Aziende trasporti pubblici. Conversione dei rapporti da tempo determinato a tempo indeterminato. Risarcimento del danno.
Cassazione civile sez. lav. 31/07/2014 nr. 17454
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa - rel. Consigliere -
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 134/2012 proposto da:
R.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell'avvocato VACIRCA
SERGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AZIENDA TRASPORTI PUBBLICI (A.T.P.) C.F. (OMISSIS);
- intimata -
Nonchè da:
AZIENDA TRASPORTI PUBBLICI (A.T.P.) C.F. (OMISSIS), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, V.G. AVEZZANA 2/B, presso lo studio dell'avvocato MASSIMO
CAMMAROTA, rappresentata e difesa dall'avvocato PAOLO SECHI, giusta
delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
R.D. C.F. (OMISSIS);
- intimata -
avverso la sentenza n. 738/2011 della CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI
SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 15/12/2011; R.G.
71/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/05/2014 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito l'Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito l'Avvocato SECHI PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi
in via principale, in via subordinata rimessione, in via
pregiudiziale alla Corte di Giustizia sull'applicabilità del decreto
legislativo 368/01 per i contratti a termine stipulati dopo il 2000.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15.12.2011, la Corte d'appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari ha accolto per quanto di ragione l'impugnazione proposta dall'Azienda Trasporti Pubblici avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Sassari che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con R.D. e, riformando tale decisione, ha rigettato la domanda della lavoratrice volta alla conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine dichiarati nulli ed ha condannato l'azienda appellante al risarcimento del danno, liquidandolo in 2,5 mensilità dell'ultima retribuzione. La Corte ha ritenuto ancora operante nella fattispecie nei confronti degli enti territoriali, delle rispettive aziende e dei consorzi, di cui al D.L. n. 702 del 1978, art. 5, convenuto nella L. n. 3 del 1979, e al D.L. n. 153 del 1980, art. 8, convertito nella L. n. 299 del 1980, il divieto di conversione dei rapporti a termine nulli, ma nel contempo è pervenuta al convincimento che era meritevole d'accoglimento la domanda di risarcimento del danno in base ai principi affermati dalla Corte di Giustizia Europea con riferimento alle finalità dell'accordo quadro di protezione dei lavoratori dalla instabilità dell'impiego, utilizzando come criterio di liquidazione quello previsto dalla L. n. 183 del 2010. Per la cassazione della sentenza ricorre la lavoratrice con quattro motivi illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso l'Azienda Trasporti Pubblici che propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 702 del 1978, art. 5, conv. in L. n. 3 del 1979 (come mod. dalla L. n. 299 del 1980), anche con riferimento a quanto previsto dal suo comma 6, nonchè della connessa violazione della L. n. 142 del 1990, artt. 23 e 25.
Assume la ricorrente che l'Azienda Trasporti Pubblici (A.T.P.) è ente pubblico economico cui non si applica il divieto di conversione dei contratti a termine nulli, come affermato dal giudice di secondo grado, il quale avrebbe finito per creare un inammissibile tertium genus di contratti a tempo determinato quanto alle conseguenze, rispetto a quelli conosciuti, nel momento in cui ha ritenuto applicabile nella fattispecie una norma contenuta nel D.L. n. 702 del 1978, recante "disposizioni in materia di finanza locale" che impedisce la possibilità di conversione. Precisa il ricorrente che tale norma sancisce il divieto di conversione sino al 31 dicembre 1980 e non può essere applicata ai contratti stipulati successivamente al 2001, come nella specie. Rileva ancora che, anche nella denegata ipotesi in cui si ritenesse che il D.L. n. 702 del 1978, art. 5, fosse ritenuto tuttora vigente, la norma si riferirebbe esclusivamente agli enti pubblici e alle aziende e consorzi previsti dalla normativa vigente al momento della sua emanazione, ovvero a rapporti di pubblico impiego ai quali si poteva accedere esclusivamente a mezzo di concorso pubblico, pur senza ignorare che la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile la disciplina in esame anche alle aziende indicate dalla L. n. 142 del 1990, art. 23, stante la sussistenza di interessi pubblici rispetto alle loro attività.
