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Sentenza

Ricusazione. L'imparzialità deve essere desumibile oggettivamente. Rigetto dell'istanza di ricusazione.
Ricusazione. L'imparzialità deve essere desumibile oggettivamente. Rigetto dell'istanza di ricusazione.
Cassazione penale  sez. II   
Data:
    11/06/2013 
Numero:
    27813

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE SECONDA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ESPOSITO   Antonio       -  Presidente   -                     
    Dott. FIANDANESE Franco        -  Consigliere  -                     
    Dott. MACCHIA    Alberto       -  Consigliere  -                     
    Dott. DIOTALLEVI Giovanni      -  Consigliere  -                     
    Dott. BELTRANI   Sergio   -  rel. Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               D.D.G., nato il (OMISSIS); 
    avverso l'ordinanza resa in data 9/11/2012 dalla Corte di appello  di 
    Palermo; 
    Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 
    udita la relazione svolta dal consigliere Dott. BELTRANI S.; 
    lette  le  conclusioni del pubblico ministero, in persona  del  sost. 
    proc. gen. Dott. GAETA P., che ha chiesto il rigetto del ricorso, con 
    adozione dei provvedimenti conseguenti; 
    lette, per il ricorrente, le conclusioni dell'avv. SACCONE G., che ha 
    chiesto  l'accoglimento del ricorso e, per l'effetto,  l'annullamento 
    dell'ordinanza impugnata; 
    rilevata la regolarità degli avvisi di rito. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. La Corte di appello di Palermo, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato l'istanza di ricusazione proposta il 24 ottobre 2012 da D.D.G. nei confronti del Dr. M. P., in servizio presso la Sezione del giudice per le indagini e l'udienza preliminare del Tribunale di Palermo, designato per la trattazione del procedimento quale giudice dell'udienza preliminare.

    2. Avverso tale provvedimento D.D.G. ha proposto ricorso per cassazione, con l'ausilio dell'avv. SACCONE G., iscritto nell'apposito albo speciale, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

    1 - violazione ed erronea applicazione dell'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c), nonchè illogicità e mancanza della motivazione, "con riferimento alla nozione di "parere" quale espressione di un vero e proprio convincimento nutrito dal giudice in ordine a quello che ritiene essere lo sbocco, giuridicamente necessario, del procedimento (pag. 2 ord.)". Il ricorrente lamenta, in proposito, che la Corte di appello abbia valutato le proprie doglianze assumendo erroneamente come presupposto della proposta ricusazione l'avvenuta espressione di un "convincimento" (richiesta per la diversa ipotesi di cui all'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b) in luogo di un mero "parere", richiesto e quindi sufficiente nel caso di specie, e senz'altro espresso dal dr. M. nel libro "Attentato alla Giustizia" ed in plurime interviste pubbliche oggetto di contestazione, i cui passi (a dire del ricorrente) salienti sono stati in più parti riportati; le espressioni contestate al dr. M. lascerebbero "trasparire il parere - se non addirittura il vero e proprio convincimento - circa l'esistenza di una trattativa tra Stato e mafia o meglio, come più precisamente affermato dal medesimo Magistrato M., tra "pezzi di Stato" e cosa nostra" (così letteralmente il ricorrente a f. 9).

    Contesta, inoltre, l'assunto (f. 12 dell'ordinanza impugnata) della non riconducibilità al giudice ricusato del testo diffuso dall'Ufficio stampa della RUBETTINO, Casa editrice del predetto libro, nel quale il dr. M. avrebbe "espresso inequivocabilmente il suo parere sull'oggetto del procedimento, ponendo una serie di domande retoriche", in realtà asserita mente costituenti, in violazione dell'art. 36 c.p.p., "vera e propria espressione del parere del Magistrato"; lamenta l'inadeguata od omessa (nel caso della intervista n. 2) valutazione del contenuto delle tre interviste rilasciate dal dr. M., oggetto delle proprie doglianze (nella nota datata 8 novembre 2012). In sintesi, "Il Magistrato ricusato ha espresso in più occasioni il suo parere fuori dall'esercizio delle sue funzioni giudiziarie circa l'oggetto del procedimento che lo vede quale GUP, parere non generico, non neutro ed indifferente in merito al tema dei rapporti tra gli apparati dello Stato e le organizzazioni criminali di stampo mafioso".

    Le espressioni segnalate nelle richiesta di ricusazione sono state così conclusivamente sintetizzate:

    "1) l'aver sostenuto che per far fronte alle batoste giudiziarie si sarebbero determinati contatti tra esponenti di Cosa nostra con alcuni. segmenti del circuito istituzionale, pezzi dello Stato. "Cosa Nostra" nel periodo a cavallo tra '92-'93 cercava, in altre parole, un'interlocuzione con alcuni segmenti per risolvere la partita giudiziaria e inserirsi nel nuovo che stava emergendo. Su tale ultimo punto per il GUP ci sarebbero "indicazioni precise" circa la creazione di un nuovo soggetto politico, che doveva garantire l'impunità ai componenti di Cosa nostra ed un protagonismo nel nuovo assetto istituzionale che si stava delineando attraverso la strategia della tensione (pp. 2-3 atto di ricusazione);

    2) l'aver indicato nel libro "Attentato alla Giustizia", sintetizzando le espressioni utilizzate dalla Corte di Assise di Caltanissetta, come per quanto riguarda il periodo in contestazione "la verità ne nasconde un'altra assolutamente inconfessabile, ossia la verità delle stragi di Stato" (p. 3 istanza di ricusazione);

    3) l'aver spiegato in più occasioni l'epoca delle stragi del '92-'93 e della possibile trattativa mafia - Stato attraverso il ricorso a parallelismi storici tra l'epoca oggetto di contestazione con epoche storiche precedenti caratterizzate dall'esistenza di dialoghi, trattative, tra Stato e mafia (p. 4 atto di ricusazione), nell'idea che nello Stato liberale post-unitario, nel periodo fascista, nell'epoca repubblicana ed in ogni altro momento critico della vita del paese, è costante un dialogo tra Stato e mafia (p. 4);

