Ricettazione, detenzione e porto abusivo di tre pistole semiautomatiche, con matricola abrasa; rapina pluriaggravata in danno della filiale di Capalbio del Monte dei Paschi di Siena della somma di Euro 61.000,00 e dell'autovettura della cassiera.
Cassazione penale sez. I
Data:
07/05/2014 ( ud. 07/05/2014 , dep.03/07/2014 )
Numero:
28810
Classificazione
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo - Presidente -
Dott. BONITO F. Maria - rel. Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.M. N. IL (OMISSIS);
S.P.E. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1114/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
27/11/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 11 ottobre 2011 il GUP del Tribunale di Grosseto, all'esito di giudizio abbreviato, ritenuta la continuazione, applicata la recidiva e con la diminuente per il rito, condannava C.S., F.M. e B. S. alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione ciascuno e S.P., non recidivo ed al quale venivano concesse le attenuanti generiche, la pena di anni sei di reclusione perchè giudicati colpevoli, in concorso tra loro, della ricettazione, detenzione e porto abusivo di tre pistole semiautomatiche, due delle quali con matricola abrasa ed una provento di rapina con relativo munizionamento (capo A. della rubrica); della rapina pluriaggravata in danno della filiale di Capalbio del Monte dei Paschi di Siena della somma di Euro 61.000,00 circa e dell'autovettura della cassiera B.P. (Capo B. della rubrica); del tentato omicidio in danno dei CC. D.F.G. e Bi.Co., contro i quali, una volta fermati per un controllo mentre si allontanavano dal luogo della rapina di cui al capo precedente, esplodevano plurimi colpi con le pistole di cui al capo A) (capo C. della rubrica); della rapina pluriaggravata in danno di C.F., alla quale sottraevano con la forza l'autovettura per proseguire nella fuga dopo aver abbandonato quella controllata in precedenza dalle forze dell'ordine; in Capalbio e zone limitrofe, il 3 agosto 2010. I fatti di causa venivano in tal guisa ricostruiti dai giudici di merito:
verso le 15 del 3 agosto 2010 due uomini armati di pistola, di cui uno a volto coperto, facevano irruzione nell'agenzia di Capalbio del Monte dei Paschi di Siena, costringendo il direttore a sbloccare la cassa continua ed il bancomat, con la combinazione comunicata anche ad un terzo complice all'esterno, e razziando denaro per 61.400,00 Euro; prima di abbandonare gli uffici della banca i due malviventi si facevano consegnare dalla cassiera le chiavi della sua autovettura con la quale si davano alla fuga raggiungendo una Rover 400 di colore blu, lasciata a poche centinaia di metri, per proseguire la fuga;
intorno alle 15.50 CC. di Porto S. Stefano in servizio sulla S.P. 161 nel Comune di Monte Argentario si insospettivano incrociando la Rover con a bordo tre persone dai capelli rasati e decidevano di controllarla; detta autovettura veniva per questo raggiunta ed invitata ad arrestarsi; fermatasi questa, infatti, sul lato destro della carreggiata, da essa scendevano improvvisamente, con azione fulminea, il conducente ed il passeggero seduto davanti, i quali esplodevano numerosi colpi di pistola in direzione dell'appuntato D. F. che si stava avvicinando per il programmato controllo; anche il terzo passeggero nel frattempo si univa, anch'egli armato, all'azione dei complici; i militari, pur rispondendo al fuoco, riuscivano a ripararsi dietro l'autovettura di servizio che veniva però resa inservibile, circostanza che consentiva ai malviventi di dileguarsi nuovamente senza essere inseguiti; alle 16.10 C. F. denunciava al 112 che tre individui armati di pistola le avevano sottratto la Ford Fiesta sulla quale si trovava abbandonando la Rover, circostanza questa che collegava anche questa azione delittuosa agli imputati; alle 20,00 le forze dell'ordine, allertate da fonte confidenziale che indicava il S.P.E., cittadino rumeno, la persona che li aveva colà indirizzati, facevano irruzione nell'abitazione di un noto pregiudicato sita in Porto S. Stefano, dove arrestavano il C., F. e Be., i quali non opponevano resistenza, e dove venivano rinvenuti il denaro rapinato e le armi utilizzate dai tre.
Sulla base della riferita ricostruzione, supportata dalle testimonianze delle pp.oo., dagli esiti delle indagini di polizia e dei sequestri delle armi e del denaro, gli imputati veniva incriminati per i reati già innanzi indicati, il F. per il ruolo di palo posto all'esterno dell'agenzia bancaria, Be. e C. per le condotte consumate all'interno di essa, S. per le funzioni di basista, per aver assicurato la disponibilità dell'appartamento destinato a nascondere i malviventi e per aver eseguito un sopralluogo per conto del connazionale C. presso la Banca di Capalbio al fine di verificare la presenza o meno di una guardia giurata all'interno di essa.
