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Sentenza

Tribunale di Trapani. Sezione di Alcamo. Datore di lavoro condannato a 3 anni e 5 mesi di reclusione perchè un dipendente, che lavora in nero, veniva folgorato mentre si trovava sul tetto di un fabbricato per svolgere compiti affidati dal titolare dell'impresa. La Cassazione annulla con rinvio.
Tribunale di Trapani. Sezione di Alcamo. Datore di lavoro condannato a 3 anni e 5 mesi di reclusione perchè un dipendente, che lavora in nero, veniva folgorato mentre si trovava sul tetto di un fabbricato per svolgere compiti affidati dal titolare dell'impresa. La Cassazione annulla con rinvio.
Cassazione penale  sez. IV   
Data:
    26/09/2013 ( ud. 26/09/2013 , dep.12/11/2013 ) 
Numero:
    45532

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE QUARTA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BLAIOTTA Rocco Marco     -  Presidente   -                     
    Dott. CIAMPI    Francesco Mari -  Consigliere  -                     
    Dott. PICCIALLI Patrizia       -  Consigliere  -                     
    Dott. DOVERE    Salvatore -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. MONTAGNI  Andrea         -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    1)          D.P., N. IL (OMISSIS) imputato; 
    2) I.N.A.I.L., parte civile; 
    avverso  la sentenza n. 4128/2011 pronunciata dalla Corte di  Appello 
    di Palermo del 15/6/2012; 
    udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOVERE Salvatore; 
    udite  le conclusioni del P.G. Dott. GERACI Vincenzo, che ha  chiesto 
    il  rigetto del ricorso dell'imputato e l'annullamento della sentenza 
    limitatamente al punto concernente il ricorso dell'Inail, con  rinvio 
    davanti al giudice civile ex art. 622 c.p.p.; 
    udito  il  difensore della parte civile INAIL, avv. Tota  Grazia,  la 
    quale  ha  chiesto  l'accoglimento del ricorso proposto  dalla  parte 
    civile; 
    udito  per  le  parti civili non ricorrenti                 P.A.  e 
              O.A.M. il difensore avv. Vitiello Pietro Maria, il  quale 
    ha  chiesto  il  rigetto  del  ricorso proposto  dall'imputato  e  la 
    condanna del medesimo alla rifusione delle spese di questo giudizio; 
    udito per la parte civile non ricorrente        D.L.L. il difensore 
    avv.  Milazzo  Angelo,  il quale ha chiesto il  rigetto  del  ricorso 
    proposto  dall'imputato  e la condanna del  medesimo  alla  rifusione 
    delle spese di questo giudizio; 
    udito  il  difensore dell'imputato, avv. Lauria Baldassarre,  che  ha 
    chiesto l'accoglimento del ricorso proposto dal     D.. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. D.P. veniva giudicato dal Tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo, responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore P.F.G., in qualità di datore del lavoro del medesimo e condannato alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione ed euro duemila di multa.

    Secondo il giudice di primo grado risultava accertato che il P. era rimasto folgorato mentre si trovava sul tetto di un fabbricato, ove stava svolgendo i compiti che gli erano stati affidati dal D., titolare dell'impresa edile per conto della quale la vittima prestava attività lavorativa in nero.

    2. Avverso tale decisione proponeva appello l'imputato; impugnazione che la Corte di Appello di Palermo rigettava parzialmente, riformando la sentenza impugnata esclusivamente nella parte concernente il trattamento sanzionatorio, che riduceva ad anni tre di reclusione, e in quella relativa alla condanna alla rifusione in favore delle costituite parte civili delle spese processuali del giudizio di primo grado, spese che elevava.

    Il giudice di seconde cure rigettava il motivo di appello concernente la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai testi S. C. e D.F., asseritamente derivante dalla violazione dell'art. 63 c.p.p., comma 2, ritenendo che nella fattispecie ricorresse l'ipotesi di cui dell'art. 63 c.p.p., comma 1 e che quindi correttamente dal giudice di primo grado fosse stata fatta applicazione di tale ultima disposizione, sospendendo la deposizione dei menzionati testi ed utilizzandone le dichiarazioni.