    4) l'avere non solo descritto attentamente il c.d. papello, che sarebbe stato alla base della trattativa illecita, ma soprattutto averlo definito inno all'impunità. Impunità che per i mafiosi da sempre è collegata ai rapporti con la politica (p. 5);

    5) l'avere, attraverso interrogative retoriche, lasciato intendere l'esistenza di un doppio Stato, dove l'ipotesi di un'alleanza strategica non è un mero prodotto giornalistico (p. 5);

    6) l'avere evidenziato come le alleanze strategiche sono da sempre una caratteristica propria dei rapporti tra mafia e Stato, ed aver sostenuto che quest'ultimo, quando in difficoltà, si serve sempre dei professionisti della violenza" (p. 6);

    7) l'avere, nel paragrafo "Patti e ricatti" spiegato la stagione stragista attraverso tre diverse teorie, che muovono - a dire del GUP - da atti giudiziari, in cui trapela non solo la risposta rabbiosa di Cosa nostra al maxiprocesso (che spiegherebbe le stragi di Capaci e via D'Amelio), ma anche l'idea più profonda di una trattativa con pezzi dello Stato per ammorbidire la politica antimafia, oltre alla volontà di condizionare la storia del Paese;

    8) l'avere evidenziato nell'ottica dell'impunità - di cui per il GUP Cosa nostra è alla continua ricerca - che "una cosa è la ricerca di uomini d'onore disposti a collaborare, un'altra cosa è barattare, sotto banco, impunità e vantaggi di altra natura" (p. 7 - 8);

    9) l'avere approfonditamente trattato la tesi della Procura di Palermo sulla trattativa illecita (p. 8-9), commentandone i risultati ed evidenziando come la ragion di Stato avrebbe prevalso su tutto, sarebbe stata così forte da spingere addirittura alcuni uomini delle Istituzioni a compiere delitti in difesa della Repubblica in pericolo (p. 9);

    10) l'avere ripreso la tesi dell'esistenza della trattativa nel paragrafo "I giudici e la trattativa", sintetizzando le motivazioni di sentenze che già a vario titolo si erano occupate degli incontri tra C.V. e i carabinieri (pp. 9-11), sottolineando in maniera netta come per Cosa nostra si trattava di trattativa;

    11) l'avere evidenziato come anche per il periodo delle stragi '92- '93 si sta iniziando a ragionare sull'esistenza di trattative (p. 1 memoria integrativa);

    12) l'avere spiegato la stagione stragista attraverso le sue chiavi di lettura, utilizzando, ancora una volta, parallelismi storici (p. 2 memoria integrativa);

    13) l'avere definiti la tesi della trattativa tra pezzi dello Stato e mafia come tesi accreditata (p. 2 memoria integrativa), trattativa che, d'altro canto, è "un dato presente in tutta l'esperienza italiana, dall'Italia liberale post-unitaria a quella fascista, all'Italia repubblicana" (p. 2 memoria integrativa);

    14) l'avere sottolineato come le trattative sono la caratteristica della storia anche istituzionale del nostro paese (pp. 2 e 3 memoria integrativa)";

    2 - violazione ed erronea applicazione dell'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c), "con riferimento alla effettiva manifestazione da parte del giudice ricusato di un vero e proprio convincimento sui fatti di cui all'imputazione". Il ricorrente lamenta, in proposito, che, attraverso le proprie esternazioni (nel citato libro e nelle indicate interviste), il dr. M. abbia comunque espresso non soltanto "un parere non generico, rectius "specifico", sull'oggetto del procedimento", bensì "un vero e proprio convincimento sui fatti di cui all'imputazione".

    Per questi motivi, ha chiesto, conclusivamente, l'accoglimento del proposto ricorso e, per l'effetto, l'annullamento dell'impugnata ordinanza.

    In data 5 marzo 2013 il P.G. ha depositato le proprie richieste, concludendo come da epigrafe.

    In data 5 giugno 2013, preso atto dell'accoglimento della dichiarazione di astensione del Consigliere in origine designato come relatore, il Presidente titolare della 2^ sezione penale ha disposto l'integrazione del collegio designando come relatore il magistrato tabellarmente indicato come riserva per l'udienza 11 giugno 2013;

    In data odierna, il collegio, verificata la ritualità degli avvisi di rito (effettuati all'esito dell'accoglimento dell'istanza di anticipazione formulata dal ricorrente, già ritualmente edotto dell'udienza in origine fissata), si è ritirato in camera di consiglio per la decisione.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è infondato e va integralmente rigettato.

    Premessa.

    1. Prima di esaminare specificamente la doglianze del ricorrente, appare opportuno il riepilogo delle fonti internazionali ed interne in tema di imparzialità e terzietà del giudice, e conseguentemente di astensione e ricusazione, nei limiti in cui esse possano condizionare il presente giudizio.

    L'imparzialità e la terzietà del giudice nelle fonti internazionali.

    2. Tra le plurime fonti internazionali in tema di terzietà ed imparzialità del giudice, assume particolare rilievo l'art. 6, p. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritto dell'Uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in poi, Convenzione EDU), il quale - per quanto in questa sede rileva - stabilisce che "ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale e costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. (...)".

    2.1. Nell'interpretare la suddetta disposizione, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (d'ora in poi, Corte EDU) è ferma nel distinguere, in relazione alla garanzia dell'imparzialità del giudice, due profili, esigendo conseguentemente una duplice verifica (v., tra le altre, Corte EDU, sentenze 24 maggio 1989, Hauschildt c. Danimarca; 10 giugno 1996, Thomann c. Svizzera; 12 aprile 2007, Martelli c. Italia).

