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Sentenza

No della Cassazione all'applicazione della misura cautelare in carcere ad uno straniero che effettua prenotazioni alberghiere, a proprio nome, per i componenti del sodalizio criminale. E' partecipazione criminosa?
No della Cassazione all'applicazione della misura cautelare in carcere ad uno straniero che effettua prenotazioni alberghiere, a proprio nome, per i componenti del sodalizio criminale. E' partecipazione criminosa?
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 gennaio – 18 marzo 2014, n. 12735
Presidente Gallo – Relatore Beltrani

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Bari - sezione riesame ed appello sulle misure cautelari personali e reali, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha parzialmente confermato l'ordinanza emessa in data 17 maggio 2013 dal G.I.P. del locale Tribunale, che aveva applicato nei confronti di D.K. la misura cautelare della custodia in carcere, in ordine al reato di cui al capo A) (partecipazione ad associazione ex artt. 416-bis c.p. e 3 l. n. 146 del 2006), ed al reato di cui al capo B), relativamente al quale l'ordinanza del G.I.P. era stata annullata.
2. Contro tale provvedimento, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, con l'ausilio di un difensore iscritto nell'apposito albo speciale, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I - assoluta mancanza di indizi a carico dell'indagato e violazioni di legge (in tema di intercettazioni e rogatorie).
3. All'odierna udienza camerale, celebrata ex art. 127 c.p.p., si è preso atto della regolarità degli avvisi di rito; all'esito della discussione, le parti presenti hanno concluso nei sensi riportati in epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato, e va accolto.
I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA' SULLA MOTIVAZIONE DELLE ORDINANZE APPLICATIVE DI MISURE CAUTELARI PERSONALI
1. E' necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali questa Corte Suprema può esercitare il sindacato di legittimità sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali.
1.1. Secondo l'orientamento che il Collegio condivide e reputa attuale anche all'esito delle modifiche normative che hanno interessato l'art. 606 c.p.p. (cui l'art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta «il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate» (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 11 del 22 marzo 2000, CED Cass. n. 215828; nel medesimo senso, dopo la novella dell'art. 606 c.p.p., Sez. IV, sentenza n. 22500 del 3 maggio 2007, CED Cass. n. 237012).
Considerato che la richiesta di cui all'art. 309 c.p.p., quale mezzo di impugnazione sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell'ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell'art. 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 dell'8 luglio 1994, CED Cass. n. 198212), si è sottolineato che, dal punto di vista strutturale, la motivazione della decisione del tribunale del riesame deve essere conformata al modello delineato dall'art. 292 c.p.p., che ricalca il modulo configurato dall'art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, che non è fondata su prove ma su indizi e tende all'accertamento non di responsabilità ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 del 21 aprile 1995, CED Cass. n. 202002).
1.2. Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 46124 dell'8 ottobre 2008, CED Cass. n. 241997; Sez. VI, sentenza n. 11194 dell'8 marzo 2012, CED Cass. n. 252178).
L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo "all'interno" del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti. Sarebbero, pertanto, inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice.
1.3. Deve aggiungersi che sarebbe inammissibile anche il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la prima volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non risultandone traccia né dal testo dell'ordinanza impugnata, né da eventuali motivi o memorie scritte, né dalla verbalizzazione delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell'udienza camerale (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 2927 del 22 aprile 1997, CED Cass. n. 207759; Sez. I, sentenza n. 1786 del 5 dicembre 2003 - 21 gennaio 2004, CED Cass. n. 227110; Sez. II, sentenza n. 42408 del 21 settembre 2012, CED Cass. n. 254037), a nulla rilevando, in senso contrario, il fatto che il riesame sia un mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, poiché «in mancanza di specifiche deduzioni difensive il Tribunale in sede di riesame legittimamente può limitarsi, (...), a concordare "pienamente con la ricostruzione della sussistenza del quadro indiziarlo risultante dalla richiesta del PM e dall'ordinanza del GIP", riassumendo, poi, i punti essenziali di tale quadro indiziario».
1.4. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l'odierno ricorso.
2. Nel caso di specie lo sviluppo della motivazione è inficiato dalla mancanza di approfondimento critico e di rigore argomentativo, dato che l'affermata gravità degli indizi non trova giustificazione in un organico e coerente apprezzamento degli elementi di prova nè risulta articolato attraverso passaggi logici dotati della indispensabile saldezza.
Il Tribunale del riesame, ad integrazione del necessario quadro di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione al reato associativo, contestata all'indagato, ha attribuito al K. il ruolo factotum ed interprete in lingua italiana nell'ambito del più ampio sodalizio criminoso internazionale oggetto di indagine, desumendolo essenzialmente dal fatto che lo stesso risulta essersi attivato per effettuare, in favore di soggetti sicuramente intranei al sodalizio, tre prenotazioni alberghiere (prestandosi quindi occasionalmente al disbrigo di servizi di routine), evidenziando l'impossibilità che, in un momento di crisi per il sodalizio (per le ragioni indicate in motivazione), i sui componenti si avvalessero di soggetti non incondizionatamente affidabili.
La circostanza, pur non essendo trascurabile, appare, tuttavia, inidonea, sul piano inferenziale, a fornire una base consistente all'attribuzione all'indagato della ritenuta condotta di partecipazione, e non regge al sindacato di legittimità, in difetto dell'esposizione di alcun preciso e concreto elemento sintomatico dell'appartenenza dell'indagato al sodalizio de quo.
I servizi valorizzati non appaiono essenziali ai fini dell'operatività dell'associazione, né tali da implicare un particolare intuitus personae in favore del K., trattandosi - come premesso - di servizi di routine agevolmente fungibili, e risultano svolti in via del tutto occasionale; essi appaiono allo stato sintomatici di mera contiguità, non è dato sapere quanto consapevole, o quanto esclusivamente motivata dal mero legame di connazionalità e compresenza in Italia, né tali - per la loro generica natura - da tradire necessariamente agli occhi dell'indagato la destinazione a vantaggio di un sodalizio criminale. Tra l'altro, l'inconsapevolezza del K. quanto alle reali attività dei fruitori dei suoi servizi sembrerebbe poter essere confermata dal fatto che egli si fosse sempre attivato in piena trasparenza, agendo a proprio nome, senza utilizzare identità di comodo, come pure gli sarebbe stato estremamente agevole, se egli fosse stato davvero inserito nell'individuato contesto associativo internazionale.
3. I rilievi che precedono assorbono ogni altra doglianza difensiva.
4. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Bari che dovrà nuovamente valutare gli elementi di prova disponibili al fine di accertare se sussistano o meno gravi indizi di colpevolezza in riferimento al delitto in ordine al quale il K. è stato colpito dalla misura della custodia cautelare in carcere.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame.
Avv. Antonino Sugamele

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