Violenze nei confronti di anziani proprietari di una villa veneta. Omicidio. Due rapinatori eseguono gli ordini del capo, per via telefonica in contatto dall’esterno dell’abitazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 - 17 luglio 2013, n. 30809
Presidente Marasca – Relatore Palla
Fatto e diritto
S.N. e B.A.G. , per i reati di concorso in duplice omicidio aggravato, violazione di domicilio e rapina, unificati ex art. 81 cpv. c.p., commessi in danno dei coniugi P.G. e C.L. , colpiti ripetutamente e seviziati nel corso di una rapina commessa in (omissis) , in concorso con L.A. (successivamente deceduto a seguito di suicidio avvenuto in carcere) e con altro soggetto rimasto non identificato, sono stati condannati dal G.u.p. di Treviso, all'esito di giudizio abbreviato, con sentenza in data 22.9.08, concesse al solo B. attenuanti generiche equivalenti, lo S. alla pena dell'ergastolo ed il B. a quella di anni venti di reclusione, oltre le pene accessorie di legge e la condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
Con sentenza 4.12.09, la 1^ Sezione della Corte di assise di appello di Venezia, esclusa per il solo B. l'aggravante di cui all'art. 61 n. 1 c.p. e ritenuta per il medesimo l'attenuante di cui all'art. 116 c.p., valutata, unitamente alle già concesse attenuanti generiche, con il criterio della equivalenza, confermava la pena inflitta ad entrambi gli imputati.
La 1^ Sezione penale di questa Corte, con sentenza 3.12.10, annullava con rinvio la sentenza di secondo grado limitatamente, per S.N. , alla valutazione della recidiva, delle circostanze aggravanti, delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, quanto al B. ribadendo il principio per cui l'aggravante di cui all'art. 61 n.4 c.p., essendo di natura soggettiva, non può ravvisarsi nell'ipotesi del concorso anomalo, con conseguente necessità di nuova rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
La 2^ Sezione della Corte di assise di appello di Venezia, con sentenza 29.2.12, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. di Treviso, esclusa l'aggravante di cui all'art.61 n.4 c.p., ha ridotto la pena inflitta al B. ad anni diciotto di reclusione, confermando la pena inflitta allo S..
Il difensore di S.N. , nel chiedere l'annullamento della sentenza del giudice di rinvio, premesso come la verità processuale sul fatto si sia formata in maniera frazionata, ha evidenziato nello specifico che il coimputato L. aveva in un primo momento dichiarato agli inquirenti di essere entrato nella villa - di proprietà dei coniugi D. e dove, in un edificio adiacente, abitavano i custodi della stessa, P.G. e C.L. - unitamente allo S. , per poi in un secondo momento, allorché era emersa chiaramente la falsità di una tale ricostruzione, nel corso di un nuovo interrogatorio affermare che lo S. non era entrato nella villa, ma gli aveva tuttavia impartito specifiche istruzioni, chiamandolo più volte sul cellulare, in ordine alle violenze cui dovevano essere sottoposte le vittime per costringerle a riferire l'esatta collocazione del denaro.
Il giudice di primo grado - prosegue la difesa del ricorrente - aveva quindi attribuito valore decisivo, per dimostrare la colpevolezza dello S. , anche alle dichiarazioni del B. e relative alla descrizione della negativa personalità di costui, soggetto dedito ad attività illecite quali lo sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droga e la perpetrazione di reati contro il patrimonio.
Anche in tale caso, tuttavia, tali circostanze erano risultate prive di riscontri e la sentenza di appello aveva mutato radicalmente il quadro probatorio, ritenendo assolutamente inattendibile il L. ed invece credibile il B. , secondo cui egli era stato informato dallo S. del progetto di fare una rapina insieme al L. , dopo avergli chiesto informazioni sui proprietari della villa, acconsentendo alla richiesta di mettergli a disposizione un'automobile che però avrebbe dovuto rimanere lontana dalla villa; che aveva appreso dallo S. che la sera del delitto questi aveva accompagnato il L. fino alla villa, lasciandolo là; che la notte della rapina aveva telefonato allo S. verso mezzanotte, avendo conferma della programmata azione delittuosa, richiamando successivamente verso le ore tre.