Tale orientamento non è tuttavia condiviso dal ricorrente, tenuto conto dello statuto dell'A.T.P. che prevede la natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti del Consorzio, assunti in base ai principi della pubblicità delle procedure e dei risultati delle selezioni, della scelta di componenti delle Commissioni Giudicatici tra persone fomite di competenza tecnica od amministrativa specifica, dell'utilizzo per le selezioni o preselezioni anche di società specializzate (artt. 38 e 39 dello Statuto). Il ricorrente conclude sostenendo che, pertanto, la A.T.P. non era da considerare destinataria di una normativa che la obbligasse al concorso pubblico per l'assunzione del personale. Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 5, sesto, quindicesimo, diciassettesimo e diciottesimo comma d.l. 702/78 (conv. in L. n. 3 del 1979, come mod. da L. n. 299 del 1980) e del D.Lgs. n. 368 del 2001, (per la ritenuta mancata abrogazione del primo ad opera del secondo), nella parte in cui viene negata la conversione del contratto, dichiarato nullo nel termine, in contratto a tempo indeterminato, nonchè contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia costituito dal contenuto effettivo della statuto A.T.P. e dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso.
Assume la ricorrente che in modo contraddittorio la Corte d'appello ha ritenuto indiscutibile quanto statuito dal giudice di primo grado sulla qualifica di ente pubblico economico dell'A.T.P. e che inoltre, senza alcuna argomentazione, la stessa ha affermato che l'azienda è obbligata ad assumere con pubblico concorso, laddove è lo stesso Statuto a prevedere una particolare procedura. Peraltro, secondo il ricorrente, la giurisprudenza richiamata della Corte di Cassazione è tutta precedente al 2001, anno di rimodulazione della disciplina del contratto a termine alla luce della Direttiva CE 99/70; inoltre, il D.Lgs. n. 368 del 2001, disciplina i rapporti di lavoro a tempo determinato anche dei dipendenti pubblici, prevedendo per questi ultimi, in caso di contratti in violazione della Direttiva, una ipotesi risarcitoria effettiva e tale da costituire concreta dissuasione dalla ripetizione. Sostiene poi la ricorrente che la disciplina dei Comuni, Province, Consorzi e loro aziende di natura non economica, prima contenuta nel D.L. n. 702 del 1978, è stata abrogata prima dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, negli effetti sanzionatori e poi dal D.Lgs. n. 368 del 2001, nei requisiti di forma e tipologia contrattuale ed aspetti.
Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, primi due commi, disciplinano quindi, secondo le disposizioni dello stesso decreto, l'organizzazione degli uffici ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: per tali da intendere tutte le amministrazioni dello Stato, compresi istituti e scuole di ogni ordine e grado, istituzioni educative, aziende e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane e loro consorzi e associazioni, istituzioni universitarie, Istituti autonomi case popolari, camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale.
Pertanto l'A.T.P., quale ente pubblico economico, risulta espressamente esclusa dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. cit. dall'ambito applicativo del D.Lgs. n. 165 del 2001, dovendosi invece ritenere applicabile, quanto all'aspetto sanzionatorio, il D.Lgs. n. 368 del 2001, con la conversione dei contratti.
Secondo la Corte territoriale, resterebbero regolati dal d.l. 702/78 solo i contratti a termine degli enti pubblici locali di Comuni e Province, in contrasto con i principi di non discriminazione e del divieto imposto dalla giurisprudenza Europea di abuso di posizione dominante da parte di Autorità connotate da interessi pubblici nei confronti del pubblico dipendente. Sicchè, secondo la tesi difensiva, le L. n. 3 del 1979, e L. n. 299 del 1980, nella parte in cui disciplinano le assunzioni a termine degli enti pubblici economici dei Comuni, sarebbero state abrogate dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, in quanto incompatibili con tale legge.
