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Sentenza

Bioetica: gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di embrione umano ex art. 6 Direttiva 98/44/CE  finche' non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacita'.
Bioetica: gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di embrione umano ex art. 6 Direttiva 98/44/CE finche' non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacita'.
Avvocato Generale, conclusioni 17 luglio 2014, causa C-364/13(*)
«Direttiva 98/44/CE – Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – Brevettabilità – Cellule staminali – Stimolazione attraverso la partenogenesi di ovuli umani non fecondati per creare cellule staminali – Partenoti – Elenco delle invenzioni escluse dalla brevettabilità – Carattere non esauriente dell'elenco – Esclusione della “utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali”– Nozione di “embrione umano” – “In grado di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”»

1. Il presente procedimento offre alla Corte di giustizia un'opportunità per trattare nuovamente la nozione di «embrioni umani» di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (in prosieguo: la «direttiva») (2).
2. Invero, la questione che la High Court of Justice, Chancery Division (Patents Court) ha sottoposto alla Corte di giustizia nel caso di specie è identica, salvo per una differenza, a una delle questioni cui la Corte ha risposto tre anni fa nella sentenza Brüstle (3), allora proposte dal Bundesgerichtshof.
3. Nella causa Brüstle il Bundesgerichtshof ha chiesto, tra altro, se «ovuli umani non fecondati, stimolati attraverso la partenogenesi a dividersi e svilupparsi» siano compresi nella nozione di «embrioni umani» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva. La Corte di giustizia ha risposto a tale quesito in modo affermativo. Di fronte a tale risposta, l'unico quesito del giudice del rinvio riguarda la questione se quanto statuito nella sentenza Brüstle si applichi agli ovuli umani non fecondati, stimolati attraverso la partenogenesi, anche alla luce della seguente specificazione: «che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani».
4. Il giudice del rinvio è del parere che, alla luce del ragionamento della Corte nella sentenza Brüstle, segnatamente al punto 36 della sentenza (4), non sia possibile affermare con la dovuta certezza che la Corte di giustizia risponderebbe allo stesso modo ove si trovasse confrontata alla specificazione fornita nella questione sottoposta nel caso di specie.
5. Un'analisi approfondita della logica sottesa alla risposta della Corte nella sentenza Brüstle mi indurrà a suggerire una risposta «esclusiva» alla questione sottoposta alla Corte, ossia l'esclusione di ovuli umani non fecondati stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi dalla nozione di «embrioni umani» alla luce delle ulteriori specificazioni fornite dal giudice del rinvio.

I – Contesto normativo

A – Diritto internazionale

6. L'articolo 27, paragrafi 1 e 2, dell'accordo TRIPS, riprodotto nell'Allegato 1 C dell'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio, firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione del Consiglio 94/800/CE del 22 dicembre 1994 (5), così dispone:
«1. Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 2 e 3, possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni, di prodotto o di procedimento, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un'attività inventiva e siano atte ad avere un'applicazione industriale. Fatti salvi l'articolo 65, paragrafo 4, l'articolo 70, paragrafo 8 e il paragrafo 3 del presente articolo, il conseguimento dei brevetti e il godimento dei relativi diritti non sono soggetti a discriminazioni in base al luogo d'invenzione, al settore tecnologico e al fatto che i prodotti siano d'importazione o di fabbricazione locale.
2. I membri possono escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita o la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali, purché l'esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni» (6).
7. L'articolo 52, paragrafo 1, della Convenzione sulla concessione di brevetti europei (la convenzione sul brevetto europeo; in prosieguo: la «CBE») del 5 ottobre 1973 (7), della quale sono parti solo gli Stati membri ma non l'Unione europea, recita:
«I brevetti europei sono concessi per le invenzioni in ogni campo tecnologico, a condizione che siano nuove, implichino un'attività inventiva e siano atte ad avere un'applicazione industriale».
8. L'articolo 53, lettera a), della CBE dispone:
«Non vengono concessi brevetti europei per:
(a) le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all'ordine pubblico o al buon costume; tale contrarietà non può essere dedotta dal solo fatto che lo sfruttamento è vietato da una disposizione legale o amministrativa in tutti gli Stati contraenti o in parte di essi».
9. Attraverso le disposizioni del regolamento di esecuzione della CBE, la CBE è stata armonizzata con la direttiva (8). L'articolo 28, lettera c), del regolamento di esecuzione della CBE così dispone:
«Conformemente all'articolo 53, lettera a), i brevetti europei non vengono concessi per le invenzioni biotecnologiche che hanno quale oggetto:
c) l'impiego di embrioni umani a fini industriali o commerciali;»

