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Sentenza

Nuovo arresto giurisprudenziale sul danno non patrimoniale.
Nuovo arresto giurisprudenziale sul danno non patrimoniale.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 aprile – 16 giugno 2014, n. 13670
Presidente Amatucci – Relatore D'Alessandro

Svolgimento del processo

F.P. convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma l'Aurora Assicurazioni deducendo che era stato assicurato per la RCA presso la convenuta; che era stato collocato nella classe di merito 15ma, come da sentenza del G.d.P. di Roma n. 18618/04; che, al 31/12/04, la Compagnia non aveva rinnovato il contratto per eccessiva sinistrosità e che pertanto egli era stato costretto a stipulare un nuovo contratto con la Duomo S.p.A., che lo aveva collocato nella 18ma classe di merito, giusta l'attestato di rischio rilasciatogli dall'Aurora, in conseguenza di un sinistro avvenuto nel 2004 con tale D.R.; che egli aveva contestato la sua responsabilità e negato anche i danni lamentati dal D., chiedendo alla Compagnia di gestire il sinistro a proprio carico e rischio, secondo la previsione dell'art. 45, lett. b), delle condizioni di contratto; che aveva subito un danno dal declassamento pari ad € 751,75, corrispondente alla differenza tra il premio pagato a Duomo S.p.A. per la prima semestralità del 2005 e quanto avrebbe pagato se fosse stato assegnato alla 14ma classe di merito, non essendo stati risarciti altri danni nel 2004; che inoltre aveva riportato danni morali, poiché molte Compagnie di Assicurazione si erano rifiutate di stipulare un contratto con un soggetto assegnato alla 18ma classe di merito e a causa del comportamento irriguardoso della Compagnia nel giudizio dinanzi al G.d.P. conclusosi con la sentenza 18618/04. Tutto ciò premesso il P. svolgeva domanda risarcitoria nei confronti dell'Aurora.
Il G.d.P. disponeva la collocazione del P. nella 17ma classe e condannava l'Aurora al pagamento della differenza di premio ma rigettava le ulteriori domande attrici ed il Tribunale rigettava l'appello del P..
Avverso la sentenza di appello il P. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L'Aurora Assicurazioni resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo, complesso, motivo, il ricorrente prospetta due vizi di motivazione: l'avere il Tribunale affermato, contrariamente al vero, che esso ricorrente avrebbe riconosciuto la sua responsabilità nella causazione del sinistro con il D.; l'avere affidato il proprio convincimento circa l'esistenza del danno lamentato dal D. alla perizia fatta dalla società assicuratrice.
1.1.- La prima questione è inammissibile, risolvendosi nella prospettazione di una diversa interpretazione di un fatto ritenuto provato, con congrua motivazione, dal Tribunale.
1.2.- Anche la seconda questione è inammissibile. Secondo il Tribunale (pag. 6) il contratto abilitava Aurora a svolgere tentativi di bonario componimento. Di tale ratio decidendi non vi è traccia nel motivo.
2.- Con il secondo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente prospetta un difetto di interpretazione dell'art. 45 delle Condizioni generali di polizza.
2.1.- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una diversa interpretazione dell'art. 45 delle Condizioni Generali di polizza piuttosto che in un errore nei criteri di interpretazione. Comunque il ricorrente non dimostra che l'art. 45, lett. b), delle condizioni di polizza gli desse la facoltà, nella specie, di gestire il sinistro.
3.- Con il terzo motivo, sotto i profili della violazione di legge, della nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e del vizio di motivazione, il ricorrente si duole del rigetto della domanda di risarcimento dei danni morali, assumendo che egli «(...) meglio avrebbe dovuto indicarli quali danni esistenziali (...)».
3.1.- Il terzo motivo è infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 26972 del 2008, hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento dei danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.
I pregiudizi lamentati dal ricorrente non rientrano in alcuna di tali categorie, e quindi non potevano essere risarciti.
4.- Con il quarto motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, il ricorrente si duole della omessa condanna della controparte ex art. 89 cod. proc. civ.
4.1.- Il quarto motivo è inammissibile. Questa Corte ha infatti più volte affermato che il risarcimento del danno ex art. 89 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere discrezionale non censurabile in cassazione.
5.- Il ricorso va quindi rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate in € 1.800, di cui € 1.600 per compenso, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 1.800, di cui € 1.600 per compenso, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 23 aprile 2014.
Avv. Antonino Sugamele

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