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Sentenza

Il “minimo vitale” non coincide con la “pensione minima”.
Il “minimo vitale” non coincide con la “pensione minima”.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 aprile – 26 agosto 2014, n. 18225
Presidente Salmè – Relatore Scarano

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18/6/2007 il Tribunale di Grosseto ha respinto l'opposizione, qualificata agli atti esecutivi, proposta dal sig. R.A. , titolare dell'impresa R. Auto di R.A. , avverso l'ordinanza di assegnazione del credito pignorato, resa ai sensi dell'art. 553 c.p.c. il 7/6/2006, e comunicata il successivo giorno 12, a definizione della procedura esecutiva dal medesimo promossa nei confronti del sig. F.G. , con pignoramento eseguito con le formalità di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. presso l'I.N.P.S..
Avverso la suindicata pronunzia il R. , nella qualità, propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
All'udienza il difensore dell'INPS ha prodotto procura rilasciata in calce al ricorso notificato, prendendo quindi parte alla discussione.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 38 L. n. 448 del 2001, 39 L. n. 289 del 2002, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Si duole che il giudice abbia erroneamente valutato l'ammontare della quota di pensione impignorabile nella somma di Euro 536,00 anziché in Euro 427,58, indicato dall'I.N.P.S. per l'anno 2006.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, a seguito della sentenza Corte Cost. n. 506 del 2002 non sussiste più l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato, che sono impignorabili (con le sole eccezioni previste dalla legge sui crediti qualificati) per la sola parte delle pensioni, indennità od altri trattamenti di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, mentre sono pignoratali nei limiti del quinto della restante parte (v. Cass., 17/1/2007, n. 963).
L'impignorabilità parziale di trattamenti pensionistici è posta invero a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (art. 38 Cost.), e tale finalità è ancora più marcata dopo l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, efficace dal 1 dicembre 2009 (data in cui è entrato in vigore il Trattato di Lisbona), che all'art. 34, comma 3, garantisce il riconoscimento del diritto all'assistenza sociale al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti (v. Cass., 22/3/2011, n. 6548).
Pertanto, ai sensi dell'art. 128 r.d.l. n. 1827 del 1935, conv. con modif. in L. 6 aprile 1936, n. 1155, e degli artt. 1 e 2, 1 co., d.p.r. n. 180 del 1950, quali risultanti a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte Cost. n. 506 del 2002, è assolutamente impignorabile (con le eccezioni - come detto - previste dalla legge per i crediti qualificati) la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita (c.d. minimo vitale), mentre ex art. 545, 4 co., c.p.c. è pignorabile, nei soli limiti del quinto, la parte residua (v. Cass., 7/8/2013, n. 18755).
Si è al riguardo precisato che l'indagine circa la sussistenza o l'entità della parte di pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è rimessa, in difetto di interventi del legislatore al riguardo, alla valutazione in fatto del giudice dell'esecuzione, ed è incensurabile in cassazione se logicamente e congruamente motivata (v. Cass., 7/8/2013, n. 18755).
In assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso ente erogatore, come invero sostenuto dall'odierno ricorrente), pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita (v. Cass., 7/8/2013, n. 18755).
Orbene, nel ritenere maggiormente adeguato, anche in considerazione del costo della vita, l'importo di Euro 536,00, corrispondente al minimo fissato dalla finanziaria 2002, incrementato delle maggiorazioni di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 38, commi 1 e 2, e della L. n. 289 del 2002, art. 39, comma 8, il giudice dell'esecuzione ha nella specie operato una valutazione non censurabile in questa sede, in quanto conforme al sopra richiamato principio espresso dalla Corte Costituzionale come inteso in particolare dai suindicati precedenti Cass., 22/3/2011, n. 6548 e Cass., 7/8/2013, n. 18755, che va anche nel caso ribadito.
Con il 2 motivo il ricorrente denunzia “omessa o contraddittoria motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
Esso non reca la prescritta "chiara indicazione", secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte, delle relative "ragioni", non risultando riassuntivamente indicato il fatto controverso, gli elementi la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, gli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l'individuazione all'attività esegetica della medesima, con interpretazione che si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
La norma di cui all'art. 366 bis c.p.c. è d'altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacché una siffatta interpretazione si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione ( v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
All'inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Sussistono giusti motivi per disporsi la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra il ricorrente e l'I.N.P.S., che ha partecipato alla discussione.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell'altro intimato, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra il ricorrente e l'I.N.P.S..
Avv. Antonino Sugamele

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