Un ingegnere che scrive su riviste periodiche articoli il cui contenuto è tecnico non è giornalista.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 settembre – 17 ottobre 2013, n. 23580
Presidente Petti – Relatore Frasca
Svolgimento del processo
p.1. Con sentenza del febbraio 2007 il Tribunale di Ancona - investito in riassunzione per rimessione ai sensi dell'art. 354 c.p.c. disposta dalla Corte d'Appello di Ancona, in ragione del rilevato difetto di integrità del contraddittorio riguardo al giudizio di opposizione, introdotto dall'ingegner L.T.C. nel luglio del 2004, ai sensi dell'articolo 63 della legge n. 69 del 1963, avverso la deliberazione del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti n. 1439 del 7 maggio 2004, con la quale, confermandosi la delibera del Consiglio regionale delle Marche del giugno 2003, era stata rigettata la sua domanda di iscrizione nell'elenco dei pubblicisti - accertava e dichiarava la sussistenza dei requisiti di legge in capo al predetto e pertanto la sua idoneità ad essere iscritto nell'albo dei giornalisti, elenco pubblicisti.
Sull'appello del Consiglio Nazionale la Corte di Appello di Ancona, con sentenza dell'11 settembre 2007, confermava la sentenza del Tribunale di Ancona.
La Corte anconetana così motivava: “osserva la Corte che, nella presente fattispecie, occorre fare anzitutto chiarezza sul fatto che l'ordinamento di settore distingue tra giornali e periodici in senso stretto (i cui direttori debbono necessariamente rivestire la qualità dei giornalisti professionisti iscritti nell'apposito albo, a meno che non si tratti di giornali o periodici a carattere politico o di partito, nel qual caso - in deroga alla regola riguardante appunto i giornali quotidiani o periodici - il relativo direttore non necessita della predetta iscrizione), e le pubblicazioni (non a carattere di mera occasionalità) che siano diverse da quelle consistenti in giornali quotidiani o periodici, e consistano in riviste tecniche, professionali o scientifiche, per le quali la funzione di direttore può essere svolta anche da un non iscritto nell'albo dei giornalisti. Da un lato, dunque, si ha la categoria dei giornali quotidiani o periodici (il cui direttore deve essere iscritto all'albo dei giornalisti, salvo solo che - pur sempre trattandosi della categoria di giornali o periodici, essi siano politici o di partito), dell'altro lato invece si distingue la categoria delle pubblicazioni a carattere di vista tecnica o scientifico, che è categoria ontologicamente diversa da quella dei giornali o periodici, e per la quale la funzione di direttore (con tutte le sue annesse prerogative) non presuppone il requisito della iscrizione all'albo dei giornalisti. In entrambi i casi, la posizione del direttore responsabile - quali che siano i suoi requisiti a seconda dell'appartenenza all'uno o all'altra categoria - è la stessa, ossia è una funzione di garanzia nei confronti del pubblico, ed, identica essendo, per una o per l'altra categoria, tale funzione di garanzia deve intendersi ovviamente identico ogni potere correlato, compreso quello di giustificare l'attività svolta dai collaboratori, ove ciò si renda necessario ai fini della documentazione del lavoro svolto ai fini della iscrizione negli albi di competenza. E quindi senz'altro infondato l'assunto del consiglio dell'ordine secondo cui, nella specie, poiché il direttore della rivista tecnico scientifica cui il richiedente collaborava è un direttore responsabile non giornalista, egli mancherebbe del potere certificativo sull'attività svolta dal collaboratore, e questi non potrebbe quindi documentare la attività costituente requisito per la iscrizione: come sopra si è detto, tutti i poteri, anche certificatori (in senso lato), connessi con la posizione di direttore responsabile, risalgono alla indifferenziata posizione di garanzia del direttore responsabile, quali che siano (a seconda delle anzidette distinte categorie tipologiche di pubblicazioni) i requisiti previsti per la assunzione della predetta posizione di garanzia, nell'una e nell'altra categoria di pubblicazioni sopra richiamate. A parte ciò, va detto che, nel caso di specie, il problema della certificazione del lavoro svolto dal collaboratore della rivista scientifica, ai fini della anzidetta iscrizione, è un problema che neppure si pone, poiché, come giustamente rilevato dal primo giudice, la certificazione in questione è richiesta solo laddove gli articoli, da allegarsi alla domanda, non siano firmati dall'autore, non essendo invece richiesta alcuna certificazione di paternità allorquando gli articoli siano (come nella specie) firmati doli 'autore, che la paternità risulti dunque dal testo stesso delle pubblicazioni. Neppure è oggettivamente contestato [o] smentito il fatto che le predette pubblicazioni fossero state remunerate, come pure previsto quale ulteriore requisito delle pubblicazioni valutabili ai fini della predetta iscrizione”.
p.2. Avverso la sentenza il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti ha proposto ricorso per cassazione contro L.T.C. , notificando il ricorso al Consiglio Regionale dei Giornalisti delle Marche e al Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma.
p.3. Al ricorso ha resistito con controricorso il L.T. .
