Condannato per omicidio viene assolto nel giudizio di revisione. Esperibile l'azione di responsabilita' nei confronti dei magistrati?
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 30 aprile – 14 agosto 2014, n. 17966
Presidente Salmè – Relatore Frasca
Svolgimento del processo
p.1. M.D. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 5, quarto comma, della l. n. 117 del 1988 avverso il decreto del 23 ottobre 2012, con il quale la Corte d'Appello di Lecce ha rigettato il reclamo da lui proposto avverso il decreto del 9 marzo 2012 del Tribunale di Lecce, con il quale era stata dichiarata l'inammissibilità, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 117 del 1988 dell'azione di responsabilità civile ai sensi di detta legge da lui esercitata contro la Presidenza del Consiglio dei ministri con ricorso del 5 gennaio 2009 in relazione a pretesi danni cagionatigli da magistrati componenti due collegi della Corte di Assise d'Appello di Bari, che avevano giudicato in sede di successivi rinvii disposti dalla Corte di cassazione in un giudizio penale, nel quale egli era stato condannato in via definitiva, essendo stato rigettato il ricorso per cassazione contro la seconda sentenza emessa in sede di rinvio, per un duplice delitto di omicidio, e successivamente, con sentenza del 21 aprile 2006, divenuta definitiva il 7 gennaio 2007 era stato assolto in sede di revisione dalla Corte leccese, in accoglimento di una istanza di revisione, dopo che altre cinque precedenti erano state ritenute inammissibili.
p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Motivi della decisione
p.1. Preliminare allo scrutinio dei motivi di ricorso è il riferire la prospettazione sulla base della quale l'azione di responsabilità ex lege n. 117 del 1988 è stata esercitata dal M. .
p.1.1. A seguito del duplice omicidio avvenuto il 30 gennaio del 1991 in Taranto, il M. veniva prima tratto in stato di fermo e, quindi, in arresto nell'ambito delle successive indagini. Ciò, sulla base di dichiarazioni accusatorie di tre ragazzi che erano stati testimoni oculari del fatto e della constatazione di un movente, rappresentato da un precedente ferimento subito dal M. mediante colpo di arma da fuoco esploso da una delle due vittime.
p.1.2. Con sentenza del novembre 1991 della Corte di Assise di Taranto il M. veniva ritenuto colpevole del duplice omicidio e condannato alla pena di 21 anni di reclusione oltre alle sanzioni accessorie e detta sentenza veniva confermata dalla sentenza del 2 novembre 1992 della Corte di Assise d'Appello di Lecce.
p.1.3. La Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 578 del 1993, cassava la sentenza de qua con rinvio alla Corte di Assise d'Appello di Bari, reputando fondato un motivo di ricorso inerente la valutazione di inattendibilità di due testi (in rapporto di coniugio), vicini di casa di M. , circa la presenza di costui a casa loro nel lasso di tempo fra le ore 13.30 e le ore 13.45 e quella successiva di compatibilità della presenza del M. sul luogo del delitto e nell'ora di esecuzione, da effettuarsi, evidentemente, una volta ritenuti attendibili, all'esito della disposta rivalutazione, quei testi quanto alla loro dichiarazione.
p.1.4. Con sentenza n. 1 del 10 gennaio 1994 la Corte di rinvio barese confermava la sentenza di primo grado appellata, ribadendo il giudizio di inattendibilità dei due testi e, conseguentemente, reputando superflua ogni indagine sulla detta compatibilità.
p.1.5. Con sentenza n. 939 del 22 giugno 1994 la Corte di cassazione penale cassava detta sentenza con un nuovo rinvio alla Corte barese reputando che la Corte di rinvio nella sentenza n. 1 del 1994 non avesse adempiuto al compito di valutare con adeguata motivazione l'attendibilità o meno dei due testi ed indicando sotto quali profili logici la motivazione non si presentava adeguata, nonché indicando anche ulteriori attività istruttorie funzionali allo scopo e disponendo, nel caso di esito positivo del giudizio di attendibilità, che si desse corso alla valutazione sulla compatibilità della presenza del M. sul luogo e nell'ora del delitto, già ipotizzata nella sentenza dispositiva del primo rinvio.