La Corte di secondo grado - prosegue il ricorrente - aveva così fatto riferimento alle dichiarazioni del B. con cui questi aveva ricostruito gli eventi della notte del delitto, su cui erano stati effettuati i riscontri, ma non anche alle dichiarazioni in ordine alla personalità dello S. e alle sue presunte attività illecite, precisando che gli esecutori materiali si erano trovati nella impossibilità di impossessarsi del denaro ed “in preda ad una violenta furia omicida, conseguente anche alla assunzione poco prima di sostanze stupefacenti, sottoponevano i corpi delle povere vittime...”, per cui era risultata certa l'estraneità di S.N. alla concreta realizzazione della condotta omicidiaria, i cui autori materiali erano stati il L. ed il suo ignoto complice, la responsabilità dello S. quale concorrente morale essendo stata dai giudici di secondo grado affermata per il rilevante numero di telefonate intercorse tra questi ed il L. , pur se di contenuto non noto, nel momento in cui venivano eseguiti gli omicidi, circostanza che costituiva un “serio elemento indiziante della partecipazione dello S. , seppur da lontano, alla brutale esecuzione”. La Cassazione, con la sentenza di annullamento, avevano però ritenuto che la telefonata di L. allo S. “ben poteva avere - più che incongrue finalità di richiedere chiarimenti tattici sul modus operandi della violenza in atto - la assai plausibile finalità di informare l'interlocutore sugli scarsi risultati informati vi... lo S. avesse esplicitamente o con il suo significativo silenzio rafforzato l'intento dei due aggressori... e da costui ricevendo o l'invito a concludere o, quanto meno, un silenzio eloquente della piena condivisione della condotta...ipotesi subito seguita da quella altrettanto ragionevole di una silenziosa e connivente acquisizione tramite le telefonate di informazioni sullo stato dell'aggressione”.
La Cassazione, quindi - secondo il ricorrente - aveva affermato che “il fatto” commesso dall'imputato rispetto all'accusa di concorso nel duplice omicidio era stato “il silenzio” e la Corte di rinvio avrebbe dovuto prendere in esame la concreta riferibilità delle aggravanti contestate allo S. , focalizzando l'attenzione sull'unico elemento di collegamento concreto tra questi e la scena del crimine, ovvero le telefonate intercorse con il L. la sera del delitto.
I giudici del rinvio, invece, avevano proceduto alla redazione di una sentenza che, per un verso, non aveva ottemperato al dovere di riempire il vuoto motivazionale rilevato dalla Cassazione e, sotto altro profilo, avevano operato un incredibile stravolgimento dei fatti, travisando la prova in ordine alla condotta dell'imputato oggetto di giudicato parziale, con riferimento alla ricostruzione del fatto, tanto da esordire con l'affermazione secondo cui L.A. era penetrato nel giardino della villa dei coniugi D. insieme con S.N. ed un terza persona rimasta sconosciuta, proseguendo con il riferire che tutti e tre “li avevano aggrediti...li avevano letteralmente torturati...avevano abbandonato il campo...”.
Ancora, i giudici del rinvio avevano sostenuto che “è certo che tutti e tre i protagonisti dell'aggressione fossero in preda agli effetti della droga”, laddove invece nessun dubbio poteva nutrirsi che a compiere le sevizie e le torture inferte ai coniugi P. erano stati solo il L. ed il suo ignoto complice, mentre lo S. , durante l'intero lasso temporale occorso ai due per introdursi nella villa, aggredire le vittime, compiere gli omicidi ed uscire dalla proprietà dei D. , si trovava presso la propria abitazione, e le telefonate intercorse tra le utenze cellulari in uso a S. e L. , coincidenti sotto il profilo temporale all'intervallo in cui materialmente venivano compiute le sevizie in danno delle vittime, erano risultate solo due, con durata pari, rispettivamente, a 119 e a 48 secondi.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art.606, comma 1, lett. e) c.p.p. per omessa e/o illogica motivazione in ordine alla sussistenza delle aggravanti contestate, il punctum dolens essendo rappresentato dall'assenza di qualsivoglia elemento in grado di far luce sull'effettivo contenuto di tali telefonate e la Cassazione, nella sua sentenza di annullamento, aveva parlato di una sorta di automaticità nell'attribuire la ricorrenza di dette circostanze che prescindeva dall'esplicitare le ragioni, specie sotto il profilo soggettivo, in grado di giustificarne la ricorrenza, ma la sentenza impugnata non aveva motivato sul punto ovvero aveva offerto una motivazione del tutto scollegata con il ruolo dello S. , non presente fisicamente durante la consumazione dei delitti.
