Viene trovato con un coltello con lama da 21 cm: si giustifica con l'idea che voleva suicidarsi. Per la Cassazione non è una scriminante.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 maggio – 31 luglio 2013, n. 33244
Presidente Giordano – Relatore Capozzi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29 febbraio 2012 la Corte d'appello di Palermo ha confermato la pena di giustizia inflitta a S.G. dal Tribunale di Agrigento con sentenza del 14 ottobre 2010 per la contravvenzione di cui all'art. 4 della legge n. 110 del 1975 (aver portato fuori della propria abitazione senza giustificato motivo un coltello con lama a scatto lunga cm.21).
2. Avverso detta sentenza della Corte d'appello di Palermo ricorre per cassazione S.G. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto motivazione illogica, in quanto il porto ingiustificato del coltello fuori della propria abitazione era stato da lui finalizzato alla volontà di suicidarsi lontano dalla propria abitazione, si che era da ritenere sussistente il giustificato motivo, in quanto l'attività di chi intendeva suicidarsi era da ritenere lecita, con conseguente sussistenza nella specie del giustificato motivo scriminante, non essendo punito nell'ordinamento vigente il tentativo di suicidio; pertanto il suicidio era da ritenere non illecito in sé, anche per le particolari condizioni in cui egli versava al momento del fatto, siccome affetto da grave disabilità e versando in condizioni economiche disastrose; il che era peraltro indice di una grave sua incapacità di intendere e volere, che avrebbe dovuto farlo mandare assolto dal reato ascrittogli.
Considerato in diritto
1. Il ricorso proposto da S.G. è infondato.
2.Conformemente invero a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non costituisce giustificato motivo, idoneo a scriminare la condotta del ricorrente di avere portato fuori della propria abitazione un coltello con lama lunga cm. 21, il proposito suicidiario da lui manifestato, essendo stata sua intenzione porre fine alla propria esistenza con detto coltello lontano dalla propria abitazione. Si osserva invero che il suicidio, pur non essendo punito in sé nel vigente ordinamento penale a titolo di tentativo, costituisce pur sempre una scelta moralmente non condivisibile, non giustificabile ed avversata dalla stragrande maggioranza dei consociati, a prescindere dalle loro convinzioni religiose e politiche, siccome contraria al comune modo di sentire, in quanto negatrice del principio fondamentale, su cui si fonda ogni comunità organizzata e costituito dal rispetto e dalla promozione della vita in ogni sua manifestazione.
3.Per gli stessi motivi appare pienamente condivisibile l'avere la sentenza impugnata negato al ricorrente l'attenuante del fatto di lieve entità, di cui all'art. 4 comma 3 seconda parte della legge n. 110 del 1975, essendo da ritenere non condivisibile, gravemente riprovevole e non liquidabile come fatto di lieve entità il proposito suicidiario manifestato dal ricorrente.
4. È infine del tutto generica ed aspecifica la censura addotta dal ricorrente riferita alla sua incapacità di intendere e volere al momento del fatto, non avendo addotto alcun elemento idoneo a supportare tale stato di incapacità, né potendosi essa automaticamente collegare alle sue disastrose condizioni economiche ed al suo stato di grave disabilità.
5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
02-08-2013 11:53
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