p.1.6. Con sentenza n. 14 del 16 maggio 1995 la Corte di Assise di Appello di Bari, all'esito del giudizio di rinvio, dopo avere ritenuto attendibile la testimonianza dei due coniugi, confermò nuovamente la sentenza della Corte di Assise di primo grado, reputando che, pur ritenuta veritiera la loro dichiarazione circa la presenza nella loro abitazione del M. fra le ore 13,30 e le ore 13,45, tuttavia il M. si sarebbe potuto trovare sul luogo del delitto alle 14.
p.1.7. Mentre nel ricorso si sottace la circostanza, nella sentenza impugnata si dice che la Corte di cassazione con sentenza n. 247 del 1996 rigettò il ricorso per cassazione contro la sentenza n. 14 del 1995, sicché la statuizione di condanna del M. divenne definitiva il 1 marzo 1996.
p.1.8. Il M. successivamente presentava cinque istanze di revisione, che venivano dichiarate inammissibili.
Una sesta istanza veniva ritenuta dapprima ammissibile e, quindi, accolta con sentenza n. 12 del 2006 dalla Corte d'Appello di Lecce, che, per l'effetto, revocava la sentenza n. 14 del 1995 della Corte di Assise di Appello di Bari e assolveva il M. dai reati ascritti per non aver commesso il fatto.
p.1.9. L'azione ai sensi della l. n. 117 del 1988 esercitata con il ricorso del 5 gennaio 2009 aveva ad oggetto l'esistenza di comportamenti delle due Corti di rinvio penali che avevano pronunciato la sentenza n. 1 del 1994 e n. 14 del 1995, i quali avrebbero integrato l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza sarebbe risultata incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento.
Tale assunto veniva fondato: a) sulla deduzione dell'accertamento da parte della sentenza di revisione della totale estraneità del M. al fatto sulla base di nuove prove costituite dai verbali di interrogatorio reso da tre collaboratori di giustizia; b) sull'affermazione che la sua colpevolezza era stata ritenuta dalle due decisioni in sede di rinvio sulla base delle dichiarazioni dei testimoni oculari, poi successivamente ritrattate, e senza che fosse “riconosciuta importanza alcuna all'alibi immediatamente da lui dichiarato e puntualmente confermato dagli interessati”, cioè dai coniugi M. -A. , nonché senza considerare le risultanza della prima perizia balistica, effettuata dalla polizia scientifica, che aveva dato esito negativo circa la presenza di polvere da sparo sul campione a lui prelevato; c) sulla deduzione che la Corte salentina nella sentenza dispositiva della revisione aveva rilevato che le nuove acquisizioni probatorie poste alla base di essa avevano riscontrato quelle già acquisite nella fase ordinaria del giudizio penale; d) sul rilievo che la sentenza n. 1 del 1994 aveva ribadito con estrema superficialità la valutazione di inattendibilità dei due testi vicini di casa, che le era stata demandata con il rinvio, tanto da essere nuovamente cassata; e) sull'assunto che la sentenza n. 14 del 1995, dopo ave ritenuto credibile la testimonianza dei due vicini, aveva, sulla base di una perizia, sostenuto "l'insostenibile", là dove aveva considerato compatibile la presenza nella casa dei vicini del M. nel lasso di tempo indicato con la successiva presenza sul luogo dei delitti.
p.2. Può passarsi ora all'esame dei tre motivi di ricorso.
p.2.1. Con il primo motivo si fa valere "violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della Legge 14.4.1988 n. 117", censurandosi la valutazione con cui la Corte territoriale ha disatteso il primo motivo di reclamo contro la decisione di inammissibilità dell'azione resa dal Tribunale. Con il detto motivo si era lamentato che Esso avesse debordato dai limiti del giudizio di ammissibilità dell'azione.
La critica al decreto impugnato, che ha ritenuto inammissibile il primo motivo del reclamo per difetto di specificità quanto all'individuazione del come si era verificato il preteso sconfinamento del Tribunale nella fase di merito, è svolta deducendo del tutto genericamente che “il reclamante ha lamentato l'approfondimento della causa nel merito” e che “questo risulta dal contenuto del decreto del Tribunale”, del quale si dice che sarebbe “entrato nel merito del giudizio di 2 grado conclusosi con la sentenza n. 2/92 [....] valorizzando, ai fini della dichiarata inammissibilità, alcuni passaggi critici di detta sentenza, rilevati in sede di legittimità dalla S.C. che, con la sentenza n. 39 del 22.6.1994, ha annullato con rinvio”; e che “poi è entrato nel merito dei successivi procedimenti”. Dopo di che nient'altro si aggiunge per dimostrare lo sconfinamento nel merito, ma si passa a dimostrare perché tale sconfinamento sarebbe stato pregiudizievole, adducendo che il giudizio sarebbe stato reso “senza la necessaria partecipazione del M. alla dialettica processuale e senza l'istruttoria tipica del processo ordinario di cognizione e relative scansioni, con conseguente violazione del diritto di difesa”.