Deduce infine la ricorrente ulteriore contraddittorietà di motivazione per la ritenuta concorrente applicabilità, insieme con il D.L. n. 702 del 1978, art. 5, della L. n. 230 del 1962, o del D.Lgs. n. 368 del 2001, ratione temporis, in realtà inconciliabili, con la conseguenza dell'istituzione di una terza categoria di lavoratori (rispetto alle due del privato e del pubblico) regolata da una disciplina priva di sanzione alcuna, in contrasto con la Direttiva CE 99/70, con sollecitazione a questa Corte, qualora non accedente alla prospettata abrogazione della normativa denunciata, quanto meno a disapplicarla per contrasto con detta Direttiva e l'Accordo Quadro 8 marzo 1999, ovvero a richiedere pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE in merito, a norma dell'art. 234 Trat. CE o a rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 702 del 1978, art. 5, (come successivamente convertito e modificato), con riferimento alle previsione dei D.Lgs. n. 165 del 2001, e D.Lgs. n. 368 del 2001, per violazione degli artt. 3, 4 e 24 Cost., art. 111 Cost., comma 2 (e art. 117, comma 1).
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione del principio di effettività del risarcimento danno e della conseguente falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, anche con riferimento a quanto previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, in quanto sostiene che l'applicazione della predetta norma del cosiddetto "Collegato lavoro" si basa sull'errore di non considerare che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, anche qualora ritenuto legge speciale non abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, non contiene la misura che possa evitare la successione dei contratti a tempo determinato e che comunque la sanzione del risarcimento del danno, che prescinde dalla conversione del contratto, è inidonea ad essere considerata "misura effettiva" di tutela nel rispetto della Direttiva CE 99/70. Al riguardo, la ricorrente sviluppa la tesi dell'abrogazione, per effetto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, del D.Lgs. n. 165 del 2001, in quanto detta norma (rubricata "Abrogazioni e disciplina transitoria") dapprima elenca una legge (n. 230/62) e due articoli di altre due leggi (L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, e L. n. 56 del 1987, art. 23) e quindi abroga in via generale tutte le disposizioni di legge comunque incompatibili. Ebbene, secondo la ricorrente, tra le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, e quelle inserite nel D.Lgs. n. 368 del 2001, non vi sarebbe compatibilità, in quanto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, mancherebbe la misura atta ad evitare la successione dei contratti a tempo determinato, ossia una misura effettiva, al di là della generica previsione del diritto al risarcimento del danno, di tutela del rispetto della Direttiva CE 99/70.
Sempre secondo tale tesi, non sarebbe poi chiaro il motivo per cui una legge speciale, quale il D.Lgs. n. 165 del 2001, possa escludere dall'applicazione di una direttiva Europea un settore (quello del pubblico impiego) destinatario anch'esso della Direttiva. Con la conseguenza, anche a ritenere non abrogato il D.Lgs. n. 165 del 2001, dal successivo n. 368/01, della necessità di disapplicarlo per contrasto con essa.
Con il quarto motivo del ricorso principale sono denunziati violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, artt. 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 c.c., nonchè vizio di motivazione della sentenza.
La ricorrente contesta la decisione dei giudici d'appello per avere riconosciuto, per applicazione analogica della L. n. 183 del 2010, art. 32, un risarcimento del danno in misura minima forfettaria senza ulteriore specificazione: priva di giustificazione, a suo dire, la limitazione del risarcimento del danno alla misura forfettaria indicata dal legislatore per tutto il periodo intercorrente tra la cessazione del rapporto e la sentenza dichiarativa della nullità del termine. Con inaccettabile posizione a carico del lavoratore delle conseguenze di durata abnorme e imprevedibile del processo e comunque in esorbitanza dal contesto previsionale dello ius superveniens, con palese violazione delle regole del giusto processo.
Con unico motivo A.T.P. denuncia, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa motivazione sul fatto decisivo ai fini della decisione della condanna al risarcimento dei danni ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sostenendo che i giudici del merito avevano dichiarato la nullità dei contratti solo in relazione alla genericità della motivazione indicata nella causale, quindi per un vizio di forma e non per l'accertamento di un eventuale utilizzo abusivo del contratto a termine, sicchè, in mancanza di abuso, non poteva riconoscersi alcun diritto al risarcimento del danno. L'impresa datrice rileva, infine, come il ricorrente fosse stato assunto a termine per essere impiegato come autista nelle more di espletamento di un pubblico concorso (bandito il 18 luglio 2002 e concluso nel luglio 2004) e, pertanto, in ipotesi nella quale il ceni del 27.11.2000 autorizzava l'apposizione del termine al contratto di lavoro.
I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati, per la loro intima connessione, derivante dalla convergenza nella comune censura di non corretta applicazione del D.L. n. 702 del 1978, art. 5, sotto i profili illustrati di violazione di legge e di vizio di motivazione.
