Un Magistrato subentra nel ruolo di una collega e porta all’attenzione del Presidente del Tribunale una sorta di mala gestio del ruolo stesso: rinvii immotivati, istruttorie lacunose. Per il C.S.M. il Giudice che ha criticato la collega deve essere sanzionato perchè ha messo in “cattiva luce” l’altro Giudice.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 aprile - 22 luglio 2013, n. 17779
Presidente Rovelli – Relatore Petitti
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 111 del 2011, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura riteneva il Dott. L.B.L. responsabile dell'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, per avere violato i doveri generali di correttezza ed equilibrio e per aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti della Dott.ssa S..L.I. , giudice nel medesimo ufficio. In particolare, il Dott. L.B. era stato incolpato in quanto, nell'autorelazione indirizzata al Consiglio giudiziario di Catania nel corso del procedimento relativo alla sua prima valutazione di professionalità, in un provvedimento di riorganizzazione del suo ruolo civile del 12 novembre 2008 (atti per loro natura destinati alla conoscenza di terzi) e in una missiva indirizzata in data 20 gennaio 2009 al presidente della sezione civile del Tribunale di Siracusa, aveva svolto ripetutamente aspre ed ingiustificate critiche in ordine alla professionalità della Dott.ssa L.I. , precedente titolare dei medesimi ruoli di cognizione e di esecuzione, addebitandole una mala gestio degli stessi; l'incapacità di organizzarli; una sorta di stagnazione del ruolo; la concessione di rinvii immotivati; l'adozione di prassi istruttorie lacunose ed altri simili inconferenti giudizi. In tal modo il Dott. L.B. aveva travalicato le proprie esigenze di organizzazione, mettendo ripetutamente in cattiva luce la collega di fronte ai capi degli uffici, al Foro ed al personale di cancelleria.
Avverso questa sentenza il L.B. proponeva ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte. Con sentenza n. 6327 del 2012, le Sezioni U-nite rigettavano i due motivi di ricorso aventi ad oggetto la sussistenza dell'illecito e accoglievano invece il motivo concernente la mancata valutazione della possibile applicabilità, nel caso di specie, dell'esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, affermando il seguente principio di diritto: “in tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, la previsione di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, secondo la quale l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, ed impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell'incolpato, purché strettamente attinenti allo stesso; il giudizio negativo al riguardo, anche implicito, è soggetto al sindacato delle Sezioni Unite ed il vizio dedotto è riscontrabile allorché gli elementi di fatto acquisiti siano giudicati potenzialmente idonei a condurre ad una soluzione di segno positivo”.
In particolare, le Sezioni Unite rilevavano, con riferimento al caso di specie, che potevano costituire indici rivelatori della "scarsa rilevanza" del fatto addebitato al Dott. L.B. sia la sostanziale unitarietà del comportamento (attinente alla medesima unica vicenda), sia la circostanza che il giovane magistrato - peraltro alle prime funzioni -, nella missiva indirizzata al presidente della sezione civile del Tribunale, aveva riconosciuto la "inopportunità" del proprio "sconveniente" comportamento e la incongruità del giudizio espresso sulla collega.
In sede di rinvio, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto insussistenti le condizioni per poter applicare l'esimente di cui all'art. 3-bis, in considerazione di una valutazione complessiva della condotta del magistrato, caratterizzata da una offensività "difficilmente negabile", risultante tanto dalle dichiarazioni dello stesso magistrato espresse in talune sue missive (quella del 20 gennaio 2009 al Presidente della Sezione Civile del Tribunale di Siracusa, già menzionata, e quella al Presidente della Terza Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Catania, del 14 gennaio 2010), quanto dalla "inevitabile eco pubblica, presso il Tribunale e gli avvocati civilisti del Foro di Siracusa" che le dichiarazioni offensive del Dott. L.B. avevano avuto.
Avverso questa sentenza, il Dott. L..L.B. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.
L'intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo, si denunzia la violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen., ai sensi degli articoli 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e 360, n. 3, cod. proc. civ., perché, in sede di rinvio, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura non avrebbe potuto procedere ad integrare il fatto così come accertato nella sentenza precedente, ma avrebbe dovuto applicare il principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione con rinvio alla fattispecie già definita. Ad avviso del ricorrente, invece, la Sezione disciplinare, nella impugnata sentenza, avrebbe escluso l'applicabilità della scriminante di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 sulla base di elementi nuovi o, comunque, non facenti parte del fatto così come accertato nella sentenza cassata. Quindi la Sezione disciplinare, lungi dal conformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza delle Sezioni Unite, avrebbe compiuto sostanzialmente un nuovo accertamento, precluso in considerazione della natura chiusa del giudizio di rinvio.