Il S. ha riferito di tale ruolo nel corso delle indagini alla presenza del suo difensore.
2. Per quanto di interesse nel presente procedimento di legittimità, avverso la sentenza di prime cure proponevano appello il F. ed il S., il primo contestando la sussistenza del tentato omicidio e censurando la mancata concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 62-bis c.p. ed il secondo dichiarandosi estraneo ai fatti di causa, sostenendo, comunque, l'insussistenza dell'elemento psicologico richiesto per i reati contestati e chiedendo l'applicazione della disciplina sul concorso anomalo in relazione al reato di tentato omicidio con la rideterminazione del trattamento sanzionatorio dappoichè errata quella di prime cure. Con sentenza del 27 novembre 2012 la Corte di appello di Firenze rigettava i gravami e confermava la pronuncia di primo grado.
3. Ricorrono per cassazione avverso detta decisione il F. ed il S., assistiti dai rispettivi difensore di fiducia.
3.1 Nell'interesse del F. sono stati sviluppati quattro motivi di impugnazione.
3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione al ritenuto dolo alternativo in capo all'imputato per la contestazione di tentato omicidio, sul rilievo che la motivazione articolata sul punto dal giudice territoriale mal si attaglierebbe dell'animus necandi comunque necessario nella fattispecie dell'omicidio tentato; in essa motivazione infatti la stessa corte distrettuale riconosce che l'intento perseguito dagli imputati era quello di fermare gli agenti ad ogni costo attingendo in modo lesivo, se non mortale i militari; la volontà degli imputati non era pertanto indirizzata alternativamente a l'una ovvero all'altra conseguenza, ma a quella di rendere inoffensivi i militari;
di qui la contraddittorietà motivazionale di ritenere in alternativa risultati della condotta in realtà non tali perchè voluto un evento diverso dalla morte, evento quest'ultimo tutt'al più accettato come rischio eventuale; non privo di significato è poi la circostanza che i colpi furono numerosi e non attinsero mai i militari ma parti essenziali dell'autovettura di servizio; in conclusione si impone una nuova valutazione in ordine alla ricorrenza nella fattispecie del dolo alternativo ovvero eventuale.
3.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente vizio della motivazione in relazione alle emergenze istruttorie desunte dal verbale di arresto in flagranza di reato, in particolare deducendo: nella sentenza la corte territoriale assume che il c.re Bi., al momento topico del conflitto a fuoco, si trovava nell'autovettura di servizio, anche se in procinto di scendere; siffatta ricostruzione fattuale non ha aggancio alcuno negli atti del processo, dove il comportamento del predetto militare non viene mai menzionato; è certo soltanto che il Bi. non sparò; secondo il F. e le sue dichiarazioni in sede di interrogatorio ex art. 415-bis c.p.p., il carabiniere fu notato fuori dall'autovettura mentre si allontanava repentinamente; la corte pertanto non ha considerato gli esiti processuali ed ha fideisticamente dato credito al solo capo di imputazione (secondo cui il Bi. al momento della sparatoria era in macchina);
viceversa la posizione del miliare si appalesa decisiva per valutare la direzione ed il bersaglio dei colpi esplosi; di qui la fondatezza della censura in ordine alla mancata valutazione di un punto decisivo della vicenda.
3.1.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente illogicità della motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed al riconoscimento di aver risarcito il danno, in particolare osservando: le circostanze di cui all'art. 62-bis c.p. sono state negate sul rilievo della estrema gravità dei fatti e della personalità degli imputati, gravati da numerosi precedenti anche specifici; non risulta pertanto presa in considerazione la confessione resa dall'imputato e la sua dichiarazione spontanea in udienza; altresì immotivata si appalesa la negativa delibazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, tenuto conto della dichiarazione di formale accettazione del risarcimento da parte dell'app. D.F., considerata satisfattiva dalla p.o, e l'offerta reale per le altre persone offese dal reato; altresì violato si appalesa, nel caso in esame, l'obbiettivo fissato dal legislatore di individualizzare la sanzione.
3.1.4 Col quarto motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e dei principi costituzionali in materia giacchè argomentata, la pena inflitta, con semplice e mera motivazione per relationem, eppertanto in assenza di motivazione.