p.2.1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non svolge alcuna attività dimostrativa di come e perché la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile il primo motivo di reclamo per aspecificità in ordine a quanto avrebbe rappresentato sconfinamento nel merito. Per impugnare tale ratio decidendi il M. avrebbe dovuto evidenziare il contenuto del suo reclamo che, nella parte espositiva avrebbe rivestito carattere specifico al riguardo, mentre non lo ha fatto in alcun modo.
Va detto anzi, che se si potesse supportare la sua attività di illustrazione del motivo con quanto nell'esposizione dei fatti nel ricorso si riporta, riproducendo il contenuto del primo motivo di reclamo, si dovrebbe constatare che a giusta ragione la Corte territoriale avrebbe rilevato l'inammissibilità di esso, atteso che quel contenuto si riduceva, dopo l'invocazione di alcuni precedenti di questa Corte, che sottolineano i confini della fase di ammissibilità dell'azione ex lege n. 117 del 1988, alle seguenti cinque righe: “Il Tribunale, invece, non ha escluso la sussistenza di tali presupposti [quelli di cui all'art. 2 della l. n. 117 del 1988], il cui difetto comportano [sic] la manifesta infondatezza, ed è entrato nel merito. Fase riservata invece al giudice del merito nella prosecuzione del giudizio dopo la dichiarazione di ammissibilità della domanda”.
p.2.1.2. Ora, è palese l'assoluta genericità di tali affermazioni, onde la valutazione della Corte territoriale appare pienamente giustificata.
Tanto rilevato, non avendo il motivo di ricorso per cassazione correlazione con la motivazione del decreto impugnato, è inammissibile perché inidoneo allo scopo (giusta il principio di diritto per cui un motivo di ricorso per cassazione, come qualsiasi motivo di impugnazione, deve risolversi necessariamente in una critica alla motivazione della decisione impugnata: ex multis, Cass. n. 359 del 2005). Comunque si tratterebbe anche di motivo privo di specificità e, quindi, inammissibile in questa sede, giusta il principio di diritto per cui anche il motivo di ricorso per cassazione dev'essere specifico: in termini, ex multis, Cass. n. 4741 del 2005.
p.3. Con il secondo motivo si prospetta "violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della Legge 117/88 con riferimento alla sentenza n. 1/94 della Corte di Assise di Appello di Bari del 10.1.1994".
Con il terzo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della Legge 117/88 con riferimento alla sentenza n. 14/95 della Corte di Assise di Appello di Bari".
Entrambi i motivi si dolgono delle valutazioni con cui la Corte territoriale ha rigettato il reclamo condividendo la valutazione di inammissibilità dell'azione ai sensi dell'art. 5, terzo comma, della l. n. 117 del 1988 fatta dal Tribunale ed escludendo che si potesse configurare colpa grave dei magistrati componenti i due collegi di rinvio nei sensi prospettati dal M. .
p.3.1. Il Collegio, pur essendo condivisibili le valutazioni espressa dalla Corte territoriale in tal senso e non risultando in alcun modo idonee le argomentazioni dell'illustrazione dei due motivi a superarle, rileva che in realtà sia il Tribunale che la Corte di reclamo avrebbero dovuto rilevare l'inammissibilità dell'azione ai sensi dell'art. 5, terzo comma, della l. n. 117 del 1988, piuttosto che per la non configurabilità dei comportamenti dei due collegi penali come caratterizzati da colpa grave, ancora prima per l'inidoneità dei fatti costitutivi dell'azione risarcitoria ad evidenziare in astratto una fattispecie di responsabilità per danno ingiusto cagionato da detti comportamenti.
Queste le ragioni.
p.3.1.1. Va considerato che, come è emerso dall'esposizione della vicenda processuale penale nella fase ordinaria, se è vero che il Collegio che pronunciò come giudice del primo rinvio la sentenza n. 1 del 1994 rese una decisione errata per come risultò dalla sentenza di questa Corte che la cassò, tuttavia, l'esito finale del processo penale, risultante dal rigetto del ricorso per cassazione contro la successiva sentenza emessa in sede di rinvio, cioè la sentenza n. 15 del 1995, fu nel senso della conferma della responsabilità penale del M. .