Le affermazioni dei giudici di rinvio secondo cui sussistevano le aggravanti contestate erano solo mere formule di stile - lamenta la difesa dello S. - ed era evidente il fraintendimento da cui aveva preso le mosse il giudice di rinvio, descrivendo nella premessa di fatto lo S. alla stregua di un autore materiale del duplice omicidio e finendo così col redigere una motivazione in cui le aggravanti contestate erano poste a carico del predetto sulla base della loro riconducibilità obiettiva alla condotta materiale.
Era sfuggita ai giudici del rinvio - prosegue il ricorrente - la qualità soggettiva di concorrente morale di S.N. , che avrebbe dovuto comportare la motivazione in ordine alla configurabilità delle aggravanti prendendo spunto proprio dalle predette telefonate che rappresentavano l'unico collegamento tra le condotte realizzate all'interno della villa e lo S. e tenendo conto che questi rispondeva a titolo di dolo eventuale.
Era quindi necessario, con riferimento all'aggravante di cui all'art. 61 n.4 c.p., fornire la prova della riconducibilità causale di dette sevizie anche al concorrente morale, trattandosi di circostanza avente natura soggettiva ed in quanto tale applicabile solo con riferimento all'autore materiale della specifica condotta, anche in considerazione, nella specie, del particolare impeto che aveva accompagnato la realizzazione delle sevizie, avendo i giudici parlato di una violenta furia omicida conseguente all'uso di droga da parte del L. .
Quanto all'aggravante di cui all'art.61 n. 1 c.p., i giudici del rinvio avevano ritenuto che “...è da valutarsi come abietto il motivo della grave rapina che è la ragione per la quale viene commesso l'omicidio”, ma compito dei giudici era quello di individuare uno o più fatti che consentissero di accertare una condotta attiva caratterizzantesi nel senso dell'aggravante contestata, mentre l'unico legame probatorio era stato il silenzio colpevole serbato dallo S. durante le due telefonate ricevute.
Anche in ordine all'aggravante di cui all'art. 61 n. 5 c.p. - lamenta la difesa - la Corte di rinvio aveva omesso qualunque motivazione circa la riferibilità di essa allo S. , limitandosi a descrivere situazioni oggettive quali l'età delle persone offese, la collocazione della villa e l'orario di commissione dei fatti, senza peraltro considerare che le vittime erano persone sessantenni, che non versavano pertanto nella incapacità assoluta di difendersi, mentre la villa dei D. si trovava in pieno centro abitato.
Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) c.p.p., con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non emergendo dalla prima sentenza di appello che lo S. avesse procurato cocaina per sé e per i suoi complici né che la stessa fosse destinata ad aiutare chi ne avesse avuto bisogno a superare eventuali remore nell'esecuzione dei delitti. Inoltre, dalle stesse dichiarazioni del B. era risultato che la decisione di commettere il furto/rapina era maturata la sera stessa della realizzazione dei reati e la prima sentenza di appello aveva affermato che i due imputati avevano “aderito, nei modi e nelle forme precisate, ad un iniziale progetto di minore gravità”; non si era quindi trattato di una precisa preparazione ed esecuzione, e, quanto al ritenuto negativo comportamento processuale dello S. , la prima sentenza di appello aveva dato atto delle dichiarazioni parzialmente ammissive del predetto il quale aveva solo negato di essere stato informato, nel corso delle telefonate intercorse con il L. , di quanto quest'ultimo stava facendo all'interno della villa, ammettendo così la sua responsabilità circa l'adesione al reato progettato, ma negando di aver guidato la mano assassina di L. nel corso delle due telefonate.