    Sotto il profilo soggettivo, occorre valutare le convinzioni personali del giudice ed i comportamenti dallo stesso tenuti con riguardo al singolo procedimento, per essere certi della sua imparzialità, che, peraltro, si presume fino a prova contraria (Corte EDU, sentenza 26 febbraio 1993, Padovani c. Italia).

    Sotto il profilo oggettivo, occorre, inoltre, verificare che, anche a prescindere dalla condotta in precedenza tenuta, il giudice offra garanzie sufficienti ad escludere qualsiasi dubbio legittimo sulla sua imparzialità (Corte EDU, sentenza 10 giugno 1996, Thomann c. Svizzera). Al riguardo, peraltro, l'ottica personale della parte, pur rilevante, non può essere considerata decisiva, poichè, pur essendo determinante che il giudice ispiri la fiducia dei cittadini, i dubbi ed i sospetti delle parti sull'imparzialità del giudice possono assumere rilievo soltanto se essi risultino "obiettivamente giustificati"; ne deriva che, in una determinata causa, per ritenere che sussista un legittimo motivo di temere il difetto di imparzialità del giudice, il punto di vista dell'accusato va tenuto in conto, ma non svolge un ruolo decisivo, poichè l'elemento determinante consiste nel valutare se i timori dell'interessato possono essere considerati oggettivamente giustificati (Corte EDU, sentenze 7 agosto 1996, Ferrantelli ed altro c. Italia; 28 ottobre 1998, Castillo Algar c. Spagna; 6 maggio 2003, Kleyn ed altri c. Olanda; 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia).

    Richiamando un antico adagio inglese, secondo il quale "la giustizia non solo deve essere fatta, ma occorre anche che appaia che sia stata fatta", la Corte EDU ritiene, pertanto, che, nel valutare la sussistenza di sufficienti garanzie di imparzialità del giudice, assuma rilievo non solo il fatto che il predetto valore risulti nel caso concreto rispettato, ma anche che l'organo giurisdizionale coinvolto, per il modo in cui si mostra alle parti, sia idoneo a renderle fiduciose del fatto che nel processo in corso quel valore sia pienamente soddisfatto, poichè il giudice deve non soltanto essere, ma altresì apparire assolutamente imparziale (Corte EDU, sentenza 17 gennaio 1970, Delcourt c. Belgio; 26 ottobre 1984, De Cubber c. Belgio; 28 gennaio 2003, Dell'Utri c. Italia).

    Assume, quindi, rilievo anche la mera apparenza di imparzialità, se oggettivamente rilevabile e non costituente frutto del mero sospetto della parte.

    In un caso nel quale la parte aveva dubitato dell'imparzialità del Presidente del collegio giudicante, che, attraverso uno scambio di lettere pubblicate dal quotidiano cittadino, aveva espresso giudizi fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie sugli specifici fatti che avrebbe dovuto valutare nell'ambito del procedimento (riguardante l'affidamenti di un minore conteso), la Corte EDU (sentenza 16 settembre 1999 Buscemi c. Italia) ha evidenziato la necessità che la condotta del giudice sia ispirata al massimo riserbo sui fatti in ordine ai quali è chiamato a giudicare, per garantire la sua immagine di imparzialità.

    L'imparzialità e la terzietà del giudice nella Costituzione.

    3. L'imparzialità e la terzietà del giudice costituiscono valori fondamentali del due process of law, oggi esplicitamente sanciti, per effetto della riforma recata dalla Legge Costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999 (che si è ispirata ai principi elaborati dalla Corte EDU nell'interpretare l'art. 6 della Convenzione EDU in tema di "giusto processo") dall'art. 111 Cost., comma 2, secondo il quale "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e Imparziale. (...)", che costituiscono l'essenza stessa del giudizio.

    E' tuttavia indubbio "che le connotazioni della imparzialità e terzietà del giudice, quali requisiti connaturati all'essenza della giurisdizione, che per definizione richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto terzo, scevro di interessi propri e di timori, sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, appartengono alla risalente tradizione dell'ordinamento processuale italiano ed erano state già da tempo enucleate dalla Corte costituzionale nell'ambito dei principi garantiti dalla interazione di molti precetti costituzionali" (Sez. un., n. 23122 del 27 gennaio 2011, Tanzi, in motivazione).

    La giurisprudenza costituzionale è ferma nel ritenere che il requisito dell'imparzialità del giudice, "intesa come indipendenza del giudice dagli interessi presenti in giudizio"" (Corte cost., sentenza n. 93 del 1965), debba contraddistinguere nel suo complesso qualsiasi organo definibile come "giudice" (Corte cost., sentenza n. 305 del 2002), nonchè ciascuno dei suoi componenti (corte cost., sentenze n. 30 del 1967 e n. 353 del 2002): "a garanzia del principio costituzionale circa l'imparzialità del giudice nelle fattispecie concrete, sono contemplati gli istituti dell'astensione e della ricusazione, aventi un ampio ambito di applicazione che si estende a tutti i tipi di procedimento giurisdizionale (e, tendenzialmente, anche ai provvedimenti non giurisdizionali)" (Corte cost. sentenza n. 266 del 2009).

    Si è osservato che "i principi della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101) e della sua precostituzione rispetto all'oggetto del giudizio (art. 25), garantendo l'indipendenza del giudice e la sua necessaria estraneità rispetto agli interessi ed ai soggetti coinvolti nel processo ed escludendo che la sua designazione e la determinazione delle sue competenze possano essere condizionate da fattori esterni, rappresentano i presidi fondamentali dell'imparzialità e ne definiscono il contenuto ineliminabile di connotato intrinseco dell'attività del giudice in quanto non finalizzata al perseguimento di alcun interesse precostituito" (Corte cost., sentenza n. 124 del 1992). L'imparzialità è, pertanto, "da intendersi connessa dal lato oggettivo all'indipendenza esterna e interna garantita al giudice e comporta sotto il profilo soggettivo assenza di condizionamenti e pregiudizi" (Sez. un., n. 23122 del 27 gennaio 2011, Tanzi, in motivazione).