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "violazione del combinato disposto degli altri 1, 26, 28, 35 e 46 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 con riferimento all'attribuzione al direttore responsabile di pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o scientifico dei poteri di certificazione di cui agli artt. 31, 34 e 35 della legge n. 69/63 e dell'art. 34, d.P.R. n. 115/65".
p.1.1. A sostegno del motivo si osserva in primo luogo che era ed è dato pacifico, sia che il L.T. aveva redatto i suoi articoli (come aveva dedotto nel ricorso introduttivo della lite) sulle pubblicazioni (OMISSIS) e (OMISSIS) , testate registrate dall'editore presso la cancelleria del tribunale come riviste a carattere tecnico-professionale, sia che, proprio per siffatta natura delle pubblicazioni, non giornalistica, l'editore aveva ottenuto di indicare come direttore responsabile una persona non iscritta all'albo professionale dei giornalisti, bensì - siccome si dava parimenti atto nel detto ricorso introduttivo - nell'apposito elenco speciale di cui all'art. 28 della l. n. 69 del 1963.
Dopo di che si ricorda la definizione del pubblicista che da l'art. 1 della l. n. 69 del 1963 e si argomenta che l'art. 26 di essa prevede che presso ogni consiglio dell'ordine regionale o interregionale siano tenuti nell'albo due elenchi, l'uno per i giornalisti professionisti e l'altro per quelli pubblicisti. Si evidenzia, quindi, che l'art. 46 della legge dispone che il direttore e il vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o di un'agenzia di stampa siccome indicati dall'art. 34, primo comma, della legge debbono essere iscritti nell'elenco dei giornalisti professionisti, salvo quanto stabilito dal successivo art. 47 della legge stessa e, quindi, si ricorda che Corte cost. n. 98 del 1968 dichiarò illegittima la norma nella parte in cui escludeva che quelle figure potessero essere iscritte anche all'albo dei pubblicisti. Da tanto si fa discendere che secondo il disposto per come integrato dalla Consulta “la direzione dei giornali deve essere necessariamente affidata a persone iscritte all'Albo dei giornalisti, siano essi professionisti o pubblicisti” e ciò con l'unica eccezione prevista dal successivo art. 47, per la direzione dei quotidiani o periodici che siano organi di partiti o movimenti, per i quali si prevede che la direzione possa essere affidata ad un soggetto non iscritto all'albo (il quale viene provvisoriamente iscritto nel primo caso all'albo dei professionisti e nel secondo a quello dei pubblicisti), ma condizionatamente alla nomina di un vicedirettore che sia giornalista professionista, cui competono le attribuzioni degli artt. 31, 34 e 35 della legge professionale, o - per i periodici - che sia giornalista pubblicista, cui competono le attribuzioni dell'art. 35.
Sulla base di tali riferimenti normativi si sostiene che da essi si evincerebbe che soltanto un iscritto all'albo come professionista o pubblicista potrebbe esercitare le funzioni di cui all'art. 31, 34 e 35 della legge professionale, tanto che, quando, come nel caso dell'art. 47 il direttore responsabile è soggetto non iscritto all'Albo, si esige che esse siano affidate a giornalista iscritto quale vicedirettore responsabile.
Si sottolinea, poi, che anche il secondo comma dell'art. 46, sempre in tema di direzione dei giornali, con riferimento alle pubblicazioni periodiche e alle agenzie di stampa che non abbiano le caratteristiche di cui al primo comma dell'art. 34, esige che direttore e vicedirettore siano iscritti all'albo come professionisti o pubblicisti, mentre fa salvo quanto dispone l'art. 28 per le riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico.
Si sottolinea che tale eccezione sarebbe giustificata perché tali ultime pubblicazioni non avrebbero carattere giornalistico, come, del resto, si evincerebbe dalla stessa precisazione del medesimo art. 28 che consente la loro direzione - con iscrizione in un elenco speciale - ad un soggetto che non esercita l'attività giornalistica.
Si assume, quindi, che integrando la previsione dell'affidamento della direzione in tal caso a soggetto non svolgente attività giornalistica una fattispecie del tutto speciale, le norme che la legge professionale riferisce poi alla figura del direttore responsabile di pubblicazioni giornalistiche e, quindi, anche quelle degli artt. 31, 34 e 35 non potrebbero essere considerate applicabili ad essa, come confermerebbe la circostanza che, là dove la legge ha previsto che la direzione sia affidata ad un non giornalista, come nel caso delle pubblicazioni di natura politica o sindacale, ha poi disposto che quelle funzioni spettino ad altro soggetto. Da tanto si argomenta che, non avendo nel caso dell'art. 28 previsto alcunché in punto di spettanza di quelle funzioni, se ne dovrebbe desumere che “il legislatore ha [...] voluto escludere del tutto che per tali tipi di pubblicazioni non giornalistiche potessero avvenire delle iscrizione al'Albo dei giornalisti o nel Registro dei praticanti”.