Essi sono entrambi infondati.
Premesso il definitivo accertamento della nullità del termine ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per omessa censura del ricorrente della sua ritenuta violazione non soltanto formale, ma anche sostanziale (per difetto di prova della generica ragione indicata per l'assunzione a tempo determinato) ritenuta dalla Corte territoriale, reputa questa Corte che ai rapporti in esame non possa essere applicata la conversione a tempo indeterminato, in ragione del divieto posto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, e dell'operatività dell'art. 5, D.L. cit.. Ed infatti, la disciplina generale che regola l'assunzione del personale a termine da parte di province, comuni, consorzi e rispettive aziende, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. 2 maggio 2003, n. 6699;
16 settembre 2002, n. 13528; 17 dicembre 1999, n. 14262, 3 dicembre 1988, n. 6566; 1 giugno 1988, n. 3724; 26 febbraio 1988, n. 2059; 2 febbraio 1985, n. 696) è dettata dal D.L. n. 702 del 1978, art. 5, commi 15 e 17, conv. con mod. in L. n. 3 del 1979, che in particolare stabilisce che l'assunzione di personale straordinario da parte dei predetti enti possa avvenire per sopravvenute esigenze eccezionali e per un periodo non superiore a novanta giorni (nell'anno solare): con risoluzione di diritto del rapporto di lavoro al compimento del periodo e nullità, pure di diritto, dei provvedimenti di assunzione temporanea o di conferma in servizio adottati in violazione delle disposizioni dello stesso articolo.
La giurisprudenza richiamata precisa anche che la disciplina, in vigore a norma del D.L. n. 153 del 1980, art. 8, conv. in L. n. 299 del 1980, regola in modo completo ed esauriente l'assunzione del personale a termine da parte degli enti suindicati (pubbliche amministrazioni o imprenditori pubblici), così escludendo che le assunzioni temporanee effettuate dai medesimi siano soggette alla disciplina privatistica della L. n. 230 del 1962: con la conseguenza, in particolare, dell'insuscettibilità di conversione delle assunzioni temporanee in rapporti a tempo indeterminato, essendo per questi richiesto un concorso o una prova pubblica selettiva, salva, peraltro, l'applicabilità dell'art. 2126 c.c., sulle prestazioni di fatto eseguite in violazione di legge. Nè tale disciplina speciale viola alcun precetto costituzionale per ingiustificata disparità di trattamento in danno dei lavoratori assunti a termine dagli enti pubblici suddetti (economici e non), rispetto a quelli assunti da privati e tutelati dalla L. n. 230 del 1962. Il divieto di conversione in oggetto risponde, infatti, a criteri di ragionevolezza ed è ispirato alla tutela di superiori interessi pubblici generali, per la concorrenza delle esigenze di risanamento della finanza locale e del principio di imparzialità, stante l'obbligo di assumere il personale a mezzo di pubblico concorso. Sicchè, eventuali clausole di contratti collettivi di settore, nella parte in cui si dovessero interpretare nel senso di introdurre deroghe ai limiti posti dal D.L. n. 702 del 1978, art. 5, devono considerarsi nulle per violazione di norma imperativa.
Appare, quindi, irrilevante l'indagine in ordine all'applicabilità all'azienda di trasporti pubblici delle stesse norme, anche dei contratti collettivi, degli enti locali oppure delle aziende speciali, per la soggezione alla disciplina legale del lavoro a termine, valevole sia per le pubbliche amministrazioni, sia per gli enti pubblici imprenditori (Cass. 18 giugno 2010, n. 14773).
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Contrariamente a quanto preteso dal ricorrente, il D.L. n. 702 del 1978, art. 5, applicato dalla Corte territoriale non è stata implicitamente abrogato dalla successiva disciplina generale del D.Lgs. n. 368 del 2001, per il noto principio per il quale la legge posteriore generale non deroga a quella precedente speciale.
Invero, la legge speciale anteriore cede a quella posteriore generale soltanto in caso di abrogazione espressa oppure di contrasto tale da renderne giuridicamente impossibile la coesistenza (Cass. 6 giugno 2006 n. 13252; Cass. 20 aprile 1995 n. 4420).