    Si è, inoltre, evidenziato che, con riguardo al processo penale, il "giusto processo" riassume i principi di cui all'art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 2, ricomprendendo "l'esigenza di imparzialità del giudice: imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice ... e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio" (Corte cost., sentenza n. 131 del 1996).

    L'imparzialità del giudice occupa, infatti, tra i principi del "giusto processo", un posto centrale, ed in sua carenza le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato: essa "è perciò connaturata all'essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza" (Corte cost., sentenze n. 1S5 del 1996, n. 75 del 2002 e n. 168 del 2002). Essa implica la necessità che il giudice sia anche riconoscibile, e dunque appaia, come imparziale (Corte cost., sentenze n. 283 del 2000, e n. 131 del 2006), poichè tale obiettiva apparenza è condizione necessaria "di quella fiducia nella giustizia da cui dipende un ordinato vivere civile" (Sez. un., n. 23122 del 27 gennaio 2011, Tanzi, in motivazione).

    3.1. Gli istituti della astensione e della ricusazione sono caratterizzati dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità della funzione giudicante (ad eccezione, evidentemente, di quelle che hanno come presupposto i casi di incompatibilità), che normalmente preesistono al procedimento (art. 36 c.p.p., comma 1, lett. a, b, d, e, f), ovvero si collocano comunque al di fuori di esso (art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c);

    anche l'ipotesi di ricusazione descritta dall'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), non si sottrae a questo criterio di massima, poichè il giudice che, nell'esercizio delle funzioni, abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione opera fuori dai compiti che gli sono propri nella sede processuale.

    Ne emerge "un sistema che si propone di apprestare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui può risultare compromessa l'imparzialità del giudice" (Corte cost,, sentenza n. 283 del 2000).

    Deve aggiungersi che la disciplina dell'astensione e della ricusazione costituisce il necessario bilanciamento tra il bene della imparzialità - terzietà della giurisdizione e la garanzia del giudice naturale, pure tutelata a livello costituzionale (art. 25 Cost., comma 1).

    Si è, in particolare, osservato che l'art. 25 Cost., sancisce il principio della certezza del giudice, "ma di un tal principio la puntuale significazione è più efficacemente espressa nel concetto di "precostituzione del giudice", vale a dire della prevista determinazione della competenza, con riferimento a fattispecie astratte realizzabili in futuro, non già, a posteriori, in relazione, come si dice, ad una regiudicanda già insorta" (Corte cost., sentenza n. 88 del 1962).

    Peraltro, se è vero che "il principio della precostituzione del giudice tutela nel cittadino il diritto ad una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, o, ancor più nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione ad un fatto già verificatosi" (Corte cost., sentenza n. 88 del 1962), deve anche escludersi che possa essere lo stesso giudice "a creare discrezionalmente ipotesi di spostamento della competenza" (Corte cost., sentenze n. 122 del 1963 e n. 146 del 1969).

    Quest'ultimo principio non può che riguardare anche le altre parti del processo, cui non può essere attribuito il diritto potestativo, insindacabilmente esercitabile a propria discrezione, di sottrarsi al giudizio del giudice naturale precostituito dalla legge: "la Corte deve riconfermare il giudizio, altre volte espresso, per cui risponde alla volontà della Costituzione che la legge enunci preventivamente i fatti cui ritiene di dar efficacia determinatrice della competenza di un giudice diverso da quello competente secondo le regole generali, e che l'accertamento della sussistenza dei presupposti legali non sia il frutto di una valutazione non suscettibile di sindacato" (Corte cost., sentenza n. 130 del 1963).

    E così, per quanto specificamente riguarda l'astensione e la ricusazione, nè il giudice che si astiene nè la parte che lo ricusa possono fondarsi su considerazioni eminentemente soggettive o su generici sospetti. Non a caso, persino in caso di astensione facoltativa del giudice per l'esistenza, ex art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), di "gravi ragioni di convenienza" atipiche ed innominate (insindacabili dalla parte privata, cui in relazione ad esse non è attribuito il diritto di proporre ricusazione: argomenta ex art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), la valutazione dell'effettività della sussistenza del temuto pregiudizio per l'imparzialità del giudice è deferita all'esame del capo dell'Ufficio (art. 36 c.p.p., commi 3 e 4). D'altro canto, i motivi di astensione obbligatoria generale (e, conseguentemente, di ricusazione) sono tassativamente Indicati dall'art. 36 c.p.p., ed in quanto determinanti una deroga al principio del giudice naturale, vanno necessariamente considerati di stretta interpretazione.

    La disciplina interna: art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a) e b).

    4. Attraverso le disposizioni in tema di astensione e ricusazione, ili Legislatore ha inteso assicurare ai consociati l'imparzialità e la terzietè dei giudici, garantendo che ogni processo abbia i presupposti per essere ed apparire "giusto".

    Dalla lettura combinata dell'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C), art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B), emerge che il giudice può essere ricusato:

    - quando, fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, abbia "dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento" (art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A);

    - quando, nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza (ma la disposizione viene intesa con riferimento anche alle altre tipologie di provvedimento: così Sez. un., n. 23122 del 27 gennaio 2011, Tanzi, rv. 249733 ss.), abbia "manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione" (art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B).

    Tre sono dunque gli elementi che distinguono le due fattispecie.

    4.1. La fattispecie di cui all'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), riguarda comportamenti ed esternazioni tenuti dal giudice fuori dalla sede processuale, e quindi non nell'esercizio dei compiti e dei ruoli che gli sono funzionalmente propri.

    Ad essa appare all'evidenza riconducibile il caso oggetto dell'odierno ricorso.