3.2 Nell'interesse di S.P.E. sono stati sviluppati due motivi di impugnazione.
3.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione delle norme sul concorso di persone nel reato e difetto di motivazione sul punto in riferimento alle imputazioni di cui ai capi A), C) e D) della rubrica, in particolare osservando: in entrambe le sentenze di merito manca la dimostrazione della espressa adesione del S. all'impresa criminosa progettata ed eseguita dai tre coimputati; i reati contestatigli dovranno pertanto essergli addebitati a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p.; l'imputato non ha consumato alcuna condotta agevolatrice, materiale o morale in relazione ai reati contestati diversi da quello di rapina, per il quale ha egli comunque assunto un ruolo del tutto marginale, quello di "basista"; la motivazione contraria della corte territoriale è assai scarna e per nulla dimostrativa della consapevolezza in capo al ricorrente che i coimputati fossero in possesso di armi da sparo;
tanto è stato contestato con i motivi di appello rimasti sostanzialmente senza risposta; la corte territoriale valorizza la circostanza che nell'abitazione, procurata dal ricorrente, dove vennero arrestati i tre coimputati furono rinvenute le armi prima utilizzate, da ciò poi illogicamente deducendo la consapevolezza del S. del loro utilizzo nell'impresa; il rinvenimento ex post delle armi nell'alloggio procurato dal ricorrente non può dimostrarne la consapevolezza ex ante; i singoli contributi causali relativi alla rapina non comportano automaticamente la prova della preventiva adesione al complesso del piano criminoso ed all'uso delle armi.
3.2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia infine la difesa ricorrente violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento agli artt. 56, 69 e 133 c.p., in particolare osservando:
la corte ha confermato la pena erroneamente determinata in prime cure, non considerando che per la determinazione del reato tentato, correttamente ritenuto quello più grave, la pena base è stata individuata ai sensi dell'art. 56 c.p. considerando quella dell'ergastolo relativa al reato consumato, mentre avrebbe dovuto farsi riferimento a quella di anni 21 di reclusione in considerazione che le attenuanti generiche concesse al S., con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, ha escluso l'ipotesi dell'ergastolo; all'eccezione difensiva ha replicato la corte territoriale evidenziando che la pena per il reato tentato è stata fissata dal giudice di prime cure in anni 8 con i successivi aumenti per la continuazione e la diminuente del rito, ma trattasi di motivazione che non supera l'eccezione difensiva giacchè la pena base individuata per tutti gli imputati, con ciò ignorando la sostanziale diversità del ruolo riferibile al S., è stata per tutti gli imputati pari ad anni 12, errata, per quanto detto, in riferimento al ricorrente.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono infondati.
1.1.1 Infondato è, in particolare, il primo motivo di impugnazione sviluppato nell'interesse dell'imputato F., volto, giova ribadirlo, a contestare il dolo omicidiario di tipo alternativo in capo al ricorrente, riconosciuto dai giudici di merito. Ed invero, attesa la coerente ricostruzione della vicenda argomentata con la sentenza impugnata, ricorrono nella fattispecie tutti i requisiti richiesti dalla lezione ermeneutica del giudice di legittimità per ritenere provata, nella fattispecie, la volontà omicida dei rapinatori, volontà giuridicamente riconducibile alla nozione del dolo diretto alternativo, giacchè risponde di omicidio con dolo in tal guisa qualificato chi prevede e vuole, come scelta sostanzialmente equipollente, la morte o il grave ferimento della vittima (Cass., Sez. 1, 31/05/2011, n. 30694).
D'altra parte è noto l'insegnamento certo e costante di questa corte di legittimità, la quale ha avuto modo di affermare che, in tema di omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino "ictu oculi l'animus necandi", la valutazione dell'esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l'intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l'azione cruenta (Cass., Sez. 1, 08/06/2007, n. 28175; Cass., Sez. 1, 16/12/2008, n. 5029; Cass., Sez. 1, 14/02/2006, n. 15023) tutte circostanze fattuali significativamente riscontrabili nella concreta fattispecie in esame.
Ed invero risultano acquisiti al processo gli esiti della perizia balistica, secondo i quali i rapinatori in fuga, al momento dello scontro a fuoco con i CC. che li avevano intercettati, spararono numerosi colpi con tre pistole, indirizzando gli spari ad altezza d'uomo. Ed invero si appalesa tutto ciò sufficiente per confermare la correttezza giuridica della decisione assunta sul punto dai giudici di merito, giacchè plurimi spari esplosi da vicino, con armi micidiali ed indirizzati ad altezza d'uomo contro i rivali che si sa essere del pari armati, in un contesto di scontro a fuoco di essenziale importanza per evitare l'arresto e pesantissime conseguenze penali, non possono che essere sintomatici, al di là di ogni ragionevole dubbio, della volontà indirizzata verso il risultato, equipollente e non già eventuale per mera accettazione del relativo rischio, di ferire gravemente ovvero di uccidere coloro verso i quali si indirizzava la condotta.
