Sono utilizzabili, ai fini cautelari, le intercettazioni svolte in un altro procedimento penale.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 ottobre 2013 – 23 gennaio 2014, n. 3253
Presidente Carmenini – Relatore Diotallevi
Ritenuto in fatto
C.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 27 marzo 2013 del Tribunale del Riesame di Ancona, con la quale è stato rigettato il ricorso avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Ancona in data 26 febbraio 2013, con cui è stata applicata nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di ricettazione e riciclaggio e in ordine a singoli reati fine. A sostegno dell'impugnazione C.L. ha dedotto:
a) Violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 125, 294, 273, 309 c.p.p., 416, 648 bis c.p. e 6 L. 264/91.
Il ricorrente censura la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ritenuti sussistenti dal TDL, anche in considerazione della scarsa cura messa, secondo l'accusa, da pare del ricorrente nel controllo delle pratiche da lui trattate; in realtà le anomalie emerse nel corso delle indagini relative con particolare all'autenticità d ei documenti sono state scoperte grazie a sofisticate apparecchiature, circostanza che escluderebbe qualsiasi responsabilità in capo al ricorrente. Inoltre le pratiche falsificate relative ad autovetture oggetto di riciclaggio sono state evase anche presso altri uffici della M.C. senza che venissero riscontrate anomalie. Infine le pratiche falsificate riguarderebbero un numero talmente esiguo di autovetture, rispetto a quelle complessivamente oggetto della procedura contestata, che non sarebbe significativo per dimostrare la responsabilità del ricorrente e dell'Agenzia collegata di Palermo del coimputato D.C. . In realtà l'unico interesse che avrebbe spinto il ricorrente ad indirizzare le pratiche presso U.M.C, di Palermo sarebbe stato quello della velocità dell'espletamento della pratica di nazionalizzazione dell'autovettura rispetto ad altri U.M.C..
Contesta infine che la collaborazione tra il C. e il D.C. possa essere elemento individualizzante la consapevolezza dell'esecuzione di un'operazione illecita e dell'appartenenza al medesimo sodalizio criminale. Le riprese video all'interno della stanza occupata dal coindagato C. e le intercettazioni non farebbero emergere elementi significativi in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di responsabilità. In ogni caso il ritenuto negligente controllo delle pratiche da parte del C. non troverebbe elementi significativi nella contestata esecuzione del'attività di riciclaggio.
b) Violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 125, 294, 273, 309 c.p.p., 416, 648 bis c.p. con riferimento alla dedotta inutilizzabilità degli esiti d elle intercettazioni audio e video di cui ai decreti autorizzativi n. 665/11, n. 939/11, 1102/11 e 119/111 emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo relativamente al proc. pen. n. 18072/10.
Il ricorrente deduce l'inutilizzabilità dell'esito delle intercettazioni disposte nel diverso procedimento pendente presso la Procura di Palermo e indicato in epigrafe, concernente il reato di cui all'art. 479 c.p., commesso in concorso da più persone, in Palermo, non connesso o collegato a quello in esame.
e) Violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 125, 309, comma 5 e 10 c.p.p., art. 15 e 24 della Cost..
Il ricorrente lamenta l'inutilizzabilittà delle suddette intercettazioni in quanto non sarebbero stati trasmessi i decreti autorizzativi al TDL, ed erroneamente il TDL avrebbe messo a carico del ricorrente l'onere di tale adempimento.
d) Violazione dell'art. 606 lett. b), c) c.p.p. in relazione agli artt. 125, 8 e 9 c.p.p. della Cost.
Il ricorrente contesta le motivazioni del TDL con cui è stata ritenuta corretta l'attribuzione della competenza al Tribunale di Ancona, in forza della residenza del presunto capo dell'associazione tale A. in Falconara Marittima. La competenza doveva essere determinata in base al luogo dove sono stati commessi i reati fine, Napoli, Roma Foggia e eventualmente Palermo.
Ritenuto in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Preliminarmente la Corte osserva che, nonostante l'intervenuta scarcerazione del ricorrente permane l'interesse dello stesso alla decisione in applicazione del principio giurisprudenziale in base al quale nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (v. Cass, Sez. Un., 27/10/2011., n. 6624, CED 251693). Pertanto in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata, come nella fattispecie in esame permane l'interesse a coltivare l'impugnazione ove la parte intenda servirsi, come dichiarato a verbale, dell'eventuale pronuncia favorevole ai fini della richiesta di riparazione dell'ingiusta detenzione (Cass., Sez. VI, 21/03/2013, n. 19217, CED 255135).
3. Per quanto riguarda l'eccezione di incompetenza territoriale rileva la Corte che la stessa deve essere disattesa, condividendo la valutazione del Tribunale del riesame. Allo stato degli atti il TDL ha ritenuto corretta la competenza del Tribunale di Ancona proprio perché il capo dell'associazione risiede a Falconara marittima, dove non solo si è radicato il pactum sceleris, ma da dove sono partite le concrete direttive e si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura (V. Cass., sez. II, 16 maggio 2012, n. 22953, CED 253189).
