Mancata emanazione della normativa diretta a definire i criteri di localicazzione delle aziende pericole, da parte dei Ministeri delle Attività Produttive, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dell’Interno. La legittimazione passiva è della Presidenza del Consiglio.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 febbraio – 12 maggio 2014, n. 10253
Presidente Petti – Relatore Spirito
Svolgimento del processo
La soc. Military Explosive Manifacturing ed i coniugi V. / F. citarono in giudizio risarcitorio i Ministeri delle Attività Produttive, delle Infrastrutture e Trasporti, dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e dell'Interno, attribuendo a loro la responsabilità per non avere emanato la normativa diretta a definire i criteri di localizzazione delle aziende pericolose, benché la Direttiva CEE 96/82/CE avesse imposto agli Stati membri di introdurre una disciplina organica volta a regolamentare tutti gli aspetti ambientali ed urbanistici idonei ad assicurare che l'insediamento di industrie a rischio di incidenti conservasse piena compatibilità con le garanzie di salvaguardia che la Direttiva stessa s'era proposta d'assicurare.
Comportamento, questo, dal quale sarebbe derivata - secondo la tesi degli attori - l'impossibilità di realizzare uno stabilimento produttivo presso ben due distinti Comuni ai quali essi s'erano rivolti, dopo avere ottenuto la prima quota di un contributo economico erogato in base alla legge n. 488 del 1992, garantito con polizza fideiussoria della soc. La Viscontea.
In conclusione, gli attori, citando in giudizio anche quest'ultima società, chiesero che i Ministeri convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, che la fideiussione fosse dichiarata invalida e che fosse, dunque, dichiarato insussistente il proprio obbligo di ristorare la compagnia garante per eventuali pagamenti da questa effettuati al Ministero in forza della polizza fideiussoria.
Il Tribunale di Roma respinse le domande, ritenendo che: nulla poteva essere imputato alle Amministrazioni convenute fino alla data d'adozione del d.lgs. N. 334/99, emanato in attuazione della menzionata Direttiva CEE, mentre per il periodo successivo la normativa prevedeva l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, dunque, era l'unico legittimato a resistere alle pretese risarcitorie e non anche i Ministeri convenuti; che la Direttiva in questione non poteva considerarsi "self executing", posto che essa non introduceva alcun concreto parametro di riferimento in merito alle distanze tra gli stabilimenti pericolosi e le altre zone; che gli attori non avevano provato che i danni lamentati fossero diretta conseguenza di una non puntuale applicazione della disciplina comunitaria, posto che prima della sua emanazione nessuna norma impediva la realizzazione di stabilimenti pericolosi; che non era neppure provato che le due iniziative intraprese per l'individuazione di un sito dove realizzare la fabbrica fossero naufragate per la mancanza di disposizioni in materia di localizzazione di fabbriche pericolose.
La sentenza del primo giudice è stata confermata dalla Corte d'appello, la cui decisione ora la società, il F. e la V. impugnano per cassazione attraverso due motivi.
Non si difendono gli enti intimati.
Motivi della decisione
Nel primo motivo e nei quesiti posti a corredo dello stesso - violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 175 del Trattato CE, del d.lgs. n. 334/99, dell'art. 2055 c.c. - i ricorrenti chiedono di sapere: a) se la responsabilità per mancato e/ ritardato recepimento di una normativa comunitaria (prescritto con termine determinato) sia ascrivibile anche ai Ministeri che ne abbiano l'obbligo in base ad un d.lgs.; b) se il potere surrogatorio che compete alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in caso di mancata ottemperanza dei Ministeri all'obbligo di emanare il decreto ministeriale attuativo delle norme Europee, possa eliminare la responsabilità dei Ministeri stessi e ciò con particolare riguardo al caso in cui il potere surrogatorio non è stato esercitato; c) se alla fattispecie vada applicato l'art. 2055 c.c. che contempla la solidarietà dei soggetti che hanno concorso alla determinazione della responsabilità extracontrattuale.
I ricorrenti, ripongono la questione nei medesimi termini in cui l'hanno già posta ai giudici di merito, sostenendo (sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, con particolare riferimento alle pronunzie di cui alle cause nn. C-312/97 e C-424/97) che il diritto comuni tario non osta alla sussistenza della responsabilità di un ente pubblico di risarcire i danni provocati ai singoli da provvedimenti da esso adottati in violazione del diritto comunitario, accanto a quella dello Stato membro; sicché, nella specie, trattandosi di omissioni imputabili ai Ministeri (articolazioni interne dello Stato e da questo normativamente investite della specifica competenza a provvedere, in sua vece, al recepimento delle direttive comunitarie), questi sarebbero responsabili per il ristoro conseguente al mancato recepimento. Responsabilità che, comunque, deriverebbe dalla disposizione dell'art. 2055 c.c..