Poiché il danno ingiusto lamentato dal M. era ed è rappresentato dal riconoscimento della responsabilità penale e tale responsabilità risultò accertata definitivamente con la sentenza di questa Corte che rigettò il ricorso contro la sentenza n. 15 del 1995, è palese che detto danno risulterebbe in tesi determinato soltanto dall'esito finale del giudizio penale ordinario e, dunque, dalla sentenza della Corte di cassazione.
In altri termini il danno ingiusto prospettato dal M. non risulta in alcun modo determinato dalla sentenza n. 1 del 1994, dato che, se anche essa aveva erroneamente pronunciato in sede di rinvio ed era stata cassata, la discussione sulla responsabilità penale era rimasta aperta, come dimostra il successivo giudizio di rinvio deciso dalla sentenza n. 15 del 1995 e poi la sentenza della Corte di cassazione n. 247 del 1996.
p.3.1.2. Un danno ingiusto in ipotesi ascrivibile alla sentenza n. 1 del 1994 si sarebbe potuto configurare, a ben vedere, non già con riferimento alla responsabilità penale riconosciuta in via definitiva solo dalla sentenza n. 247 del 1996, ma sotto un eventuale diverso profilo, cioè come danno sofferto in conseguenza dell'aver dovuto ricorrere in Cassazione contro la stessa sentenza n. 1 del 1994. Ma, ammesso che si fosse potuto configurare un simile danno, esso non è stato fatto valere come tale, avendo il M. lamentato il danno da riconoscimento della responsabilità penale.
p.3.1.3. Un discorso analogo ed a maggior ragione deve farsi per siffatto danno siccome, nella prospettazione del M. , originato dalla sentenza n. 15 del 1995.
Il ricorso per cassazione contro tale sentenza è stato rigettato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 247 del 1996 e, conseguentemente, la detta sentenza è stata riconosciuta come "giusta". Ne deriva che l'eventuale errore da cui essa era affetta e che secondo il M. avrebbe integrato la colpa grave dei magistrati che la pronunciarono, se era stato dedotto con il ricorso per cassazione sarebbe stato un errore avallato dalla sentenza di cassazione e, dunque, la fattispecie costitutiva del preteso danno sarebbe stata ascrivibile ad essa, mentre, se non fosse stato dedotto con il ricorso per cassazione sarebbe stato un danno imputabile allo stesso M. , dato che non a caso l'art. 4, comma 2, della l. n. 117 del 1988 subordina l'esercizio dell'azione di responsabilità di cui alla legge all'esperimento dei mezzi ordinari di impugnazione.
p.3.2. Dalle svolte considerazioni emerge allora che l'azione esercitata dal M. avrebbe dovuto essere ritenuta manifestamente infondata, siccome ammette la logica del giudizio di ammissibilità, emergente dal comma 3 dell'art. 5 della legge, perché i fatti dedotti a suo fondamento - in quanto evocanti comportamenti di pretesa colpa grave cagionatori di un danno, rappresentato dal riconoscimento della penale responsabilità, che non risultava determinato dalle due sentenze delle corti di rinvio, bensì, ipoteticamente, dalla sentenza della Corte di cassazione - avrebbero dovuto riconoscersi in modo manifesto del tutto inidonei ad evidenziare, al livello della fattispecie astratta, una responsabilità dei collegi delle due sentenze di rinvio.
Ciò, perché non risultava, in base alle stesse allegazioni poste a fondamento della domanda, che il danno fosse stato da esse originate, ma, invece, che esso - in ipotesi - sarebbe stato ascrivibile alla sentenza di cassazione, che aveva avallato la seconda decisione di rinvio.
p.3.3. L'azione del M. avrebbe dovuto, dunque, dichiararsi inammissibile per manifesta infondatezza sotto il profilo ora detto perché fondata su fatti inidonei a giustificarla.