1.1.2 Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso proposto dalla difesa del F..
Ed invero, non appare adeguatamente evidenziata e dimostrata la decisività dei rilievi difensivi, peraltro in termini mai prospettati in appello, giacchè, sia che il ere Bi. stesse nell'autovettura ovvero stesse fuggendo al momento degli spari, nulla muta ai fini della qualificazione della condotta degli imputati. Gli spari comunque furono esplosi, vennero indirizzati verso i CC, furono mirati ad altezza d'uomo, di guisa che poco importa se i militari in quel momento erano entrambi fuori dall'autovettura di servizio, ovvero se uno dei due era in macchina oppure fuori di essa.
1.1.3 Manifestamente infondato è altresì il terzo motivo di doglianza con il quale la difesa del F. pone una duplice questione, l'una relativa al diniego delle circostanze generiche e l'altra al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6.
Orbene, quanto alla circostanze di cui all'art. 62-bis c.p., è noto l'insegnamento di questa corte di legittimità secondo cui, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, il giudice ha l'onere di indicare le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. 2, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322).
Nel caso in esame la corte di merito ha rigettato la richiesta difensiva legittimamente opponendo la estrema gravità dei fatti di causa, oggettivamente innegabile, e la personalità degli imputati, particolarmente negativa per i precedenti numerosi e specifici a carico.
Quanto, invece, alla mancata considerazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, ha correttamente opinato il giudice di appello che l'attenuante in parola, per espresso dettato normativo, può essere legittimamente riconosciuta soltanto quando il danno derivante dal reato viene "interamente" risarcito, circostanza questa non riscontrabile nella fattispecie, come peraltro anche difensivamente riconosciuto.
1.1.4 Infondato è, infine, il quarto motivo di censura prospettato dalla difesa del Fammi, il quale non ha prospettato alcuna doglianza di appello esplicitamente indirizzata alla motivazione del quantum sanzionatorio, oggetto invece della doglianza in esame, ma ha affrontato siffatto profilo con la richiesta di concessione delle attenuanti generiche e dell'attenuante di risarcimento del danno. Sul punto comunque le pronunce di primo e secondo grado si integrano a vicenda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1,21 marzo 1997, Greco ed altri;
Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti ed altri) di guisa che la doglianza di legittimità sul punto si appalesa del tutto generica.
1.2 Infondato è, altresì, il ricorso proposto nell'interesse del S..
1.2.1 Infondato è, in particolare, il primo motivo sviluppato dalla difesa di tale imputato, volto alla qualificazione del concorso del prevenuto, con la sola esclusione di quello nel reato di rapina, non già ai sensi dell'art. 110 c.p., ma dell'art. 116 c.p.. Orbene, nella elaborazione teorica di quel particolare istituto del diritto penale regolato all'art. 116 c.p. e noto con la impropria formula di "concorso anomalo", la lezione interpretativa di questo giudice di legittimità appare sostanzialmente unitaria nel ritenere necessario per la sua legittima applicazione: a) l'accertamento che l'evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, che il reato più grave non sia stato già considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata;
b) l'accertamento della atipicità dell'evento diverso, o più grave, rispetto a quello concordato, in modo che l'evento realizzato sia conseguenza di circostanze eccezionali, imprevedibili e non ricollegabili all'azione criminosa, "si" da interrompere il nesso di causalità (Cass., Sez. I, 15/11/2011, n. 4330 (rv. 251849); Cass., sez. 6, 12.2.2008, n. 20667; Cass., Sez. 6, 05/12/2011, n. 6214 (rv.
252405).
La rappresentabilità appena evocata del reato più grave, da valutarsi in relazione alle circostanze e ad ogni altro profilo del fatto concreto, può trovare adeguato criterio individuativo nei canoni di esperienza e seguendo in particolare quello dell'id quod prelumque accidit (Cass., Sez. 1, 12/3/2003, n. 15678; Cass., Sez. 2, 25/5/2004, n. 26331 e da ultimo anche, Cass., SS.UU., 18.12.2008, n. 337 (rv. 241574).
Venendo ora alla vicenda in esame, osserva il Collegio che il coinvolgimento attivo del S. nella rapina a mano armata della banca di Capalbio non può essere posta ragionevolmente in dubbio.