Ma nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso di specie, per la diversità delle situazioni regolamentate dalle due normative aventi come destinatari soggetti diversi (il D.L. n. 702 del 1978, riguardando le assunzioni straordinarie da parte degli enti locali, delle loro aziende e dei loro consorzi, mentre il D.Lgs. n. 368 del 2001, il rapporto a termine nel settore privato): sicchè, non si pone la questione denunciata.
Nè appare conferente, ai fini dell'invocata disapplicazione del D.L. n. 702 del 1978, art. 5, il richiamo alle norme statutarie dell'azienda di trasporti (art. 38 sulla natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti del consorzio e art. 39, sulle modalità di assunzione del personale), in quanto esse non possono certamente consentire l'elusione dei divieti posti per le assunzioni straordinarie dalla disposizione di legge citata, che stabilisce anche la sanzione di nullità dei provvedimenti di assunzione in violazione.
Neppure si pongono i dubbi di incostituzionalità prospettati dal ricorrente, atteso che il meccanismo della conversione contrasterebbe con il principio costituzionale di instaurazione del rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni mediante concorso, a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 97 Cost., comma 1, D'altronde, la natura cogente della norma non consente eccezioni stabilendo, al comma 18, la nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea o di conferma in servizio, adottati in violazione delle disposizioni contenute nello stesso art. 5, dando pure luogo a responsabilità degli amministratori e anche dei segretari e dei ragionieri che abbiano firmato mandati di pagamento non fondati su atti validi.
Egualmente non si pongono dubbi in ordine alla compatibilità della norma speciale con le direttive CE: basti considerare la circostanza della ritenuta liceità dalla Corte Europea di Giustizia dell'utilizzo di più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel rapporto di lavoro pubblico, in deroga alla previsione che dispone la trasformazione a tempo indeterminato. Con la sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04 e C-180/04, essa ha infatti affermato la piena legittimità, in riferimento all'ordinamento comunitario, del D.Lgs. n. 165 del 2001 nella parte in cui ammette l'utilizzazione, per le pubbliche amministrazioni, di più contratti a termine con lo stesso lavoratore, senza loro trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, proprio come avviene nel settore privato, con la specificazione, tuttavia, in caso di rinnovo reiterato, della sola tutela risarcitoria in favore del lavoratore interessato. La stessa Corte Europea ha argomentato dalla necessità di salvaguardia del principio di accesso al pubblico impiego per selezione concorsuale, legittimamente derogabile in funzione di una miglior tutela del pubblico interesse, nei limiti di non manifesta irragionevolezza e da individuare per legge in casi eccezionali. Al riguardo, la Corte Europea di Giustizia (che nella sentenza 4 luglio 2006 aveva già affermato la violazione del diritto Europeo da una legislazione nazionale che vieti in maniera assoluta, solo nel settore pubblico, la trasformazione di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, a scopo di soddisfazione di bisogni permanenti o comunque durevoli del datore di lavoro, in un contratto a tempo indeterminato) ha precisato la necessità di previsione da parte di un ordinamento nazionale, che stabilisca norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato, di misure di effettiva tutela dei lavoratori per sanzionare debitamente gli abusi ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto Europeo. Ed infine, la Corte ha concluso per la compatibilità in linea di principio della vigente normativa italiana (diversamente regolante, nel senso detto, l'abuso della contrattazione a termine nel settore pubblico e in quello privato) con il diritto Europeo, in presenza di una misura effettiva di prevenzione e, se del caso, di sanzione dell'abuso da parte di un datore pubblico di lavoro: attualmente consistente nel diritto del lavoratore interessato ad una tutela risarcitoria.
Nel caso di specie, il D.L. n. 702 del 1978, art. 5, comma 18, è in linea con tali principi, per la previsione di nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea o di conferma in servizio in violazione delle disposizioni contenute nello stesso art. 5 e di responsabilità di amministratori, segretari e ragionieri firmatari di mandati di pagamento non fondati su atti validi.
Anche il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 32 L. 183/10, anche in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 8, per violazione del principio di effettività del risarcimento del danno, nel caso di non convertibilità del rapporto) è infondato.
Ribaditane la vigenza per la sua già affermata non implicita abrogazione per il noto principio, più sopra richiamato, secondo cui, in ipotesi di antinomia tra fonti di pari rango, "lex posterior generalis non derogat legi priori speciali" (Cass. 13 gennaio 2012 n. 392), il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, recita: "In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'art. 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, art. 5".
