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Sentenza

Spaccio stupefacenti. Divergenza tra parte dispositiva e parte giustificativa. Prevalenza della parte dispositiva.
Spaccio stupefacenti. Divergenza tra parte dispositiva e parte giustificativa. Prevalenza della parte dispositiva.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    13/06/2013 ( ud. 13/06/2013 , dep.26/06/2013 ) 
Numero:
    27826

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GIORDANO Umberto         -  Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI Umberto         -  Consigliere  -                     
    Dott. CAIAZZO  Luigi Pietro    -  Consigliere  -                     
    Dott. BONITO   F. M. S.   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. BONI     Monica          -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               B.S. N. IL (OMISSIS); 
                   D.M.P. N. IL (OMISSIS); 
               G.A. N. IL (OMISSIS); 
                     S.M. N. IL (OMISSIS); 
              S.L. N. IL (OMISSIS); 
                 U.A. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  1158/2011 CORTE APPELLO  di  SALERNO,  del 
    16/12/2011; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 13/06/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VIOLA Alfredo  che 
    ha   concluso  per  la  inammissibilità  dei  ricorsi       B.  ed 
            U. e per il rigetto dei restanti ricorsi; 
    uditi  gli avvocati: Dambrosio Francesco Saverio, dif. Del       G. 
    sostituito dall'avv. SPATAFORA Pier Luigi; SPATAFORA Pier Luigi  dif. 
    Di            B.S., l'avv. QUARANTA Agostino dif. Di         U.. 
                     


    Fatto
    OSSERVA

    PREMESSA:

    I fatti dedotti nel processo approdato davanti a questa Corte di legittimità fanno riferimento a tre vicende relative a diffuse condotte di spaccio di sostanze stupefacenti, cocaina ed hashish, consumate nell'area salernitana e disvelate da una serie di dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dai principali protagonisti di esse, M.A. ed U.A., dichiarazioni poi corroborate da altre dichiarazioni collaborative, alcune rese da co-imputati, quelle di D.M.P. ed A.G., altre, quelle di C.W. e V. M., rese da persone non imputate nel presente processo.

    Il quadro probatorio acquisito al processo risulta poi completato dagli esiti di intercettazioni ambientali e dagli accertamenti di P.G..

    L'iter processuale risulta infine scandito dalla sentenza resa dal GUP del Tribunale di Salerno in sede di giudizio abbreviato in data 24 febbraio 2011 e da quella pronunciata dalla Corte di appello di Salerno il successivo 16 dicembre 2011, avverso la quale hanno proposto ricorso per cassazione i seguenti imputati per le ragioni che per ciascuno di loro si passa a sintetizzare.

    1. B.S., imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver ceduto 120 grammi di cocaina a M.A. ed U.A. i quali acquistavano la sostanza detta a fini di spaccio, in (OMISSIS) (Capo 6) della rubrica) e per aver acquistato, per fini di spaccio, da As.

    G. grammi 400 circa della medesima sostanza, in (OMISSIS) ed altrove, dal (OMISSIS) (Capo 8) della rubrica), è stato condannato in prime cure alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, sentenza poi confermata dalla Corte di appello di Salerno.

    Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa un unico motivo di impugnazione, con il quale denuncia violazione degli artt. 69 e 133 c.p. e difetto di motivazione, in particolare osservando: il quadro probatorio valorizzato dai giudici territoriali è dato dalle dichiarazioni collaborative di M.A., U.A., D.M.P., A.G.; dette dichiarazioni non si estrinsecano in prove certe; quanto all'episodio di chi al capo 6) le dichiarazioni collaborative sono tra loro divergenti; i giudici territoriali hanno superato tali divergenze valorizzando esclusivamente le dichiarazioni confessorie dello stesso B. (interrogatorio del 20.11.2010); quanto invece all'episodio di cui al capo 8), vi è la semplice dichiarazione confessoria dell'imputato;

    da essa emerge comunque un sostanziale disinteresse del B. al risvolto economico dei traffici, il suo ruolo marginale e l'utilità del suo comportamento processuale per l'accertamento della verità;

    di qui la severità del trattamento sanzionatorio inflitto; a tal fine va sottolineato che per i giudici di merito il ricorrente avrebbe rivestito un ruolo di "dominus" dei gregari D.M. ed A., circostanza non vera e non provata perchè desunta da dichiarazioni collaborative tra esse contrastanti; immotivatamente non risulta eliminata dalla decisione la recidiva, ancorchè collegata a condotte lontane nel tempo e di scarso significato penale.