B – Diritto dell'Unione

10. I considerando 5, 16, 20, 21, da 36 a 39, e 42 della direttiva sono del seguente tenore:
«(5) (…) nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche esistono divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri; (…) tali disparità creano ostacoli agli scambi e costituiscono quindi un ostacolo al funzionamento del mercato interno;
(16) (…) il diritto dei brevetti dev'essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l'integrità dell'uomo; (…) occorre ribadire il principio secondo cui il corpo umano, in ogni stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le cellule germinali, la semplice scoperta di uno dei suoi elementi o di uno dei suoi prodotti, nonché la sequenza o sequenza parziale di un gene umano, non sono brevettabili; che tali principi sono conformi ai criteri di brevettabilità previsti dal diritto dei brevetti, secondo i quali una semplice scoperta non può costituire oggetto di brevetto;
(20) (…), quindi, (…) è necessario dichiarare che un'invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, tramite un procedimento tecnico, e utilizzabile a fini industriali, non è esclusa dalla brevettabilità, anche se la struttura dell'elemento è identica a quella di un elemento naturale, fermo restando che i diritti attribuiti dal brevetto non si estendono al corpo umano e ai suoi elementi nel loro ambiente naturale;
(21) (…) tale elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto non è escluso dalla brevettabilità perché, ad esempio, è il risultato di procedimenti tecnici che l'hanno identificato, purificato, caratterizzato e moltiplicato al di fuori del corpo umano, procedimenti tecnici che soltanto l'uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per sé stessa non è in grado di compiere;
(36) (…) l'accordo TRIPS prevede la possibilità, per i paesi aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio, di escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio dev'essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, in particolare per proteggere la vita e la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali, o per evitare gravi danni ambientali, purché l'esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni;
(37) (…), nella presente direttiva, va altresì riaffermato il principio secondo cui sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all'ordine pubblico o al buon costume;
(38) (…) è altresì importante inserire nel dispositivo stesso della presente direttiva un elenco indicativo di invenzioni escluse dalla brevettabilità, per fornire ai giudici e agli uffici nazionali dei brevetti orientamenti di massima ai fini dell'interpretazione del riferimento all'ordine pubblico o al buon costume; (…) questo elenco non può certo essere considerato esauriente; (…) i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana, come ad esempio i procedimenti per la produzione di esseri ibridi risultanti da cellule germinali o totipotenti umane o animali, devono ovviamente essere esclusi anch'essi dalla brevettabilità;
(39) (…) l'ordine pubblico e il buon costume corrispondono in particolare a principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro e la cui osservanza è indispensabile in particolare in materia di biotecnologia, data la portata potenziale delle invenzioni in questo settore ed il loro nesso intrinseco con la materia vivente; (…) questi principi etici o morali completano le normali verifiche giuridiche previste dal diritto dei brevetti, a prescindere dal settore tecnico dell'invenzione;
(42) (…) inoltre (…) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali devono a loro volta essere escluse dalla brevettabilità; (…) tale esclusione non riguarda comunque le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all'embrione umano».
11. L'articolo 5, paragrafi 1 e 2, della direttiva prevede quanto segue:
«1. Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili.
2. Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale».
12. L'articolo 6 della direttiva enuncia quanto segue:
«1. Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un'invenzione non può di per sé essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.
2. Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:
a) i procedimenti di clonazione di esseri umani;
b) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano;
c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;
d) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti».

C – Diritto nazionale

13. Il paragrafo 3, lettera d), dell'allegato A2 del Patents Act 1977, che dà attuazione all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva, recita:
«Le seguenti invenzioni sono escluse dalla brevettabilità – (…)
d) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali».

II – Fatti e procedimento principale

14. L'International Stem Cell Corporation (in prosieguo: l'«ISC») (9) ha chiesto la registrazione di due brevetti nazionali presso l'United Kingdom Intellectual Property Office (Ufficio brevetti del Regno Unito): la domanda GB0621068.6 intitolata «Attivazione partenogenetica di oociti per la produzione di cellule staminali umane embrionali», relativa a metodi di produzione di linee cellulari staminali umane pluripotenti da oociti partenogeneticamente attivati e linee cellulari staminali prodotte secondo siffatti metodi nonché la domanda GB0621069.4 intitolata «Cornea artificiale ottenuta da cellule staminali retinali», relativa a metodi di produzione di cornea o tessuto corneale artificiali, che comportano l'isolamento di cellule staminali pluripotenti da oociti attivati partenogeneticamente, nonché dalla cornea o tessuto corneale artificiali prodotti con tali metodi.
15. Nel corso del procedimento per l'ottenimento del brevetto, è stato obiettato all'ISC che le domande non sono brevettabili poiché le invenzioni esposte costituiscono utilizzazioni di embrioni umani non brevettabili in virtù dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza Brüstle. L'ISC ha sostenuto che quanto affermato nella sentenza Brüstle non dovrebbe essere applicato, poiché le invenzioni in questione riguardano oociti partenogeneticamente attivati che non «sono in grado di svilupparsi in esseri umani come invece un embrione creato attraverso la fecondazione è in grado di fare» per effetto del fenomeno dell'imprinting genomico. Confrontata a una ricerca che prospetta la possibilità di superare le barriere dell'imprinting genomico nei topi con il risultato di topi partenogenetici nati vivi, l'ISC ha affermato che tale ricerca non riguardava la sola partenogenesi, ma includeva un'ampia manipolazione genetica. L'ISC ha modificato le sue domande al fine di escludere qualsiasi metodo di manipolazione (per esempio, introducendo il termine «pluripotenti» prima di «linee cellulari staminali umane» e facendo riferimento all'assenza di imprinting paterno).
16. In una decisione del 16 agosto 2012, il consigliere-auditore (Hearing Officer) dell'United Kingdom Intellectual Property Office, agendo per conto del Comptroller, ha sostenuto che le invenzioni esposte nelle domande di brevetto riguardano le utilizzazioni di embrioni umani come definiti dalla Corte di giustizia nella sentenza Brüstle, segnatamente organismi «tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano» e quindi devono essere escluse dalla brevettabilità ai sensi del paragrafo 3, lettera d), dell'Allegato A2 del Patents Act 1977, che dà attuazione all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE. Egli ha pertanto respinto le domande di brevetto.
17. L'ISC ha impugnato la decisione dinanzi al giudice del rinvio.
18. L'ISC ha sostenuto che il criterio adottato dalla Corte di giustizia nella sentenza Brüstle mirava ad escludere dalla brevettabilità solamente gli organismi tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano, come risulta dal tenore letterale del criterio della Corte di giustizia, dal suo trattamento di ovuli fecondati e ovuli non fecondati sottoposti al trasferimento nucleare di cellule somatiche e come sostenuto nella sentenza definitiva del Bundesgerichtshof pronunciata a seguito della sentenza della Corte di giustizia nella causa Brüstle. Gli oociti attivati partenogeneticamente dovrebbero dunque, ad avviso dell'ISC, essere esclusi dalla brevettabilità solamente qualora siano tali da dare origine a cellule totipotenti.
19. Il Comptroller General ha ritenuto che la sentenza della Corte di giustizia nella causa Brüstle non fosse chiara rispetto alla questione se la nozione di «embrione umano» comprenda gli organismi in grado di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano indipendentemente dal fatto che il processo possa essere completato. Secondo il Comptroller General, è parimenti poco chiaro se la Corte di giustizia si sia basata su argomentazioni che rispecchiano una comprensione inesatta del contesto tecnico quale si presenta allo stato attuale.
20. Lo stesso giudice del rinvio è del parere che se gli oociti in questione attivati partenogeneticamente non sono in grado di svilupparsi in un essere umano, essi non dovrebbero essere considerati embrioni umani. Mentre le cellule totipotenti dovrebbero essere escluse dalla brevettabilità, non dovrebbero esserlo le cellule pluripotenti. Il giudice del rinvio è dell'avviso che una differente lettura non assicurerebbe il giusto equilibrio tra l'incentivazione della ricerca biotecnologica tramite il diritto dei brevetti e il rispetto della dignità e dell'integrità della persona, che la direttiva mirava a perseguire.

III – Questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

21. Alla luce di tali considerazioni, il giudice del rinvio, con decisione del 17 aprile 2013, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto la seguente questione alla Corte di giustizia:
«Se gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell'espressione «embrioni umani», di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche».
22. L'ISC, la Francia, la Polonia, il Portogallo, la Svezia, il Regno Unito e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte.
23. Il 29 aprile 2014 la Corte ha tenuto un'udienza in occasione della quale l'ISC, il Regno Unito, la Francia, la Svezia e la Commissione hanno presentato osservazioni.

IV – Valutazione

A – Considerazioni preliminari

24. Prima di rispondere alla questione sottoposta dalla High Court e di spiegare il motivo per cui, alla luce della sentenza della Corte nella causa Brüstle e delle ulteriori specificazioni fornite dal giudice del rinvio, suggerisco di escludere gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e a svilupparsi ulteriormente attraverso la partenogenesi, dalla nozione di «embrione umano» di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva, formulerò alcune considerazioni preliminari che riguardano, in primo luogo, il contesto scientifico dell'invenzione in questione nel caso di specie, in secondo luogo, il carattere non esauriente dell'elenco contenuto nell'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva e, in terzo luogo, l'articolo 5 della direttiva.
1. Contesto scientifico come descritto dal giudice del rinvio e dalle parti
25. Il caso di specie riguarda ovuli umani non fecondati stimolati a dividersi e a svilupparsi ulteriormente attraverso la partenogenesi – organismi che, per ragioni di semplicità, da ora in poi chiamerò «partenoti»(10). Decidere se i partenoti costituiscano embrioni umani richiede una breve spiegazione scientifica, che baserò sulle informazioni fornite dal giudice del rinvio e dalle parti del procedimento. Dalle precisazioni fornite dal giudice del rinvio è già emerso che tali informazioni non sono identiche a quelle fornite nella causa Brüstle, il che non rappresenta la peculiarità meno importante del caso di specie. Nelle sue conclusioni relative alla causa Brüstle, l'avvocato generale Bot ha giustamente sottolineato le difficoltà nell'affermare ciò che è legge con un grado minimo di stabilità in materie direttamente dipendenti dallo stato delle conoscenza scientifiche in un settore in rapida evoluzione(11).
26. Lo sviluppo di un essere umano inizia con la fecondazione di un ovulo. Attraverso la divisione cellulare, l'ovulo fecondato si sviluppa nella cosidetta «morula», una struttura costituita da 8 a 16 cellule. Dopo circa cinque giorni dalla fecondazione, l'organismo si sviluppa nella cosidetta «blastocisti» (12), una struttura che comprende una massa cellulare interna che successivamente formerà tutti i tessuti embrionali, circondata da uno strato di cellule esterno, che formerà il tessuto extraembrionale come la placenta.
27. Le cellule staminali umane embrionali derivano dagli embrioni umani in queste fasi iniziali dello sviluppo. Generalmente, gli scienziati distinguono tra cellule «totipotenti», ossia le cellule che sono in grado di svilupparsi in tutti i tipi di cellule umane ivi incluso il tessuto extraembrionale e in un essere umano completo, e cellule «pluripotenti», che possono svilupparsi in tutte le cellule che formano il corpo, ma non in tessuto extraembrionale e quindi non possono svilupparsi in un essere umano(13). Le cellule prodotte nelle primissime divisioni di un ovulo fecondato sono totipotenti. Le cellule della massa cellulare interna di una blastocisti sono pluripotenti.
28. La capacità delle cellule staminali umane embrionali di formare vari tessuti ha suscitato speranze di scoprire terapie per numerose patologie fino ad oggi incurabili. Di conseguenza, la ricerca su queste cellule è aumentata in modo esponenziale sin dalla creazione della prima linea di cellule staminali umane nel 1998. Non sorprende che siano in gioco anche considerevoli interessi economici. Tuttavia, la ricerca sulle cellule staminali umane embrionali derivate dagli embrioni solleva notevoli preoccupazioni di natura etica che hanno condotto alla ricerca di fonti alternative di tali cellule(14).
29. Gli scienziati hanno scoperto metodi per iniziare il processo di divisione cellulare comunemente connesso agli embrioni senza fecondazione di un ovulo. Uno di questi metodi è l'attivazione partenogenetica di un ovulo, oggetto di esame nella presente causa, in cui l'oocita non fecondato viene «attivato» mediante diverse tecniche chimiche ed elettriche. Tale oocita attivato può raggiungere lo stadio della blastocisti. Poiché non è stato mai fecondato, l'oocita contiene solo DNA materno e non contiene DNA paterno. Il processo dell'ovulo che si sviluppa in un essere umano senza fecondazione è chiamato «partenogenesi» e l'organismo che viene così creato è chiamato «partenote»(15).
30. Mentre alcune specie producono partenoti che si sviluppano a termine(16), tutte le parti e il giudice del rinvio nella presente causa (a differenza delle parti e del giudice del rinvio nella causa Brüstle) concordano che, secondo l'attuale conoscenza scientifica, un fenomeno di «imprinting genomico» impedisce ai partenoti umani e di altri mammiferi di svilupparsi a termine(17). L'imprinting genomico significa che alcuni geni sono espressi solamente dal DNA paterno mentre altri solamente dal DNA materno. Nel caso degli esseri umani, alcuni geni coinvolti nello sviluppo del tessuto extraembrionale, per esempio, sono espressi solamente dal DNA paterno. Pertanto, i partenoti umani – che contengono solo DNA materno – non possono, per esempio, sviluppare un normale tessuto extraembrionale. Le cellule di tali partenoti, quindi, non sono mai totipotenti, poiché non possono svilupparsi in cellule extraembrionali neppure nelle primissime divisioni cellullari. Tuttavia, le cellule staminali possono essere ottenute dalla struttura simile alla blastocisti(18). L'ISC ritiene che tali cellule siano una valida alternativa alle cellule staminali umane embrionali derivate dall'embrione.