La motivazione del decreto impugnato si intende corretta nei sensi appena indicati sulla base del seguente principio di diritto: “quando in un processo penale la responsabilità penale, pur dopo la cassazione con rinvio di sentenze emesse nel giudizio di appello, sia stata confermata dalla Corte di cassazione in sede di ricorso contro l'ultima decisione emessa in sede di rinvio, ove il responsabile intenda esercitare un'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2 della l. n. 117 del 1988 per il risarcimento del danno ingiusto rappresentato dall'affermazione della responsabilità penale, poiché tale danno risulterebbe determinato in via definitiva solo per effetto della sentenza della Corte di cassazione, si deve ritenere che, qualora l'azione di responsabilità deduca a suo fondamento soltanto pretesi comportamenti integranti. colpa grave dei collegi di merito che si pronunciarono in sede di rinvio, essa risulta manifestamente infondata, in quanto pone a suo fondamento fatti costitutivi del tutto inidonei a giustificare in astratto l'invocata responsabilità per il detto danno, perché il fatto costitutivo di un simile danno potrebbe essere rappresentato solo dalla pronuncia della Corte di cassazione, che ha determinato in via definitiva l'affermazione di responsabilità che si sostiene affetta da colpa grave, e potendo invece alla decisione dei collegi di rinvio soltanto imputarsi, eventualmente, danni diversi da quello rappresentato dall'affermazione della detta responsabilità”.
Il principio che qui si enuncia appare giustificato anche al lume del dato normativo che emerge dall'art. 4, comma 2, della l. n. 117 del 1988, che ammette l'azione risarcitoria contro lo Stato “soltanto quando sano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione”.
Poiché nella specie eventuali errori di valutazione commessi dalle due Corti di rinvio si sono potuti rimediare, come sono stati rimediati, con l'esercizio del diritto di ricorrere per cassazione e l'affermazione della penale responsabilità del M. era stata definitivamente confermata dalla Corte di cassazione in sede penale nel giudizio ordinario e poiché solo il giudizio di revisione (basato su elementi nuovi) ha potuto eliminare l'affermazione di responsabilità (e, quindi, la fonte del danno lamentato), i detti eventuali errori non risultano avere determinato detta affermazione e dunque male sono stati prospettati come fatti costitutivi dell'azione di responsabilità già al livello della formulazione astratta della domanda e, quindi, del diritto con essa fatto valere. Essi, come s'è già detto, potrebbero - in ipotesi - avere cagionato al M. solo un danno di tipo diverso da quello invocato, emergente dall'avere dovuto sostenere il costo e gli effetti del processo penale per la durata che non si sarebbe avuta se, in mancanza degli ipotetici errori, la sua responsabilità fosse stata affermata in via definitiva prima di quanto lo fu.
Ma, come si è detto, l'azione non ha inteso far valere un simile ipotetico danno.
Il ricorso dev'essere, dunque, rigettato con la disposta correzione della motivazione, senza che occorre scrutinare i due motivi, i quali, se fossero scrutinati, comunque sarebbero infondati.
p.4. In ordine al regolamento delle spese del giudizio di cassazione dev'essere considerata, ma non è decisiva, l'eccezione - comunque rilevabile d'ufficio - di inammissibilità del controricorso, formulata da parte ricorrente, in quanto esso non è stato depositato ai sensi del comma 4, terzo inciso, della l. n. 117 del 1988.
Detta eccezione è fondata, atteso che è stato già statuito che “In tema di responsabilità civile dei magistrati, l'art. 5 c.4, legge n. 117 del 1988 stabilisce, tra l'altro, che dopo la notifica alla controparte del ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità della corte d'appello, il ricorrente deve depositarlo entro dieci giorni presso la cancelleria della corte d'appello e l'altra parte deve costituirsi nei successivi dieci giorni depositando memoria e fascicolo nella medesima cancelleria. Qualora la parte resistente proponga controricorso effettuando non il prescritto deposito ma la notifica del proprio atto al ricorrente oltre il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso, ne va dichiarata l'inammissibilità, atteso che, a prescindere dalla violazione relativa alle modalità di deposito del controricorso, risulta comunque superato il termine previsto dal citato art. 5 comma quarto (dieci giorni per il deposito del ricorso e successivi dieci giorni per il deposito del controricorso)”. (Cass. n. 11294 del 2005; 13000 del 2006; 22006 del 2006; 1104 del 2006).
Il controricorso dev'essere considerato, pertanto, inammissibile.
L'Avvocatura dello Stato, tuttavia, è intervenuta all'udienza ed ha partecipato alla discussione, come ammette l'art. 370 c.p.c..
Le spese del giudizio debbono essere liquidate considerando tale attività e quella di studio della controversia, con esclusione, invece, dell'attività di redazione del controricorso.
Tanto premesso le spese si liquidano ai sensi del d.m. n. 55 del 2014.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro diecimila, oltre eventuali spese prenotate a debito.
03-09-2014 22:29
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