    Rigettava altresì l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali.

    3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il D. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Lauria Baldassarre.

    3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 63, 191, 192, 197 e 533 c.p.p. e agli artt. 110 e 589 c.p..

    Rileva il ricorrente che il S., sulle cui dichiarazioni fonda il giudizio di responsabilità, era risultato già dai primi atti di indagine essere il datore di lavoro della vittima dell'infortunio, sicchè egli doveva essere considerato soggetto nei cui confronti risultavano indizi di reità noti all'autorità procedente sin da prima di procedere alla assunzione di informazioni.

    Ne consegue che le dichiarazioni da questi rese incorrono nella sanzione di inutilizzabilità erga omnes prevista dall'art. 63 c.p.p., comma 2.

    La Corte di Appello, per contro, è incorsa in errore. Oltre ad argomentare in ordine alla inutilizzabilità delle deposizioni rese dal S. e dal D., mentre il motivo di appello concerneva il solo S., la Corte distrettuale ha fatto riferimento alla qualità di capo cantiere dei predetti, quale condizione generatrice di indizi di reità, mentre tali erano A. F. e St.An..

    Il giudice di seconde cure avrebbe per l'esponente travisato la prova, e segnatamente la testimonianza di B., di A., di St. e del medesimo S., finendo per non riconoscere che quest'ultimo era il datore di lavoro del P. e di conseguenza applicando erroneamente l'art. 63 c.p.p., comma 1 in luogo dell'art. 63 c.p.p., comma 2.

    3.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello, non dando risposto alle puntuali censure che l'appellante aveva mosso al riguardo della valenza probatoria degli elementi indiziari posti a base della condanna, è incorsa nel vizio di omessa motivazione, non avendo preso in esame i rilievi svolti dall'impugnante al riguardo del B., che dopo aver affermato che le attrezzature in cantiere erano del D.. aveva affermato che erano del S. (cita pg. 22 e 23 verbale del ); delle dichiarazioni del D., per il quale la modifica delle fatture era stato dovuto a mero errore della ditta fornitrice; del travisamento del fatto operato dal giudice, che aveva dedotto dalle testimonianze la certezza della modifica per conto dell'imputato, mentre certo non era. Altrettanto lamenta quanto alla circostanza del reclutamento del P. da parte del D..

    3.3. Con un terzo motivo si lamenta che la Corte non ha motivato sul motivo di appello concernente la illegittima interruzione della testimonianza di A. e St., ritenendo la censura come riferita alla inutilizzabilità delle dichiarazioni. Il ricorrente ritiene che il primo giudice abbia errato nel ritenere che i due fossero gravati di una posizione di garanzia essendo gli stessi solo capi cantieri e quindi soggetti che possono rispondere della mancata attuazione di misure prevenzionistiche solo se formalmente delegato a tali funzioni.

    Ha errato quindi il giudice a ritenere il presupposto per l'interruzione dell'atto. E la Corte a non motivare sulle censure dell'appellante.

    3.4. Con un quarto motivo si deduce violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.. Poi però lamenta l'illogicità del ragionamento seguito per negare il beneficio.

    4.1. Ricorre per cassazione l'I.N.A.I.L. deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 91 e 54 c.p.c., per aver omesso la Corte di Appello dia citazione di detto ente costituitosi parte civile per il giudizio di appello e per aver omesso di pronunciare la condanna dell'imputato anche al rimborso delle spese in favore dell'ente, parte civile.

    4.2. Con memoria difensiva depositata il 17.9.2013 l'INAIL chiede il rigetto del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    5. Il ricorso dell'imputato è fondato, nei termini di seguito precisati.

    5.1. Il primo motivo non può trovare accoglimento.

    La questione giuridica posta dal ricorso - ovvero quali siano le condizioni presupposte dall'art. 63 c.p.p., comma 2 - è stata affrontata dalle sezioni unite di questa Corte, che l'hanno risolta affermando che, in tema di prova dichiarativa, allorchè venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese; ha aggiunto il S.C. che il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010 - dep. 21/04/2010, Mills, Rv. 246584).