    1.2 Il ricorso di B.S. è fondato nei limiti che si passa ad esporre.

    Ed invero la difesa dell'imputato ha limitato l'appello, con rituale dichiarazione del 6 giugno 2011, alla sola misura della pena, di guisa che esclusivamente in relazione a detto profilo può e deve apprezzarsi la doglianza di legittimità.

    A tale riguardo opportunamente ha la corte territoriale evidenziato che la misura della pena inflitta dal giudice di prime cure è prossima al minimo edittale, che le attenuanti generiche sono state riconosciute con giudizio di prevalenza e che la sanzione impugnata si appalesa adeguata in considerazione del ruolo niente affatto secondario rivestito dall'imputato.

    Trattasi pertanto di motivazione logicamente coerente quanto alla entità della sanzione, ma del tutto illogica quanto al bilanciamento di circostanze di contrapposto segno, tenuto conto delle istanze difensive.

    Con l'atto di appello la difesa del B. rilevò la minima rilevanza della contestata recidiva, collegata ad episodi di diserzione militare, lontani nel tempo e di assai limitata significanza criminale. Ai rilievi difensivi la corte distrettuale ha replicato che gli effetti della recidiva sulla determinazione della pena sono stati, in concreto, elisi dal favorevole bilanciamento, su di essa, delle attenuanti generiche.

    Trattasi di motivazione illogica e giuridicamente non corretta posto che, pur riconoscendo la corte territoriale la limitata rilevanza della recidiva in esame, l'ha ritenuta per così dire disinnescata nei suoi effetti perchè resa inoffensiva sulla determinazione della pena, con ciò omettendo di considerare che il riconoscimento della recidiva (comunque applicata ancorchè in termini di sub-valenza rispetto alle attenuanti generiche) è destinato a produrre effetti nel futuro, ad esempio nell'applicazione delle norme dell'ordinamento penitenziario nel momento in cui si darà esecuzione alla pena inflitta e che pertanto, pur in presenza del favorevole bilanciamento, sussisteva e sussiste un interesse difensivo a vedersi eliminato il riconoscimento dell'aggravante.

    L'impugnazione va pertanto accolta limitatamente al bilanciamento tra le circostanze di diverso segno ed alla menzione della recidiva nel dispositivo, recidiva che va eliminata senza rinvio da questa Corte ai sensi dell'alt. 620 c.p.p., comma 1, lett. 1). Il ricorso va invece rigettato nel resto.

    2. D.M.P., imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver collaborato con B.S. nella cessione 120 grammi di cocaina a M.A. ed U.A., i quali la acquistavano a fini di spaccio, in (OMISSIS) (Capo 6) della rubrica) e per aver acquistato, per fini di spaccio, da As.Gi. grammi 400 circa della medesima sostanza, in (OMISSIS) ed altrove, dal febbraio del 2004 al febbraio successivo (Capo 8) della rubrica), è stato condannato in prime cure alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, sentenza poi confermata dalla Corte di appello di Salerno.

    Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dai difensori di fiducia, i quali nel suo interesse sviluppano due motivi di impugnazione.

    2.1.1 Col primo di essi, riferito alla condanna per il capo 6) delle rubrica, denuncia la difesa ricorrente violazione della norma incriminatrice nonchè dell'art. 192 c.p.p., comma 3 e difetto di motivazione sul punto, in particolare osservando: l'imputato ha da tempo avviato un percorso collaborativo con l'autorità giudiziaria, disvelando numerose vicende di interesse giudiziario e tra queste i fatti di cui alla contestazione sub n. 8), per i quali si è autoaccusato; non solo, l'imputato si è autoaccusato anche di altri reati, ma non della condotta contestatagli al capo sub 6) del presente processo, per la quale viene accusato dai computati M. A. e B.S., le cui dichiarazioni non risultano però riscontrate; le dichiarazioni del M.A., il quale della vicenda da tre versioni diverse, si appalesano imprecise, come riconosciuto dagli stessi giudici di merito; il riscontro ad esse è intervenuto molto tardivamente, quando ha iniziato a collaborare il coimputato B.S., il quale dopo le accuse al D. M. si è visto revocare la misura cautelare carceraria; di qui la non spontaneità delle molto tardive dichiarazioni collaborative in esame; il B. non guidava, eppure per non entrare in contraddizione con le dichiarazioni del M.A. ha dovuto dire di aver guidato; la corte di appello non ha valutato le dichiarazioni raccolte in secondo grado di D'.Vi., socio in affari del M.A., il quale ha riferito di non aver mai conosciuto il D.M..

