Omissione di soccorso. Fuga.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-01-2013) 04-04-2013, n. 15712
Fatto Diritto P.Q.M.
OMISSIONE DI SOCCORSO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.V. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 182/2012 della Corte d'Appello di Milano del 12.01.2012;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso, udita in PUBBLICA UDIENZA del 15 gennaio 2013 la relazione fatta dal Consigliere dott. CLAUDIO D'ISA;
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Francesco Mario Iacoviello che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione in ordine al reato di cui al capo c). Inammissibilità per il capo a).
Svolgimento del processo
C.V. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d'Appello di Milano di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 17.03. 2010 dal Tribunale di Como - sezione distaccata di Menaggio - in ordine ai delitti di cui all'art. 590 cod. pen. aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina stradale (capo a) e all'art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7 (capo b), in quanto, alla guida dell'autovettura B.M.W 520 targata (OMISSIS), a bordo della quale stava percorrendo la SS. (OMISSIS) in frazione (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), a causa della velocità non commisurata allo stato dei luoghi (tratto di strada curvilineo in centro abitato ed in ora notturna con fondo stradale bagnato), omettendo, comunque, di tenere una condotta di guida idonea ad azionare le necessarie manovre di emergenza atte ad evitare l'evento, perdeva il controllo dell'autovettura e, dopo aver invaso l'opposta corsia di marcia, andava a collidere frontalmente contro l'automezzo Audi A 3 condotto da M.R., il quale, a cagione dell'urto, riportava lesioni gravi. Nello stesso frangente non ottemperava agli obblighi di fermarsi e di prestare le cure necessarie, dandosi alla fuga ed allontanandosi dal luogo dell'incidente. Con il primo motivo e secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione per la omessa valutazione da parte della Corte del merito dei rilievi fotografici effettuati dai carabinieri sull'autovettura incidentata BMW, condotta dall'imputato. Si argomenta che la Corte, ai fini della prova dello scontro tra la suddetta autovettura e quella, AUDI A 3, guidata dalla persona offesa, ha ritenuto di considerare solo i rilievi fotografici effettuati su quest'ultima autovettura laddove ha riscontrato sulla sua fiancata segni di vernice bianca, che è il colore della B.M.W..
La decisività della prova costituita dagli accertamenti fotografici è data dalla necessità, manifestata dalla Corte d'Appello, di considerarli per trarre dai medesimi la conclusione in sentenza che effettivamente lo scontro è avvenuto tra le due autovetture. Tale decisività conduce alla censura della decisione della Corte la quale non ha valutato correlativamente anche gli accertamenti fotografici effettuati sull'autovettura condotta dal C.. In sostanza, si adduce che la Corte di Appello avrebbe dovuto assumere se vi fossero striature nere sulla vettura BMW, così adottando il medesimo criterio logico applicato alla vettura Audi di colore nero guidato dalla persona offesa per motivare l'assunzione della prova dell'urto tra le due vetture, con conseguente non corretta applicazione delle regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta del giudice di merito di determinate conclusioni a rispetto di altre.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e vizio di motivazione laddove la Corte ha ritenuto che la tesi difensiva dell'imputato, secondo cui la sua vettura non urtava per nulla la vettura del M. ma, invadendo l'opposta corsia di marcia, finiva per collidere unicamente contro il muro, sarebbe contraddetta dalla circostanza che "il tipo e l'intensità della forza della collisione può facilmente dedursi dalla perdita a terra di pezzi di carrozzeria, compresa la targa".
Per il ricorrente la motivazione appare manifestamente illogica e diretta unicamente a travisare la prova dell'insussistenza del fatto materiale del reato di lesioni personali e violazione delle norme sulla circolazione stradale.
Con il quarto motivo si denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e vizio di motivazione. Si argomenta che la Corte ha evidenziato che il Tribunale ha correttamente ritenuto "di dover respingere, in quanto superflue, sia la perizia cinematica che quella medico-legale, in considerazione del tempo trascorso dal momento dell'incidente, delle fotografie agli atti, relative sia ai mezzi che ai luoghi, delle certificazioni mediche relative alle lesioni personali patite dalla parte offesa", dato questo che non emerge dalla sentenza di primo grado; anzi dal verbale di udienza del 3.02.2010, pag. 255, in ordine alle fotografie sottoposte in visione al teste P., risulta che lo stesso giudice di primo grado affermava: "veramente sono fotocopie con colori molto difficili da ...". Dunque, per il ricorrente, la sentenza presenta un vizio di motivazione che è dotato di una sua autonoma forza esplicativa che disarticola l'intero ragionamento del giudicante: la Corte contraddice quanto asserito dal Tribunale, laddove il giudice di primo grado afferma che i colori "sono molto difficili da ..." e la Corte ritiene evidentemente avvenuto l'urto tra le vetture dalla mera visione delle fotografie sulla base proprio dei colori. Ne consegue anche, per il ricorrente, che la motivazione in ordine alla ritenuta superfluità del mezzo istruttorio della perizia cinematica è viziata dalla contraddittorietà della motivazione sulla valutazione della prova costituita dai rilievi fotografici che la Corte ha ritenuto decisiva per asserire l'urto tra le due vetture escludendo l'ingresso di altri mezzi probatori.