Delle emergenze della prospettata interpretazione sistematica, che si dice accolta da una sentenza di merito, della cui motivazione si riportano ampi stralci, la Corte territoriale non avrebbe tenuto alcun conto.
Si adduce ulteriormente a conforto di detta esegesi che, del resto, l'iscrizione in un elenco speciale dei direttori responsabili di pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o scientifico risponderebbe esclusivamente alle prescrizioni di cui agli artt. 3 e 5 della legge sulla stampa n. 47 del 1948, cioè sarebbe funzionale ad identificare il soggetto responsabile pur non giornalista come gravato degli obblighi di cui a quella legge e dei relativi risvolti civili e penali.
Si insiste, quindi, nel sostenere la tesi che, nel caso di rivista a carattere tecnico, professionale o scientifico di cui abbia la direzione un soggetto non iscritto all'albo e, quindi, un "non giornalista" in alcun modo a costui potrebbero competere le funzioni ed i poteri certificativi di cui agli artt. 31, 34 e 35 della l. n. 69 del 1963.
p.1.2. Si argomenta, in fine, che con la prospettazione svolta non si vuole sostenere che la legge n. 69 del 1963 escluda “che ci possano essere dei periodici ad argomento tecnico, professionale o scientifico di natura divulgativa-giornalistica, ma in tal caso al momento della registrazione della testata deve essere indicata la natura giornalistica della pubblicazione e come direttore responsabile un giornalista professionista o pubblicista” e si deduce che nel caso di specie le due pubblicazioni contenenti gli scritti del L.T. erano state invece registrare come pubblicazioni di carattere tecnico, professionale o scientifico, di modo che lo stesso editore aveva escluso la loro natura giornalistica ed aveva indicato come direttore responsabile un soggetto non iscritto all'Albo, tanto che il Consiglio dell'Ordine competente aveva iscritto il medesimo nell'albo speciale dell'art. 28.
E, del resto, lo stesso L.T. aveva definito nel suo ricorso in primo grado le due riviste con cui aveva collaborato come “rivolte a ben definito settore tecnico”. Né nel corso del giudizio egli aveva dedotto e meno che mai provato la natura divulgativa delle stesse e la loro destinazione in via non esclusiva agli operatori del settore.
Per tali complessive ragioni si sostiene che correttamente l'iscrizione del L.T. era stata rifiutata per difetto dei requisiti, in quanto il direttore delle riviste su cui egli aveva fatto le pubblicazioni non aveva i poteri di cui agli artt. 31, 34 e 35 della legge professionale.
§2. Con il secondo motivo si deduce "violazione dell'art. 35 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 con riferimento al requisito indispensabile per l'iscrizione all'elenco pubblicisti della certificazione dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l'attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni, certificazione che non può essere rilasciata dal direttore responsabile ex art. 28 legge professionale e che non va confusa con quella prevista dall'art. 34 d.P.R. n. 115/65".
Vi si impugna la parte finale della motivazione della sentenze impugnata, là dove, argomentando dall'art. 34 del detto d.P.R. ha desunto che nella specie la certificazione del direttore delle riviste non sarebbe stata necessaria, in quanto gli articoli prodotti erano tutti firmati dal L.T. .
p.3. Il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso sia fondato e che il suo accoglimento determini l'assorbimento del secondo e che, di seguito, si evidenzi la sussistenza delle condizioni che permettono di decidere nel merito sull'appello del qui ricorrente con il suo accoglimento e, dunque, la riforma della decisione di primo grado con declaratoria di rigetto del ricorso del L.T. contro il provvedimento denegatorio della sua iscrizione all'albo dei c.d. pubblicisti.
p.3.1. Le ragioni che giustificano l'accoglimento del primo motivo sono le seguenti.
È dato di fatto pacifico che nel caso di specie l'attività asseritamente avente i caratteri dell'attività legittimante il L.T. all'iscrizione nell'albo dei pubblicisti e le stesse pubblicazioni presentate sono state effettuate su due pubblicazioni di carattere tecnico, come risulta dal contenuto dell'atto introduttivo del giudizio in primo grado, che è stato evocato con la riproduzione dei due passi relativi citati alle pagine 10 e 21 del ricorso del L.T. e con l'indicazione in calce al ricorso per cassazione della produzione di detto ricorso, il che costituisce corretto adempimento del requisito di ammissibilità di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c., norma costituente il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza.
È pure dato incontroverso che la direzione di quella rivista fosse attribuita ad un soggetto iscritto soltanto nell'elenco speciale di cui all'art. 28 della l. n. 69 del 1963, cioè di “coloro che, pur non esercitando l'attività di giornalista, assumano la qualifica di direttori responsabili di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico, esclusi quelli sportivi e cinematografici” e, quindi, non iscritto all'albo professionale né come giornalista professionista né come pubblicista.
p.3.2. Il problema che questa Corte è chiamato a risolvere, al di là della questione consequenziale dell'esistenza in capo ad un direttore responsabile iscritto nel detto elenco speciale (come quello che rilasciò la certificazione presentata dal L.T. ), è, a monte, quello della possibilità, nel sistema della legge n. 69 del 1963, che l'esercizio del diritto soggettivo di ottenere, ricorrendo i requisiti di cui all'art. 35 di essa, l'iscrizione all'albo nell'elenco dei pubblicisti possa competere ad un soggetto che esibisca pubblicazioni su “periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico” e alleghi lo svolgimento di una “attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni” esclusivamente su un periodico o su una rivista di quella natura.