4. Per quanto riguarda l'inutilizzabilità del contenuto delle intercettazioni telefoniche osserva la Corte che anche in questo caso il ragionamento del TDL è condivisibile. Preliminarmente deve essere sottolineato che in tema di intercettazioni di conversazioni, seppur la riunione di procedimenti non è di per sé condizione sufficiente ad escluderne la diversità, in quanto, ai fini del divieto di utilizzazione ex art. 270 cod. proc. pen., occorre far riferimento ad una nozione sostanziale di "diversità", quest'ultima può essere esclusa in presenza di indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico. (Sez. VI, 15/03/2012, n. 20910 Avena, CED. 252863). Pertanto la nozione di identico procedimento, che esclude l'operatività del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270 cod. proc. pen., può prescindere da elementi formali come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato ed impone una valutazione sostanziale, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto dell'originaria notizia di reato, alla base dell'autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (v. anche Sez. VI, 15/11/2012, n. 46244 del, P.G., Filippi e altri, CED 254285). In sostanza, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma primo, cod. proc. pen., il concetto di "diverso procedimento" va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento. (Sez. 2, n. 49930 del 11/12/2012 - dep. 28/12/2012, Perri e altro, Rv. 253916), e non quindi dal medesimo filone investigativo, da cui traggono origine procedimenti connessi, relativi alla medesima fattispecie criminosa, come è avvenuto nel caso in esame. Ciò premesso devono ritenersi utilizzabili, ai fini cautelari, i risultati delle intercettazioni telefoniche, disposte a seguito di captazione eseguita in diverso procedimento, di cui non sia stato acquisito l'originario provvedimento autorizzativo né sia stato effettuato alcun deposito ex art.270 cod. proc. pen., in quanto le risultanze dell'intercettazione del procedimento a quo influiscono sulle autorizzazioni relative al procedimento "ad quem" come mero presupposto di fatto, incidente sulla motivazione dei successivi, autonomi provvedimenti autorizzativi solo sotto il profilo della loro rilevanza ai fini della verifica dei "gravi indizi di reato", richiesta dall'alt.267, comma primo, cod. proc. pen., mentre il deposito di cui all'art.270, comma secondo, cod. proc. pen. - da effettuarsi con le modalità previste dall'art. 268, commi 6 e 8, cod. proc. pen. - non rileva, a pena di inutilizzabilità, nel corso delle indagini preliminari, trattandosi di adempimento che può essere legittimamente procrastinato per esigenze investigative, non oltre il termine delle indagini stesse, ex art.268, comma quinto, cod. proc. pen.. In ogni caso le esigenze della difesa risultano salvaguardate anche attraverso il deposito nel procedimento "diverso" degli atti concernenti le intercettazioni, anche perché la parte che eccepisce nel procedimento "ad quem" la mancanza o l'illegittimità dell'autorizzazione per opporsi all'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, ha l'onere di produrre il decreto autorizzativo (se del caso, richiedendone copia ex art. 116 c.p.p.), in modo da porre il giudice in grado di verificare l'effettiva inesistenza nel procedimento "a quo" del controllo giurisdizionale prescritto dall'art. 15 Cost.. (Sez. 6, n. 6875 del 15/01/2009 - dep. 17/02/2009, Pagano, Rv. 243671).
5. Per quanto riguarda la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non vengono sostanzialmente sollevate censure se non relative ad elementi di fatto, tese a sminuire il ruolo avuto dal C. nella vicenda; la versione alternativa fornita dalla ricorrente non può trovare ingresso in questa sede in quanto il ragionamento dei giudici del riesame non è assolutamente abnorme; al contrario lo stesso fa riferimento ad elementi oggettivi, riconosciuti dallo stesso gip con riferimento alla gravità degli indizi di colpevolezza, (l'accertato collegamento sistematico C. - D.C. , la finalizzazione della loro collaborazione nell'opera di nazionalizzazione delle autovetture di provenienza illecita, l'"evasione di pratiche" automobilistiche, senza l'esecuzione di alcun effettivo controllo dal soggetto preposto (C. ) rispetto a documentazione prodotta dal D.C. , secondo scadenze temporali predefinite, in assenza di qualsiasi prassi al riguardo, oltre che in contrasto con la disciplina vigente (v. in particolare pagg. 9 e 10 dell'ordinanza del TDL); il ruolo svolto nella commercializzazione delle autovetture proprio grazie all'interveto dell'Agenzia di Palermo e della collaborazione del C. , a prescindere dal contenuto delle intercettazioni telefoniche). Anche sotto quest'ultimo profilo il ragionamento del Tribunale del riesame appare esente da censure logico giuridiche, proprio perché valorizza una analisi altamente probabilistica, saldamente ancorata allo svolgimento dei fatti in esame.
6. Con riferimento alle esigenze cautelari la scelta della misura, peraltro, è stata rapportata dal TDL al ruolo assunto dall'indagato nell'organizzazione, dal pericolo della reiterazione criminosa.
7. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
25-01-2014 12:20
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