    4.2. Le nozioni di "parere" (rilevante ex art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), e "convincimento" (rilevante ex art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B), sono talvolta state promiscuamente intese. Si è, ad esempio, ritenuto che la causa di astensione e di ricusazione consistente nell'avere il giudice "manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle sue funzioni giudiziarie" implica che in quel parere sia riconoscibile l'espressione di un vero e proprio "convincimento" nutrito dal giudice in ordine a quello che egli ritiene essere lo sbocco, giuridicamente necessario, del procedimento de quo, rimanendo quindi estranea alla previsione di legge la diversa eventualità che il giudice si sia limitato ad esprimere una generica valutazione meramente probabilistica circa il presumibile esito del medesimo procedimento (Sez. 1^, n. 4182 del 18 giugno 1996 De Martino, rv. 205322); nel medesimo senso, si è anche ritenuto che non integra il motivo di ricusazione dell'avere il giudice espresso, fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, un parere sull'oggetto del procedimento la formulazione di asserzioni del tutto generiche, che non esprimano un vero e proprio convincimento del giudice circa l'esito, per lui ineludibile, del processo, sia con riguardo alle contestazioni che agli imputati (Sez. 2^, n. 766 del 4 novembre 2005, dep. 11 gennaio 2006, Rocchetta ed altri, rv. 233332,:

    nel caso di specie, il presidente del collegio di Corte di assise impegnato in un dibattimento per imputazioni di reati associativi di tipo mafioso aveva inviato ad un quotidiano locale una nota, poi pubblicata, con cui, secondo l'interpretazione data dai ricorrenti, esprimeva l'opinione che organizzazioni mafiose intendessero condizionare lo svolgimento e l'esito del processo).

    Il dato letterale, ovvero la diversa terminologia adoperata nel medesimo contesto (le due distinte ipotesi confluiscono, infatti, nella stessa norma, l'art. 37 c.p.p.), rivela, tuttavia, a parere del collegio, la trasparente intenzione del Legislatore di fare riferimento a due situazioni diverse: in caso contrario, sarebbe davvero incomprensibile l'impiego, in una stessa norma, di due distinti termini per evocare il medesimo concetto.

    Si è, pertanto, condivisibilmente evidenziato che il termine "convincimento" ha un "significato più ristretto, implicante un'analisi ed una riflessione" rispetto al "parere", che "indica un'opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli atti processuali" (Sez. 1^, n. 5293 del 15 ottobre 1996, P. ed altri, in motivazione).

    La ratto della diversa estensione della sfera di sindacabilità delle esternazioni del giudice prese in considerazione dalle disposizioni de quibus va necessariamente ricollegata alla diversità delle sede nelle quali esse abbiano luogo.

    In ossequio al dovere di riservatezza, fuori dall'esercizio delle funzioni il giudice deve evitare di esprimere opinioni anche superficiali su una possibile prossima regiudicanda: "la ratio dell'assenza di una delimitazione del concetto di "parere" che sia determinata dallo spessore di esso è costituita dallo scopo, evidentemente perseguito dal legislatore del 1988 con la differenziazione creata tra le ipotesi previste rispettivamente all'art. 36, lett. C) ed all'art. 37, lett. B), di conseguire non solo l'imparzialità del magistrato investito del processo, ma anche la manifestazione esteriore dell'obiettività e serenità che devono caratterizzare la funzione del giudice, e che possono apparire compromesse in conseguenza di una valutazione formulata, pur se superficialmente, al di fuori di qualsiasi previsione sulla futura titolarità del processo, in un contesto estraneo alle funzioni giudiziarie" (Sez. 1^, n. 5293 del 15 ottobre 1996, P. ed altri, in motivazione).

    Al contrario, può accadere che il giudice, nell'esercizio delle funzioni, sia chiamato ad esprimere, incidentalmente, valutazioni che potrebbero, al tempo stesso, anticipare, in tutto od in parte, anche il suo ipoteticamente conclusivo giudizio sulla regiudicanda. In questo caso, si è previsto che la sua imparzialità sia vulnerata soltanto da una vera e propria anticipazione della sua opinione sulla colpevolezza o sull'innocenza dell'imputato, quando la stessa non risulti in alcun modo necessaria ai fini della decisione incidentale, ed avvenga quindi al di fuori di ogni collegamento o legame con l'esercizio, in una specifica fase del procedimento, di funzioni giurisdizionali inerenti al fatto-reato esaminato (Sez. 1^, n. 18454 del 6 aprile 2005, Pagano, rv. 231566; sez. 1^, n. 35208 del 15 giugno 2007, Condello, rv. 237627; sez. 3^, n. 17868 del 17 marzo 2009, Nicolasi ed altro, rv. 243713).

    4.2.1. Naturalmente, al giudice, come ad un qualsiasi altro cittadino, non può essere negata la libertà di esprimere il proprio punto di vista su qualsiasi argomento, anche se attinente a fatti di rilevanza giuridica, sui quali potrebbe successivamente trovarsi a dover giudicare, venendo così a manifestare anticipatamete il suo parere sull'oggetto di quel procedimento fuori dell'esercizio delle sue funzioni. Tale diritto, costituzionalmente garantito, esclude, in radice, la possibilità di qualsiasi considerazione sull'opportunità o meno dell'esternazione in ordine ad una vicenda in relazione alla probabilità, più o meno elevata, che quel giudice possa poi essere chiamato a partecipare al relativo giudizio; peraltro, gli istituti dell'astensione e della ricusazione non limitano quel diritto, ma si limitano a contemperarlo con il diritto della parte all'imparzialità ed obiettività del giudice, prevedendo soltanto per l'assegnatario del procedimento l'obbligo di astenersi.