1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione del principio di correlazione fra l'imputazione contestata e la sentenza, con conseguente nullità della stessa (articoli 521, 522 cod. proc. pen.), ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui la Sezione disciplinare ha attribuito rilevanza decisiva ad un fatto e ad un atto non contenuti nella contestazione, al fine di escludere la scarsa rilevanza del fatto addebitato. Il ricorrente lamenta la lesione del proprio diritto di difesa, sotto il profilo della conoscenza completa degli addebiti mossi, poiché la Sezione disciplinare avrebbe fondato il proprio convincimento, nel senso di affermare nuovamente la sua responsabilità disciplinare, sulla base di un atto ed un fatto estranei alle originarie contestazioni avverso le quali l'incolpato aveva predisposto le proprie difese. In particolare, il ricorrente si duole perché la decisione risulta fondata sulla missiva al Presidente della terza sezione della Corte d'assise d'appello di Catania, del 14 gennaio 2010 (l'atto nuovo) e sulla eco pubblica, presso il Tribunale e gli avvocati civilisti del Foro di Siracusa delle offese asseritamente esternate dal ricorrente (fatto nuovo).
Col presente motivo di ricorso il ricorrente ribadisce di voler censu-rare esclusivamente la nullità della sentenza, senza addentrarsi nel merito delle contestazione dei profili testé richiamati in quanto nuovi e non soggetti a contestazione per la prima volta nel giudizio di rinvio (né a fortiori nel giudizio di legittimità).
1.3. Con il terzo motivo, il Dott. L.B. denuncia la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione sul punto concernente l'esclusione della applicazione dell'art. 3 bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.. Il ricorrente si duole del fatto che la Sezione disciplinare non abbia tenuto in alcuna considerazione gli elementi del fatto in base ai quali si sarebbe dovuta inferire l'applicazione della scriminante, così come indicati dalle Sezioni Unite in sede di cassazione con rinvio. Invero, i giudici di legittimità avevano espressamente indicato, nella sentenza n. 6327 del 2012, alcuni aspetti che, se tenuti in debita considerazione, avrebbero dovuto indurre, a giudizio del ricorrente, la Sezione disciplinare a ritenere sussistente la esimente. E rispetto ai passi della motivazione dedicati all'analisi di tali elementi, ai fini della applicabilità della scriminante di cui al citato art. 3 bis, il ricorrente lamenta i seguenti profili: carenza di motivazione in ordine alla giovane età del magistrato, perché la Sezione disciplinare nulla avrebbe detto in ordine a tale elemento, pure indicato nella sentenza di rinvio; contraddittorietà della motivazione in merito all'unitarietà del comportamento addebitato al Dott. L.B. , perché la Sezione disciplinare, contraddicendo se stessa, avrebbe, ad un tempo, riconosciuto l'unitarietà del comportamento dell'incolpato (indicata anche nella sentenza di cassazione con rinvio), per poi affermare, in una proposizione immediatamente successiva, la suddivisione dello stesso in diversi episodi; la contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione in merito al riconoscimento da parte del Dott. L.B. dell'inopportunità del proprio comportamento e della incogruità del giudizio espresso sulla collega, perché la Sezione Disciplinare avrebbe, anche in base all'atto e al fatto nuovi di cui sopra, invece, affermato l'impossibilità di trarre un "convincente pentimento" del magistrato, rispetto alla sua pregressa condotta, contrariamente a quanto rilevabile ictu oculi dalla lettura dai documenti di cui in causa e da quanto affermato nella sentenza n. 6327 del 2012.
2. Il ricorso è infondato e va quindi rigettato.
2.1. Occorre premettere che la sentenza di queste Sezioni Unite n. 6327 del 2012, nell'accogliere il secondo motivo del ricorso, proposto ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen. e dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e cioè per violazione di legge, ha affermato il principio di diritto in base al quale “in tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, la previsione di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, secondo la quale l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, ed impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell'incolpato, purché strettamente attinenti allo stesso; il giudizio negativo al riguardo, anche implicito, è soggetto al sindacato delle Sezioni Unite ed il vizio dedotto è riscontrabile allorché gli elementi di fatto acquisiti siano giudicati potenzialmente idonei a condurre ad una soluzione di segno positivo”.