Detto problema, che non consta essere stato mai esaminato da questa Corte (si veda, tuttavia, Cass. sez. lav., n. 28519 del 2008, che ha esaminato un caso in cui si rivendicava l'applicazione della disciplina contrattuale giornalistica ad una rivista tecnica, problematica nella quale l'accertamento sulla effettività o meno della natura della rivista obbedisce alle logiche proprie del diritto del lavoro, diverse da quelle che rilevano in questa sede nel rapporto fra soggetto che rivendica un'iscrizione e l'ordine che gliela rifiuti), dev'essere risolto in senso negativo sulla base delle seguenti considerazioni.
p.3.3. Va innanzitutto rilevato che la legge n. 69 del 1963 non offre una definizione di attività giornalistica, ma definisce solo dal punto di vista del modo di svolgimento due figure soggettive di giornalista e lo fa nel suo articolo 1, il quale, dopo avere, nel suo primo comma, “istituito l'Ordine dei giornalisti”, precisa nel secondo che “ad esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo” e, quindi, nel terzo e nel quarto comma, senza dare una definizione in senso oggettivo dell'attività, definisce le due figure dicendo che “sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista” e che “sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi”. Il successivo quinto comma, nel disporre che “le funzioni relative alla tenuta dell'albo, e quelle relative alla disciplina degli iscritti, sono esercitate, per ciascuna regione o gruppo di regioni da determinarsi nel Regolamento, da un Consiglio dell'Ordine, secondo le norme della presente legge”, palesa che l'attribuzione delle funzioni relative alla tenuta dell'albo e di quelle relative alla disciplina, cui poi è dedicata la successiva normativa, sono quelle riferibili all'albo ed agli iscritti per come individuati dai commi precedenti e, dunque, alle figure dei professionisti e dei pubblicisti.
Tanto evidenzia che nelle norme successive l'interprete è tenuto ad adottare un criterio di esegesi, alla stregua del quale le norme che disciplinano quelle funzioni sono riferibili - in mancanza di diverso disposto - a quelle due figure.
p.3.4. Il successivo art. 2, nel disporre in punto di diritti e doveri de giornalisti, peraltro, contiene elementi che in modo indiretto evidenziano indici che sono da considerare ai fini della definizione dell'attività giornalistica, quali i concetti di “libertà di informazione e di critica”, nel quale si pongono in primo piano l'una e l'altra, e quello di “verità sostanziale dei fatti”. Tali concetti suggeriscono che il profilo della attività giornalistica, non diversamente di quanto avverte l'uomo comune, è la vocazione a realizzare l'informazione sui fatti ed a farlo rispettando i criteri di verità ed adoperando l'esercizio della critica, cioè di una valutazione, secondo tutti i parametri di giudizio cui si prestano, per il loro modo di essere, da parte dell'uomo.
L'eco del rilievo di detti indici si coglie in affermazioni giurisprudenziali che offrono una definizione dell'attività giornalistica e ciò soprattutto, ma non solo, ai fini della rilevanza in funzione della individuazione del lavoro giornalistico.
Si è così statuito che “Per aversi prestazione giornalistica e pubblicistica, il contenuto del mezzo espressivo adoperato (giornale, radio, televisione ecc) deve riassumere i requisiti dell'informazione dell'opinione come oggetto di comunicazione e conoscenza interpersonale. Deve, quindi, avere contenuto di libera formazione e valutazione dei fatti e concetti esposti, rispondere a verità sostanziale nei limiti della buona fede e della lealtà, avere come limite il rispetto delle opere poste a tutela della personalità altrui, ed essere destinata ad un numero indeterminato di lettori ed ascoltatori. Non costituisce, pertanto, prestazione giornalistica la redazione di un notiziario destinato esclusivamente agli uffici della RAI e costituito da una elencazione di dati di produzione, con un brevissimo riassunto della trama e del contenuto dei programmi” (Cass. n. 5665 del 1979; successivamente: Cass. n. 3309 del 1985).
Con ancora più puntuale specificazione si è detto: “Per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento ed alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione; il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale fra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, nel senso, cioè, che sua funzione è quella di acquisire esso stesso la conoscenza dell'evento, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei destinatali dell'informazione e confezionare quindi il messaggio con apporto soggettivo ed inventivo; ai fini dell'individuazione dell'attività giornalistica assumono poi rilievo la continuità o la periodicità del servizio, del programma o della testata, nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l'attualità delle notizie trasmesse, in ordine alle quali si rinnova quotidianamente l'interesse della generalità dei lettori, differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione”. (Cass. n. 1827 del 1995).