    4.3. I limiti entro i quali possono trarsi conseguenze in tema di ricusazione dall'espressione, fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, di un "parere", sono dettati dal Legislatore con esclusivo riferimento a quello che ne costituisce il contenuto, che deve riguardare l'"oggetto del procedimento" (art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C), non importa se già in corso od iniziato successivamente all'esternazione.

    L'espressione "oggetto del procedimento", pur ampia, delimita il campo dei pareri considerati alle affermazioni o valutazioni attinenti ad un oggetto specifico, di natura tale da poter essere discusse in un procedimento penale, e quindi dotato di rilevanza giuridica.

    Si è precisato che l'espressione ha contenuto più ampio rispetto a quella di "fatti oggetto dell'imputazione" (art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B); se ne è desunto che, per effetto del richiamo all'art. 36, comma 1, lett. C), rientra tra le cause di ricusazione indicate nell'art. 37, comma 1, lett. A), "qualsiasi esternazione sul procedimento nel suo complesso e, in particolare, sulla composizione del collegio o in tema di sospensione dei termini di custodia cautelare e quant'altro possa turbare il regolare svolgimento del processo stesso" (Sez. 2^, n, 20923 del 10 maggio 2005, Cremonesi ed altro, rv. 232689: fattispecie in cui i difensori degli imputati avevano proposto istanza di ricusazione nei confronti dei due giudici a latere sul presupposto che vi era stata da parte degli stessi un'indebita anticipazione del proprio convincimento sul merito, avendo essi, in precedenza, presentato richiesta di astensione, successivamente respinta, motivata dalla circostanza che il presidente del collegio aveva espresso, anche fuori dall'esercizio delle funzioni giurisdizionali il parere negativo sulla fondatezza delle imputazioni, e dal disagio per le modalità di conduzione del dibattimento reputato irriguardoso nei loro confronti, in quelli del P.M. e di alcuni difensori; ed, inoltre, che i due giudici avevano avuto colloqui con il rappresentante dell'accusa che aveva loro anticipato l'intenzione di ricusare il presidente).

    4.4. Già in relazione alla fattispecie di cui all'art. 64 c.p.p. 1930, comma 1, n. 2, corrispondente a quella oggi disciplinata dell'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), la giurisprudenza di questa Corte Suprema aveva evidenziato che non si può, comunque, attribuire alcuna rilevanza all'apprensione od al senso di sfiducia che una delle parti nutra o assuma di nutrire in ordine all'obiettività del giudicante, qualora tali motivazioni soggettive non trovino riscontro nella realtà dei fatti accertati (Sez. 6^, n. 811 del 27 giugno 1985, Nico, rv.

    170164).

    D'altro canto, "la delimitazione conseguente alla suscettibilità dell'oggetto del parere espresso a costituire "oggetto del procedimento" esclude comunque che possa ravvisarsi causa di ricusazione in espressioni generiche, non attinenti ad un caso specifico, formulate nell'ambito di conversazioni su temi generali" (Sez. 1^, n. 5293 del 15 ottobre 1996, P. ed altri, rv.

    205843, in motivazione. Nel caso di specie, il presidente di un tribunale militare, nel corso di un colloquio avuto con un generale dei carabinieri alcuni mesi prima del processo contro l'ex capitano delle SS tedesche P.E. per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, aveva affermato che l'operato della Procura militare della Repubblica - la quale aveva aperto indagini preliminari, ipotizzando a carico del P. violenza con omicidio continuato - era inutile perchè tutt'al più nella condotta dell'ufficiale tedesco si poteva ravvisare un omicidio colposo plurimo, aggiungendo che non era il caso di rivangare il passato, trattandosi di persona avanti negli anni; la S.C. ha ravvisato in questa esternazione l'espressione extrafunzionale di un parere sulla qualificazione giuridica dello specifico reato che sarebbe poi stato attribuito all'Imputato e sulla possibilità di ritenere in suo favore le circostanze attenuanti generiche).

    4.5. Deve, in ogni caso, mantenersi fermo il principio che non può integrare il motivo di ricusazione dell'avere il giudice espresso, fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, un parere sull'oggetto del procedimento, la formulazione di affermazioni del tutto generiche, prive di riferimenti anche superficiali al possibile, ineludibile, esito del processo, con specifico riguardo alle contestazioni ed agli imputati: è, ad esempio, il caso del giudice che si sia occupato genericamente, in scritti o discussioni aventi natura scientifica o comunque culturale, di vicende che costituiranno successivamente oggetto di decisione da parte sua in un processo penale.

    5. In argomento, vanno affermati conclusivamente i seguenti principi di diritto:

    "ai fini della ricusazione del giudice, il "convincimento" richiesto dall'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B) ha un significato più ristretto, implicante un'analisi ed una riflessione, rispetto al "parere" richiesto dell'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), che indica un'opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli atti processuali";

    "non può integrare il motivo di ricusazione dell'avere il giudice espresso, fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, un parere sull'oggetto del procedimento, la formulazione di affermazioni del tutto generiche, prive di riferimenti anche superficiali al possibile esito del processo, ritenuto ineludibile, con specifico riguardo alle contestazioni ed agli imputati, come ad esempio nei caso in cui il giudice si sia occupato genericamente, in scritti od interventi aventi natura scientifica o comunque culturale, di vicende che costituiranno successivamente oggetto di decisione da parte sua in un processo penale") "in tema di astensione e ricusazione, nè il giudice che si astiene nè la parte che lo ricusa possono fondarsi su considerazioni eminentemente soggettive o su generici sospetti: i motivi di astensione obbligatoria generale (e, conseguentemente, di ricusazione) sono, infatti, tassativamente indicati dall'art. 36 c.p.p., ed, in quanto determinanti una deroga al principio del giudice naturale (art. 25 Cost., vanno necessariamente considerati di stretta interpretazione".

    Il ricorso.