    In quest'alveo si è successivamente precisato che ai fini della sussistenza dell'obbligo di informazione di cui all'art. 63 c.p.p., - nel caso di dichiarazioni rese da soggetto che avrebbe dovuto essere sentito sin dall'inizio come persona indagata - rileva solo la concreta situazione conoscibile ed apprezzabile al momento in cui le dichiarazioni siano rese (Sez. 5^, n. 747 del 28/09/2012 - dep. 08/01/2013, P.G. in proc. T. e altri, Rv. 254599).

    E' incorsa quindi in errata applicazione di legge la Corte di Appello nell'adottare il diverso e superato indirizzo, per il quale "il divieto di utilizzabilità nei confronti di terzi di dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagata prescinde da una già intervenuta imputazione formale, dovendosi tener conto della posizione sostanziale del soggetto al momento del compimento dell'atto, ma non può colpire le dichiarazioni rese al giudice da persona che mai abbia assunto la qualità di imputato od indagato, poichè, a differenza del pubblico ministero, il giudice non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la suddetta qualità, dovendo solo verificare che essa non sia già stata formalmente assunta e che sussista incompatibilità con l'ufficio di testimone; ne consegue che il riferimento alla posizione sostanziale del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell'art. 63 c.p.p., la quale si estende anche all'accertamento della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico (Sez. 2^, n. 38858 del 21/09/2007 - dep. 19/10/2007, Boscolo e altri, Rv. 238218).

    L'opzione interpretativa della Corte distrettuale ha avuto quale effetto quello di sottrarre il giudice di secondo grado alla verifica dell'esistenza di elementi non equivoci di reità, già conosciuti dall'autorità, tali da fondare la posizione di indagato sostanziale del S..

    Pertanto, non è possibile convenire con il ricorrente D. sul fatto che siffatti indizi risultavano acquisiti; nè questa Corte può svolgere una simile indagine.

    E tuttavia si tratta di una circostanza priva di rilievo ai fini che qui occupano, perchè l'errore di diritto in cui è incorso il giudice territoriale non è in grado di privare l'impianto motivazionale della sua adeguatezza in funzione della dichiarazione di responsabilità del D.. Infatti, anche a sottrarre dall'impianto motivazionale (di primo grado) le dichiarazioni del S. (che non sono state utilizzate dal primo giudice per accertare le condotte di falsa testimonianza dei testi A. e D., ma nell'ambito dell'indagine sulla posizione datoriale del D.), deve registrarsi come quello trovi fondamento nelle dichiarazioni del C. e della moglie della vittima, dalle quali si è tratto il giudizio che "il D. rimaneva il referente della vittima sul posto di lavoro" (pg. 6 sentenza di primo grado). Ed ancora guardando, integrativamente, alla sentenza di primo grado, deve evidenziarsi che la prova della qualità dell'imputato di datore di lavoro del P. è ricavato anche dalle dichiarazioni del B. e del Se., investigatori che svolsero accertamenti sui documenti formati per la vendita del materiale edile portato in cantiere, e che fecero emergere che le fatture erano state intestate a D.P. e poi, su sollecitazione di queste, dopo la morte del lavoratore, modificate e riferite a C.F.; di tale Cr., che si occupò della vendita al D. di tali materiali; di P.A. e di D.L.L., rispettivamente padre e moglie della vittima; infine, di tale M..

    Più nel dettaglio, dalla lettura della sentenza di primo grado emerge che furono valutate a fini probatori le dichiarazioni rese dall' A. e dallo St., affrontando espressamente e risolvendo positivamente la questione della loro utilizzabilità contro altri, ex 63 c.p.p., comma 1, (pg. 29), peraltro concludendo per la genuinità di quelle, in ragione delle accertate manovre inquinanti del D. e del loro essere in contrasto con altre emergenze processuali.

    Per contro, la sentenza di primo grado opera limitatissimi riferimenti alla testimonianza del S.; in particolare lo si menziona a pagine 9 e 10 per dimostrare che le attrezzature in cantiere erano del D. e provenivano dal S. medesimo.