31. Il giudice del rinvio e le parti concordano sul fatto che la barriera creata dall'imprinting genomico possa essere superata mediante la manipolazione genetica, sebbene ciò non sia stato ancora provato negli esseri umani. I governi portoghese e del Regno Unito, a tal riguardo, hanno osservato, per esempio, che nei topi la «complementazione tetraploide» è stata utilizzata con successo per ottenere discendenti vitali, che sopravvivono fino all'età adulta, da ciò che in origine erano partenoti(19). In udienza, l'ISC non ha escluso tale possibilità, ma ha affermato che la manipolazione genetica necessaria per raggiungere tale obiettivo modifica la natura stessa del partenote. La Repubblica francese ha precisato che la relativa manipolazione sarebbe illecita ai sensi del diritto francese. Il giudice del rinvio ha affermato, come un dato di fatto, che le domande di brevetto modificate, oggetto del procedimento, escludono la possibilità di tale manipolazione.
2. Il carattere non esauriente dell'elenco contenuto nell'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva
32. Tenuto conto della precedente descrizione di «partenote» e prima di analizzare la questione sottoposta dalla High Court, ritengo che sia necessario trattare il significato e la portata dell'elenco dei divieti di brevettabilità che la direttiva contiene nel suo articolo 6, paragrafo 2, tra cui figura l'esclusione oggetto del presente rinvio pregiudiziale.
33. La stessa formulazione dell'articolo 6, paragrafo 2, chiarisce che l'elenco dei divieti non è esauriente («sono considerati non brevettabili in particolare (20)), un fatto che è evidenziato inequivocabilmente dal considerando 38 della direttiva («non può certo essere considerato esauriente»). La Commissione, in udienza, concordava con tale interpretazione.
34. Stando così le cose e in linea di principio, il carattere non esauriente dell'elenco limita l'effetto pratico della risposta alla questione sottoposta nel caso di specie. Infatti, l'importanza della risposta della Corte di giustizia differisce notevolmente in funzione del fatto che il diritto dell'Unione fornisca una «risposta completa» alla questione della brevettabilità dei partenoti o solo una parte della risposta a tale questione. La consapevolezza di tale problema prima di analizzare la questione sottoposta alla Corte di giustizia presenta, a mio avviso, due vantaggi. Innanzitutto, fornisce alla Corte di giustizia il debito contesto della questione, consentendo una più chiara individuazione di quanto in gioco. In secondo luogo, permetterà alla Corte di giustizia di fornire al giudice del rinvio una risposta più precisa che possa evitare future questioni pregiudiziali.
35. Certamente, la presente questione non necessiterebbe alcuna trattazione qualora la Corte di giustizia fornisse una risposta, per così dire, «inclusiva» alla High Court, confermando integralmente quanto statuito nella sentenza Brüstle, segnatamente che la direttiva vieta la brevettabilità delle utilizzazioni di partenoti a fini industriali o commerciali poiché essi, ai sensi della direttiva, costituiscono embrioni umani. A mio avviso, questo è il motivo per cui nella sentenza Brüstle non era necessario affrontare tale questione.
36. Ove, tuttavia, la Corte decidesse di seguire il mio suggerimento e di fornire una risposta «esclusiva» nel senso che i partenoti sono esclusi dalla nozione di embrioni umani, ed è evidente che questa è la preferenza del giudice del rinvio, diventa inevitabile fornire spiegazioni ulteriori in ordine alle conseguenze che derivano dal fatto che l'elenco dei divieti non è esauriente.
37. A mio avviso, il carattere non esauriente dell'elenco di cui all'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva implica che l'esclusione di un partenote dalla nozione di embrione umano contenuta nell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva, non osti a che uno Stato membro escluda i partenoti dalla brevettabilità in virtù dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva. Al riguardo, cercherò di spiegarmi nel modo più conciso possible.
38. La questione sottoposta appartiene senza dubbio al campo della bioetica. Tuttavia, tale circostanza non la esclude dalla sfera giuridica. Infatti, attualmente possiamo osservare l'emergere di un «diritto della bioetica» come dimostrato dalla legislazione degli Stati membri (21). La direttiva, tuttavia, non è stata chiaramente concepita come «diritto della bioetica» in quanto tale, sebbene contenga alcune disposizioni a tal riguardo. Al contrario, come indicato dal proprio titolo e dalle sue basi giuridiche (22), la direttiva concerne solamente la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in particolare tramite i brevetti, e si può supporre che la consultazione pubblica durante il procedimento di elaborazione sia stata di conseguenza limitata invece di comprendere tutti gli aspetti rilevanti del tema molto complesso della bioetica, come sarebbe altrimenti avvenuto.
39. Le invenzioni biotecnologiche oggetto della direttiva e la cui protezione giuridica è fornita mediante brevetti non riguardano solo quelle nel campo della biotecnologia umana. Esse comprendono invece il campo della biotecnologia nel senso più ampio, compresi gli ambiti della biotecnologia relativi ad animali e piante. Data la sensibilità dell'argomento, la direttiva dà spazio a considerazioni di ordine etico e morale nelle categorie dell'ordine pubblico e del buon costume (23), uno spazio particolarmente significativo quando si tratta di biotecnologia relativa alle specie dell'homo sapiens.
40. La disposizione fondamentale, in proposito, è indubbiamente l'articolo 6 della direttiva. La parte pertinente dell'articolo 6, paragrafo 1, così dispone: «Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume». L'articolo 6, paragrafo 2, prosegue precisando che «[a]i sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare» (24).
41. A mio avviso e alla luce dei considerando, questi due paragrafi dell'articolo 6 devono essere interpretati congiuntamente. Una tale lettura è imposta dalla frase introduttiva dell'articolo 6, paragrafo 2, che rende chiaramente il secondo paragrafo complementare al primo. Pertanto, laddove l'articolo 6, paragrafo 2, enuncia un elenco di invenzioni non brevettabili, ciò avviene al fine di illustrare, in modo indicativo e fornendo un orientamento agli Stati membri, casi in cui le invenzioni sono contrarie all'ordine pubblico o al buon costume. Come affermato dal considerando 38, questo è «un elenco indicativo di invenzioni escluse dalla brevettabilità, per fornire ai giudici e agli uffici nazionali dei brevetti orientamenti di massima ai fini dell'interpretazione del riferimento all'ordine pubblico o al buon costume» (25).