La giurisprudenza della Sezione Lavoro anche di recente si ispira a criteri non diversi, affermando che “Costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisirne la conoscenza, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatali e predisporre il messaggio con apporto soggettivo e creativo, ed assumendo rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l'attualità delle notizie e la tempestività dell'informazione, che costituiscono gli elementi differenziatori rispetto ad altre professioni intellettuali e sono funzionali a sollecitare l'interesse dei cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli di attenzione per la loro novità”. (Cass. n. 23625 del 2010; da ultimo, Cass. n. 17723 del 2011). La stessa giurisprudenza della Sezione Lavoro ha da tempo precisato che nel profilo dell'attività giornalistica rientrano non le sole attività che secondo il senso comune si esprimono nel risultato finale della stampa, ma anche quelle che contribuiscono a realizzare tale risultato con efficacia di determinazione della notizia, sicché si è affermato che “Costituisce attività giornalistica - intesa come prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione - l'attività svolta dal grafico il quale, mediante l'espletamento di attività inerenti la progettazione e la realizzazione della pagina di giornale come la collocazione del singolo pezzo giornalistico e la scelta delle immagini e dei caratteri tipografici con i quali lo stesso viene riportato sulla pagina, esprime - pur nell'eventuale presenza delle scelte e delle indicazioni degli autori degli articoli e del direttore - un personale contributo di pensiero ed una valutazione sulla rilevanza della notizia, valutazione rapportata ad un giudizio sulla idoneità del fatto ivi riferito ad incidere sul convincimento del lettore, in ciò differenziandosi dall'attività del poligrafico il cui contributo si esaurisce nella mera trasposizione grafica della notizia da comunicare”. (Cass. n. 5926 del 2008; anteriormente, fra tante, Cass. n. 5126 del 2004).
Nella giurisprudenza della stessa sezione lavoro si coglie anche la definizione dell'oggetto dell'attività informativa, là dove si precisò che “per attività giornalistica - i cui connotati tipici, per la rilevanza pubblicistica (con riflessi costituzionali) di essa (art. 21 cost.), vanno desunti in via primaria dalle norme di legge in materia e non già dalla disciplina collettiva, ancorché di questa non possa disconoscersi l'efficacia integrativa - deve intendersi quella prestazione di lavoro intellettuale, della sfera della espressione originale o di critica rielaborazione del pensiero, la quale, utilizzando il mezzo di diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare ad una massa [in]differenziata di utenti idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai campi più diversi della vita spirituale, sociale, politica, economica, scientifica e culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunta da valutazione critica, essa, pertanto, si differenzia nettamente dalle altre prestazioni, connesse ad un determinato mezzo di diffusione, siano esse soltanto tecniche ed esecutive o anche, sebbene intellettuali, di semplice collaborazione ed organizzazione amministrativa” (Cass. n. 625 de 1982, la cui massima è qui corretta con la sostituzione alla parola "differenziata" della parola "indifferenziata", che, come ebbe a notare Cass. n. 352 del 2002, era corrispondente all'effettività del principio di diritto affermato, ancorché anche sentenze successive non l'abbiano avvertito: si vedano Cass. n. 330 del 1986 (evocata da Cass. n. 352 del 2002) e Cass. n. 6083 del 1997, ma non già Cass. n. 3525 del 1985, n. 1358 del 1983, che usano correttamente la parola "indifferenziata").
L'oggetto dell'attività informativa viene definito, come si vede, come la comunicazione “ad una massa indifferenziata di utenti [di] idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai campi più diversi della vita spirituale, sociale, politica, economica, scientifica e culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunta da valutazione critica”.
È palese, peraltro, che tale oggetto, per rimanere nell'ambito di un'attività giornalistica deve venire in rilievo come funzionale a sua volta ad un'attività di comunicazione, nel senso che l'idea, la convinzione, la nozione attinente ai campi indicati non rileva come tale, cioè nella sua dimensione elaborativa, bensì perché la si vuole comunicare. In pratica, non è l'attività di esposizione dell'elaborazione del convincimento spirituale, di una dottrina politica, di una dottrina economica, di una qualsiasi dottrina scientifica a poter diventare di per sé attività giornalistica, essendo essa espressione necessaria di argomentazione intellettuale, ma è l'esposizione del risultato dell'elaborazione che può eventualmente connotarsi come attività giornalistica se l'intento espositivo sia di comunicare il risultato dell'elaborazione ad un pubblico più o meno indifferenziato come un "fatto".
È da ritenere, dunque, che bene possano esistere periodici o riviste o altri mezzi espressivi riconducibili al concetto lato e moderno di attività giornalistica, i quali abbiano connotazione tecnica, scientifica,economica, spirituale, ma a condizione che assuma in esse prevalenza la finalità informativa nel senso ora detto.
p.3.5. Tanto premesso, si rileva che la l. n. 69 del 1963, nell'istituire all'art. 26 l'albo dei giornalisti, prevede anche due elenchi corrispondenti alle due figure di attività giornalistica di cui all'art. 1, quello dei professionisti e quello dei pubblicisti, di modo che secondo tale norma, si ha conferma di quanto si evinceva già dal predetto art. 1, cioè che è giornalista, id est esercente attività giornalistica, chi è professionista o pubblicista.