    Ne consegue, che poichè è onere della parte che - in sede di ricorso per cassazione - eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali, indicare gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, si da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato; tanto a pena di inammissibilità del ricorso per genericità del motivo (in tal senso Sez. 6^, n. 49970 del 19/10/2012 - dep. 28/12/2012, Muià e altri, Rv. 254108), alla luce di quanto sopra esplicato risulta che le dichiarazioni del S. non sono decisive nell'economia della motivazione in esame.

    5.2. Per contro, il ricorso si appalesa fondato per un diverso aspetto. Nell'atto di appello si evidenziava che gli indizi valorizzati per la condanna del D. erano stati molteplici.

    Tuttavia si rilevava:

    - la non veridicità dell'affermazione secondo la quale erano del D. le attrezzature utilizzate nel cantiere, avendo il giudice travisato le parole del B.;

    - l'errata valutazione della prova in merito alla circostanza della intestazione delle fatture al D. e alle vicende successive, per non aver il primo giudice preso in esame la dichiarazione del D. medesimo e un particolare passo della dichiarazione del Cr., nonchè le dichiarazioni di P.G., che aveva affermato essere stata una sua iniziativa la modifica dell'intestazione delle fatture, ed infine quelle di P. L. e di L.P.;

    - le irregolari modalità di assunzione delle dichiarazioni del D. da parte dei Carabinieri, con l'effetto del venir meno della indicazione da quello proveniente dell'esser stato il P. reclutato dal D.;

    - l'inutilizzabilità delle intercettazioni.

    Ebbene, si deve registrare il completo silenzio della Corte di Appello sull'adeguatezza del quadro probatorio alla luce dei menzionati rilievi difensivi; essa, infatti,- dopo aver risolto il tema dell'applicazione dell'art. 63 c.p.p., - si è limitata ad affrontare l'eccezione relativa alla assunta inutilizzabilità delle intercettazioni; ha quindi ritenuto di poter affermare il ruolo datoriale del D. sulla scorta delle dichiarazioni del C. e della moglie della vittima, aggiungendo una sequenza di affermazioni in punto di diritto, senza alcuna analisi dei materiali probatori.

    Va rammentato, al proposito, che sussiste il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall'interessato con i motivi d'appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 6^, n. 35918 del 17/06/2009 - dep. 16/09/2009, Greco, Rv. 244763). Nel caso di specie, la decisività risulta evidente, posto che le doglianze dell'appellante investivano gli elementi sui quali si ergeva il giudizio in ordine al ruolo datoriale del D. (cfr.

    paragrafo precedente). Inoltre, il principio della integrazione delle motivazioni non può operare; infatti, come è stato esplicitamente statuito, "le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Sez. 3^, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615).

    La sentenza deve quindi essere annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo per nuovo esame. Resta assorbito ogni altro motivo.

    6. Fondato è parimenti il ricorso proposto dall'I.N.A.I.L. L'ente risulta costituito parte civile, come emerge anche dalla stessa intestazione della sentenza impugnata; sentenza che riporta la circostanza dell'aver le parti civili (i congiunti della vittima, oltre all'I.N.A.I.L.) depositatale rispettive comparse conclusionali e le note spese.

    Ciò nonostante la Corte di Appello, dopo aver condannato il D. "al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili", le ha indicate nominativamente, omettendo ogni riferimento all'ente.

    Tanto importa l'annullamento della sentenza, posto che l'omessa statuizione in ordine alle spese sostenute dalla parte civile e da questa richieste in sede dibattimentale non è diversamente emendabile; in particolare, non lo è con il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., in quanto l'art. 535 c.p.p., prevede il ricorso a tale procedura solo nel caso di omessa statuizione in ordine alle spese processuali che il condannato è tenuto a versare allo Stato (in tal senso, Sez. 4^, n. 46840 del 02/11/2011 - dep. 19/12/2011, Issidori ed altri, Rv.

    252145).

    Anche in accoglimento del ricorso della parte civile I.N.A.I.L. la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo per nuovo esame.

    Al giudice del rinvio viene rimesso anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
    PQM
    P.Q.M.

    In accoglimento dei ricorsi, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, cui demanda pure la regolamentazione tra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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