Un paziente viene ricoverato per sottoporsi ad un intervento di by pass femoro popliteo destro con apposizione di protesi vascolare. Interviene una sepsi e i sanitari ritenendo che c'erano poche chances di sopravvivenza non intervengono. La Cassazione rimette in discussione le domande civili.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale,sentenza 12 novembre 2013 – 20 febbraio 2014, n. 8073
Presidente Zecca – Relatore Esposito
Ritenuto in fatto
1.B.G. e T.R. , quali medici in servizio presso l'Unità Operativa di Chirurgia vascolare dell'Ospedale (omissis) , erano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Catania per rispondere del reato di omicidio colposo. Ai predetti era mosso l'addebito di avere, con condotte colpose indipendenti, cagionato la morte di S.A. , ricoverato presso la struttura per essere sottoposto in data (omissis) a intervento di by pass femoro popliteo destro con apposizione di protesi vascolare. Si addebitava agli imputati di aver omesso di sottoporre tempestivamente il paziente, dopo l'insorgenza di sepsi post operatoria dell'arto, a intervento chirurgico di escissione totale della protesi e di essersi limitati a prescrivere terapie antibiotiche inadeguate.
2.All'esito del giudizio il Tribunale affermava la responsabilità del T. , condannandolo, altresì, al risarcimento dei danni in favore dei parenti della vittima, costituitisi parti civili. Battaglia veniva assolto dalla imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste.
3.Con sentenza del 10/6/2011 la Corte d'Appello di Catania assolveva anche il T. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Rilevava la Corte che gli elementi di prova emersi non consentivano di ritenere indiscutibilmente dimostrata la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento letale. Osservava che, riscontrata la positività dell'emocultura per Pseudomonas Aeruginosa, la situazione clinica del paziente aveva assunto connotazioni di particolare gravità, in presenza di un germe aggressivo e difficilmente debellabile; che in una situazione siffatta era stata sconsiderata la scelta, non riferibile all'imputato, di trasferire il paziente presso il reparto di angiologia, scelta che aveva inciso negativamente sulla necessità di continua vigilanza al fine di garantire ulteriori controlli necessari e che era stata, altresì, irragionevole la sostituzione durante detto ricovero della terapia farmacologica originariamente praticata, della quale era stata verificata la positività sul germe, con abbassamento dei valori dell'infezione. Osservava la Corte che la terapia attendista era stata giudicata dai periti non censurabile e che la malattia si era manifestata in tutta la sua aggressività nel periodo successivo al trasferimento e al cambio di terapia, questi ultimi non imputabili al medico; che - ancorché fosse stato ritenuto censurabile l'operato dell'imputato in occasione della consulenza richiesta il 31/7/2004, per non aver disposto più approfondite indagini sulla natura dell'infezione e sulla situazione in sede di impianto protesico - era da ritenere, in ogni caso, che anche il trattamento corretto della complicanza infettiva non avrebbe potuto garantire in maniera certa e assoluta la sopravvivenza, avendo il perito rilevato che, in ragione della comparsa di infezione da Pseudomonas e tenuto conto delle condizioni generali del soggetto, le possibilità di sopravvivenza del paziente non erano comunque superiori al 35-40% anche in ipotesi di trattamento adeguato; che, pertanto, tenuto conto dei coefficienti medio bassi di probabilità, anche sostituendo all'omissione il comportamento alternativo corretto, l'evento lesivo non si sarebbe realizzato con alto grado di credibilità razionale. Concludeva, pertanto, che l'imputato doveva essere assolto con la formula dell'insussistenza del fatto.