42. Pertanto, non mi sembra che i due paragrafi dell'articolo 6 appartengano a mondi diversi, il primo a quello dell'ordine pubblico e del buon costume e il secondo a quello del diritto. L'articolo 6, paragrafo 2, esprime invece, in termini giuridici, un consenso minimo raggiunto a livello dell'Unione tra tutti gli Stati membri, in ordine alle invenzioni che non possono essere considerate brevettabili sulla base di considerazioni relative all'ordine pubblico e al buon costume. L'articolo 6, paragrafo 2, è quindi accessorio all'articolo 6, paragrafo 1.
43. Ciò significa che nell'ambito del compito affidato a ogni Stato membro di decidere quali invenzioni non siano brevettabili alla luce di considerazioni di ordine pubblico e di buon costume (26), la direttiva stabilisce un nucleo di non brevettabilità, una sorta di «zona proibita» comune per tutti gli Stati membri come espressione di ciò che deve essere considerato in ogni caso non brevettabile. Di conseguenza, ove i partenoti non siano compresi nella nozione di embrioni umani ai sensi della direttiva, ciò non implicherebbe che gli Stati membri non possano vietare la loro brevettabilità sulla base di altre considerazioni di ordine pubblico o di buon costume, rispettando nel contempo il fatto che la nozione di embrione umano non si estende ai partenoti (27).
44. Tale interpretazione è conforme alla giurisprudenza della Corte, la quale afferma che l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva concede alle autorità amministrative e ai giudici degli Stati membri un ampio margine di manovra e consente in questo modo di tener conto del contesto sociale e culturale proprio di ogni Stato membro (28), mentre l'articolo 6, paragrafo 2, non lascia agli Stati membri alcun margine discrezionale per quanto riguarda la non brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni menzionate (29), i cui termini sono definiti autonomamente dal diritto dell'Unione.
45. Le osservazioni che precedono sarebbero sufficienti se non fosse per la peculiarità della fattispecie dei partenoti, segnatamente la loro «somiglianza» esteriore agli embrioni umani. Tale prossimità potrebbe dare l'impressione che tutte le obiezioni alla brevettabilità dei partenoti debbano essere formulate nei termini di una loro inclusione o meno nella nozione di embrione umano. In altri termini, il trattamento dei partenoti dal punto di vista dell'ordine pubblico o del buon costume dipenderebbe esclusivamente dal fatto che essi siano compresi o meno nella nozione di embrione umano. In altri termini ancora, il fatto che il diritto dell'Unione, nella direttiva, definisca la nozione di «embrione umano» in modo autonomo escluderebbe la possibilità che gli Stati membri giungano a proprie conclusioni riguardo alla brevettabilità dei partenoti sulla base di considerazioni di ordine pubblico e di buon costume.
46. Non credo che sia così.
47. È certamente vero che la Corte di giustizia ha affermato che la nozione di «embrione umano» nella direttiva deve essere interpretata in modo autonomo e deve essere «intesa in senso ampio»(30), un'affermazione sulla quale tornerò nel prosieguo. Ciò ha condotto la Corte ad equiparare gli embrioni umani agli altri organismi umani creati con mezzi scientifici e tecnologici con la medesima capacità di sviluppo degli embrioni umani(31).
48. I partenoti potrebbero rispettare o no detta condizione, come sarà discusso nel prosieguo. Indipendentemente dalla posizione che si assuma riguardo a tale questione, data l'origine dei partenoti (ovuli umani) e la tecnologia impiegata, non può escludersi che, indipendentemente dalle considerazioni riguardanti l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, e a prescindere completamente dai divieti sanciti dall'articolo 6, paragrafo 2, uno Stato membro ritenga che i brevetti sulle utilizzazioni di partenoti siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume.
49. Pertanto, nel valutare se i partenoti siano embrioni umani ai sensi della direttiva, alla luce dell'ulteriore chiarimento fornito dal giudice del rinvio, occorre tener presente che tale questione riguarda un divieto di brevettabilità che è parte di un elenco non esauriente contenuto nell'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva, meramente indicativo delle considerazioni contenute nell'articolo 6, paragrafo 1.
3. Articolo 5 della direttiva
50. Un'ultima considerazione preliminare è necessaria con riferimento all'articolo 5 della direttiva. La Corte di giustizia ha posto due quesiti alle parti presenti all'udienza, il secondo dei quali riguardava la questione se un partenote possa essere classificato come «corpo umano» allo stadio iniziale della sua costituzione e del suo sviluppo, ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva o, in caso negativo, come un «elemento isolato dal corpo umano» ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2. A mio giudizio è assolutamente possibile rispondere alla questione pregiudiziale senza tener conto del contenuto dell'articolo 5 della direttiva.
51. Ai sensi dell'articolo 5, paragrafi 1 e 2, della direttiva, mentre il corpo umano nei vari stadi della sua formazione e la mera scoperta di uno dei suoi elementi non sono brevettabili, un elemento isolato dal corpo umano o prodotto in altro modo mediante un procedimento tecnico può essere brevettato. La distinzione richiama uno dei principi fondamentali del diritto dei brevetti secondo il quale solo le invenzioni e non le scoperte sono brevettabili (32).
52. Un partenote non è né un corpo umano nello stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, né uno dei suoi elementi. I partenoti sono invece prodotti tramite un procedimento tecnico e l'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, di per sé, non osta quindi alla loro brevettabilità. Come ha statuito la Corte nella sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, «[p]ossono costituire oggetto di una domanda di brevetto soltanto le invenzioni che associno un elemento naturale a un procedimento tecnico che consenta di isolarlo o di produrlo ai fini di un suo sfruttamento industriale» (33).