Le attenuanti generiche - conclude la difesa del ricorrente - che erano state concesse al B. sul presupposto della sua collaborazione, erano state negate allo S. sul presupposto illogico di un suo comportamento non collaborativo.
B.A.G. deduce, con il primo motivo, violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. per avere la Corte di assise di appello, dopo aver riconosciuto la necessità di considerare prevalenti le attenuanti sulla residua aggravante dell'art. 61 n. 5 c.p., ritenuto congrua la pena base di anni 24 di reclusione in relazione al rilevante grado di partecipazione del B. ai gravissimi fatti contestati, consistito, secondo la Corte veneziana, nell'aver accolto ed ospitato nella sua abitazione lo S. , che sapeva essere persona pericolosa; nell'aver contribuito a procurare la droga; nell'aver indicato l'obiettivo della rapina che era la casa dei suoi datori di lavoro; nell'aver consentito l'uso dell'auto adoperata per l'esecuzione dei reati; nell'aver tentato di cancellare le tracce che riconducevano ai colpevoli, nella consapevolezza dei delitti perpetrati; nell'avere, infine, utilizzato il postamat sottratto alle vittime per prelevare il denaro.
Senonché - sostiene la difesa - l'aver ospitato lo S. era circostanza che poco aveva a che fare con l'omicidio poi commesso dal L. e non previsto dal B. , così come l'aver contribuito a procurare la droga, mentre le altre circostanze avevano rilevanza con il reato di rapina, ma non con quello di omicidio, mentre l'aver tentato di cancellare le tracce riconducenti ai colpevoli era comportamento intervenuto dopo la commissione dei delitti, dettato dalla paura di venire coinvolto in un reato gravissimo al quale non aveva partecipato.
I giudici di merito - lamenta ancora la difesa - non avevano considerato che l'imputato non aveva avuto alcuna partecipazione materiale agli omicidi, né morale in termini di istigazione o rafforzamento della volontà dell'esecutore materiale, la accertata responsabilità per concorso anomalo negli omicidi essendogli stata attribuita a titolo di colpa, mentre non erano state considerate la giovane età del B. (20 anni), la condotta di vita regolare del prevenuto, il quale, incensurato, svolgeva attività lavorativa a tempo indeterminato ed aveva una stabile dimora dove viveva assieme alla propria famiglia, tutti elementi favorevoli che, correttamente considerati, avrebbero dovuto influire sulla quantificazione della pena.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) c.p.p., con riferimento all'art.597, commi 3 e 4, c.p.p., in quanto, una volta esclusa l'aggravante ex art. 61 n. 4 c.p. ed affermata la necessità di considerare prevalenti le concesse attenuanti generiche e quella del concorso anomalo, i giudici del rinvio avevano disposto la riduzione di un anno e sei mesi per ciascuna attenuante, confermando l'aumento di sei anni per la continuazione con gli altri reati contestati, diminuzione esigua che aveva finito con il costituire una mascherata violazione del divieto di reformatio in pejus, dal momento che, venute meno due delle aggravanti contestate (artt. 61 n. 1 e 61 n.4 c.p.), poiché le attenuanti generiche erano state in origine riconosciute equivalenti alle tre aggravanti, il valore delle attenuanti avrebbe dovuto essere quanto meno pari a 2/3 della diminuzione massima consentita, che neutralizzava l'aumento per ciascuna aggravante.