La formulazione del principio nei termini ora riportati comporta che la violazione di legge, e cioè l'error in iudicando, è stata riscontrata con riguardo alla mancata valutazione, da parte della sezione disciplinare, della possibilità di applicare l'esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, non solo nei casi in cui il connotato della gravità costituisca e-lemento costitutivo dell'illecito contestato, ma anche nei casi in cui della detta applicazione l'incolpato non abbia fatto richiesta. La cassazione della sentenza n. 111 del 2011 della Sezione disciplinare è poi avvenuta nella parte in cui è stata implicitamente disconosciuta la scarsa rilevanza del fatto come possibile ragione di non configurabilità dell'illecito.
In tal modo, è stata rimessa alla sezione disciplinare la valutazione delle circostanze di fatto dalle quali sarebbe potuta discendere l'applicazione dell'esimente di cui al citato art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006.
Trova quindi applicazione il principio per cui “la pronuncia di Cassazione per errore in iudicando, con enunciazione del principio di diritto cui il giudice di rinvio deve uniformarsi, non vincola il giudice medesimo in ordine alle circostanze che siano meramente ipotizzate, in via narrativa, da detta enunciazione, atteso che una preclusione al riesame si verifica solo con riguardo ai fatti che quel principio presupponga come pacifici o già accertati in Sede di merito” (Cass. n. 2660 del 1989). In sostanza, “il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato, ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati della sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza della Corte di Cassazione, la cui portata vincolante è limitata all'enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell'ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale” (Cass. n. 9690 del 2003; Cass. n. 18087 del 2007).
2.2. Occorre altresì ricordare che la previsione di cui al citato art. 3-bis, secondo cui l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, “vale ad escludere l'illecito disciplinare ogni qual volta la fattispecie tipica si sia realizzata ma, per particolari circostanze, anche non riferibili all'incolpato, il fatto non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico a tutela del quale un determinato comportamento è stato in astratto considerato dal legislatore idoneo ad integrare l'illecito stesso (si vedano, al riguardo, Cass., S.U., n. 7943 del 2013; Cass., S.U., n. 5943 del 2013; Cass., S.U., n. 25091 del 2010; Cass., S.U., n. 15314 del 2010).
Ciò comporta che il giudice disciplinare deve tenere conto di tale circostanza anche d'ufficio, quando la scarsa rilevanza emerga dai fatti acquisiti al procedimento, prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata; e comporta altresì che il giudizio negativo espresso al riguardo, anche implicito, è soggetto al sindacato delle sezioni unite, ove sia viziato da un errore d'impostazione giuridica (si veda, in tal senso, Cass., n. 6327 del 2012, cit.), oppure sia motivato in modo insufficiente o illogico, ancorché un'esplicita motivazione può non risultare necessaria se neppure lo stesso incolpato la abbia sollecitata prospettando la scarsa rilevanza dell'infrazione ascrittagli (Cass., S.U., n. 14665 del 2011).
Resta però che la valutazione, in concreto, dell'idoneità di un determinato comportamento a ledere il bene giuridico protetto dalla norma violata, e perciò ad assumere rilevanza disciplinare, è compito esclusivo del giudice di merito, ossia della Sezione disciplinare, e che a tale valuta-zione la Suprema Corte non può dunque sovrapporre la propria (Cass., S.U., n. 7943 del 2013, cit.).
3. Tanto premesso, il Collegio ritiene che le censure proposte non meritino accoglimento.
3.1. Non la prima, atteso che, come rilevato, la cassazione della sentenza n. 11 del 2011 della sezione disciplinare non precludeva al giudice di rinvio di procedere ad un'autonoma valutazione delle circostanze di fatto emergenti dagli atti del procedimento; con la precisazione che, contrariamente a quanto ipotizzato dal ricorrente, la detta valutazione non poteva ritenersi limitata all'esame delle sole due circostanze evidenziate nella sentenza di cassazione con rinvio quali "indici rivelatori" della scarsa rilevanza del fatto. Peraltro, quand'anche così fosse stato, certamente la Sezione disciplinare non poteva ritenersi vincolata nell'attribuzione a quelle circostanze della efficacia scriminante pretesa dal ricorrente.
Ben poteva, quindi, la Sezione disciplinare, in sede di rinvio, esaminare tutte le circostanze risultanti dagli atti ritualmente acquisiti al fascicolo procedimentale, e quindi anche esaminare elementi di fatto, ulteriori rispetto a quelli considerati nella sentenza n. 6327 del 2012, idonei a connotare il fatto in termini di non rilevante gravità.