La norma è chiara e impedisce la costituzione in via di fatto di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, anche quando l'assunzione a termine presenti solo vizi di forma. E la previsione, come già anticipato, è stata ritenuta conforme a Costituzione (sentenza Corte cost. n. 89/2003) per il contrasto della conversione con il principio costituzionale di accesso al rapporto di pubblico impiego mediante concorso, a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento della P.A., a norma dell'art. 97 Cost., comma 1.
Questa Corte ha già avuto modo di notare in analogo precedente (Cass. 15 giugno 2010 n. 14350) che la regola posta dalla disposizione citata ("in ogni caso...") è categorica e non consente eccezioni di sorta. Nel caso di violazione di norme imperative regolanti i contratti di lavoro a tempo determinato, il lavoratore può eventualmente chiedere il risarcimento dei danni subiti alle amministrazioni, con loro obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, nelle ipotesi di dolo o colpa grave. Mai il lavoratore potrà, tuttavia, instaurare con l'amministrazione un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
D'altro canto, l'art. 36 cit. riproduce un principio da sempre vigente in materia di rapporti di pubblico impiego, più volte ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato 28 aprile 1994 n. 614), una volta investito della giurisdizione.
Occorre poi osservare come la giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità, sia costante nell'affermare che, in tema di assunzioni temporanee alle dipendenze di pubbliche amministrazioni anche per rapporti di lavoro in regime di diritto privato, debbano valere le discipline specifiche ostative alla costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (ribadite per disciplina generale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36), senza possibilità di applicazione della L. n. 230 del 1962: l'art. 97 Cost., che pone la regola dell'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha infatti riguardo alla natura giuridica non già del rapporto, ma dei soggetti, salva diversa disposizione normativa per casi eccezionali, con il limite di non manifesta irragionevolezza della discrezionalità del legislatore (Cass. 30 giugno 2011 n. 14435; Cass. 22 agosto 2006 n. 18276; Cass. 24 febbraio 2005 n. 3833;
Cass. 21 agosto 2013, n. 19371).
La Corte costituzionale, nel delineare le differenze tra normativa del settore pubblico e privato (la cui distinzione di regime sanzionatorio è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia: sentenza 1 ottobre 2010, causa C- 3/10, Affatato), ha rilevato, con la sentenza più sopra citata, che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione è quello, estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97 Cost., comma 3: norma che ha reso doverosa la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative, riguardanti l'assunzione dei lavoratori, conseguenze esclusivamente risarcitorie in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato, prevista, invece, per il lavoro alle dipendenze di privati.
Anche l'unico motivo di ricorso incidentale, da esaminare prima del quarto principale per evidenti ragioni di priorità logico-giuridica, è infondato.
Con esso, infatti, l'A.T.P. contesta in radice la sussistenza del diritto del lavoratore al risarcimento del danno, senza, peraltro, censurare la parte della decisione attraverso la quale la Corte territoriale ha condiviso quanto affermato dal primo giudice in merito al fatto che la stessa azienda non aveva fornito il minimo supporto probatorio alla generica ragione indicata per giustificare il ricorso alla tipologia del contratto a termine.
Sicchè, già sotto tale profilo la sua tesi difensiva, esclusivamente basata sull'asserita liceità del ricorso alle assunzioni temporanee ai sensi del D.L. n. 702 del 1978, art. 5, finisce per rivelarsi insufficiente.
In ogni caso, la prospettazione di A.T.P. si rivela infondata: se per un verso è, infatti, certo che la stessa potesse avvalersi della norma speciale che le consentiva di ricorrere a quel tipo di assunzioni temporanee, è d'altro canto pur vero che risultano violate nel caso di specie le prescrizioni dell'art. 5, commi 15 e 17, D.L. cit., per l'accertata insussistenza delle sopravvenute esigenze eccezionali - ritenute non specificate -, presupposto imprescindibile, cui è aggiunto il divieto di superamento della durata di novanta giorni di servizio nell'arco di un anno solare e di nuova assunzione prima dello spirare del termine di sei mesi dal compimento del periodo complessivo di impiego non superiore a novanta giorni nel corso dell'anno solare.