B – La questione pregiudiziale

53. Mi occuperò ora della questione se i partenoti siano embrioni umani ai sensi della direttiva, in particolare alla luce delle specificazioni fornite dal giudice del rinvio e della sentenza della Corte di giustizia nella causa Brüstle, in cui la Corte ha statuito, nel dispositivo della sua sentenza, che «costituisce un “embrione umano” (...) qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi» (34).
54. Tuttavia, prima di proseguire con la mia analisi, esporrò le opinioni delle parti.
1. Opinioni delle parti
55. Le parti del procedimento sono in disaccordo sulla questione se i partenoti costituiscano embrioni umani.
56. L'ISC, la Francia, la Svezia, il Regno Unito e la Commissione ritengono che i partenoti non siano «embrioni umani» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva.
57. L'ISC sostiene che la direttiva promuove la ricerca nel campo dell'ingegneria genetica concedendo incentivi per brevetti e limitando al contempo la brevettabilità nel rispetto della dignità umana, per esempio, escludendo il corpo umano (35) nonché l'uso di cellule totipotenti umane dalla brevettabilità (36). L'interpretazione della nozione di «embrione umano» dovrebbe assicurare un adeguato equilibrio tra queste due considerazioni. Mentre la dignità umana e l'integrità della persona richiedono che gli ovuli umani fecondati siano considerati embrioni, un organismo che non sia in grado di svilupparsi in un essere umano o almeno di dare avvio al processo che conduce ad un essere umano non può essere considerato un embrione. Posto che un ovulo senza DNA paterno può svilupparsi fino allo stadio della blastocisti, ma non a termine, posto che, in altre parole, le cellule di un partenote sono pluripotenti anche nelle primissime divisioni cellulari e mai totipotenti, escludendo pertanto lo sviluppo a termine, i partenoti non possono essere considerati embrioni umani. Essi sono, quindi, diversi dagli ovuli fecondati in tutti gli stadi del loro sviluppo. Un adeguato equilibrio tra la protezione della dignità umana e l'incentivazione dei brevetti per la ricerca, secondo l'ISC, può essere trovato solo se i partenoti non vengono esclusi dalla brevettabilità.
58. Con riguardo a quanto affermato dalla Corte nella sentenza Brüstle, l'ISC sostiene anzitutto che tale affermazione non è contraria al fatto di considerare che i partenoti non siano embrioni umani. Con il riferimento della Corte ad un organismo «tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano», secondo l'ISC, si era inteso rendere imprescindibile la questione se gli organismi siano in grado di dare avvio al processo di sviluppo che conduce ad un essere umano, rimettendo al giudice nazionale la decisione se detta condizione sia rispettata. L'argomentazione dell'ISC trova sostegno nel fatto che la Corte si focalizza sullo sviluppo di un essere umano e nel fatto che la Corte abbia applicato lo stesso ragionamento agli ovuli fecondati e non fecondati soggetti al trasferimento nucleare di cellule somatiche, i quali possono svilupparsi entrambi in esseri umani. Da ultimo, l'ISC precisa che, nella causa Brüstle, il giudice del rinvio e le parti hanno fornito informazioni non chiare sulla questione se i partenoti possano svilupparsi in esseri umani. Ove la decisione della Corte sia intesa in modo diverso, segnatamente nel senso che i partenoti sono embrioni umani in ragione del loro (iniziale) sviluppo in modo parallelo a quello degli embrioni, l'ISC ritiene che sarebbe giustificato scostarsi dalla sentenza Brüstle, posto che il giudice del rinvio, nel caso in esame, ha precisato esplicitamente che i partenoti e gli ovuli fecondati non sono identici in nessuno stadio del loro sviluppo. L'ISC trova ulteriore conferma della sua posizione nella decisione adottata dal Bundesgerichtshof nella causa Brüstle a seguito della questione pregiudiziale, nella quale il giudice tedesco ha ritenuto che determinati organismi non vitali sviluppatisi da oociti fecondati nel corso di una fecondazione in vitro non siano embrioni ai sensi di quanto statuito dalla Corte di giustizia, giacché non sono in grado di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano.
59. Il Regno Unito sostiene che la Corte debba chiarire la sua decisione ambigua basata sull'espressione «tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano» usata nella sentenza Brüstle. Esso afferma che il contesto tecnico relativo ai partenoti non era accuratamente riprodotto nelle osservazioni presentate nella causa Brüstle, che la comprensione scientifica dei partenoti si è, da allora, sviluppata e che allo stato attuale i partenoti non possono essere considerati identici agli embrioni in nessuno stadio del loro sviluppo. Il Regno Unito precisa che sia la Corte che l'avvocato generale nella causa Brüstle hanno riconosciuto che le risposte in un settore tecnologico che si trova ancora in fase di sviluppo possono cambiare con i progressi tecnologici. L'espressione «tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano» dovrebbe essere intesa come comprendente solo i processi di sviluppo che abbiano almeno il potenziale di giungere al completamento e di generare un essere umano vitale, il che raggiungerebbe altresì l'equilibrio necessario tra gli incentivi auspicati per l'industria biotecnologica e la dignità e l'integrità della persona (37). La Francia e la Svezia sostengono un'analoga interpretazione della formula usata dalla Corte e ritengono che, alla luce dell'attuale stato della scienza, la partenogenesi non possa essere considerata come una tecnica in grado di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano. La Commissione sostiene una tesi analoga e afferma che la valutazione della Corte secondo la quale i partenoti soddisfano tali condizioni e costituiscono embrioni umani si basava su osservazioni scritte rivelatesi erronee alla luce degli sviluppi della scienza. La Commissione sollecita la Corte ad adottare criteri che non possono essere soggetti a cambiamenti dovuti ai rapidi sviluppi della biotecnologia.