Considerato quindi che la pena base era di 24 anni, si sarebbe dovuta effettuare una diminuzione di circa 5 anni, mentre la Corte di rinvio aveva ritenuto di effettuare una diminuzione di un solo anno e mezzo, commettendo inoltre l'errore di rapportate l'applicazione dell'arti 16 c.p. al reato di rapina, mentre il concorso anomalo era stato riconosciuto con riferimento al reato di omicidio ed era con riferimento a tale reato che andava parametrata la diminuzione di pena applicabile. Con il terzo motivo si deduce ancora violazione dell'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p., dal momento che, dovendo il divieto di reformatio in pejus riguardare non soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena, poiché nella specie il giudice di primo grado aveva comminato la pena di 20 anni di reclusione tenendo conto della sussistenza di tre aggravanti e di una sola attenuante, essendosi nel corso dei diversi gradi di giudizio aggiunta una attenuante con l'eliminazione di due aggravanti, il B. avrebbe avuto diritto a tre diminuzione di pena. Osserva la Corte che il ricorso di B. è manifestamente infondato. Quanto al primo motivo, va rilevato che la pena base per il reato di omicidio è stata dal giudice di rinvio determinata nella stessa misura di quella stabilita dal primo giudice (anni 24 di reclusione) e quindi, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 n.4 c.p. (quella di cui all'art. 61 n. 1 c.p. era già stata esclusa dal giudice di secondo grado), le attenuanti di cui agli artt. 116 e 62 bis c.p. sono state considerate con il criterio della prevalenza, nella misura complessiva di anni tre (e non di un anno e sei mesi, come ritenuto dal ricorrente) e l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. è stato quantificato negli stessi termini delle precedenti statuizioni.
La applicazione non nel massimo della riduzione possibile delle suddette attenuanti è stata motivata del tutto correttamente dal giudice di rinvio, il quale ha fatto riferimento, relativamente alle attenuanti generiche, ad un profilo collaborativo sostanziatosi allorché ormai nei confronti del B. sussistevano gravi elementi a suo carico, mentre, in relazione alla attenuante per il concorso anomalo, l'avere i giudici territoriali fatto riferimento “alla gravità della rapina voluta” altro non ha significato se non rimarcare che il B. aveva comunque prestato la propria adesione ad un reato concorsualmente voluto, di gravità tale, sotto il profilo anche dell'intensità del dolo, da non consentire la riduzione della pena nella misura massima consentita.
Non vi è stata pertanto alcuna violazione dell'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p., come paventata dalla difesa del ricorrente, nessuna violazione “mascherata” del divieto di reformatio in pejus essendosi avuta con la pronuncia in esame, avendo il giudice del rinvio operato una riduzione della pena inflitta al B. nei precedenti gradi del giudizio di merito, ottemperando al dictum della sentenza di annullamento e diminuendo la pena complessiva irrogata in misura corrispondente all'accoglimento dell'impugnazione (v. Cass., sez. I, 14 ottobre 2005, n.41982).
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinate in Euro 1.000,00.
Il giudice del rinvio non ha invece ottemperato, sia pure nei limiti di cui si dirà, al dictum della sentenza con cui questa Corte, in data 3.12.10, ha annullato la sentenza di appello con riferimento a S.N. .
Chiamata a pronunciarsi limitatamente all'insufficienza di motivazione in ordine alle doglianze prospettate dalla difesa dello S. in punto di recidiva, circostanze aggravanti, attenuanti generiche e trattamento sanzionatorio, la 2^ Sezione della Corte di assise di appello di Venezia, dopo aver ricostruito il fatto ritenendolo accertato in termini peraltro erronei che vedevano la presenza anche di S.N. , assieme a L.A. e al terzo ignoto complice, all'interno della villa dei coniugi D. , nell'evidenziare che le lesioni mortali erano state inferte dal L. e dallo sconosciuto che era con lui, ha individuato - in maniera del tutto contrastante con quanto in esordio affermato - la condotta colpevole dello S. “nell'avere egli accompagnato i due complici con la sua auto (intestata al B. ); nell'aver compiuto diversi passaggi davanti alla villa prima dell'esecuzione per accertare la situazione dei luoghi; nell'averli attesi in distanza ed anche e soprattutto nell'aver dato in continuazione (diverse telefonate tra lo S. ed il L. sono state individuate e registrate come avvenute in quel lasso di tempo) le direttive in ordine all'operazione da eseguire, comprendenti anche l'uso della violenza a lungo praticata al fine di strappare ai coniugi P. l'indicazione dell'ubicazione della cassaforte dei D. ”.