L'imputato eseguì il sopralluogo preparatorio dell'azione delittuosa, puntigliosamente preparata, il giorno precedente a quello della sua consumazione al fine di verificare, nell'interesse del gruppo, quale tipo di resistenza li attendeva presso l'istituto di credito e se tale resistenza fosse o meno armata; ancora, l'imputato organizzò il covo ove i complici dovevano riparare dopo il colpo;
sempre il prevenuto fu in continuo contatto telefonico con il connazionale e coimputato C. prima e dopo l'accesso dei complici nella banca e la successiva fuga.
Siffatto pieno, continuo e costante coinvolgimento non potè escludere la conoscenza da parte dell'imputato di ogni aspetto del piano delittuoso, ivi compresa la circostanza che i complici fossero armati, che le armi pertanto potessero essere usate all'occorrenza, per vincere la resistenza dei rapinati, per guadagnarsi la via di fuga, per consentire, in generale, la piena riuscita del progetto criminale. Il dolo pertanto che animò i complici impegnati nel conflitto a fuoco con i CC, correttamente individuato nella categoria del dolo diretto alternativo, in quanto tale è riferibile anche al coimputato, perchè concordando di consumare una rapina a mano armata in una banca, tutti si prefigurarono la possibilità, in pari grado di probabilità, di ferire ovvero uccidere e tale evento, nel contesto dato, non può considerarsi nè come eccezionale, nè come imprevedibile, ma possibile e prefigurato.
Ogni diversa interpretazione giuridica pazientemente coltivata dalla difesa dell'imputato comporta una premessa in fatto del relativo sillogismo logico diversa ed alternativa rispetto a quella ritenuta coerentemente dai giudici territoriali.
Correttamente pertanto a carico del ricorrente hanno ritenuto i giudici di merito il concorso ai sensi dell'art. 110 c.p. in tutti i reati contestati ai coimputati.
E' noto, infatti, che il legislatore, nel disciplinare l'istituto del concorso di persone nel reato, ha adottato la teoria monistica, ripudiando le distinzioni dottrinarie passate e accogliendo il principio dell'equivalenza delle cause.
Per poter affermare pertanto la responsabilità di un soggetto a titolo di partecipazione in un delitto doloso è sufficiente che lo stesso abbia apportato un contributo di ordine materiale o psicologico idoneo, con giudizio di prognosi postuma, alla realizzazione anche di una soltanto delle fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione dell'azione criminosa posta in essere da altri soggetti, con la coscienza e la volontà di concorrere con costoro alla realizzazione della condotta criminosa; in tal caso gli atti dei singoli sono considerati nello stesso tempo loro propri e comuni anche agli altri, sicchè ciascuno ne risponde interamente: il reato è di ciascuno e di tutti coloro che vi presero parte, perchè è il risultato della comune cooperazione materiale e morale, onde la solidarietà del delitto importa la solidarietà della pena.
Su tali premesse, palese appare il contributo causale nei fatti di causa di chi si accertò, preventivamente e per conto dei complici, se vi fossero a presidio della banca da rapinare persone armate, di chi predispose il covo ove nascondersi dopo la rapina, di chi seguì in diretta con continue telefonate con i complici l'andamento dell'azione delittuosa.
1.2.2 Infondato si appalesa, altresì, la doglianza difensiva del S. relativa al trattamento sanzionatorio, che si assume difensivamente errato nella individuazione della pena base e nella sua necessaria personalizzazione.
Ed invero tale indicazione non è affatto in contrasto con la norma di riferimento, l'art. 56 c.p., ai sensi del quale la pena per il delitto tentato, in ipotesi diverse da quelle nelle quali il reato è punito con l'ergastolo, è pari alla pena stabilita per tale reato diminuita da un terzo a due terzi. Ne consegue che anni dodici di reclusione come pena base individuata nella fattispecie in esame da parte dei giudici di merito per il reato di tentato omicidio è sanzione quantitativamente rispettosa del dettato normativo.
Nè può convenirsi col rilievo della sua illegittimità perchè parificata la posizione processuale del ricorrente con quella dei complici, nonostante il ben diverso rilievo criminale delle rispettive condotte e la ben diversa sanzione di partenza tra l'uno e gli altri, sia perchè rimesso alla discrezionalità tipica del giudicante la quantificazione della pena, sia soprattutto perchè la personalizzazione della sanzione nel caso in esame è comunque avvenuta attraverso il riconoscimento in favore del ricorrente delle attenuanti generiche, viceversa negate ai complici, e con la conseguente determinazione di una pena incisivamente meno severa.
2. Alla stregua delle esposte considerazioni i ricorsi vanno pertanto rigettati ed i ricorrenti condannati, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
La Corte, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2014
15-08-2014 22:55
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