    6. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

    6.1. Il ricorrente lamenta, in sintesi, che la Corte d'appello abbia erroneamente interpretato l'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), ritenendo necessaria, ai fini della proposta ricusazione del dr. M., l'espressione, da parte di quest'ultimo, di un "convincimento" sull'esito dell'udienza preliminare da svolgere in relazione ai "fatti oggetto dell'imputazione: che non ravvisava, laddove era sufficiente l'espressione anche soltanto di un mero "parere sull'oggetto del procedimento", concetto più ampio, e sicuramente atto a qualificare il contenuto delle plurime esternazioni del dr. M. segnalate nell'istanza di ricusazione, invero integrante - comunque - anche gli estremi del vero e proprio "convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione".

    In relazione a tali profili, lamenta anche vizio di motivazione, quanto all'assunto (f. 12 dell'ordinanza impugnata) della non riconducibilità al giudice ricusato del testo diffuso dall'Ufficio stampa della RUBETTINO, Casa editrice del predetto libro, nel quale il dr. M. avrebbe "espresso inequivocabilmente il suo parere sull'oggetto del procedimento, ponendo una serie di domande retoriche", in realtà asseritamente costituenti, In violazione dell'art. 36 c.p.p., "vera e propria espressione del parere del Magistrato", all'inadeguata od omessa (nel caso della intervista n. 2) valutazione del contenuto delle tre interviste rilasciate dal dr. M., oggetto delle proprie doglianze (nella nota datata 8 novembre 2012), e, più in generale, all'inadeguata valutazione del significato intrinseco delle plurime esternazioni del dr. M..

    7. Il ricorso è, in toto, infondato.

    7.1. Pur se la Corte di appello, rifacendosi ad un orientamento giurisprudenziale che si è già ritenuto non integralmente condivisibile (cfr. 4.2 di queste Considerazioni in diritto), mostra inesattamente interpretare la nozione di "parere", rilevante ex art. 36 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), in senso in concreto affine a quella - in realtà diversa, ex art. 37 c.p.p., comma 1, lett. B) - di "convincimento", le conclusioni cui essa è giunta nel valutare il significato e la portata delle contestate affermazioni del dr. M. sono senz'altro condivisibili.

    7.1.1. La Corte di appello (f. 6 ss.) ha - con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e per tale ragione non sindacabili in questa sede -evidenziato che la "lettura" del contenuto delle esternazioni del dr. M. operata dal ricorrente è inammissibilmente frammentaria, perchè tesa a valorizzare singole espressioni estratte dal complesso degli interventi (scritti ed orali) del magistrato, senza tener conto del complesso delle sue considerazioni (sempre operate in chiave problematica) e delle sue conclusioni (sempre improntate ad estrema cautela, e chiare non solo nel manifestare l'aspettativa di verità sulle vicende de quibus - senz'altro legittima -, ma anche nell'evidenziare l'esigenza di non formulare giudici superficiali o comunque improntati a pressappochismo, essendo necessario attendere l'esito delle verifiche giudiziali in corso, prima di formarsi un convincimento non strumentale, ma consapevole, su quanto accaduto).

    Valorizzando la globalità delle considerazioni espresse dal dr. M. nel suo libro, la Corte di appello ha, in particolare, evidenziato:

    - che il riferimento al verificarsi di stragi di Stato non costituisce convincimento proprio dell'Autore, ma - per quanto riguarda la specifica vicenda de qua - sintesi riepilogativa di considerazioni espresse dai giudici della Corte di assise di Caltanissetta nella sentenza resa all'esito di altro procedimento penale, e - per quanto riguarda più in generale la presunta esistenza di un "doppio Stato" - dal Presidente della Commissione parlamentare antimafia nella Comunicazione ufficiale sul tema dei "Grandi delitti e stragi di mafia" (resa pubblica il 30 giugno 2010) nonchè dal Procuratore della Repubblica di Firenze, poi divenuto Procuratore Nazionale antimafia e da due magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di Firenze, oggetto di dibattito;

    - che nessuna certezza è stata manifestata quanto all'esistenza del c.d. "papello" (l'appunto nel quale R.S. avrebbe annotato una serie di richieste da avanzare allo Stato in tema di giustizia penale in cambio della cessazione della stagione delle stragi), poichè l'Autore - lungi dal concludere per la sua certa esistenza - si chiede se il "papello" sia davvero esistito, o costituisca una sorta di leggenda ("Sul papello molte domande sono doverose. E' mai esistito? Che contenuto ha? E' stato mai consegnato ad esponenti delle Istituzioni?"), esprimendo il - legittimo - auspicio che le inchieste in corso facciano chiarezza su tali interrogativi, ma nel contempo ammonendo i lettori sulla necessità di attendere la conclusione del procedimento, dovendo "stare attenti a non confondere le ipotesi accusatorie con le verità assolute", poichè già in passato (ad esempio, in relazione alla vicenda della presunta mancata perquisizione del covo di R.S., che aveva visto tra i protagonisti anche qualcuno dei soggetti in ipotesi protagonisti anche della vicenda de qua) - era accaduto che la verifica giudiziale avesse sconfessato i teoremi accusatori (il processo relativo alla vicenda da ultimo ricordata si era concluso con una sentenza di assoluzione perchè i fatti non costituiscono reato), o comunque non avesse ancora fornito conclusive certezze (il processo relativo alla presunta mancata cattura di B. P. nel 1995 era, infatti, all'epoca ancora pendente);

    - che il riferimento ai contatti in ipotesi intervenuti tra l'odierno ricorrente (ed altri soggetti) e C.V. dopo la strage di Capaci di per sè non contiene alcuna valutazione sulla natura e sull'oggetto di tali contatti: solo questi ultimi profili costituiscono, infatti, oggetto dell'odierno procedimento, non il mero fatto storico del contatto, di per sè privo di rilevo penale e pacificamente ammesso dallo stesso ricorrente nell'ambito di diverso procedimento.

