato a sostegno delle rispettive tesi (e in particolare sia da quanto rilevato dal Comune appellato in ordine alla autorizzazione - rilasciata al signor Michelotti e mai attivata - all'esercizio commerciale per la somministrazione di alimenti e bevande; sia da quanto osservato dall'appellante con riguardo alla sentenza del Tribunale di Grosseto a proposito della servitù di scarico a favore del fondo oggetto di concessione demaniale).
2. – Le medesime considerazioni conducono a ritenere infondate anche le ulteriori censure dedotte con l'appello.
2.a – Con il secondo e terzo motivo si sostiene che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui non avrebbe rilevato la violazione dei generali principi del giusto procedimento, di buona fede oggettiva e di tutela del legittimo affidamento del privato.
La circostanza che il secondo sopralluogo sia stato eseguito il 30 settembre 2003, quindi “a stagione balneare certamente conclusa”, non è decisiva tenuto conto che non si tratta dell'unica verifica compiuta dall'amministrazione: gli altri sopralluoghi – tutti attestanti il non uso dell'arenile oggetto di concessione – sono stati eseguiti in date certamente ricomprese nell'ambito della stagione balneare (12 giugno 1996 e 28 giugno 2004).
2.b - Con riguardo alla lamentata insufficiente motivazione a sostegno del diniego opposto alla domanda di annullamento in autotutela dell'atto dichiarativo della decadenza, va condiviso quanto affermato sul punto dalla sentenza impugnata ove rileva che “il provvedimento accertativo della decadenza di una concessione demaniale per mancato utilizzo della stessa da parte del concessionario costituisce manifestazione di un potere di autotutela vincolato e ad avvio doveroso, e non richiede specifiche valutazioni in ordine all'interesse pubblico alla sua adozione, rientrando nella generale e tipica categoria della revoca sanzionatoria”.
2.c – Destituito di fondamento, infine, è il motivo d'impugnazione con cui – tenuto conto che il procedimento, iniziato nel 2002, è stato concluso solo nel 2006 - si lamenta la violazione degli articoli 2 e 2 bis della legge n. 241 del 1990 e la mancata condanna, da parte del giudice di primo grado, al risarcimento del danno da ritardo.
Quanto al mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento volto alla declaratoria della decadenza della concessione demaniale, va condiviso quanto affermato nella sentenza in ordine alla natura meramente ordinatoria di tale termine.
Con riguardo invece alla mancata condanna al risarcimento del danno basta, ad escludere la fondatezza del motivo, la considerazione che l'eventuale pregiudizio derivante dal mero ritardo nella conclusione del procedimento, se astrattamente configurabile, non risulta in alcun modo provato.
3. – L'appello va dunque respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l'appellante al pagamento, a favore del Comune di Castiglione della Pescaia, delle spese di lite liquidate in €. 3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
25-10-2015 14:19
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