Una donna cita in Tribunale un architetto e una s.r.l., per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle loro obbligazioni, relative alla ristrutturazione - il primo in qualità di progettista e direttore dei lavori, la seconda nella veste di esecutrice delle opere murarie – di un immobile che, all’esito dei lavori, aveva mostrato segni di rovina.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 gennaio – 24 marzo 2014, n. 6886
Presidente Oddo – Relatore Matera
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 4-7-2001 B.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l'architetto F.P. e la società EDILMILO s.r.l., per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento delle obbligazioni dai medesimi assunte. A sostegno della domanda, l'attrice deduceva di aver dato ai convenuti, il primo nella qualità di progettista e di direttore dei lavori e la seconda nella veste di esecutrice delle opere murarie, l'incarico di ristrutturare una unità immobiliare di sua proprietà sita in (OMISSIS) ; che all'esito dei lavori eseguiti parte delle opere commissionate aveva mostrato segni di rovina; che in base ad una perizia fatta eseguire, i costi per gli interventi di rispristino erano stati quantificati in lire 50.000.000, somma di cui chiedeva l'integrale ristoro.
Nel costituirsi, il F. eccepiva in limine la decadenza e la prescrizione del diritto azionato. Nel merito, il convenuto contestava gli addebiti mossigli sia nella veste di progettista che di direttore dei lavori. Egli, inoltre, chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell'attrice al saldo del proprio compenso, quantificato in lire 50.000.000.
Con sentenza in data 15-10-2003 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attrice e la riconvenzionale, condannando la contumace EDILMILO s.r.l. a pagare alla B. , a titolo risarcitorio, la somma di Euro 20.000,00 oltre interessi, e l'attrice a pagare al F. la somma di Euro 15.000,00; rigettava, invece, la domanda proposta dall'attrice nei confronti del F. .
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la B. e appello incidentale il F. .
Con sentenza in data 11-12-2007 la Corte di Appello di Milano, in accoglimento dell'appello principale e in riforma della sentenza impugnata, condannava il F. , in solido con la EDILMILO s.r.l., al pagamento in favore della B. , a titolo risarcitorio, della somma di Euro 20.000,00 oltre interessi; rigettava la domanda riconvenzionale proposta dal F. , che condannava al pagamento delle spese di doppio grado in favore dell'attrice.
La Corte territoriale, in particolare, disattendeva le eccezioni di decadenza e prescrizione proposte dall'appellante incidentale, rilevando che la disciplina prevista dall'art. 2226 c.c. per le difformità e i vizi dell'opera si applica solo alle prestazioni aventi ad oggetto la realizzazione di un'opus in senso materiale e non è, invece, invocabile in caso di prestazioni di servizi o di prestazioni aventi, comunque, ad oggetto res immateriali. Quanto all'appello principale, il giudice del gravame osservava che, mentre non poteva muoversi alcun addebito al F. in ordine alla sua attività di progettazione, doveva invece affermarsi la responsabilità del predetto, quale direttore dei lavori, in relazione alle difformità verificatesi in sede di esecuzione dell'opera, non avendo esso convenuto provato di avere svolto alcuna attività di controllo e di iniziativa per denunciare l'inesatta esecuzione e per evitare che se ne consolidassero le conseguenze in danno della committente. La Corte di merito, inoltre, motivava il rigetto della domanda riconvenzionale del F. affermando che la responsabilità colposa del professionista comportava la perdita definitiva del diritto del medesimo a percepire il compenso.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso F.P. , sulla base di quattro motivi.
B.L. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2226 c.c.. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, nella specie, in relazione all'attività di direttore dei lavori svolta dal F. , trova applicazione la disciplina prevista dal citato art. 2226 c.c., essendosi tale attività espletata in un'opera visibile, consistente in tavolati e muri divisori.
Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito di diritto, con cui si chiede se la norma dell'art. 2226 comma 2 c.c. sia applicabile ai casi in cui un'unica persona abbia cumulato delle separate funzioni di progettista e direttore dei lavori, in relazione alla quale ultima attività sia configurata un'opera visibile i cui eventuali difetti siano agevolmente riscontrabili dal committente.
Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto in ordine alla questione dell'applicabilità alle prestazioni di opera intellettuale dell'art. 2226 c.c., decisa in modo difforme dalle Sezioni Semplici, con sentenza del 28-7-2005 n. 15781 hanno affermato che la disciplina in tema di decadenza e di prescrizione dettata dalla citata norma, non si applica alle prestazioni in questione, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l'obbligo della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l'uno o l'altro compito, attesa l'eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l'art. 2226 c.c., norma che perciò non è da considerare tra quelle richiamate dall'art. 2230 c.c..
Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello di Milano ha disatteso le eccezioni di decadenza e prescrizione di cui all'art. 2226 c.c., prospettate dal F. in rapporto alla prestazione d'opera professionale dal medesimo espletata, a nulla valendo la distinzione operata dal ricorrente tra le attività svolte nella veste di progettista e di direttore dei lavori. È incontestabile, infatti, che l'attività di direzione dei lavori rientri nella categoria delle opere intellettuali ex art. 2229 c.c.; sicché, alla luce del principio di diritto innanzi enunciato, al relativo contratto di opera professionale, che ha per oggetto la prestazione di un bene immateriale in relazione al quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le difformità o i vizi eventualmente presenti, non è applicabile la disciplina dettata in materia di decadenza e prescrizione dalla citata norma codicistica.
2) Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta mancanza di diligenza del F. nella sua veste di direttore dei lavori. Deduce che il convenuto ha vigilato in modo corretto in relazione al problema dell'ancoraggio, e ha fatto quanto in suo potere per rimediare alla mala opera realizzata dall'impresa e dai committenti. Rileva che il F. , durante lo svolgimento dei lavori, si recava con costanza, regolarità e frequenza sul cantiere; che la Corte di Appello non ha considerato che dagli stessi capitoli di prova articolati dall'attrice si evince che i lavori di ancoraggio dei tavolati sono stati compiuti in appena tre giorni, a ridosso delle feste di Ferragosto, in assenza del F. ; che quest'ultimo fu avvertito del "cambiamento di materiale utilizzato" solo dopo che l'opera difforme era stata eseguita; che il giudice del gravame non ha tenuto conto di quanto affermato nella sentenza di primo grado, secondo cui dalle dichiarazioni rese all'udienza ex art. 183 cpc. dall'attrice emergeva che il F. , accortosi della mancata osservanza delle sue istruzioni in sua assenza, si era visibilmente alterato ed aveva protestato. Sostiene, inoltre, che il giudice di appello ha omesso di motivare sulla mancata ammissione delle prove orali formulate dalla controparte, ed ha contraddittoriamente escluso l'ammissione della prova dedotta dall'appellante per il solo fatto che la stessa era stata articolata in via subordinata all'ammissione delle prove dell'attrice.
Anche tale motivo è privo di fondamento.
La Corte di Appello ha escluso ogni responsabilità del F. in relazione all'attività di progettazione espletata, dando atto che, secondo quanto risultava dagli stessi capitoli di prova articolati dall'attrice, il predetto aveva indicato e progettato, in relazione all'ancoraggio dei muri divisori al primo piano a quelli perimetrali, una soluzione tecnica diversa da quella poi in concreto posta in essere; di modo che si arguiva che tale soluzione era stata realizzata dall'impresa contro la volontà dell'odierno ricorrente. Il dato di fatto oggettivo costituito dalla realizzazione dell'opus in modo difforme dal progetto escludeva, pertanto, secondo il giudice del gravame, la responsabilità del progettista, non potendosi ravvisare come causa del danno un vizio del progetto, bensì le modalità con cui esso era stato in concreto realizzato.
Ad avviso della Corte territoriale, al contrario, il F. non poteva esimersi da responsabilità in relazione all'attività prestata quale direttore dei lavori, per non aver vigilato con la dovuta diligenza affinché una simile difformità non si verificasse, o comunque per non essersi in alcun modo attivato, dopo che la stessa si era verificata, per denunciarla ed eliminarla. Secondo quanto accertato nella sentenza impugnata, infatti, il F. , sul quale gravava il relativo onere probatorio, non ha in alcun modo dimostrato di avere svolto, nella sua veste di direttore dei lavori, alcuna doverosa attività di controllo e di iniziativa per denunciare l'inesatta esecuzione e per evitare che se ne consolidassero le negative conseguenze in danno della committente.
A tali conclusioni la Corte distrettuale è pervenuta sulla base di argomentazioni esaustive e congrue, con cui ha evidenziato, in particolare, da un lato che il convenuto, anche in secondo grado, aveva articolato prova testimoniale solo in via subordinata all'ammissione della prova capitolata dalla controparte, sicché, una volta ritenuta la superfluità ed inammissibilità della prova dedotta dall'attrice, restava esclusa altresì la possibilità di ammettere i mezzi istruttori richiesti dal F. ; e dall'altro che non era possibile trarre argomenti di prova a sostegno della tesi del convenuto dalle pretese dichiarazioni rese in primo grado dalla B. , "non si sa bene se in sede di interrogatorio o addirittura fuori udienza", contenendo la sentenza di primo grado solo un generico accenno a tali dichiarazioni, e mancando in proposito qualunque verbalizzazione.
Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice di appello costituiscono espressione di apprezzamenti in fatto riservati al giudice di merito, che, in quanto sorretti da una motivazione immune da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte.