La loro inosservanza comporta, come si è ripetuto, la sanzione della nullità di diritto del provvedimento di assunzione e la responsabilità degli amministratori, oltre che dei segretari e dei ragionieri che abbiano firmato mandati di pagamento non coperti da atti validi.
Occorre però osservare che la stipulazione di un contratto di lavoro invalido è foriera, nel contempo, di conseguenze negative anche nei confronti del contraente più debole: nel senso della costrizione del lavoratore a far valere in via giudiziale, ai sensi dell'art. 2126 c.c., e con l'anticipazione dei relativi costi, le sue pretese economiche per la prestazione di fatto resa in forza di un rapporto considerato nullo ex lege. E del verosimile pregiudizio subito dal medesimo, in dipendenza del contratto nullo, anche sotto forma di perdita di chances, riconducibili alla impossibilità, ovviamente da provare, di fruizione di alternative occasioni di impiego nel periodo di svolgimento del lavoro temporaneo, prima dell'accertamento della sua invalidità.
Il quarto motivo va, invece, accolto.
Dalla accertata nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea in violazione dei limiti di legge (D.L. n. 702 del 1978, art. 5, commi 15 e 18) consegue la responsabilità di A.T.P. per inadempimento, a norma dell'art. 1218 c.c. e ss., nell'interpretazione ampia di violazione di obbligo (non già indifferenziato di neminem laedere, ma) preesistente posto dalla legge (Cass. 25 maggio 2006, n. 12445). In proposito, con riferimento ai contratti a termine stipulati dall'Amministrazione degli affari esteri, ai sensi della L. n. 49 del 1987, art. 12, (nei quali la stessa agisce con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, tramite atti e sequenze procedimentali di natura negoziale) e alla possibilità di rinnovo degli stessi, sottoposta dalla legge, pur nell'ambito dell'autonomia negoziale, al rispetto di regole procedimentali per la decisione di concludere il contratto (secondo quanto stabilito dal D.L. n. 543 del 1993, art. 4, conv. in L. n. 121 del 1994, per contratti in scadenza in periodi determinati), nel caso di violazione delle suddette regole procedimentali (atteso che i vincoli previsti dalla legge tutelano direttamente gli interessati, aventi diritto al puntuale rispetto delle obbligazioni strumentali rispetto all'utilità sperata del rinnovo del contratto), è stata ritenuta la ricorrenza di un inadempimento in senso tecnico, con conseguente responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. (Cass. 24 maggio 2005, n. 10904).
Ed in proposito, occorre pure tener conto del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (estensibile, per la ragione detta, all'adempimento degli specifici obblighi di comportamento stabiliti dalla legge), quale espressione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., che impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra e costituisce dovere giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dalla esistenza di specifici obblighi contrattuali o di espresse previsioni di legge: con la conseguenza della risarcibilità del danno derivato dall'inadempimento dovuto ad una tale violazione (Cass. 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass. 26 agosto 2008, n. 21250).
In particolare, la liquidazione del danno deve essere effettuata in base ai comuni principi posti dall'art. 1223 c.c. e segg., senza possibilità di ricorso, ingiustificato e riduttivo, operato in via analogica dalla Corte di merito, al sistema indennitario onnicomprensivo previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, per la diversa ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato.
A tale accertamento provvederà il giudice di merito in sede di rinvio, designato nella Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione.
Sicchè, in accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, respinti tutti gli altri e rigettato, altresì, il ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, a detta Corte, che si uniformerà al seguente principio di diritto: "Alle aziende di trasporti pubblici, se pure il loro statuto preveda la possibilità di assumere personale con una modulazione del rapporto di lavoro di natura privatistica, si applica la disciplina generale dettata dal D.L. n. 702 del 1978, art. 5, commi 15 e 17, convertito con modificazioni nella L. n. 3 del 1979, con esclusione della conversione dei rapporti da tempo determinato a tempo indeterminato.
Dalla accertata nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea in violazione dei limiti di tale legge discende l'applicazione dei principi di diritto comune in tema di responsabilità da inadempimento, che da diritto al risarcimento del danno, che non potrà essere commisurato all'indennità omnicomprensiva prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, per la diversa ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato".
PQM
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2014
08-08-2014 14:07
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