Un uomo viene sorpreso dai Carabinieri mentre urina sulla via pubblica, in vicinanza dell’Ospedale e di fronte a un bar. Il Guidice di Pace lo condanna. La Cassazione dice no.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre - 3 dicembre 2013, n. 48096
Presidente Squassoni – Relatore Gazzara
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 27/2/2013, il Giudice di Pace di Feltre ha dichiarato T.A. responsabile del reato ex art. 726 cod. pen., perché compiva atti contrari alla pubblica decenza, urinando sulla via pubblica, via (omissis) , e lo ha condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, con i seguenti motivi:
-violazione e mancata applicazione dell'art. 34, d.Lvo 274/2000, vista la particolare tenuità del fatto; peraltro, dovendosi tenere in considerazione l'assoluta impellenza dello stato di bisogno e la contestuale impossibilità di farvi fronte altrove;
-errata lettura delle emergenze processuali in relazione al luogo in cui si trovava il prevenuto.
Considerato in diritto
Va, in via preliminare, rilevato che non sussistono dubbi in ordine alla concretizzazione del reato in contestazione: l'imputato è stato sorpreso da una pattuglia dei Carabinieri nell'atto di urinare sulla via pubblica, in vicinanza dell'Ospedale Civile e di fronte al Bar Centrale.
La fattispecie, ex art. 726 cod.pen., si perfeziona nel momento in cui l'agente ha commesso un atto contrario alla pubblica decenza in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico; né le ipotesi disciplinate dal dettato codicistico richiedono, ai fini della loro configurabilità, che gli atti abbiano effettivamente offeso la pubblica decenza di un soggetto determinato, essendo sufficiente che altri abbiano potuto percepirlo.
Con il primo motivo di annullamento, la difesa dell'imputato eccepisce la violazione o l'erronea applicazione dell'art. 34, d.Lvo 274/2000.
La censura è fondata.
Osservasi che il d.Lvo 274/2000 è ispirato alla creazione di un diritto penale "mite", efficace, ma non ingiustificatamente afflittivo, e tendenzialmente votato alla ricomposizione del conflitto causato dalla commissione del reato; sicché il fatto di particolare tenuità risponde pure alla necessità di escludere una indifferenziata applicazione delle medesime sanzioni di un ampio ventaglio di condotte criminose concrete, tra loro graduabili, in una rinnovata visione dell'art. 3 Costituzione.
Pertanto, nel procedimento davanti al Giudice di Pace, la particolare tenuità del fatto, quale causa di improcedibilità, ex art. 34, citato decreto, è applicabile ad ogni tipologia di reato, purché sussistano le condizioni ivi previste (Cass. 23/11/2007, n. 43383).
Nel caso di specie, il Giudice di Pace di Feltre ha ritenuto di non dare corso ad una ipotesi di improcedibilità, ex art. 34, d.Lvo 274/2000, per l'assenza di una specifica persona offesa.
L'argomentazione motivazionale sul punto non è corretta.
Rilevasi che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, per l'applicazione del disposto dell'art. 34 non è necessaria la presenza di una persona offesa (Cass. 17/6/2003, n.25917); non sussiste un obbligo di motivazione esplicita in ordine a tutti gli elementi richiesti (Cass. 17/9/2004, n. 36757); ed è configurabile l'esercizio di un potere discrezionale, ma non arbitrario, non sindacabile se non nei limiti propri del giudizio di legittimità (Cass. 26/10/2004, n. 41702).
Orbene, appare, quindi non correttamente giustificato il rigetto della richiesta, formulata in via subordinata dalla difesa, di applicazione dell'art. 34, di tal che, questo Collegio ritiene di dovere annullare sul punto la pronuncia impugnata, affinché il giudice ad quem riesamini l'istanza de qua nell'ottica delle osservazioni, ut supra, svolte.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di Pace di Feltre, limitatamente alla applicabilità dell'art. 34, d.Lvo 274/2000; rigetta nel resto.
05-12-2013 00:10
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