Il successivo art. 28, peraltro, prevede degli elenchi speciali per i giornalisti stranieri e per “coloro che, pur non esercitando l'attività di giornalista, assumano la qualifica di direttori responsabili di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico, esclusi quelli sportivi e cinematografici”. Il secondo comma della norma stabilisce, poi, che “quando si controverta sulla natura della pubblicazione, decide irrevocabilmente, su ricorso dell'interessato, il Consiglio nazionale dell'Ordine”. Tale norma suppone, dunque, che il Consiglio nazionale dell'Ordine valuti la natura della pubblicazione, cioè se essa ha carattere tecnico, professionale o scientifico e, dunque, possa essere diretta da un soggetto che nel compiere tale attività non è esercente attività giornalistica.
La norma non dice espressamente che l'attività esercitata per il tramite di periodici e riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico non ha natura giornalistica, ma, evidentemente, se dice che l'attività di chi la dirige e, perciò, viene iscritto nell'apposito elenco, non è esercizio di attività giornalistica, evidenzia implicitamente, ma necessariamente, che chi si esprime con le sue pubblicazioni nel periodico o nella rivista a sua volta non può a sua volta essere considerato esercente un'attività giornalistica e ciò per un argomento logico: se l'attività di direzione del periodico o della rivista non è giornalistica non si comprende come l'oggetto della direzione, che non è altro che l'attività che si esprime con le pubblicazioni che compaiono sul periodico o sulla rivista e di cui il direttore assume la responsabilità, potrebbe rivestire carattere giornalistico. D'altro canto, il successivo art. 46, con le integrazioni che ha avuto da parte di Corte cost. n. 98 del 1968 prevede che la direzione e la vicedirezione dei "giornali" - espressione usata dalla rubrica che abbraccia come rivelano le specificazioni del primo e secondo comma, tutti i mezzi di esercizio dell'attività giornalistica, cioè sia quelli identificati dal primo comma dell'art. 34 della legge (un quotidiano, o il servizio giornalistico della radio o della televisione, o un'agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinali, o un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari), sia tutte “le altre pubblicazioni periodiche ed agenzie di stampa” - debbano essere affidate ad un giornalista professionista o pubblicista iscritto negli appositi elenchi, con le uniche due eccezioni dell'ipotesi dell'art. 47, relativa al giornalismo politico o sindacale, e di quella dell'art. 28.
p.3.6. La legge n. 69 del 1963, tuttavia, nell'art. 47 disciplina un'ipotesi nella quale non è dubitabile che si sia in presenza di pubblicazioni nelle quali si svolge attività giornalistica, sia perché in esso si parla di “giornale quotidiano o di altra pubblicazione periodica”, sia perché - se vi fosse bisogno di ulteriore conferma - la vicedirezione deve - con le integrazioni disposte dalla Corte costituzionale, che non hanno alterato il senso della norma, ma l'hanno reso ulteriormente coerente con il dettato costituzionale - essere affidata ad una figura di esercente formale l'attività giornalistica, cioè a un giornalista professionista o ad un giornalista soltanto pubblicista. D'altro canto, ricorrendo le condizioni di cui alla legge sulla stampa, la norma prevede che siffatta figura di direttore non iscritto all'albo dei giornalisti debba essere iscritto provvisoriamente nell'albo, cioè o nell'elenco dei professionisti o in quello dei pubblicisti, il che evidenzia che l'attività della pubblicazione è giornalistica, come, del resto, è conforme al senso comune per la comunicazione politica o sindacale, e che non la si tratta come quella normale per evidenti ragioni di assicurazione del massimo spazio all'attività politica e sindacale.
La stessa norma, poi, conferma ulteriormente l'inserimento della "stampa" politico-sindacale nell'ambito dell'attività giornalistica, là dove affida al vicedirettore e, dunque, al professionista o pubblicista che deve obbligatoriamente assumere la vicedirezione, “le attribuzioni di cui agli artt. 31, 34 e 35 della presente legge” e quelle “di cui all'art. 35 della presente legge”, le quali sono connesse all'espletamento ed alla successiva rilevanza di attività di pratica giornalistica finalizzata alla consecuzione del titolo di giornalista professionista e di quella giornalistica finalizzata alla consecuzione del titolo di pubblicista.
p.3.7. Ora, a differenza di quanto appena rilevato per l'ipotesi della "stampa" politica e sindacale, che chiaramente conferma come attraverso di essa si eserciti attività giornalistica, nessuna disposizione è prevista che, a proposito dell'ipotesi delle pubblicazioni cui allude l'art. 28, quelle di natura tecnica, professionale o scientifica, possa suggerire - di contro alla chiara collocazione al di fuori di essa, che come s'è già detto è desumibile dallo stesso art. 28, per il fatto che la direzione è assunta da un non giornalista - che eventualmente anche l'attività che si esercita con tali pubblicazioni possa rivestire natura giornalistica agli effetti delle disposizioni della legge speciale.