    2.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denunciano ancora i difensori del ricorrente, in relazione al capo 8) della rubrica, violazione della norma incriminatrice e degli artt. 114 e 69 c.p. e difetto di motivazione sul punto, in particolare deducendo: del tutto illogicamente risulta negata al ricorrente il riconoscimento della speciale attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 con l'argomento che l'imputato non si è autoaccusato di un altro reato, quello di cui al capo 6); il D.M., da tempi non sospetti e comunque antecedenti al presente processo, collabora con le procure di (OMISSIS), con apporti importanti e significativi, come ampiamente riconosciuto da quelle autorità inquirenti e questo è significativo, al di là di ogni dubbio, circa la recisione di ogni legame con l'ambiente criminale; cionondimeno la corte territoriale ha ritenuto non decisiva la sua collaborazione in relazione alla vicenda di cui al capo 6), contraddittoriamente poi rilevandone la decisività in riferimento alle tardive dichiarazioni di B.S.; immotivatamente comunque ha altresì negato il giudice dell'appello l'applicazione dell'art. 114 c.p., pur in costanza di un ruolo secondario del D.M. nelle vicende di causa per le quali nulla ha percepito; altrettanto immotivatamente, tenuto conto del rilievo delle sue collaborazioni, è stata negata la prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulle aggravanti.

    2.2 Il ricorso del D.M. è infondato.

    2.2.1 Quanto al primo motivo, replica pedissequa delle argomentazioni già prospettate al giudice dell'appello, rileva il Collegio che ha la Corte territoriale adeguatamente e diffusamente motivato in ordine all'affidabilità delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore M.A. e del coimputato B., autoaccusatisi, entrambi, delle vicende descritte al capo 6) della rubrica, dichiarazioni sostanzialmente convergenti e precise, soprattutto quelle del coimputato B., non collaboratore di giustizia, il quale, dell'episodio relativo alla fornitura in questione, ha dato una descrizione analitica, confermativa del precedente racconto del M.A.. A tutto ciò oppone la difesa ricorrente una lettura alternativa dei fatti di causa e delle circostanze probatorie valorizzate in sede di merito, peraltro ignorando la replica motivata della corte distrettuale ai rilievi difensivi articolati nel secondo grado di giudizio e poi, come detto, ripetuti in questa sede di legittimità.

    I rilievi critici più specifici della difesa del D.M., come quello relativo alla circostanza che il B. non guidava, non appaiono di per sè idonei ad inficiare la robustezza delle chiamate in correità eppertanto autoaccusatorie oltre che accusatorie del ricorrente, giova ribadirlo, non collaboratore di giustizia, tenuto conto che anche su tale profilo fattuale i giudici di merito hanno individuato il possibile guidatore dell'autovettura del B. in P.F., indicato come presente sia dal M.A. che dal B..

    2.2.2 Anche il secondo motivo del D.M. è infondato. Come è noto, la lezione interpretativa di questa Corte di legittimità è nel senso che l'attenuante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, richiede una collaborazione alle indagini da parte dell'imputato tale da concretarsi in un efficace contributo o alla neutralizzazione, per il presente e per il futuro, dell'attività criminosa in conseguenza della individuazione dei suoi responsabili ovvero alla scoperta e sequestro di rilevanti risorse (capitali, sostanze, attrezzature ecc.) a quella illegittima attività connesse.

    E tale collaborazione deve avere connotazioni di particolare efficacia, non riferita a episodiche circostanze o solo ad alcuni dei segmenti dell'intera condotta illecita, dovendosi, cioè, risolvere in un contributo pieno, per quanto a conoscenza del collaborante, e decisamente rilevante in riferimento ai fini suindicati; in altri termini, è necessario che il collaborante faccia tutto quanto in suo potere, cioè espliciti ogni circostanza e ogni elemento in suo possesso, idonei a consentire il compiuto accertamento delle modalità delle condotte criminose, dei percorsi attuativi e della rete concorsuale o associativa che alla commissione di quei reati presiedono (Cass., Sez. 4, 24/09/2003, n. 44518; in questa pronuncia è stato così condiviso l'assunto del giudice di merito che aveva negato la concessione dell'attenuante de qua rilevando come l'imputato si fosse limitato ad ammettere le proprie responsabilità e a confermare la responsabilità di altri (Cass., Sez. 4, 07/04/2005, n. 22588; Cass., Sez. 6, 17/03/2004, n. 26031).

    Nel caso in esame la corte territoriale ha negato particolare efficienza alle dichiarazioni auto ed etero accusatorie dell'imputato, sottolineandone la tardività rispetto ad ormai consolidate acquisizioni probatorie e la loro mancanza di decisività, motivate conclusioni, queste, genericamente contestate dalla difesa soprattutto con la valorizzazione del contributo collaborativo generale (cioè anche al di fuori del presente giudizio) come è noto non apprezzabile ai fini della disciplina di cui al comma 7 citato e viceversa valutato, correttamente, con il riconoscimento delle attenuanti generiche bilanciate con giudizio di prevalenza.

