Una dottoressa, medico in ospedale, fa causa alla Usl per la lunga durata del concorso, pur essendo solo 2 partecipanti.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 novembre – 18 dicembre 2014, n. 26661
Presidente Rovelli – Relatore Curzio
Ragioni della decisione
Nel 1991 la Dott.sa G.C. , medico in servizio della USL (…) in servizio presso l'ospedale "Di Venere" di Carbonara di Bari, convenne in giudizio la USL e il Dott. M.D. presidente della commissione di concorso di aiuto medicina generale presso la divisione lungodegenti dell'ospedale.
La dottoressa, vincitrice del concorso, chiedeva il risarcimento dei danni anche indiretti, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza della durata eccessiva del concorso perché, pur essendovi solo due concorrenti, le prove, iniziate il 10 giugno 1988, si erano concluse soltanto in data 5 febbraio 1990.
La USL costituendosi eccepì la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, essendo l'attrice titolare di un interesse legittimo, azionabile dinanzi al giudice amministrativo.
Il GOA del Tribunale di Bari, con sentenza del 1 luglio 2005, dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario ed accolse la domanda.
Entrambi i convenuti proposero appello.
La Corte d'appello di Bari, con sentenza pubblicata il 3 febbraio 2011 ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell'AGO.
La Dott.sa G. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Con il primo denunzia violazione dei criteri di riparto di giurisdizione in relazione al n. 1 dell'art. 360 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 2 e 4 della L.A.C. alle. E, dell'art. 7 della legge 1034 del 1971, dell'art. 35 d. lgs. 80/1998, nonché dell'art. 5 c.p.c.. Omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c..
Si sostiene che la Corte avrebbe applicato l'art. 7 della legge 1034 del 1971 e l'art. 35 del d. lgs. 80/1998 nella loro attuale formulazione senza tener conto che andava applicato il testo dell'art. 7 cit. vigente all'epoca della proposizione della domanda e cioè nel 1991. Ciò ai sensi dell'art. 5 c.p.c..
Si sostiene che la Corte avrebbe errato nel qualificare la domanda come di risarcimento danni "da ritardo nell'espletamento del concorso", mentre avrebbe dovuto qualificarla come danni "da ritardato esercizio del potere". "Non si trattava - si afferma - di una controversia inerente al ritardo della pa, posto che la fonte dell'obbligazione risarcitoria risiedeva in una condotta (quella del presidente della Commissione) rivestente i caratteri della illiceità penale, rilevante a titolo di responsabilità extracontrattuale". Si trattava di un illecito aquiliano commesso da un dipendente della pubblica amministrazione. Di competenza del giudice ordinario ai sensi dell'art. 2 e 4 della legge 2248 del 1865, ali. E che devolveva alla AGO tutte le cause e le materie nella quali si faccia questione di un diritto civile e politico.
Con il secondo motivo si denunzia violazione dei criteri di riparto di giurisdizione in relazione al n. 1 dell'art. 360 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 2 e 4 della L.A.C., alle. E, dell'art. 7 della legge 1034 del 1971, dell'art. 30, comma 2, del r.d. 1054 del 1924, 35 d. lgs. 80/1998, nonché dell'art. 5 c.p.c.. Con tale motivo si sostiene che alle medesime conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora si sostenesse che il danno rientri nell'ipotesi del danno da ritardo. Infatti, all'epoca nessuna norma avrebbe potuto legittimare l'azione risarcitoria per lesioni di interessi legittimi. Né è fondata la sentenza laddove richiama la normativa sul pubblico impiego ed afferma che all'epoca la materia del pubblico impiego rientrava nella giurisdizione esclusiva della pubblica amministrazione, in quanto anche in tale ambito come riconosciuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, l'art. 7 della delle TAR, richiamando il t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, faceva espressamente riserva di devoluzione all'AGO delle questioni riguardanti "i diritti patrimoniali consequenziali". In ogni caso, poiché l'azione era volta al risarcimento di danni da violazione del canone del “neminem laedere” essa spettava alla giurisdizione dell'AGO.
I motivi non sono fondati.
In base all'art. 5 c.p.c. la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della domanda.
Non può negarsi però che la Corte di Bari non abbia considerato che la causa iniziò nel 1991 e che la legislazione applicabile dovesse essere quella vigente all'epoca. A pag. 11 la sentenza espressamente precisa che la causa iniziò nel 1991 e che la situazione deve essere valutata alla luce della legislazione vigente a quell'epoca. Il giudice potrebbe (in mera ipotesi) aver errato nella interpretazione di tale legislazione, ma non si può sostenere che non abbia considerato il problema della normativa applicabile alla data di proposizione dell'azione, dato che la sentenza pone espressamente il problema e mostra che la Corte ne era perfettamente consapevole.
L'interpretazione dell'atto introduttivo del giudizio e la qualificazione della domanda spettano al giudice di merito ed il giudice di merito ha qualificato la domanda formulata nell'atto di citazione come prospettazione di lesione di un interesse legittimo (pretensivo) e non come violazione di un diritto soggettivo. Né può sostenersi che la Corte non abbia motivato le sue affermazioni. La sentenza argomenta specificamente sul punto relativo alla qualificazione dell'azione contenuta nell'atto di citazione come azione a tutela di un interesse legittimo.
La tesi della ricorrente per cui quelli di cui si chiede il risarcimento non sarebbero danni da ritardo ma danni da "da ritardato esercizio del potere" prospetta una sottile, quanto inconsistente, distinzione, che non trova seguito nella giurisprudenza di questa Corte. La tesi posta a base del secondo motivo, per cui se anche fossero danni da ritardo sarebbero comunque di competenza dell'AGO in quanto si sarebbe in presenza di un'azione per diritti patrimoniali consequenziali è, a sua volta, infondata perché in questo caso si è al di fuori della categoria dei diritti patrimoniali consequenziali, manca il requisito della conseguenzialità.
In realtà, all'epoca della proposizione della domanda (1991), la giurisdizione sulle azioni nei confronti della pubblica amministrazione per le conseguenze negative nei confronti del dipendente pubblico (in caso di concorsi interni) o di un soggetto partecipante al concorso (in caso di concorsi esterni) dei ritardi nelle procedure concorsuali spettava al giudice amministrativo. Sul punto queste Sezioni unite (decidendo su cause in cui si applicava la normativa vigente al 1991) si sono espresse più volte, affermando costantemente che l'azione, in tali casi, è comunque volta alla tutela dell'interesse legittimo al corretto espletamento del concorso (cfr. in particolare Cass. Sez. U, 6 luglio 1992, n. 8211; 10 giugno 1994, n. 5643; 4 gennaio 1995, n. 92; 1 settembre 1999, n. 607).
La decisione della Corte d'appello di Bari è conforme a tale giurisprudenza delle Sezioni unite. Il ricorso pertanto deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
22-12-2014 15:13
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