60. Anche il Portogallo sostiene questa interpretazione della formula della Corte, ma sottolinea il rischio di una manipolazione supplementare di un partenote che conduca alla sua vitalità. Propone di rispondere alla questione in senso affermativo, a meno che non venga dimostrato che i partenoti non siano in grado di svilupparsi in esseri umani attraverso qualsiasi tipo di manipolazione supplementare. Spetterebbe al giudice nazionale stabilire se la domanda di brevetto dimostri chiaramente che tale capacità non esiste o se le domande di brevetto rinuncino al diritto di procedere a tali manipolazioni. Il Regno Unito non ammette, in particolare, l'importanza attribuita alla possibilità di future manipolazioni di tal genere, sulla base del ragionamento del Bundesgerichtshof tedesco nella decisione finale della causa Brüstle, il quale aveva statuito che il fattore decisivo era dato dalla capacità di una cellula di per sé stessa e non dalle sue capacità in seguito alla sua manipolazione.
61. La Polonia, tuttavia, risponderebbe alla questione in senso affermativo. Essa sostiene che, nell'interesse della salvaguardia della dignità umana, la Corte si basa correttamente sulla capacità di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano. Sebbene i partenoti, secondo la nostra conoscenza attuale, non possano svilupparsi in esseri umani, essi attraversano inizialmente i medesimi stadi di sviluppo di un ovulo fecondato, segnatamente la divisione e la differenziazione cellulare, e costituiscono quindi embrioni umani.
2. Analisi
a) La sentenza nella causa Brüstle
62. Nella causa Brüstle, la Corte ha definito la nozione di «embrioni umani» contenuta nell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva (38). Essa ha statuito che «costituisce un “embrione umano” qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi» (39). Per quanto concerne le cellule ottenute nello stadio di blastocisti, la Corte ha tuttavia adottato un'impostazione diversa: «[s]petta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un “embrione umano” ai sensi dell'articolo 6, n. 2, lettera c), della direttiva 98/44» (40).
63. Questa formulazione sembra includere in modo chiaro e netto i partenoti nella definizione di «embrioni umani». Tuttavia, il dispositivo della sentenza deve essere letto alla luce della motivazione da cui essa discende e che ne costituisce il sostegno necessario (41).
64. La questione nella causa Brüstle è stata sottoposta alla Corte nell'ambito di un procedimento concernente la validità di un brevetto tedesco depositato dal sig. Brüstle che riguardava «cellule progenitrici neurali isolate e depurate, procedimenti per la produzione delle stesse a partire da cellule staminali embrionali e la loro utilizzazione per il trattamento di anomalie neurali» (42). Come parte del suo quesito sul significato di «embrione umano», il Bundesgerichtshof ha chiesto esplicitamente se «ovuli umani non fecondati, stimolati attraverso la partenogenesi a dividersi e svilupparsi» siano ricompresi nella nozione [di embrione umano] (43), posto che la documentazione relativa al brevetto citava tali ovuli come un modo alternativo di ottenere cellule staminali umane embrionali.
65. Sulla base del contesto e dello scopo della direttiva, segnatamente i considerando 16 e 38, l'articolo 5, paragrafo 1 e l'articolo 6, la Corte ha dichiarato che la direttiva mira ad escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana possa esserne pregiudicato, concludendo che la nozione di «embrione umano» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva deve quindi «essere intesa in senso ampio» (44).
66. La Corte ha poi statuito che, di conseguenza, «sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un “embrione umano”, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, n. 2, lettera c), della direttiva, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano» (45).
67. Questo criterio, ossia se un organismo sia «tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano», è essenziale per l'argomentazione della Corte. Se un organismo ha questa capacità «come l'embrione creato mediante fecondazione di un ovulo», esso è l'equivalente funzionale di un embrione ed è quindi compreso nella nozione di «embrione umano» (46).
68. La Corte prosegue applicando il criterio ai partenoti e agli ovuli non fecondati a seguito di un trasferimento nucleare di cellule somatiche e ritiene entrambi detti organismi in grado da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano (47). Con riguardo alle cellule staminali ottenute da un embrione umano allo stadio di blastocisti, la Corte lascia tuttavia decidere ai giudici nazionali se esse abbiano tale capacità e «di conseguenza, rientrino nella nozione di “embrione umano” ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, n. 2, lettera c), della direttiva» (48).
b) La mia interpretazione della sentenza Brüstle
69. Occorre chiedersi come debba essere intesa l'espressione «tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». Di primo acchito essa potrebbe apparire ambigua, mettendo in rilievo o il parallelismo delle prime fasi di sviluppo, ossia se un organismo possa dare avvio ad un processo di divisione e differenziazione cellulare analogo a quello di un ovulo fecondato, oppure il fatto che l'organismo abbia la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano.