    Del pari manifestamente infondata si appalesa l'invocazione difensiva circa il mancato riconoscimento in favore del D.M. della disciplina di favore di cui all'art. 114 c.p., già lamentata in sede di appello ed in quella sede correttamente confutata con la valutazione logica ed in fatto del ruolo dell'imputato, il quale insieme al B. ha consumato (e concorso attivamente a consumare) le condotte descritte ai capi 6 e 8 della rubrica.

    Nulla infine sulle doglianze relative al bilanciamento delle circostanze generiche, già valutate favorevolmente alle richieste difensive fin dal primo grado.

    Il ricorso, in conclusione, va rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

    3. G.A., imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver provveduto alla conservazione ed allo spaccio di cocaina ed hashish acquistata da parte di M.A. da esponenti della famiglia T. dal (OMISSIS) ed in altri luoghi (Capo 1), del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per aver fatto parte di una associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti in (OMISSIS) (Capo 2), è stato condannato in prime cure alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione, pena ridotta ad anni sei e mesi dieci di reclusione perchè esclusa dal giudice dell'appello la recidiva.

    Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa tre motivi di impugnazione.

    3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione degli artt. 191, 192 e 363 c.p.p., in particolare osservando: la decisione del giudice di prime cure ha valorizzato chiamate in correità non adeguatamente valutate ai sensi di legge, come denunciato in sede di appello; cionondimeno la corte territoriale ha ribadito le valutazioni di prime cure del tutto immotivatamente ed ignorando i rilievi difensivi; le dichiarazioni di U. il quale, da una iniziale incertezza circa il ruolo del ricorrente espressa con la frase "è probabile", è passato poi alla certezza di quantitativi e prezzi trattati dall'imputato, del tutto illogicamente non sono state ritenute contraddittorie; per le dichiarazioni del M.A. non si è tenuto conto, travisando il risultato della prova, della loro inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p., dappoichè rese in sede di confronto nel contesto di plateali ed esplicite disapprovazioni del P.M.; risulta violato il principio della non riscontrabilità reciproca di chiamate in correità anche perchè non valutata, nel caso concreto, l'affidabilità di quelle acquisite nel processo; illogicamente è stato assunto come riscontro in danno del ricorrente una conversazione ambientale del 12 gennaio 2006, dalla quale risulterebbe un impegno del G. nella gestione della cocaina, giacchè il fatto oggetto di prova non riguarda la partecipazione associativa.

    3.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione per travisamento della prova in relazione alla dichiarazioni assai tardive del collaboratore di giustizia D.V., ritenuto non affidabili dalla Corte, nonostante il medesimo abbia escluso la sussistenza di una organizzazione ed abbia riferito di un ruolo dell'imputato riferibile al solo M.A..

    3.1.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell'art. 69 c.p., degli artt. 544 e 547 c.p.p. e difetto di motivazione sul punto, in particolare deducendo: nella sentenza di prime cure vi era contraddizione tra motivazione e dispositivo quanto alla determinazione della pena; la corte di merito ha corretto l'aumento per la recidiva, eliminandolo, ma non ha ridotto la pena base per effetto delle generiche.

    3.2 Il ricorso del G. è infondato nei primi due motivi di censura.

    3.2.1 Giova qui ribadire che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità oppone un'altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

    cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv.239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2A, sentenza n. 7380 dell'11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina). Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).

    Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive affidate ai primi due motivi, giacchè volte le medesime, a fronte di un'ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda ed una valutazione probatoria del tutto alternativo a quello logicamente ritenuto con la sentenza impugnata.

    Sulla credibilità dei collaboratori M.A. ed U. ampiamente ha argomentato il giudice territoriale evidenziando come le iniziali contraddizioni tra i rispettivi racconti siano state superate in toto in seguito al confronto processuale tra i due, nel cui contesto il primo ha riconosciuto la veridicità di quanto dichiarato dal secondo, confessando di aver taciuto ovvero diversamente detto perchè intendeva favorire il G., suo parente.

    Priva di pregio è poi la tesi difensiva circa la inutilizzabilità degli esiti del confronto dibattimentale, perchè trattasi di censure non proponibili in cassazione dappoichè riferite a vicende dibattimentali rimesse alla esclusiva valutazione del collegio territoriale e perchè comunque negati motivatamente i presupposti fattuali della censura dalla motivazione impugnata. Il quadro accusatorio a carico del G. comunque risulta arricchito dalle dichiarazioni accusatorie, ignorate dal ricorso difensivo, del collaboratore C.W. e dalla intercettazione ambientale del 12.1.2006 tra tali Ca.Ro. e Ap.Pa., nella quale si evoca l'imputato come spacciatore di cocaina.