Vi è semmai un ulteriore elemento normativo che da conferma della collocazione di dette pubblicazioni al di fuori di ciò che è attività giornalistica ed esso si desume dall'art. 48 della legge, che, nell'individuare coloro che sono sottoposti al poter disciplinare dei consigli dell'ordine, fa riferimento a “gli iscritti nell'albo, negli elenchi o nel registro [dei praticanti: art. 33 della legge]” e non anche agli iscritti negli elenchi speciali di cui all'art. 28, il che palesa che i giornalisti esteri ed i direttori non esercenti attività giornalistica di riviste tecniche, scientifiche o professionali non sono soggetti al potere disciplinare: la circostanza, mentre per i primi si giustifica per evidenti ragioni collegate al loro non essere cittadini, per i secondi non può che spiegarsi con il e dipendere dal carattere non giornalistico della loro attività e, quindi, della pubblicazione che dirigono.
Semmai, ma non è questa la sede per approfondire, ci si può domandare se, stante l'espressa previsione dell'ultimo comma dell'art. 47 nel senso che “resta ferma la responsabilità stabilita dalle leggi civili e penali, per il direttore non professionista, iscritto a titolo provvisorio nell'albo”, ancorché costoro siano iscritti provvisoriamente negli elenchi dei professionisti o pubblicisti, non si debba ritenere che anche per essi vada esclusa la responsabilità disciplinare.
p.3.8. In forza delle considerazioni svolte si deve ritenere che i periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico dei quali assuma la direzione responsabile un soggetto che non è giornalista professionista o pubblicista si collochino del tutto al di fuori del sistema della l. n. 69 del 1963 e, quindi, della disciplina dell'attività giornalistica.
Ne discende che l'attività di pubblicazione su riviste del genere non può essere considerata attività oggettivamente giornalistica.
p.3.9. Va rilevato a questo punto che la stessa legge professionale, là dove contempla le norme in base alle quali può conseguirsi il titolo di giornalista professionista e l'iscrizione all'albo ed al relativo elenco (artt. da 29 a 34) ed una norma (art. 35) che regola le modalità di acquisizione del titolo di giornalista pubblicista e l'iscrizione all'albo ed al relativo elenco, prevede che un'attività oggettivamente giornalistica possa compiersi proprio da chi vuole conseguire l'uno o l'altro titolo e, quindi, necessariamente da chi non riveste una delle due figure di cui all'art. 1 della legge, ma all'evidenza esige che tale attività debba compiersi:
a) nel primo caso presso una pubblicazione che deve rivestire i caratteri indicati dall'art. 34, primo comma, cioè “presso un quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un'agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinali, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinali”;
b) nel secondo caso, che è quello che qui interessa, tramite scritti su pubblicazioni che sono definite dall'art. 35 come “giornali e periodici”.
Ora, nel primo caso non è dubbio che il mezzo su cui avviene la pratica sia necessariamente un mezzo nel quale si esprime (o si dovrebbe esprimere) oggettivamente attività giornalistica.
Nel secondo caso, che i giornali e periodici, cui si fa riferimento, si debbano identificare necessariamente in una pubblicazione che abbia ad oggetto un'attività oggettivamente giornalistica e non possa essere rappresentata da un periodico o rivista a carattere soltanto tecnico, scientifico o professionale si evince sia dalla successiva precisazione circa la necessità della certificazione del direttore della pubblicazione che comprovi una “attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni” e, dunque, un'attività oggettivamente riconducibile non al concetto generico di "pubblicazione", ma a quello specifico di pubblicazione che abbia i contenuti della pubblicistica.
Poiché l'art. 1 definisce la figura soggettiva di pubblicista come quella di esercente attività giornalistica occasionale, è palese che chi vuole conseguire l'iscrizione all'albo professionale negli elenchi dei pubblicisti non può allora pretenderlo sulla base di qualsiasi pubblicazione, bensì solo in forza di una pubblicazione oggettivamene caratterizzantesi come pubblicistica. E siccome i periodici e le riviste a carattere tecnico, scientifico o professionale di cui all'art. 28, in quanto diretti da un non giornalista, non hanno - e non possono avere - ad oggetto attività giornalistica e, quindi, nemmeno di c.d. pubblicistica (cioè occasionalmente giornalistica), deve escludersi che colui che scrive su di essi possa utilizzare tali scritti come significativi dell'esercizio di un'attività oggettivamente pubblicistica e come tale rilevante ai sensi dell'art. 35 della legge. D'altro canto, la previsione formale della iscrizione del direttore di simili riviste o periodici nell'elenco speciale, ricollegandosi alla iscrizione del periodico o della rivista per il tramite della sua natura nell'apposito registro previsto dalla l. n. 47 del 48, che al n. 1 dell'art. 3 esige l'indicazione della “natura della pubblicazione”, va considerata in una con la previsione del secondo comma dell'art. 28 della l. n. 69 del 963, la quale, prevedendo che possa insorgere una controversia sulla natura della pubblicazione agli effetti dello stesso art. 28, sottende che, se tale controversia non insorga e non venga risolta dal Consiglio Nazionale, la dovuta iscrizione del direttore nell'elenco speciale determina una situazione per cui l'attività che si estrinseca nel periodico o nella rivista non può essere considerabile, alla stregua della legge n. 69 del 1963, come giornalistica. Con la conseguenza che, se mai assumesse tali connotati, lo farebbe illegittimamente con ogni conseguenza di legge, ma non con quelle che la legge stessa ricollega solo all'esercizio di un'attività giornalistica occasionale in funzione della consecuzione del titolo di pubblicista.