70. Tuttavia, un esame più approfondito della sentenza dimostra che la Corte ha inteso chiedere se un ovulo non fecondato abbia la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano.
71. A mio avviso, nella causa Brüstle, la Corte ha stabilito un'equivalenza funzionale tra gli ovuli fecondati, gli ovuli non fecondati soggetti a trasferimento nucleare di cellule somatiche e i partenoti. Sebbene i partenoti, come risulta ormai evidente, siano gli unici di questi tre organismi a non essere in grado di svilupparsi in esseri umani, la Corte tratta i partenoti e gli ovuli non fecondati soggetti a trasferimento nucleare di cellule somatiche all'interno del medesimo punto senza menzionare alcuna distinzione tra essi e affermando invece che entrambi gli organismi, «come emerge dalle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, per effetto della tecnica utilizzata per ottenerli, sono tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l'embrione creato mediante fecondazione di un ovulo» (49). Se la Corte fosse stata consapevole della fondamentale differenza tra i partenoti e gli ovuli non fecondati soggetti a trasferimento nucleare di cellule somatiche e, ciò nonostante, avesse voluto stabilire un'equivalenza funzionale tra i due, essa avrebbe certamente esaminato tale differenza.
72. È quindi ragionevole ritenere che le osservazioni presentate all'epoca nella causa Brüstle abbiano dato alla Corte l'impressione che tutti e tre gli organismi possiedano la capacità intrinseca di svilupparsi in esseri umani. La Commissione ha sostenuto tale punto di vista nelle sue osservazioni nella presente causa, fornendo esempi di affermazioni contenute nelle osservazioni presentate nella causa Brüstle che possono avere suscitato tale impressione. Tale supposizione è anche confermata dalle conclusioni dell'avvocato generale Bot secondo cui i partenoti sono embrioni in quanto, in base alle osservazioni scritte presentate alla Corte, cellule totipotenti possono essere ottenute da essi, vale a dire cellule che possono svilupparsi in un essere umano (50).
73. Sulla base della mia interpretazione dell'argomentazione della Corte, il criterio decisivo di cui si dovrebbe tenere conto per stabilire se un ovulo non fecondato sia un embrione umano è quindi se tale ovulo non fecondato abbia la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano, ossia se esso costituisca davvero l'equivalente funzionale di un ovulo fecondato.
74. Considerati i fatti inequivocabilmente esposti dal giudice del rinvio e dalle parti del presente procedimento risulta ora chiaro che un partenote non ha, di per sé, la necessaria capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano e, quindi, in quanto tale, non costituisce un «embrione umano» (51).
75. Di conseguenza e con una riserva che sarà esposta qui di seguito, occorre rispondere alla questione sottoposta dalla High Court in senso negativo, ovvero che gli ovuli umani non fecondati che, attraverso la partenogesi sono stati stimolati a dividersi e a svilupparsi ulteriormente, come descritto dal giudice del rinvio, non sono compresi nella nozione di «embrioni umani» di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva.
76. La riserva in questione riguarda l'eventualità sopra descritta (52) che un partenote venga manipolato geneticamente in modo da potersi sviluppare a termine e dunque in un essere umano. Poiché siffatte manipolazioni sono già state sperimentate con successo su partenoti mammiferi non umani (ossia i topi) non si può escludere categoricamente che in futuro siano anche possibili riguardo ai partenoti umani, benché tali manipolazioni sarebbero spesso illegali (53).
77. Nondimeno, la mera possibilità di una successiva manipolazione genetica che alteri le caratteristiche fondamentali di un partenote non cambia la natura del partenote prima della manipolazione. Come ho affermato in precedenza, un partenote in quanto tale, sulla base dell'attuale conoscenza scientifica, non è in grado di svilupparsi in un essere umano. Ove il partenote sia manipolato in modo tale da acquisire effettivamente la rispettiva capacità, esso non può più essere considerato un partenote e, di conseguenza, non può essere brevettato.
78. Pertanto, alla questione della High Court non può essere data una risposta meramente negativa. Per prudenza occorre invece precisare che i partenoti possono essere esclusi dalla nozione di embrioni solamente nei limiti in cui non siano stati manipolati geneticamente in modo da essere in grado di svilupparsi in un essere umano.
79. Alla luce di tali argomenti, propongo di rispondere alla questione sottoposta dal giudice del rinvio dichiarando che gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di «embrioni umani», di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva, fintantoché non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacità.

V – Conclusione

80. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alla questione sottoposta dalla High Court of Justice, Chancery Division (Patents Court) nel seguente modo:
– gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di «embrioni umani», di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, fintantoché non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacità.

(fonte: http://curia.europa.eu/)
Avv. Antonino Sugamele

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