Inoltre, quanto alla richiesta di disporre una perizia medico-legale, il giudice di primo grado non si era neppure espresso sulla superfluità o meno di essa, anche tale punto era stato motivo di gravame innanzi alla Corte distrettuale che ha completamente glissato la questione. Dalle certificazioni mediche in atti (referto di pronto soccorso del (OMISSIS) e certificato del medico curante del M. del (OMISSIS) sono stati certificati rispettivamente 4 e 20 giorni di prognosi. Con successivo certificato del medico curante del (OMISSIS) si formula una prognosi di ulteriori 20 giorni. Per altro la stessa parte offesa in udienza circa la durata della malattia ha affermato di aver osservato 15 giorni di riposo a casa e di aver subito dopo incominciato a lavorare. Sulla base di tali dati viene meno l'impianto del ragionamento probatorio circa la durata della malattia della Corte d'appello, risultando manifestamente contraddittorio.
Con il quinto motivo si denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità per il delitto di cui all'art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7. La Corte d'appello, espone il ricorrente, afferma che "va inoltre rigettata la tesi difensiva sostenuta dall'appellante rispetto al capo b) in quanto, in nessun caso può credersi che il C. non abbia potuto percepire la gravità dello scontro da lui causato e non considerare la presenza del guidatore dell'altra auto visto che il M., nonostante i danni fisici riportati, usciva dall'abitacolo ed andava verso l'investitore per fermarlo", in effetti, secondo la sentenza impugnata, la presenza del M. avrebbe dovuto essere percepita non a motivo dell'urto, ma dalla presenza del medesimo in quanto "usciva dall'abitacolo ed andava verso l'investitore per fermarlo".
Con tale affermazione la Corte ha travisato la prova del dato fattuale. Il M. non andava verso l'investitore per fermarlo, è un dato introdotto dalla Corte che non esiste nel processo. Non esisteva alcun investitore ed il tentativo del M. di fermarlo.
Ed infatti lo tesso M. in udienza ha affermato che "ho iniziato a corrergli dietro", azione ben diversa di quella di andare verso l'investitore.
Con il sesto motivo si eccepisce violazione di legge nella specie dell'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e artt. 1333, 133 bis e 185 cod. pen. ed art. 141 C.d.S., comma 2 e art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7 nonchè mancanza di motivazione. Si espone che la persona offesa ha confermato che il C., fermo in mezzo alla strada, rimetteva in moto l'autovettura e ripartiva per evitare di costituire intralcio ad eventuali autovetture che potessero sopraggiungere per di più in condizione di buio per l'ora tarda e pioggia battente. Dunque la percezione del M. era quella che il C. non stesse omettendo il soccorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
Ricorda preliminarmente il collegio, in punto di connotati dei vizi di motivazione deducibili in sede di legittimità ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e che è inammissibile il motivo di ricorso che si risolva nella prospettazione di una diversa lettura del contesto probatorio, in quanto la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove; in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930; Cass. Sez. 1, 4 novembre 1999, n. 12496): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606, comma 1, lett. e) non può cioè consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Cass. pen., sez. 5, 4 ottobre 2004, n. 45420), ma deve essere volto a censurare l'inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.
L'applicazione degli esposti principi al caso di specie impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La Corte d'Appello ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l'impianto argomentativo della sentenza di primo grado, nel contempo recependola in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa dell'imputato.
E' da rilevare, infatti, che la tesi oggetto dei motivi del presente ricorso, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all'esame della Corte d'Appello, la quale, puntualmente, ha considerato la diversa ricostruzione del fatto offerta dall'imputato, ritenendola improponibile in quanto contraddetta da dati fattuali pacifici.
E, non c'è chi non veda come i motivi addotti dal ricorrente ineriscono tutti, anche se diversamente modulati, alla ricostruzione del sinistro sulla base di una dedotta mancata verifica dei segni lasciati dall'autovettura investita su quella investitrice.
E' indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell'art. 606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera valutazione del fatto. La Corte pone in evidenza, in fatto, un dato incontrovertibile: l'imputato, alla guida della sua autovettura, per una condotta di guida imprudente e non improntata all'osservanza delle norme sulla circolazione stradale (velocità eccessiva) e, comunque, imprudente, perdeva il controllo della propria autovettura invadendo la corsia di marcia opposta e urtando, in quel contesto temporale e di luogo, l'autovettura, guidata da M.R., AUDI A3, che procedeva proprio nella corsia di marca invasa dalla B.M.W del C., subiva un urto all'esito dell'urto la p.o.
riportava delle lesioni personali. Il ricorrente, inammissibilmente, pretende, nel sostenere che nessun urto c'è stato tra la sua auto e quella della persona offesa, per la mancata verifica sulla prima di segni di vernice lasciati dalla seconda, offrire una ricostruzione dei fatti diversa da quella ritenuta dai giudici del merito che hanno fondato il giudizio di responsabilità e, per quanto riguarda la ricostruzione del sinistro stradale, su elementi probatori granitici (deposizione della persona offesa e di altri testi oculari, rilievi operati dalla P.G.) che non possono essere minimamente scalfiti dall'ipotesi ricostruttiva del ricorrente che, per altro, appare del tutto illogica: invero, comunque, non offre alcuna spiegazione dei danni riportati, in quel contesto, dall'autovettura A 3.. Nulla dice in merito se non adombrare un'imprudente condotta di guida del M. senza però evidenziare quali effetti essa abbia prodotto.
Dunque, sulla base degli elementi di fatto acquisiti su cui non c'è contestazione, ampiamente riportati nella parte narrativa della sentenza impugnata, e rapportandoci al convincimento di colpevolezza dei giudici del merito, è senz'alcun dubbio priva di vizi logici la conclusione dell'impugnata sentenza secondo cui l'autovettura del M. poteva essere stata investita unicamente dall'autovettura guidata dall'imputato proveniente dal senso di marcia opposto.
Correttamente, quindi, è stata ritenuta del tutto superfluo disporre una perizia tecnica sulla dinamica dell'incidente.
Quanto alla eccepita diversa durata della malattia della persona offesa, la Corte del merito si è riportata alla motivazione sul punto della sentenza di primo grado certamente congrua e priva di vizi logici.
Come pure congrua ed aderente ai dati probatori è la motivazione della sentenza impugnata relativa alle censure riguardanti la sussistenza del delitto di cui all'art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7.
Invero, rimasto pacifico il fatto, per averlo ammesso lo stesso ricorrente, del suo allontanamento dal luogo del sinistro, da lui provocato, si rammenta, relativamente all'elemento soggettivo del reato contestato (sia con riferimento all'ipotesi del comma 1 che a quella dell'ipotesi dell'art. 189 C.d.S., comma 7) che l'obbligo imposto all'utente della strada dall'art. 189 C.d.S., in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento è di fermarsi e prestare l'assistenza occorrente a coloro che eventualmente abbiano subito danno alla persona. E' pur vero che è stato affermato costantemente da questa Corte (V. Sez. 4, Sentenza n. 34134 del 13/07/2007 Ud. Rv. 237239 Sez. 4, Sentenza n. 15867 del 17/12/2008 Ud. Rv. 243ffO Sez. 4, Sentenza n. 17220 del 06/03/2012 Ud. Rv.
252374) che nel reato di fuga, previsto dall'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, il dolo deve investire non solo l'evento dell'incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità;
tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell'incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza (Cass. sez. 4 19 febbraio 2003 n. 8103 rv. 223966).
Nel caso di specie è proprio il C. ad avere affermato di essersi allontanato sebbene la sua auto avesse subito seri danni e tale comportamento è sintomatica della consapevolezza di aver potuto causare un danno alle persone derivante dall'incidente da lui provocato, e tanto basta, non importa, poi, se quelle persone sono state soccorse da altri, la norma gli imponeva di farlo e lui non lo ha fatto.
Disquisire sul verbo utilizzato dalla Corte distrettuale se il M. voleva fermare o rincorrere il suo investitore che si stava allontanando dal luogo dell'incidente è operazione del tutto sterile atteso che l'imputato aveva avuto la percezione che il M. era uscito dall'abitacolo della A3 e si dirigeva verso di lui.
L'inammissibilità del ricorso impedisce di accogliere la richiesta del P.G. di udienza di dichiarare estinto per prescrizione il reato di cui al capo b). Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 15 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2013
09-01-2014 18:50
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