    Del tutto generiche poi si appalesano le censure sulla valutazione delle dichiarazioni collaborative del D'., coerentemente dichiarato inaffidabile sulla base di logicissime valutazioni di merito: del D'. non ha mai parlato nessuno dei numerosi collaboratori sentiti nel processo, U., zio del M. A., mai lo ha evocato, le dichiarazioni del M.A. e di U. risalgono al (OMISSIS) e pertanto ben potevano essere conosciute dal D'.; questi riferisce sempre de relato e non ha dato una giustificazione delle ragioni per le quali il M.A. non lo avrebbe coinvolto con gli altri coimputati.

    3.2.2 Fondato appare, viceversa, il terzo motivo di impugnazione.

    Come puntualmente rilevato dalla difesa istante, in prime cure risultano riconosciute nel dispositivo della sentenza, in favore dell'imputato, le circostanze attenuanti generiche, circostanze negate nella parte motiva della pronuncia, con contraddizione che, come è noto, va risolta con la prevalenza del dispositivo e cioè del dato decisionale su quello giustificativo (tra le tante: Cass., Sez. 5, 23/03/2011, n. 22736).

    In sede di appello, la corte distrettuale pur accogliendo il motivo relativo alla recidiva, espunta in favore dell'appellante, nella determinazione della pena non ha considerato alcuna diminuente per le riconosciute attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p., con ciò incorrendo in una omissione contra reum alla quale dovrà porre rimedio il giudice di rinvio.

    La sentenza sul punto va pertanto annullata e rigettato nel resto il ricorso del G..

    4. S.M., imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 110 c.p., per aver detenuto a fini di spaccio un ingente quantitativo di sostanza stupefacente (non meglio individuata) in (OMISSIS) (Capo 11), è stato condannato in prime cure alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 16.000,00, pena ridotta ad anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 12000,00 di multa dal giudice dell'appello.

    Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa due motivi di impugnazione.

    4.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione alle risultanze ritenute sufficientemente probanti della colpevolezza dell'imputato, in particolare osservando:

    a carico del S.M. i giudici di merito hanno valorizzato tre conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, delle quali vengono riportati brevissimi stralci; di essi non viene fatto alcun vaglio critico; è apparente la motivazione che si limiti a riprodurre stralci di deposizioni ovvero di conversazioni intercettate per poi da essi apoditticamente dedurre la prova a carico; la motivazione deve spiegare le ragioni della deduzione e non già genericamente indicarle come prova; nel caso di specie anche il giudice di prime cure è incorso nella medesima omissione argomentativa; nella conversazione n. 74 del 28.12.2006 si richiama la frase del coimputato R., il quale afferma "ha avuto più di 700 grammi di roba", ma non si dice perchè quella frase coinvolga S.M. come cedente di stupefacenti insieme al R.; sempre nella stessa conversazione si ritiene di individuare una consegna in favore di tale " Ch." là dove il ricorrente pronuncia una sola frase "ma questo non è un regalo", senza spiegare da dove si deduca la sua condotta, concorrente con quella del R. in quel caso specifico; a carico del ricorrente la corte territoriale richiama genericamente "ulteriori conversazioni" dedotte da "brogliacci di ascolto" rimasti del tutto anonimi; la corte infine ha del tutto ignorato alcune decisive deduzioni difensive quali: i problemi economici del ricorrente incompatibili con la veste di trafficante di droga, l'occasionalità dei rapporti tra il R. e l'imputato, l'assenza di sequestri di sostanza stupefacente, la circostanza che il coimputato M.A., che ben conosce il R., affermi di non conoscere il S.M.;

    l'assenza di rapporti del S.M. con gli altri coimputati, la sua incensuratezza, la mancanza di attività di osservazione sull'automezzo ove furono eseguite le intercettazioni.

    4.1.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia invece la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione alla pena inflitta ed in particolare sulla minima diminuzione per le concesse attenuanti generiche.

    4.2 Il ricorso è infondato.

    4.2.1 Quanto al primo motivo osserva la Corte che con esso si da una lettura tipicamente alternativa degli esiti probatori del processo rispetto a quella diffusamente argomentata da parte dei giudici di merito.