Il motivo è infondato.
La Direttiva CEE 96/82/CE è stata emanata con atto del 9 dicembre 1996 ed ha imposto agli Stati Membri di introdurre una disciplina organica finalizzata a regolamentare in via preventiva, coordinata ed organica tutti gli aspetti ambientali ed urbanistici concernenti l'insediamento di industrie a rischio (come quella dei ricorrenti).
In attuazione della Direttiva, è stato emanato il d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334, che: a) ha rimesso ad un decreto del Ministro dei LL.PP. (da adottarsi entro sei mesi d'intesa con i Ministri dell'Interno, dell'Ambiente e dell'Industria) l'individuazione, per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, dei requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale; b) ha stabilito, altresì, che, trascorso inutilmente il menzionato termine semestrale, il Presidente del Consiglio dei Ministri avrebbe provveduto all'emanazione del decreto, entro i tre mesi successivi; c) ha stabilito, infine, che, decorso inutilmente anche tale termine, la concessione o l'autorizzazione per gli interventi sarebbero state rilasciate previa la valutazione favorevole dell'autorità competente (il Comitato Tecnico Regionale) che avrebbe dovuto pronunciarsi in ordine alla compatibilità della localizzazione con le esigenze di sicurezza.
Dalla descritta disciplina può, dunque, agevolmente dedursi che, per supplire all'inerzia del Ministro dei LL.PP., è stato previsto un preciso e specifico intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, verso il quale si sarebbe dovuto dirigere l'azione risarcitoria in trattazione. Responsabilità alla cui individuazione concorrono, più in generale, una serie di disposizioni normative, tra le quali: l'art. 10 del Trattato (il quale pone a carico degli "Stati Membri" il compito di esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato stesso); l'art. 1 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (che rimette l'adempimento degli obblighi conseguenti all'emanazione delle direttive alla c.d. legge comunitaria, che individua, appunto, le direttive da attuare mediante conferimento al Governo di apposita delega legislativa); l'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere e coordinare l'azione del Governo e della P.A. nell'attuazione delle politiche comunitarie).
Si tratta di disposizioni generali che non trovano deroga nella circostanza che la legge n. 334 del 1999 abbia, soltanto in prima battuta, attribuito il compito regolamentare al Ministro dei LL.PP..
Quanto, poi, alla giurisprudenza Europea richiamata nel motivo di ricorso, essa (come correttamente osservato dalla sentenza impugnata) si limita ad affermare il principio che, fermo l'obbligo dello Stato Membro al risarcimento del danno per mancato recepimento di una Direttiva, siffatto ristoro può essere posto anche a carico di uno Stato federale o di altro organismo pubblico. Principio che, comunque, deve trovare riscontro nell'ordinamento interno, nel senso che questo individui specifici soggetti responsabili in luogo o in concorso con lo Stato. Ma, nella specie, siffatta solidarietà non può trarsi dalla disposizione dell'art. 14 del d.lgs. n. 334 del 1999, la quale - come s'è visto in precedenza - attribuisce al Ministero dei LL.PP. (in concerto con altri Ministeri) una competenza regolamentare iniziale che, in ipotesi d'inottemperanza nel termine prescritto, deve essere compiuta, sempre ed in via esclusiva, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il motivo deve essere, dunque, respinto.
Il secondo motivo - insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio - attiene a quella parte della sentenza che, pur dopo avere esclusa la legittimazione passiva dei Ministeri convenuti nella causa in trattazione, affronta il merito della vicenda, finendo per concludere, dopo la disamina degli atti prodotti in giudizio, che l'inadempimento da parte della società attrice degli obblighi derivanti dal D.M. di concessione delle agevolazioni "lungi dall'essere incolpevole e derivante da fatto del terzo (illecito comunitario), appare ascrivibile alla incauta assunzione dell'impegno a realizzare il manufatto industriale in assenza di disponibilità di area con la corrispondente destinazione urbanistica".
Il motivo si manifesta inammissibile, sia perché difetta l'interesse dei ricorrenti alla relativa delibazione dopo il rigetto del motivo attinente alla legittimazione passiva all'azione in concreto sperimentata, sia perché il motivo stesso è privo di quel "momento di sintesi" imposto dall'art. 366 bis (applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata: 8 giugno 2009; cfr. sul punto Cass. n. 7119/10), sia in quanto, benché intestato con riferimento all'allora vigente testo dell'art. 360 n. 5 c.p.c., esplicita una serie di ragioni di fatto tendenti a conseguire dalla Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della controversia.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. La mancata difesa degli intimati esime la Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
14-05-2014 13:06
Richiedi una Consulenza