4.Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione le parti civili. Deducevano con unico, articolato motivo erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Sottolineavano la superficialità e l'imperizia del medico, atta a determinare un gravissimo errore diagnostico ed esecutivo. Osservavano che il dato processuale più rilevante, ribadito dal perito del PM e dal Collegio medico nominato in sede dibattimentale, era che la corretta rimozione della protesi, quantomeno alla data del 31/7/2004 (e non al momento della rottura dell'anastomosi) avrebbe impedito la morte del paziente. Rilevavano che era omesso un rigoroso percorso argomentativo che potesse far ritenere coerente la scelta dei giudici di secondo grado, a fronte delle ragioni giuridiche che avevano delineato le motivazioni della sentenza del primo giudice. Deducevano, sotto altro profilo, che le cause sopravvenute, indicate come ipotetici fattori causali alternativi intervenuti sul nesso di causalità, non erano tali da escluderlo, difettando dei caratteri di idoneità e sufficienza a determinare l'evento, ex art. 41 c.p. Censuravano, inoltre, il ragionamento della Corte incentrato sulla mera probabilità statistica, evidenziando che ciò che rileva è la probabilità logica, dovendosi considerare se, ove si fosse tenuta l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è fondato con riferimento al dedotto vizio di motivazione. La sentenza assolutoria, infatti, perviene alla negazione del nesso di causalità valorizzando in modo superficiale le conclusioni peritali riguardo alla limitata incidenza salvifica del trattamento alternativo d'elezione, senza affrontare con adeguato approfondimento la successione dei tempi del decorso della malattia e delle modalità dell'operato dei sanitari.
Eppure la sentenza di primo grado aveva correttamente sottoposto a seria critica il rilievo formulato dai periti in ordine all'incidenza statistica, in termini di percentuali di sopravvivenza, del trattamento corretto. Aveva evidenziato che il giudizio controfattuale andava effettuato sulla base dell'evento lesivo come verificatosi hic e nunc, e che era necessario verificare in concreto, in relazione alle complicanze effettivamente ipotizzabili, se, ove in luogo dell'omissione fosse stato posto in essere un comportamento alternativo corretto, l'evento lesivo si sarebbe ugualmente realizzato con alto grado di credibilità razionale. Era giunta, quindi, ad affermare che "la certezza processuale può derivare anche in caso di coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentistica, laddove si acquisisca positivamente la prova della non incidenza di rischi ipotizzati in via meramente congetturale o astratta", nel contempo avvertendo che la superficiale applicazione del criterio della percentuale di sopravvivenza avrebbe finito col legittimare qualunque colpevole inerzia o omissione.
Dal raffronto tra la sentenza impugnata e quella di primo grado emerge, pertanto, il mancato esame da parte del giudice d'appello di aspetti delle questioni poste dal processo che avevano costituito oggetto di riflessione accurata da parte del giudice di primo grado e che sono stati del tutto trascurati in seconda istanza. Ciò determina lacune atte a incidere nel giudizio sull'adeguatezza della motivazione.
5.2. È da considerare, poi, che, avuto riguardo al succedersi degli eventi, i fattori causali alternativi ai quali è dato risalto nella motivazione della sentenza d'appello non appaiono risolutivi, ove si consideri la loro anteriorità alla condotta tenuta dal medico in occasione della consulenza vascolare richiesta il 31/7/2004, momento rispetto al quale andava effettuata la valutazione della concatenazione causale, con specifico riferimento alla consequenzialità del decesso alla mancata escissione della protesi.
È rispetto alla data dell'ultima attività compiuta dal medico, infatti - essendo stato motivatamente escluso (pg. 37 della sentenza di primo grado), con argomentazione non contestata, che fosse ravvisabile un comportamento censurabile nella condotta attendista complessivamente tenuta dai sanitari fino all'intervento del giugno - che occorreva verificare la decisività e adeguatezza dell'operato del medesimo, mediante giudizio controfattuale che tenesse conto dei tempi e della concreta evoluzione della malattia. Di conseguenza il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello non può essere ritenuto esente da profili di manifesta illogicità.
Alla luce delle svolte argomentazioni s'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata per vizio motivazionale, con rinvio al giudice civile competente in grado d'appello, il quale procederà a nuovo esame della questione.
P.Q.M.
La Corte annulla l'impugnata sentenza, ai soli fini civili, e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
22-02-2014 20:51
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