Nessuna preclusione vi era, quindi, a che la Sezione disciplinare considerasse, ai fini della propria determinazione in ordine all'applicabilità della esimente, sia il fatto che le aspre critiche rivolte dall'incolpato alla collega che lo aveva preceduto nella gestione dei ruoli avessero avuto una inevitabile eco pubblica presso il tribunale e gli avvocati civilisti del foro di Siracusa, sia il fatto che il riconoscimento, da parte del giovane magistrato, della inopportunità del proprio comportamento e della incongruità del giudizio espresso sulla collega, era accompagnato, nella medesima lettera del 20 gennaio 2009 contenente il detto riconoscimento, dalla espressione del convincimento di avere fatto bene a denunciare taluni specifici comportamenti; convinzione, questa, poi ribadita nell'autorelazione del 4 maggio 2009 e nella relazione in data 14 gennaio 2010. Né può sostenersi che la Sezione disciplinare non abbia tenuto conto degli "indici rivelatori" evidenziati nella sentenza di questa Corte, atteso che, segnatamente della giovane età e della inesperienza del magistrato incolpato la stessa ha dato atto, con la precisazione che tuttavia la rilevanza del fatto come accertato appariva incompatibile con l'applicazione dell'esimente.
In sostanza, la Sezione disciplinare ha dato conto delle circostanze valutate con motivazione immune da vizi logici o giuridici e caratterizzata da evidente completezza e idoneità dimostrativa delle ragioni per cui l'illecito contestato, e accertato nella sua oggettività, non potesse essere qualificato in termini di scarsa rilevanza.
3.2. Non meritano accoglimento neanche le censure prospettate nel secondo motivo, atteso che la violazione del principio di correlazione fra incolpazione e sentenza risulta denunciata in modo non appropriato. In realtà, nel caso di specie, la valutazione demandata alla Sezione disciplinare non aveva ad oggetto l'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare contestato, atteso che con la medesima sentenza n. 6327 del 2012 erano stati rigettati i motivi di ricorso rivolti proprio avverso l'affermata responsabilità dell'incolpato in ordine all'illecito contestato, ma unicamente la valutazione della applicabilità o no della esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006. In questa diversa prospettiva non si pone un problema di corrispondenza tra contestazione e sentenza, atteso che la descrizione degli elementi costitutivi dell'illecito disciplinare nella contestazione non era certamente in discussione, tanto che sul punto nessuna censura era stata proposta nel ricorso avverso la sentenza n. 111 del 2011 della Sezione disciplinare. Oggetto di valutazione era invece il fatto nella sua gravità, ai fini della verifica della possibilità di applicare l'esimente; venivano quindi in rilievo elementi che non dovevano necessariamente essere contenuti nella contestazione disciplinare, essendo in proposito sufficiente che fossero stati ritualmente acquisiti al fascicolo del procedimento disciplinare.
3.3. Non meritano, infine, condivisione le censure svolte nel terzo motivo con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata.
Si è già rilevato che la valutazione, in concreto, dell'idoneità di un determinato comportamento a ledere il bene giuridico protetto dalla norma violata, e perciò ad assumere rilevanza disciplinare, è compito esclusivo del giudice di merito, ossia della Sezione disciplinare, e che a tale valutazione la Suprema Corte non può dunque sovrapporre la propria. Si è anche detto della completezza e della coerenza della motivazione della sentenza impugnata, nonché del fatto che nessuna preclusione vi era a che la Sezione disciplinare prendesse in esame - ai fini dell'accertamento delle condizioni di applicabilità dell'esimente - tutti gli elementi significativi a tal riguardo, purché già acquisiti agli atti, e non solo quelli esaminati dalla precedente sentenza poi cassata.
Si deve solo rilevare che impropriamente il ricorrente denuncia la mancata considerazione, da parte della Sezione disciplinare, della sua giovane età e della sua inesperienza, atteso che a tali elementi nella sentenza impugnata vi è un riferimento, anche se, nell'incensurabile apprezzamento della Sezione disciplinare, gli stessi sono stati ritenuti recessivi rispetto ad altri elementi ritenuti non irragionevolmente né implausibilmente significativi della gravità del fatto. Del pari, del tutto infondatamente il ricorrente lamenta la mancata valutazione in termini unitari della condotta, assumendo che la Sezione disciplinare, dopo aver riconosciuto la detta unitarietà, avrebbe poi proceduto alla suddivisione dell'illecito in diversi episodi. Dalla sentenza impugnata emerge, infatti, chiaramente come la unitarietà della condotta non sia stata posta in discussione, essendosi la Sezione disciplinare limitata a prendere in considerazione tutti gli elementi della fattispecie quali acquisiti al fascicolo del procedimento e ad accertare sulla base degli stessi se il fatto, unitariamente apprezzato, potesse essere considerato disciplinarmente non rilevante, pervenendo ad una conclusione negativa.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non vi luogo a provvedere sulle spese non avendo l'intimato Ministero svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
25-07-2013 22:18
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