Senonché, la sentenza di annullamento - come anche rilevato dai giudici di rinvio - nell'accogliere il solo sesto motivo di ricorso della difesa di S. , ha censurato la motivazione della sentenza di secondo grado, che si è limitata ad “un laconico riferimento non esaustivo” riguardo alla valutazione della recidiva, delle circostanze aggravanti, delle attenuanti generiche e del trattamento sanzionatorio, senza che potesse neanche valere il richiamo alla motivazione del decisum del giudice di primo grado, in quanto “anch'esso viziato da totale automaticità di attribuzione”.
Ciò che veniva quindi chiesto al giudice del rinvio da parte della 1^ Sezione penale di questa Corte era di offrire una motivazione congrua alle doglianze con cui la difesa dello S. lamentava la riferibilità anche al predetto ricorrente delle aggravanti, nonché il trattamento sanzionatorio che ne derivava.
Orbene, la 2^ Sezione della Corte di assise di appello di Venezia, dopo aver correttamente escluso la recidiva contestata allo S. , in considerazione delle risultanze di cui al certificato del casellario giudiziale, ed aver altrettanto correttamente ritenuto sussistente - perché riferibile in termini oggettivi anche allo S. che aveva effettuato al riguardo sopralluoghi prima dell'intrapresa criminosa - la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n.5 c.p., essendo i reati stati commessi in tempo di notte approfittando anche di circostanze di luogo (villa privata situata all'interno di un ampio parco privato) tali da ostacolare la privata difesa, ha finito invece con il replicare il vizio da cui era affetta la sentenza impugnata attribuendo pressoché automaticamente al ricorrente le aggravanti di cui agli artt. 61 nn.l e 4 c.p..
I giudici del rinvio si sono infatti limitati, sul punto, a ritenere la oggettiva sussistenza delle aggravanti predette, facendo riferimento, per quanto riguarda quella dei motivi abietti, “al motivo della grave rapina che è la ragione per la quale viene commesso l'omicidio e, riguardo a quella di cui all'art. 61 n.4 c.p., alle crudeltà e sevizie adoperate dai responsabili materiali per infierire atrocemente sulle vittime quando erano ancora in vita”, senza però operare alcun riferimento soggettivo alla persona di S.N. , ma replicando quel 'laconico riferimento non esaustivo già censurato dalla Cassazione con la sentenza di annullamento.
Proprio per evitare quella “totale automaticità di attribuzione” con cui è stata censurata sul punto anche la sentenza di primo grado, non utilmente richiamabile quindi dal giudice del rinvio, la Corte di assise di appello, investita della rivalutazione delle circostanze aggravanti e del trattamento sanzionatorio, avrebbe dovuto individuare gli elementi in base ai quali riconoscere anche per S. sussistenti le aggravanti ora considerate.
Nel fare ciò, la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere in esame sì la condotta complessivamente tenuta dallo S. nel corso dell'azione criminosa, ma anche valutare l'apporto dato ad essa tenendo presente che l'imputato non era fisicamente sul posto mentre si compivano i gravissimi reati, onde individuare la ricorrenza in concreto anche per il prevenuto delle aggravanti di cui agli artt. 61 nn. 1 e 4 c.p..
Avrebbe al riguardo dovuto enucleare la condotta tenuta dall'odierno ricorrente, con particolare riferimento alla fase omicidiaria, e indicare, alla luce degli elementi probatori definitivamente accertati - e tenuto conto anche dei rilievi partitamente svolti sul punto dalla difesa dello S. - le modalità con cui si è estrinsecata, ex art. 110 c.p., quella condotta abietta connotata da sevizie e atrocità obiettivamente riscontrate dagli accertamenti necroscopici eseguiti sui cadaveri dei coniugi P. , posta in essere materialmente dal L.A. e dal suo sconosciuto complice, con eventuale ricaduta, in caso di esclusione delle due ricordate aggravanti, anche in termini di riconoscimento di attenuanti generiche e di ridimensionamento del trattamento sanzionatorio. L'impugnata sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con riferimento a S.N. , limitatamente alle aggravanti di cui agli artt. 61 n. 1 e 61 n.4 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia per nuovo esame.
Dichiara inammissibile il ricorso di B. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
18-07-2013 23:15
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