    Nella motivazione impugnata infatti i giudici territoriali hanno dapprima richiamato le quattro intercettazioni eseguite tra il 27 dicembre 2006 ed il 27 gennaio 2007, sottolineando poi la significatività delle espressioni scambiate tra il R. ed il S.M., non già parcellizzandole, come da impostazione difensiva, ma valutandole ed interpretandole nel loro insieme. Anche la frase "ha avuto più di 700 grammi di roba", come detto oggetto di critica difensiva, è stata valorizzata in motivazione per dimostrare nulla più che i due parlano di droga, mentre il rapporto di concorrenti nel reato tra i due colloquianti viene fondato sulle altre conversazioni, delle quali vengono riportate le frasi in sequenza, sottolineando con questo la indubbia significatività delle singole espressioni.

    Quanto alle risultanze del brogliaccio, utilizzato ed utilizzabile nell'ambito del processo abbreviato, non vi è affatto una sua menzione generica unitamente a contenuti altrettanto genericamente indicati, come difensivamente dedotto, ma il richiamo ad elementi di prova ulteriori rispetto alle menzionate intercettazioni telefoniche, come il dialogo puntualmente riportato tra R. e S. M. sul "regalo" fatto a tale Ch., il quale risponde che l'avrebbe conservato e che non "se la faceva" quella sera stessa.

    Non corrisponde alla realtà processuale, infine, che risulti a carico del S.M., in relazione alla cessione a tale Ch. di droga, la sola frase "ma questo non è un regalo", perchè vi è la frase precedente e successiva del R. e la risposta del Ch. (pagg. 106 e 107) che rendono il dialogo inequivocabilmente significativo per l'accusa rubricata.

    Quanto, infine, alle deduzioni difensive non valutate, trattasi di rilievi ai quali la corte ha dato implicitamente risposta con la motivazione accusatoria, anche perchè non direttamente incidenti dette deduzioni (l'incensuratezza, la relazione univoca con il R., la mancanza di conoscenza degli altri sodali, la mancanza di sequestri probatori) sul quadro probatorio valorizzato dai giudicanti.

    4.2.2 Manifestamente infondato è infine la doglianza relativa alla minima diminuzione di pena riconosciuta dai giudicanti in applicazione delle attenuanti generiche.

    La Corte territoriale ha infatti chiarito, sul punto, che le attenuanti generiche consentivano, nella misura riconosciuta, la determinazione della giusta pena.

    Trattasi di motivazione esaustiva, in linea con l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713).

    Il ricorso, in conclusione, va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

    5. S.L. imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver provveduto alla conservazione ed allo spaccio di cocaina ed hashish acquistata da M.A. da esponenti della famiglia T. dal (OMISSIS) ed in altri luoghi (Capo 1), del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per aver fatto parte di una associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti in (OMISSIS) (Capo 2) è stato condannato in prime cure alla pena di anni otto di reclusione, pena ridotta ad anni sette e mesi quattro di reclusione perchè esclusa dal giudice dell'appello la recidiva.

    Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa tre motivi di impugnazione.

    5.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in ordine alla ritenuta ricorrenza nella fattispecie del vincolo associativo, nonchè in relazione al coinvolgimento dell'imputato nelle vicende contestate ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3 e difetto di motivazione sul punto, in particolare osservando: la colpevolezza del S.L. in ordine al reato associativo è stata affermata sulla base delle dichiarazioni collaborative di vari imputati e della frequenza delle condotte di spaccio, senza alcuna argomentazione dimostrativa però della volontà del prevenuto di far parte dell'associazione ovvero della consapevolezza di siffatta partecipazione; i giudici di merito nel senso detto hanno valorizzato soprattutto le dichiarazioni collaborative di M.A. ed U., senza peraltro valutarne le contraddizioni e discrasie denunciate difensivamente ed anzi ignorandole del tutto; le contraddizioni denunciate riguardavano, tra l'altro, circostanze e periodi in cui si consumò lo spaccio, dati direttamente incidenti sulla contestazione associativa; la corte ha superato i rilievi difensivi affermando che le contraddizioni tra le dichiarazioni del M.A. e di U. non riguardavano l'imputato e non ha per questo considerato il complessivo quadro delle contraddizioni coinvolgenti anche gli altri coimputati A.G. e D. M., incidenti logicamente sulle conclusioni poi assunte; la Corte è pervenuta all'assoluzione di altro coimputato richiamando il principio della valutazione frazionata delle dichiarazioni collaborative ed evidenziando la necessità che nel processo risulti provata la consapevolezza dell'associato, successivamente però disapplicando gli stessi principi in relazione alla posizione processuale del S.L..