Conferma di ciò si ha dalla lettura dell'art. 32 del d.P.R. n. 115 del 1965, là dove prevede quanto segue: “Per l'iscrizione nell'elenco speciale dei direttori responsabili delle pubblicazioni di cui all'art. 28 della legge è richiesto il possesso dei requisiti prescritti dall'art. 3, secondo e terzo comma, della legge 8 febbraio 1948, n. 47. La domanda di iscrizione è diretta al Consiglio regionale o interregionale nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza. Alla domanda devono essere allegati i documenti attestanti il possesso dei requisiti di cui al primo comma ed una dichiarazione nella quale risultino dettagliatamente precisati, agli effetti di cui all'ultimo comma dell'art. 28 della legge, di elementi occorrenti alla determinazione della natura specializzata della pubblicazione stessa. Non è consentita la contemporanea iscrizione in più di un elenco speciale. Il Consiglio regionale o interregionale rilascia al richiedente, ai fini della registrazione, un certificato nel quale viene specificatamente indicato il carattere della pubblicazione per la quale è stata disposta la iscrizione del direttore nell'elenco speciale. Il Consiglio provvede alla cancellazione dall'elenco speciale, sentito l'interessato, nel caso in cui vengano a cessare i requisiti di cui al primo comma, nonché in caso di decadenza della registrazione, a norma dell'art. 7 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, di mutamento intervenuto nella natura della pubblicazione ovvero quando l'iscritto sia sostituito nella direzione responsabile della pubblicazione stessa. Le cancellazioni per i motivi di cui al precedente comma sono comunicate dal Consiglio regionale o interregionale ai tribunali compresi nella propria circoscrizione, per gli adempimenti di competenza”.
Come sì vede, quando si chiede l'iscrizione nell'elenco speciale è compiuto un accertamento sulla "natura specializzata della rivista", cioè sulla sua natura tecnica” professionale o scientifica.
In pratica, deve ritenersi che, quando si iscrive ai sensi della l. n. 47 del 1948 un periodico o una rivista come a carattere tecnico, professionale, scientifico e se ne indichi come direttore un soggetto non iscritto all'albo dei giornalisti, la conseguente iscrizione di costui nell'elenco speciale implica che, agli effetti della l. n. 69 de 1963, il periodico o rivista non possano considerarsi mezzi di espressione di attività giornalistica. Ne segue che eventuali pubblicazioni su di esse non possono essere considerate come espressione di attività rilevante ai fini della legittimità di una richiesta di iscrizione nell'albo dei giornalisti, elenco dei pubblicisti, a norma dell'art. 35 della l. n. 69 del 1963, in quanto esse non possono essere apprezzate come espressione di attività giornalistica occasionale e come tale legittimare detta iscrizione.
p.4. Venendo ad applicare i principi su esposti al caso di specie, essendo incontestato che le due riviste sulle quali il L.T. aveva fatto le pubblicazioni presentate erano iscritte come di natura tecnica, il che aveva giustificato l'iscrizione del loro direttore responsabile nell'elenco speciale di cui al'art. 28, la richiesta di iscrizione si palesava inaccoglibile per l'oggettiva esclusione nelle pubblicazioni su dette riviste del carattere di attività pubblicistica, indefettibilmente desumibile dalla loro natura ed iscrizione e da quella conseguente del loro direttore nell'elenco speciale. Sicché, la questione della idoneità di questi a rilasciare la certificazione in ordine all'attività era assorbita necessariamente da quella a monte ora detta.
Tanto giustifica l'accoglimento del primo motivo e la cassazione della sentenza impugnata e, poiché, in base alle considerazioni svolte è pacifico senza bisogno di ulteriori accertamenti di fatto che il ricorso contro la negazione dell'iscrizione non avrebbe dovuto essere accolto per l'oggettiva mancanza di espletamento di attività riconducibile alla nozione di pubblicistica, ricorrono le condizioni per decidere sul merito dell'appello e, quindi, in riforma della decisione di primo grado, rigettare il ricorso del L.T..
p.5. La novità delle questioni esaminate induce a compensare le spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione e, pronunciando sul merito dell'appello contro la sentenza del Tribunale di Ancona n. 10 del 2007, in riforma di essa rigetta il ricorso proposto dal L.T. contro la deliberazione n. 1439 del 2004 del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.
18-10-2013 22:40
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