    Al riguardo, l'Autore esprime chiaramente l'idea che il mero contatto (il cui verificarsi risulta accertato dall'A.G. fiorentina, e che, peraltro, sarebbe avvenuto - secondo quanto dal ricorrente pubblicamente dichiarato, e come diffusamente illustrato nel libro, che da ampio risalto alle dichiarazioni rese sul punto dai Carabinieri interessati - nel compimento dei doveri ufficio e per finalità istituzionali) non potrebbe ritenersi illecito, con il che non può in alcun modo ritenersi espresso un parere, anche superficiale, sull'esito del futuro procedimento per il caso che il contenuto di quei contatti (come in seguito ipotizzato dalla Procura della Repubblica territorialmente competente) lecito non fosse;

    - che, quanto alla matrice ed alla causale delle stragi, il dr. M. si è limitato ad illustrare le tre tesi più accreditate in proposito avanzate, senza esprimere giudizi sulla maggiore o minore attendibilità di una o più di esse;

    - che i giudizi negativi (di natura essenzialmente morale) su uno Stato che scenda a patti con organizzazioni criminali sono espressi in modo del tutto generico, e privo di specifici, pur se meramente superficiali, riferimenti alle vicende in seguito devolute alle valutazioni del dr. M. in funzione di GUP;

    - che la tesi della Procura della Repubblica di Palermo, quanto alla natura (illecita) della trattativa de qua - peraltro all'epoca senz'altro di dominio pubblico come possibile ipotesi accusatoria - è meramente riportata dall'Autore, ovvero - sostanzialmente - riferita a titolo di cronaca, senza alcuna valutazione in merito alla sua fondatezza.

    Analoghe connotazioni meramente problematiche e riepilogative sono state riconosciute dalla Corte di appello al contenuto delle interviste pure costituenti oggetto di contestazione da parte dell'odierno ricorrente, nelle quali il dr. M. ha continuato ad esprimersi con formule realmente, e non soltanto retoricamente, dubitative, nel dar conto delle ipotesi accusatorie della Procura inquirente e delle altre possibili chiavi di lettura dei fatti oggetto del procedimento, sempre manifestando l'ineludibile esigenza di attendere fiduciosamente il corso della giustizia (""sull'oggetto di questi incontri i processi devono ancora fare luce. Io attendo una conoscenza degli elementi alla base di queste indagini per poter formulare una valutazione": intervista del 22 giugno 2012).

    Quanto al testo dell'ufficio stampa della casa editrice RUBETTINO, se, da un lato, le doglianze del ricorrente (quanto alla sua diretta riconducibilità del dr. M.) sono del tutto assertive, perchè non corroborate da alcun atto del procedimento che consenta di ritenere motivazione del provvedimento impugnato in parte qua viziata travisamento (lo stesso ricorrente non ne indica, giustificando il suo assunto sulla base di mere congetture), dall'altro la Corte di appello ha, comunque, spiegato che le stesse si pongono in linea con gli altri interventi in materia del dr. M., ovvero contengono molti interrogativi e considerazioni di carattere generale, sempre accompagnati dall'indicazione della necessità di attendere in proposito il formarsi di una "verità giudiziale", per l'impossibilità di formarsi un convincimento consapevole sulla base di mere congetture, tra l'altro contrastate da altre congetture di uguale spessore, ma di segno contrario.

    Analoghe considerazioni motivano la ritenuta irrilevanza delle dichiarazioni rilasciate dal dr. M. nella interviste di cui alle note integrative depositate dall'odierno ricorrente in data 8 novembre 2012 (cfr. f. 12 s.).

    7.2. Le considerazioni eminentemente soggettive ed i generici sospetti della parte ricusante sono, ai fini de quibus (per le ragioni conclusivamente riepilogate sempre nel 5 di queste Considerazioni in diritto), privi di rilievo, così come non rileva in alcun modo, nè può assolutamente costituire oggetto di valutazione, la circostanza, che il dr. M. non abbia ritenuto di avvalersi dell'istituto dell'astensione facoltativa prevista dall'art. 36 c.p.p., comma 1, lett. H), essendo la valutazione sulla sussistenza delle "gravi ragioni di convenienza" demandata esclusivamente al magistrato interessato.

    In questa sede rileva unicamente che si trattò di considerazioni assolutamente generiche, non inerenti alla rilevanza di una o più delle fonti di prova successivamente poste a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato dalla Procura della Repubblica territorialmente competente, nè alla qualificazione giuridica dei fatti oggetto del procedimento.

    Dal contesto delle esternazioni censurate dal ricorrente emerge, al contrario, che il dr. M. si è occupato, in un libro ed in plurime interviste aventi natura storica o comunque socio-culturale, di vicende che avrebbero costituito successivamente oggetto dell'udienza preliminare da svolgersi dinanzi a sè, ma limitandosi a valorizzare genericamente ed in chiave problematica, il contenuto di atti ufficiali extraprocedimentali, di pubblico dominio e già costituenti oggetto di pubblico dibattito, senza mai esprimere opinioni, anche meramente superficiali, sul possibile esito della - all'epoca soltanto eventuale - udienza preliminare, ed anzi ammonendo di continuo i lettori, e più in generale l'uditorio, sulla ineludibile necessità di attendere l'esito delle verifiche giudiziarie in corso prima di esprimere una opinione motivata e consapevole sui fatti realmente accaduti.

    Nessun "parere" (inteso nel senso conclusivamente riepilogato nel 5 di queste Considerazioni in diritto) risulta, pertanto, essere stato manifestato dal dr. M., fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, sull'oggetto del procedimento in esame; nessuna espressione dallo stesso adoperata ha contenuto tale da palesare in lui la formazione di un convincimento precostituito sull'esito dell'udienza preliminare che si sarebbe in seguito svolta innanzi a sè.

    8. Il rigetto totale del ricorso per infondatezza dei motivi comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 11 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2013
Avv. Antonino Sugamele

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