    5.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione ed errata valutazione della prova in riferimento alla inattendibilità delle dichiarazioni rese dal teste D'., in particolare osservando: nel corso del processo sono state raccolte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia D'., sentito come imputato in procedimento connesso (art. 210 c.p.p.), dichiarazioni risultate in aperto contrasto con quelle dell'imputato M.A.; la corte territoriale, atteso l'insanabile contrasto delle risultanze processuali, ha dichiarato inaffidabili le dichiarazioni rese dal D'. e viceversa affidabili quelle del M.A., senza fornire però adeguata motivazione sul punto; eppure il detto contrasto inficia ulteriormente le accuse del M.A. e di U. e non viene spiegata la ragione per la quale il D'. non sia stato mai menzionato in precedenza, nè quella per la quale si sarebbe falsamente autoaccusato; il D'. riferisce di un solo episodio coinvolgente il S.L., di guisa che, se ritenuta attendibile tale versione, ben diversa sarebbe la base probatoria a carico dell'imputato.

    5.1.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p., nonchè difetto di motivazione sul punto sul rilievo che, immotivatamente, sarebbero state negate le attenuanti generiche, viceversa concesse a M. A. ed U. con palese disparità di trattamento.

    5.2. Il ricorso di S.L. è infondato.

    5.2.1 Col primo e col secondo motivo la difesa istante pone una questione di ricostruzione fattuale, tutta incentrata su una lettura alternativa degli esiti istruttori del processo ed una questione di profilo più squisitamente giuridico, relativo alla prova della partecipazione attiva dell'imputato alla contestata associazione, con particolare riguardo alla sua consapevolezza di farvi parte e di darvi un contributo con la sua condotta.

    Quanto al primo aspetto rileva il Collegio che motivatamente hanno i giudici territoriali argomentato sulle chiamate in correità dei collaboratori di giustizia, peraltro replicando alle censure difensive pedissequamente riproposte in questa sede di legittimità.

    Ribadendo pertanto quanto puntualmente argomentato nella sentenza impugnata, giova sottolineare la logicità della tesi accusatoria là dove richiama le puntali ricostruzioni di M.A., là dove spiega l'irrilevanza sostanziale delle denunciate incongruenze, là dove sottolinea la robustezza delle circostanze di base riferite e cioè la continuata relazione commerciale tra M.A. ed il ricorrente nel trattamento di cospicue quantità di sostanza stupefacente, col riscontro puntuale dato alle accuse del primo collaboratore da U.A..

    Esaustiva, diffusa e logicamente corretta si appalesa poi la motivata inaffidabilità delle dichiarazioni collaborative del D'., dichiarata dalla corte di merito sulla base (già il Collegio se ne è occupato a margine della precedente posizione di G. A.) di precise circostanze: del D'. non ha mai parlato nessuno dei numerosi collaboratori sentiti nel processo, U., zio del M.A., mai lo ha evocato, le dichiarazioni del M.A. e di U. risalgono al (OMISSIS) e pertanto ben potevano essere conosciute dal D'.; questi riferisce sempre de relato e non ha dato una giustificazione delle ragioni per le quali il M.A. non lo avrebbe coinvolto con gli altri coimputati. Quanto, invece, al profilo di più stretta interpretazione giuridica posto correttamente dalla difesa e cioè se nella fattispecie ricorrano i requisiti minimi per ritenere l'imputato sodale del clan malavitoso di cui innanzi, giova a questo punto precisare che, ai fini della configurabilità dell'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la cui realtà peraltro nella fattispecie non è contestata dalla difesa, non è richiesta l'esistenza di un'articolata e complessa organizzazione, connotata da una struttura gerarchica con specifici ruoli direttivi e dotata di disponibilità finanziarie e strumentali per un'estesa attività di commercio di stupefacenti, ma è sufficiente anche un'elementare predisposizione di mezzi, pur occasionalmente forniti da taluno degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare in modo permanente il programma delinquenziale oggetto del vincolo associativo (Cass., Sez. 6, 13/02/2009, n. 25454). E neppure è richiesto, sempre con riferimento alla configurabilità dell'associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, come detto, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Cass.,Sez. 6, 17/06/2009, n. 40505). Ciò posto, e transitando dalla nozione giuridica di associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 alla partecipazione ad essa, questa può essere desunta, secondo insegnamento di questa Corte, anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purchè siffatte condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all'associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e le stesse siano espressione non occasionale della adesione al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l'immanente coscienza e volontà dell'autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo (Cass., Sez. 6, 21/10/2008, n. 44102).