E, in realtà, il motivo in esame, attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, propone sostanziali censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa e più favorevole valutazione delle emergenze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice di appello; il tutto in contrasto con i limiti propri del giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in un terzo grado di merito, nel quale sia consentito procedere ad un nuovo accertamento dei fatti oggetto della controversia e ad una nuova valutazione delle prove.
3) Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2700 cpc, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di non dare alcun valore alle attestazioni rese dal Tribunale nella sentenza di primo grado riguardo alle dichiarazioni rese in udienza dall'attrice, in quanto non verbalizzate.
Il quesito di diritto posto è il seguente: "Se le attestazioni compiute dal giudice in sentenza circa fatti avvenuti nel corso dell'udienza del relativo procedimento siano coperte, oppure no, dell'efficacia probatoria dell'art. 2700 cpc; e, per la denegata ipotesi di risposta negativa a tale domanda, da quale efficacia probatoria siano coperte".
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha negato ogni valore probatorio alle pretese dichiarazioni rilasciate nel corso del giudizio di primo grado dalla B. circa la condotta attiva tenuta dal F. , in base a un duplice ordine di ragioni: essa ha rilevato da un lato che la sentenza di primo grado conteneva solo un accenno "generico" e "fuggevole" a tali dichiarazioni, e dall'altro che mancava qualunque verbalizzazione al riguardo.
La ricorrente, con il motivo in esame, ha censurato solo la seconda parte della motivazione, senza muovere alcuna doglianza in ordine all'ulteriore argomentazione addotta dal giudice del gravame, di per sé idonea a sorreggere la decisione.
Ciò posto, si rammenta che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi, come nel caso in esame, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa (tra le tante v. Cass. 11-2-2011 n. 3386; Cass. 18-9-2006 n. 20118; Cass. SU. 8-8-2005 n. 16602; Cass. 27-1-2005 n. 1658; Cass. 12-4-2001 n. 5493).
4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere il pagamento dei compensi dovuti dalla B. al F. . Deduce che l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.p.c. non è idonea a determinare l'estinzione del diritto del professionista alla percezione del proprio compenso. Rileva, inoltre, che dalla responsabilità accollata al ricorrente rimane del tutto estranea l'attività di progettista; che la responsabilità accertata a carico del F. non concerne l'intera attività prestata dal convenuto nella veste di direttore dei lavori, ma riguarda solo l'episodio dei tavolati; che a parte tale episodio, la controparte non ha mai sollevato altra contestazione; che, a tutto voler concedere, l'importo richiesto dal F. per le varie prestazioni eseguite a favore della B. avrebbe dovuto essere ridotto di una parte, in correlazione alla misura effettiva del preteso inadempimento.
Il motivo è fondato.
Si osserva, al riguardo, che, ai sensi dell'art. 1453 c.c., nei contratti con prestazioni sinallagmatiche, l'inadempimento (o inesatto adempimento) della prestazione di una parte abilita l'altra parte, a sua scelta, a chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
È pacifico, in giurisprudenza, che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché il citato art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l'azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell'azione di risoluzione del contratto (tra le tante v. Cass. 24-11-2010 n. 23820; Cass. 27-10-2006 n. 23723; Cass. 11-6-2004 n. 11103; Cass. 23-7-2002 n. 10741).
Nel caso in esame, la B. non ha chiesto la risoluzione del contratto d'opera intellettuale stipulato con il F. , ma ha proposto solo domanda di risarcimento dei danni subiti per l'inadempimento della controparte; domanda che presuppone il mantenimento in vita del. contratto e non il suo scioglimento e non fa venire meno il diritto del professionista a percepire il corrispettivo per la prestazione eseguita, trovando le ragioni della committente adeguato soddisfacimento nell'invocata tutela risarcitoria.
La Corte di Appello, pertanto, nel ritenere che l'acclarata responsabilità colposa del convenuto comportava di per sé la perdita definitiva del suo diritto a percepire la controprestazione, non ha tenuto conto del fatto che, essendosi la B. limitata a proporre azione risarcitoria, dimostrativa del suo interesse alla manutenzione del contratto stipulato, non era messo in discussione il credito del professionista per il compenso relativo all'attività espletata, della quale la committente intendeva comunque avvalersi, sia pure sollecitando il ristoro del pregiudizio subito per l'inesatto adempimento (per riferimenti in tema di appalto cfr. Cass. 17-4-2012 n. 6009; Cass. 17-4-2002 n. 5496; Cass. 23-1-1999 n. 644; Cass. 14-7-1981 n. 4606; Cass. 5-3-1979 n. 1386).
5) In accoglimento del quarto motivo di ricorso, di conseguenza, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, la quale provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
28-03-2014 14:36
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