Un dipendete di una banca, che subisce il licenziamento, si difende sostenendo di essere affetto da sindrome acquisto compulsivo.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 aprile - 17 ottobre 2013, n. 23598
Presidente Vidiri – Relatore Bronzini
Svolgimento del processo
La Corte di appello di L'Aquila con sentenza del 18.12.2008 confermava la legittimità del licenziamento intimato il 31.1.2006 a C.M. , dipendente Carispaq in servizio presso la Agenzia n. 3 dell'Aquila, già dichiarata con sentenza del Tribunale di L'Aquila del 21.9.2007 per l'emissione di assegni protestati tratti sul c.c. presso la detta Agenzia intestato al Condominio Edilvillaggio, respingendo l'appello del C. . La Corte territoriale rilevava la obiettiva gravità del comportamento tenuto dal C. tenuto conto anche delle mansioni espletate di cassiere ed osservava che la sindrome sofferta dall'appellante di compulsione all'acquisto appariva non pertinente per giustificare il comportamento contestato in quanto l'emissione degli assegni era avvenuta molto tempo dopo (anni) dall'acquisto compulsato.
Peraltro il C. aveva spiegato diversamente in primo grado il proprio comportamento allegando di aver dovuto pagare delle rate con una finanziaria. Inoltre il C. in occasione di prevedenti contestazioni non aveva mai allegato di soffrire di tale sindrome, ma si era giustificato in relazione alla necessità di coprire posizioni debitorie dovute a propri errori di valutazione. Tenuto conto della mansioni svolte il fatto era certamente idoneo a minare il rapporto fiduciario posto che poteva ledere anche l'affidamento dei clienti nella Banca e nella correttezza dei suoi funzionari.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il C. con due motivi; resiste la Cassa di risparmio della provincia dell'aquila spa con controricorso che ha prodotto anche memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti nazionali di lavoro. Non era stata valutata la proporzionalità ed adeguatezza della sanzione comminata al C. .
Il motivo presenta profili di inammissibilità in quanto il quesito formulato a pag. 7 del ricorso non offre alcuna correlazione con il caso concreto e quindi si risolve in una tautologica domanda priva di rilievo decisorio. In ogni caso la Corte territoriale ha esaminato il profilo denunciato nel motivo; ha osservato che l'episodio contestato (sul quale non vi è alcuna contestazione di ordine fattuale) era indubbiamente di notevole gravità tenuto conto anche delle mansioni di cassiere svolte dal C. . Si tratta - ha rilevato la Corte territoriale - di un comportamento idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario tra le parti potendo il fatto contestato minare anche l'affidamento dei clienti sulla correttezza delle operazioni condotte dalla Banca; la Corte ha anche accertato che le giustificazioni offerte dal lavoratore per attenuare sul piano soggettivo la propria responsabilità apparivano non pertinenti e poco credibili. Pertanto la valutazione sulla proporzionalità ed adeguatezza della sanzioni inflitta in rapporto ai fatti contestati, che spetta al Giudice di merito, è stata compiuta e motivata sulla base di un riferimento puntuale alle emergenze probatorie ed appare immune da vizi logici e/o argomentativi.
Con il secondo motivo si allega la contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il C. era affetto da una grave patologia che lo aveva portato a commettere i fatti contestati; successivamente aveva evitato che si verificassero pregiudizi economici di sorta, che in effetti la Banca o i suoi clienti non avevano sofferto.
Il motivo appare infondato perché le dedotte circostanze secondo parte ricorrente tali da attenuare sotto il profilo soggettivo la gravità del fatto sono state dettagliatamente esaminate dalla Corte di appello che ha escluso che la sindrome sofferta dal C. sia stata determinante per la decisione dell'emissione degli assegni tratti su altro conto corrente e poi protestati, anche perché l'acquisto compulsato risulta effettuato anni prima e perché il C. non aveva mai allegato nel corso di procedimenti disciplinari di analoga natura di soffrire della malattia attestata attraverso certificazione medica. La motivazione sul punto appare congrua e logicamente coerente, mentre le censure appaiono di merito, inammissibili in questa sede.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al dispositivo-seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 50,00 per spese nonché in Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori.
18-10-2013 22:47
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