    Ebbene, nel caso in esame, ha ritenuto provato il giudice di merito che il S.L. era persona la quale veniva sistematicamente rifornito di droga da parte del M.A. e che la fornitura serviva per la vendita nel centro storico di (OMISSIS) (come riferito da U.) rapporto questo che si è protratto per circa due anni. Di qui la corretta deduzione da parte dei giudici di merito in ordine alla conoscenza da parte del S. di un minimo di gruppo organizzato capace di procurargli sostanza stupefacente in modo continuativo e di assicurargli le forniture periodiche necessarie per lo spaccio finale, dal S. medesimo affidato a persone di sua fiducia e dallo stesso controllate, nel centro storico di (OMISSIS), nell'ambito pertanto di una attività concertata, coordinata e necessariamente organizzata, attesa la periodicità e la costanza delle condotte medesime, nonchè le persone coinvolte; M. A. ed U. come promotori e fornitori, S.L., D.M., G. ed altri come organizzatori della vendita finale affidata a vari incaricati sul territorio.

    5.2.2 Manifestamente infondato è infine il secondo motivo di impugnazione.

    Le attenuanti generiche sono state riconosciute in favore di chi, come M.A. ed U., ha collaborato nel processo, e negate viceversa a chi, come il ricorrente, ha ritenuto di assumere un atteggiamento processuale diverso.

    Trattasi di criterio di giudizio del tutto coerente eppertanto non censurabile per cassazione.

    Anche il ricorso di S.L. deve essere pertanto rigettato con la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

    6. U.A., imputato, in concorso con altri, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver favorito l'acquisto di cocaina ed hashish da parte di M.A. da esponenti della famiglia T., dal (OMISSIS) ed in altri luoghi (Capo 1), del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per aver fatto parte, promuovendola, di una associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, in (OMISSIS) (Capo 2), del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per aver ceduto, in concorso con M.A., quantitativi di cocaica a Tr.Fe.

    (Capo 3) e di eroina a Di.Li.Sa. (capo 5) a fini di spaccio, rispettivamente, in (OMISSIS) dall' (OMISSIS), del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 81 e 110 c.p., per aver acquistato da B.S., unitamente a M.A., 120 grammi di cocaina a fini di spaccio, in (OMISSIS) (Capo 6) della rubrica) e per aver acquistato insieme ad altri, per fini di spaccio, da A. G. grammi 400 circa della medesima sostanza, in (OMISSIS) ed altrove, dal (OMISSIS) (Capo 8) della rubrica), è stato condannato in prime cure alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione, pena rideterminata dalla Corte di appello di Salerno, previa concessione delle attenuanti generiche, in anni cinque e mesi quattro di reclusione.

    6.1 Il predetto imputato ricorre per cassazione, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa un articolato motivo di impugnazione, con cui denuncia difetto di motivazione in ordine al riconoscimento, non nella massima estensione consentita, della speciale diminuente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7 e delle attenuanti generiche, in ordine alla severità degli aumenti di pena per la continuazione, nonchè per la riconosciuta colpevolezza in relazione al reato associativo di cui al n. 2 della rubrica. A tale ultimo proposito osserva il difensore che l'imputato è stato considerato affidabile e credibile nelle sue dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie, di guisa che anche in relazione all'associazione criminale U. deve essere creduto quando afferma di essersi limitato "a fare ricorso al nipote M. A." senza intrattenere rapporti con altri ritenuti partecipi di un associazione definita dai giudicanti stessi "elementare".

    6.2 Il ricorso di U.A. è infondato.

    Quanto alle censure relative alla determinazione sanzionatoria, è stato opportunamente evidenziato che la pena base individuata dai giudici di merito è pari al minimo edittale e che l'entità delle diminuzioni applicate per le attenuanti generiche ed in applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, risulta quantificata in funzione della determinazione della pena ritenuta di giustizia.

    La graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicchè è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (Cass., Sez. 3, 17/10/2007, n. 1182).

    Quanto, infine, alla censura relativa alla partecipazione del ricorrente all'associazione dedita al traffico di stupefacenti di cui al capo 2, trattasi di doglianza di merito in considerazione dell'ampia motivazione articolata sul punto dalla corte distrettuale, la quale ha individuato in Ubbidiente uno dei suoi promotori, unitamente al nipote M.A., con il quale divideva a metà i profitti dell'attività delittuosa (l'ammissione è dell'imputato), M.A. che, nella sua attività di promotore, ha ammesso di aver sempre utilizzato il nome dello zio atteso il suo peso criminale.

    Anche il ricorso di U.A. pertanto va rigettato con la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    la Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B. limitatamente al giudizio di bilanciamento tra le circostanze ed alla menzione della recidiva nel dispositivo, che elimina. Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di G. limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi di B. e G. e rigetta i ricorsi di D.M., S.M., S.L. ed U. che condanna al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 13 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
Avv. Antonino Sugamele

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